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Accesso aperto all'opera (PDF) - Firenze University Press

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18<br />

elena sibilio<br />

e l’opera canonica era un «classico» della letteratura – antica o moderna<br />

indistintamente. Quali sono le ragioni per cui si è fatto ricorso ad un termine<br />

così rigido dal punto di vista istituzionale, legato com’è alla legge e<br />

alle sacre scritture? Per rispondere a questa domanda, mi pare che possa<br />

essere utile analizzare il legame tra canonizzazione letteraria e canonizzazione<br />

religiosa, più forte di quanto possa sembrare, così come forte è il<br />

legame che l’uso terminologico ha istituito recentemente tra canone letterario<br />

e canone religioso.<br />

nonostante ci sia qualche critico che sostiene l’inappropriatezza del<br />

parallelo biblico nelle indagini sulla formazione del canone letterario, o<br />

che si chiede se la scelta di testi per la pratica religiosa sia uguale alla scelta<br />

di testi letterari dal punto di vista storico, è innegabile che i termini in<br />

cui oggi è dibattuta la questione sono da rintracciarsi proprio nel momento<br />

in cui alcuni scritti, tra i tanti che costituivano la memoria religiosa di<br />

un popolo, sono stati dichiarati sacri, di contro a tutti gli altri condannati<br />

come profani quando non addirittura eretici. Proprio come la canonizzazione<br />

biblica, anche la canonizzazione letteraria, esplicitamente o meno, si<br />

basa su una differenziazione netta tra sacro e profano, ortodosso e eretico,<br />

canonico e apocrifo. se un tale parallelismo non avesse validità, come potremmo<br />

render conto delle ragioni che portano t.s. eliot a definire il suo<br />

bosco di autori «sacro» e che lo spingono in seguito a sostituire l’amato<br />

termine «tradizione» col ben più vincolante «ortodossia»? 32<br />

l’obiezione più ricorrente all’accostamento canone letterario/canone<br />

biblico riguarda il processo di chiusura di quest’ultimo, caratteristica che<br />

lo renderebbe irrilevante alla formazione del canone letterario 33 . È vero che<br />

la critica letteraria non ha mai teorizzato niente di simile alla «fine della<br />

profezia» 34 delle religioni ebraica e cristiana, quella perdita del contatto<br />

diretto col divino che avrebbe portato fino a una certa epoca alla messa<br />

per iscritto della Parola rivelata e all’impossibilità successiva di un’ulteriore<br />

rivelazione; è altrettanto vero che in nessun luogo letterario o critico<br />

troviamo una formula che assomigli alla cosiddetta «formula del canone»,<br />

il divieto ad aggiungere, cambiare e togliere qualsiasi cosa dalla legge<br />

35 . il canone letterario, a differenza di quello biblico, termina in teoria<br />

con i puntini di sospensione, sempre in attesa che lo scorrere del tempo<br />

apporti nuove potenziali canonizzazioni. ma viste le difficoltà e i conflitti<br />

che si creano in ambito critico di fronte alla possibilità di aggiunta o rivalutazione<br />

di un’opera, a me pare che l’apertura del canone letterario sia<br />

postulata a livello teorico, ma che quella stessa apertura incontri a livello<br />

pratico notevoli difficoltà di attuazione, che dunque vanno ad invalidare<br />

quello stesso presupposto. inoltre, l’incapacità, notata da molti critici<br />

anglo-americani, di elaborare un canone a partire dalla seconda metà del<br />

XX secolo, l’idea che dopo lo sperimentalismo estremo di Finnegans Wake<br />

(1939) di Joyce non sia possibile alcun atto di originalità ma solo l’emulazione,<br />

l’epitaffio alla letteratura di f.r. leavis, per il quale con la morte<br />

di d.H. lawrence (1930) anche la grande letteratura sarebbe morta, sono<br />

tutti segnali che implicitamente suggeriscono che la fine della profezia c’è

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