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di Romolo Brugiolo - Ossicella

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20<br />

Il santuario mariano <strong>di</strong><br />

Monte Buso con l’immagine<br />

<strong>di</strong>pinta <strong>di</strong> san Cristoforo,<br />

a destra dell’entrata.<br />

fu eccezionale testimone per noi<br />

il veneziano Marin Sanudo, inserendo<br />

negli avvincenti ‘Diarii’<br />

custo<strong>di</strong>ti dalla Biblioteca<br />

Marciana una ‘stampa’ recante<br />

notizia del pro<strong>di</strong>gio avvenuto la<br />

sera del venerdì santo 1526 a<br />

Monte Buso, in località Torri. La<br />

xilografia originale, impreziosita<br />

dall’efficace gioco chiaroscurale,<br />

mostra un solido impianto; le<br />

figure sono restituite con segni marcati decisi, strette dalle salde muraglie dell’abbandonata<br />

fortificazione, mentre sullo sfondo un paesaggio inselvatichito sottolinea la misteriosa atmosfera<br />

del luogo.<br />

Il testo della propagan<strong>di</strong>stica ‘vignetta’ è calibrato per suggestionare il lettore e gli ascoltatori;<br />

ecco il sapiente avvio del dettagliato racconto. «Apparve questa gloriosa Madonna a<br />

monte buso <strong>di</strong> sotto Moncelese, a Gàsparo e Angelo pecorari de Ioanni Todesco patrone del<br />

<strong>di</strong>tto luoco, lo anno MDXXVI lo <strong>di</strong> del Venere santo, venendo li detti da confessarsi da una<br />

villa <strong>di</strong>tta Terralba. Et essendo gionti a un loco dove sonno due torracci vecchii uno vicino<br />

allaltro, che la strada fra luno e laltro passa, videro una donna resplendente coperta tutta <strong>di</strong><br />

negro, in habito viduale, a seder posta sopra un sasso, che a guisa <strong>di</strong> bancha ivi era fabricato,<br />

laquale fo da quelli gratiosamente salutata...» La sconosciuta interlocutrice chiese ai pecorai<br />

<strong>di</strong> farsi ambasciatori presso il proprietario desiderando ch’egli innalzasse finalmente quel<br />

capitello che più volte gli aveva sollecitato. Vinta la titubanza dei pover’uomini, persuasi da<br />

ultimo a parlare col Todesco giacente ammalato in punto <strong>di</strong> morte, costui al loro sopraggiungere<br />

riprese conoscenza, ascoltò e or<strong>di</strong>nò ai figli <strong>di</strong> e<strong>di</strong>ficare il capitello che subito <strong>di</strong>ventò<br />

meta incessante <strong>di</strong> pellegrini e teatro «<strong>di</strong> gran<strong>di</strong>ssimi et evidenti miraculi, <strong>di</strong> illuminar ciechi<br />

et sanar infermi», ristorati dall’acqua <strong>di</strong> palude che scorreva nei paraggi, fatta da «fetente et<br />

putrida... perfetissima et bona».<br />

È questo il momento topico in cui poteva nascere, ed è nata qui, una ‘leggenda’ tesa a porre<br />

in risalto il movente e l’attore da un lato, dall’altro il destinatario e lo scopo dell’azione: la<br />

Vergine apparendo, o comunque propalandosi una sua presunta apparizione, aveva consacrato<br />

un elemento concreto (il capitello) affinché prendesse avvio un processo devozionale destinato<br />

a concludersi nel culto pubblico. Questo invero cessò alla metà circa dell’ottocento e solo<br />

LA LEGGENDA DI SAN CRISTOFORO<br />

21<br />

Icone pubbliche e devozione popolana<br />

nel 1957, il 21 ottobre, recuperata la chiesuola e ristorata, l’arciprete <strong>di</strong> Baone don Giovanni<br />

Maria Cattin la riapriva all’abbraccio dei fedeli.<br />

Che tale processo avesse rapidamente attecchito lo prova un secondo elemento sovrappostosi<br />

o, meglio, affiancatosi all’immagine-car<strong>di</strong>ne della Madonna: una piccola rosa <strong>di</strong> a<strong>di</strong>utori con<br />

santi e sante affrescati entro e fuori la cappellina-oratorio. All’esterno campeggiava s.<br />

Cristoforo e all’interno occupava uno spazio privilegiato s. Giovanni Battista, protagonista<br />

assoluto, come sappiamo, della pietà rusticana rivolta a riti primitivi celebrati nell’attesa notte<br />

solstiziale foriera d’invocati pro<strong>di</strong>gi. Ma la presenza <strong>di</strong> s. Cristoforo non appare meno intrigante,<br />

onorato com’era con totale trasporto, e lo <strong>di</strong>mostrava l’in<strong>di</strong>menticabile omaggio che<br />

arquesani e montericcani gli tributavano il 25 luglio, accorrendo in massa a una delle processioni<br />

paesane più vetuste e spettacolari. «La jèra na festa pí granda de qué’a dé’a Trinità», sentenzia<br />

tuttora la gente. Il corteo sfilava con al centro ‘la caréta’, un imponente supporto ligneo<br />

sostenuto a braccia, su cui troneggiava la statua del santo. Seguivano i cappati dalle lunghe vesti<br />

bianco-rosse e i fedeli con recipienti in vimini colmi <strong>di</strong> frutta ‘de pagnòche de angúrie’, insomma<br />

<strong>di</strong> tutte le primizie. Si ballava fino a tarda notte, si cantava e si beveva mentre l’oratorio<br />

della Trinità s’empiva <strong>di</strong> ceste ‘co ogni bende<strong>di</strong>o’.<br />

I connotati <strong>di</strong> ‘festa’ nell’atavico significato folclorico erano dunque ben presenti, ma alla<br />

processione s’aggiungeva la possibile devota frequentazione presso la parrocchiale <strong>di</strong> Arquà,<br />

dove era rimasto visibile un lacerto d’affresco de<strong>di</strong>cato a s. Cristoforo, con un piede immenso<br />

che, per effetto ottico, si muoveva con l’osservatore nell’arco d’un semicerchio. Ma perché una<br />

raffigurazione tanto sproporzionata rispetto alle altre <strong>di</strong> soggetto sacro, tale da dominare la<br />

parete dal basso in alto? Per comprenderlo occorre rifarsi alla leggenda del santo traghettatore,<br />

ribadendo che nelle chiese me<strong>di</strong>oevali speciale importanza avevano le immagini e le statue del<br />

patrono accanto a quelle dei santi protettori e guaritori. Dunque si narra che Cristoforo, ‘colui<br />

che porta Cristo’, «era un cananeo dalla taglia gigantesca e dal volto terribile. Avendo deciso<br />

<strong>di</strong> servire soltanto il principe più potente del mondo passò successivamente dal servizio del re<br />

del paese a quello del Diavolo finché questi gli rivelò che ben più potente era un altro padrone,<br />

Cristo. Si mise allora sulle sue tracce. Per rendersi gra<strong>di</strong>to e affrettarne l’incontro,<br />

Cristoforo, consigliato da un eremita, cominciò ad aiutare i viaggiatori a guadare un grande<br />

fiume che si trovava nei pressi della capanna dell’eremita. Appoggiato a un tronco d’albero a<br />

mo’<strong>di</strong> bastone, più volte Cristoforo percorse il fiume avanti e in<strong>di</strong>etro. Finché un giorno si caricò<br />

sulle spalle un bambino, ma durante il passaggio le acque del fiume ingrossarono, <strong>di</strong>ventando<br />

sempre più minacciose, mentre il bambino si faceva sempre più pesante. Dopo molte<br />

fatiche l’altra riva fu raggiunta e Cristoforo ricevette la consolante spiegazione <strong>di</strong> tante <strong>di</strong>fficoltà:<br />

aveva portato sulle sue spalle Gesù Bambino».<br />

È sin troppo facile accostare il Bambino che s’appesantisce sulle spalle con analoghi folclorici<br />

episo<strong>di</strong> in cui l’orco, sotto le mentite spoglie d’innocente animale domestico, è protagonista;<br />

resta il fatto che la bestialità iniziale <strong>di</strong> Cristoforo si trasformò in positività, amplificando<br />

a <strong>di</strong>smisura i poteri d’intervento più o meno miracolosi: guardare una sua immagine,<br />

ad esempio, proteggeva dalla mala morte, cioè dalla morte improvvisa senza confessione, una<br />

delle tormentose ossessioni del buon cristiano antico. Ecco perché fissarne l’effigie appena<br />

svegli garantiva l’incolumità per l’intera giornata: occorreva perciò che la figura del santo<br />

giganteggiasse, apparisse da lontano ben visibile, <strong>di</strong>pinta sui muri esterni delle chiese e presso<br />

le porte della città, oppure ornava cappelle e capitelli sorti nei luoghi <strong>di</strong> transito, essendo<br />

intanto assurto a patrono dei ‘barcari’ e dei viandanti, invocato contro le inondazioni e gli uragani,<br />

insomma un <strong>di</strong>fensore tuttofare che meritava davvero il fervoroso coinvolgimento <strong>di</strong><br />

quanti accorrevano all’appuntamento <strong>di</strong> fine luglio, grati se la clemenza del tempo aveva<br />

favorito abbondanti raccolti.

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