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l'in house alla prova delle regole comunitarie (QCDE - Provincia ...

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VI^ Edizione – Seminari di diritto comunitario<br />

e nazionale sugli appalti pubblici e i servizi<br />

- 1 -<br />

Prima giornata<br />

Società pubblico-private e<br />

procedure di affi damento<br />

L’in <strong>house</strong> <strong>alla</strong> <strong>prova</strong><br />

<strong>delle</strong> <strong>regole</strong> <strong>comunitarie</strong><br />

TRENTO, 4 maggio 2007<br />

GIUNTA DELLA PROVINCIA AUTONOMA DI TRENTO - 2008


Copyright: Tutti i diritti riservati<br />

Giunta della <strong>Provincia</strong> Autonoma di Trento, 2008<br />

Centro Documentazione Europea<br />

Coordinamento redazionale: Dott. Marco Zenatti<br />

Stampato in proprio<br />

Centro duplicazioni della <strong>Provincia</strong> Autonoma di Trento, marzo 2008<br />

Editore: PROVINCIA AUTONOMA DI TRENTO<br />

L’ENERGIA<br />

costa? _ : risparmiare si può : Trento, 12 ottobre 2006. – [Trento] : <strong>Provincia</strong><br />

autonoma di Trento. Giunta, 2007. – 64 p. ; 21 cm. – (Quaderni del CDE ; 24)<br />

Scritti di vari. - Relazioni presentate al Seminario<br />

1. Risparmio energetico - Congressi - Trento - 2006 2. Energia - Trentino - Congressi<br />

- Trento - 2006 3. Trentino - Politica energetica - 1980-2004 - Congressi<br />

- Trento - 2006<br />

333.7917<br />

- 2 -


Nicoletta Clauser<br />

Dirigente sostituto Servizio Rapporti Comunitari e Sviluppo Locale<br />

<strong>Provincia</strong> Autonoma di Trento<br />

Franco Menestrina<br />

ANCE, Sezione Autonoma dell’Edilizia di Confi ndustria Trento<br />

Gian Antonio Benacchio<br />

Professore ordinario, Università di Trento<br />

Michele Cozzio<br />

Dottore di ricerca, Università di Trento<br />

Chiara Alberti<br />

Professore a contratto, Università di Bologna<br />

- 3 -<br />

Giancarlo Montedoro<br />

Consigliere - Consiglio di Stato<br />

Riccardo Ursi<br />

Professore associato, Università di Palermo<br />

Roberto Mangani<br />

Grandi Ferrovie S.p.a., Roma


Nicoletta Clauser<br />

Dirigente sostituto Servizio Rapporti Comunitari e Sviluppo Locale<br />

<strong>Provincia</strong> Autonoma di Trento<br />

La ricorrenza dei 50 Anni d’Europa (25 marzo 2007) è stata festeggiata con<br />

una serie di seminari, convegni e dibattiti in tutta Europa.<br />

Per i giuristi e per questa amministrazione provinciale è stata al centro dell’attenzione<br />

l’analisi dell’impatto del diritto comunitario sull’ordinamento<br />

nazionale.<br />

Queste le premesse <strong>alla</strong> Sesta edizione dei Seminari di diritto comunitario e<br />

nazionale sugli appalti pubblici e i servizi il cui fi lo conduttore è costituito dal<br />

sottile rapporto che intercorre tra le <strong>regole</strong> della concorrenza e i principi comunitari<br />

all’interno dei sistemi di contrattazione pubblica. E’ infatti, ormai,<br />

acquisita generalmente la cosiderazione che gli obiettivi della libera concorrenza<br />

e del Mercato unico caratterizzano oggi il processo di comunitarizzazione<br />

della disciplina nazionale degli appalti pubblici e dei servizi.<br />

Ulteriormente, considerato il riscontro positivo ottenuto dalle precedenti<br />

edizioni di questi seminari, l’Università degli Studi di Trento – Facoltà di Giurisprudenza,<br />

la <strong>Provincia</strong> Autonoma di Trento – Servizio Rapporti Comunitari e<br />

Sviluppo Locale, con la collaborazione della sezione locale dell’Associazione<br />

Industriali e del Centro di Documentazione Europea (C.D.E.) provinciale, ha<br />

inteso promuove un ulteriore corso di lezioni, organizzate in forma seminariale,<br />

relative al diritto comunitario e nazionale sugli appalti pubblici e i servizi.<br />

L’iniziativa, infatti, ha sempre riscontrato buoni risultati, off rendo agli operatori<br />

della Pubblica amministrazione e alle imprese un valido strumento<br />

di aggiornamento a fronte della continua evoluzione <strong>delle</strong> <strong>regole</strong> e della<br />

prassi in materia di appalti pubblici e servizi. I temi trattati sono stati diretti<br />

ad approfondire le novità normative e giurisprudenziali, di matrice <strong>comunitarie</strong><br />

e nazionali, alle quali il legislatore della <strong>Provincia</strong> autonoma, gli operatori<br />

della Pubblica amministrazione e le imprese devono dare attuazione.<br />

L’opportunità di approfondire questi temi è nata d<strong>alla</strong> comune constatazione,<br />

da parte degli enti organizzatori, che gli Stati membri, le Regioni, le<br />

- 5 -


Province, i Comuni e le Stazioni appaltanti appaiono talvolta storditi d<strong>alla</strong><br />

pervasività <strong>delle</strong> nuove <strong>regole</strong> e faticano ad adeguarsi tempestivamente;<br />

che gli stessi giudici nazionali assumono decisioni ondivaghe; e che le tensioni<br />

che ne derivano, senza dubbio stimolanti, percorrono tutti gli ordinamenti<br />

nazionali, con soluzioni diff erenti che è interessante approfondire.<br />

Il programma, predisposto per questa sesta edizione, è stato articolato in<br />

tre giornate previste rispettivamente il 4 maggio, il 18 maggio e l’8 giugno<br />

2007, nel corso <strong>delle</strong> quali i relatori hanno aff rontato i temi prescelti sotto<br />

profi li diversi, giuridici, economici e procedurali, rivolgendosi particolarmente<br />

agli operatori della Pubblica amministrazione nonché agli enti che<br />

normalmente utilizzano lo strumento dell’appalto pubblico, avvocati e consulenti<br />

professionali, magistrati, imprenditori e associazioni di categoria.<br />

Oggetto di attenzione sono stati soprattutto gli istituti e le formule pro – concorrenziali<br />

che caratterizzano il quadro regolatorio defi nito dalle direttive<br />

2004/18/CE e 2004/17/CE e agli eff etti che derivano sull’ordinamento interno,<br />

con riferimento sia al Codice dei contratti pubblici (d.lgs. 163/2006) sia<br />

alle modifi che della normativa provinciale tuttora in fase di predisposizione.<br />

Questo Quaderno del CDE trentino, quindi, raccoglie le relazioni tenute<br />

nel corso della prima giornata, 4 maggio 2007, che proponeva, specifi<br />

catamente la tematica, Società pubblico-private e procedure di affi<br />

damento. L’in <strong>house</strong> <strong>alla</strong> <strong>prova</strong> <strong>delle</strong> <strong>regole</strong> <strong>comunitarie</strong> di cui, per<br />

maggiore e veloce cognizione, si riporta la traccia d’approfondimento:<br />

Prosegue a ritmo incalzante il processo di regolamentazione dell’in-<strong>house</strong><br />

per opera soprattutto della giurisprudenza comunitaria, sollecitata da Italia<br />

e Austria. Le pronunce dei giudici comunitari tendono a limitare entro ambiti<br />

ristretti (controllo analogo, parte prevalente dell’attività, capitale interamente<br />

pubblico) il ricorso a questo strumento scardinando lo status quo esistente<br />

e sollevando inevitabili resistenze. Le sollecitazioni <strong>comunitarie</strong> mirano a<br />

correggere le distorsioni <strong>alla</strong> concorrenza causate dall’abuso dell’in-<strong>house</strong>.<br />

La mancanza di un modello comunitario defi nito accresce le incertezze,<br />

mentre non sembra esservi suffi ciente consenso per interventi legislativi<br />

strutturati (cfr. relazione al Libro Verde sul PPP, COM 2005/0569),<br />

circostanza che costringe la Commissione europea a iniziative di soft<br />

law. Al contempo legislatori e giudici nazionali ‘faticano’ a conformarsi<br />

alle indicazioni restrittive che giungono da Bruxelles e da Lussemburgo,<br />

il cui impatto è travolgente, e premono per soluzioni di compromesso.<br />

- 6 -


Nella fondata speranza che, per il qualifi cato contributo assicurato dai relatori,<br />

questo sforzo di approfondimento possa essere apprezzato, si informa<br />

che nei prossimi numeri di questa collana verranno pubblicate le relazioni<br />

<strong>delle</strong> altre due giornate seminariali.<br />

- 7 -


Franco Menestrina<br />

ANCE<br />

Sezione Autonoma dell’Edilizia di Confi ndustria Trento<br />

ANCE Trento – Sezione Autonoma dell’Edilizia di Confi ndustria Trento ha sostenuto<br />

e promosso con convinzione la Sesta edizione dei Seminari di diritto<br />

comunitario e nazionale sugli appalti pubblici e i servizi, organizzata d<strong>alla</strong><br />

Facoltà di Giurisprudenza dell’Università degli Studi di Trento, nell’intento<br />

di off rire alle imprese associate un’occasione di chiarifi cazione, confronto e<br />

dialogo con interlocutori altamente specializzati nei diversi ambiti di articolazione<br />

dell’importante materia degli appalti di lavori pubblici.<br />

L’iniziativa seminariale ha rappresentato sicuramente per il sistema <strong>delle</strong><br />

imprese industriali edili trentine una valida opportunità di formazione<br />

relativamente allo specifi co settore che presenta grande rilevanza sotto il<br />

profi lo produttivo e che si caratterizza per la molteplicità <strong>delle</strong> <strong>regole</strong> che<br />

lo disciplinano, fra l’altro in continua, e a volte disorganica, espansione e<br />

modifi cazione.<br />

La scelta di ANCE Trento a favore dell’iniziativa conferma ancora una volta<br />

gli stretti legami intercorrenti tra l’Università degli Studi di Trento e il sistema<br />

imprenditoriale locale, mirati a stabilire profi cui punti di contatto tra approfondimenti<br />

accademici e ricerca di soluzioni ai problemi concreti che le<br />

imprese si trovano ogni giorno a dover aff rontare.<br />

Oggi, a un anno dall’emanazione del nuovo Codice dei contratti pubblici, in<br />

un panorama che vede aff acciarsi con sempre maggiore forza le <strong>regole</strong> <strong>comunitarie</strong>,<br />

emerge la necessità e la volontà <strong>delle</strong> imprese di essere soggetti<br />

attivi di momenti di formazione e di confronto sulla tematica degli appalti<br />

pubblici, in relazione al complesso scenario normativo esistente ma anche a<br />

quello che si profi la per il futuro.<br />

In tal senso l’edizione di quest’anno dei Seminari ha rappresentato un approccio<br />

interessante a quegli elementi che secondo gli esperti del settore<br />

caratterizzeranno i mercati dell’esecuzione e gestione <strong>delle</strong> opere pubbliche<br />

come, ad esempio, la partnership tra imprese private ed ente pubblico,<br />

- 8 -


il rispetto dei principi di libera concorrenza e di elasticità <strong>delle</strong> procedure, le<br />

aggregazioni tra operatori economici.<br />

Sul versante <strong>delle</strong> imprese oggi è in eff etti forte l’impulso verso nuove dimensioni,<br />

di conoscenza oltre che organizzative, che permettano una più<br />

qualifi cata e competitiva azione nel mercato degli appalti pubblici nel rispetto<br />

della più ampia partecipazione alle procedure di scelta del contraente<br />

nonché della trasparenza e chiarezza dell’azione amministrativa.<br />

Ciò in un contesto di aspettative per una semplifi cazione dell’azione amministrativa<br />

nel perseguimento di quegli obiettivi di “sburocratizzazione” che,<br />

sia le direttive <strong>comunitarie</strong> che i nuovi istituti recepiti dal legislatore nazionale<br />

con il Codice dei contratti pubblici, intendono valorizzare.<br />

- 9 -


PRESENTAZIONE<br />

Gian Antonio Benacchio<br />

Professore ordinario, Università di Trento<br />

Michele Cozzio<br />

Dottore di ricerca, Università di Trento<br />

Le <strong>regole</strong> e i principi che defi niscono la concorrenza per il mercato e nel mercato1<br />

ricorrono con sempre maggior frequenza nelle sedi in cui si aff ronta la<br />

materia degli appalti e dei servizi pubblici, soprattutto laddove l’attenzione<br />

è rivolta alle dinamiche in atto a livello comunitario. Non sorprenda quindi<br />

se il criterio adottato per la selezione dei temi della presente edizione<br />

dei Seminari rinvia, seguendo un ipotetico fi l rouge, alle dinamiche attivate<br />

dalle <strong>regole</strong> concorrenziali <strong>comunitarie</strong>. Sono state così individuate tre aree<br />

tematiche nell’ambito <strong>delle</strong> quali gli impatti <strong>delle</strong> norme concorrenziali risultano<br />

particolarmente incisivi e tanto più dirompenti quanto minore è il<br />

grado di ‘apertura’ raggiunto dalle disposizioni interne. Il presente volume<br />

è dedicato alle relazioni presentate durante il primo Seminario, venerdì 4<br />

maggio 2007.<br />

Il tema è quello <strong>delle</strong> società pubblico – private e <strong>delle</strong> procedure di affi damento,<br />

con particolare attenzione alle ipotesi dell’in <strong>house</strong> providing, soluzione<br />

che permette alle Amministrazioni di utilizzare il modulo gestionale<br />

<strong>delle</strong> società pubbliche e procedere ad affi damenti diretti. Sul punto permane<br />

in sede comunitaria una situazione di prevalente incertezza normativa<br />

(l’istituto è disciplinato solo d<strong>alla</strong> direttiva per i settori cd. esclusi, art. 23<br />

Dir. 2004/17/CE), né si può ritenere dirimente l’azione svolta d<strong>alla</strong> Corte di<br />

Giustizia. Le sentenze dei giudici comunitari, infatti, hanno dapprima enu-<br />

1 Cfr. sentenza del 22 novembre 2007 n. 401, pt. 6.7, nella quale i giudici della Corte costituzionale<br />

distinguono fra concorrenza per il mercato, la quale impone che il contraente venga<br />

scelto mediante procedure di garanzia che assicurino il rispetto dei valori comunitari e costituzionali<br />

e concorrenza nel mercato che si realizza attraverso la liberalizzazione dei mercati a<br />

cominciare dall’eliminazione di diritti speciali o esclusivi.<br />

- 10 -


cleato una serie di indici nel tentativo di tracciare una perimetrazione ampia<br />

e fl essibile dell’in <strong>house</strong>, salvo introdurre, a partire dal 2005 (sentenze Stadt<br />

Halle, Parking Brixen etc.), defi nizioni sempre più dettagliate e stringenti dei<br />

requisiti di ammissibilità, onde evitare il rischio di elusioni <strong>delle</strong> <strong>regole</strong> e dei<br />

principi comunitari (e dell’evidenza pubblica). Oggi il corpus <strong>delle</strong> sentenze<br />

della Corte rappresenta, al pari di un binding judicial precedent, un punto<br />

di riferimento imprescindibile per i giudici e i legislatori nazionali e, quasi<br />

certamente, per l’attività futura del legislatore comunitario [vd. la relazione<br />

di ALBERTI C.].<br />

Le altre Istituzioni <strong>comunitarie</strong> non rappresentano orientamenti univoci.<br />

La posizione del Parlamento europeo, ad esempio, sembra contrapporsi a<br />

quella di chiusura della Corte ed esprime un generico favor per le formule di<br />

cooperazione pubblico – privato le cui fi nalità sono quelle di trasferire nella<br />

sfera pubblica capacità fi nanziarie, gestionali e organizzative <strong>delle</strong> imprese<br />

private. In tal senso la relazione del Parlamento chiede di chiarire (rectius:<br />

ampliare) la nozione e i requisiti di ammissibilità dell’in <strong>house</strong>.<br />

La questione è ‘spinosa’ perché tocca un campo – l’organizzazione <strong>delle</strong><br />

pubbliche amministrazioni e la gestione dei servizi pubblici locali – di competenza<br />

degli Stati membri che spesso ‘faticano’ a conformarsi alle indicazioni<br />

<strong>comunitarie</strong> 2 e preferiscono soluzioni di compromesso. Né potrebbe<br />

essere diversamente trattandosi di questioni che aff eriscono scelte nazionali<br />

di politica economica. Basti considerare che sullo sfondo si intravede<br />

il tema “nobile” dello spazio che deve essere occupato dal potere pubblico<br />

nell’assetto economico complessivo, con la tradizionale contrapposizione<br />

tra una visione che privilegia un intervento (pubblico) leggero di tipo regolatore<br />

e quella che invece considera legittimo e perfi no opportuno che<br />

l’organizzazione pubblica si strutturi anche in termini di autoproduzione<br />

di determinati servizi e prestazioni. Ma si intravede anche l’aspetto “meno<br />

nobile” di resistenze al cambiamento dettate d<strong>alla</strong> volontà di mantenere<br />

(specie a livello di autonomie locali) situazioni monopolistiche che nascon-<br />

2 A dimostrazione di quanto siano complessi i rapporti tra le Istituzioni <strong>comunitarie</strong> e gli Stati<br />

membri riguardo questi argomenti, rileviamo che nell’autunno 2006, per la prima volta, la<br />

Germania ha fatto ricorso <strong>alla</strong> Corte di Giustizia contro una Comunicazione della Commissione<br />

(relativa al diritto comunitario applicabile all’aggiudicazione di appalti non o solo parzialmente<br />

disciplinati dalle direttive sugli appalti pubblici), atto para normativo e privo di valore giuridico<br />

cogente. La Germania ha ritenuto infatti che la Commissione ha travalicato i propri limiti<br />

interpretativi stabilendo nuovi principi in materia.<br />

- 11 -


dono, troppo spesso, l’intenzione di non perdere posizioni di privilegio [vd.<br />

la relazione di MANGANI R.].<br />

Il rischio è che una timida apertura al modello dell’in <strong>house</strong> debordi rapidamente<br />

in forme di abuso cui si riconnettono: indebite restrizioni del mercato<br />

(tramite il riconoscimento di diritti speciali ed esclusivi), dispendiose forme<br />

di polimorfi smo amministrativo (ciascuna Regione, <strong>Provincia</strong>, Comune preme<br />

per utilizzare questo modulo organizzativo), costellazioni di società partecipate<br />

diffi cilmente controllabili, discrezionalità nell’assunzione del personale<br />

mediante formule che evitano i concorsi pubblici etc.<br />

Alla luce di queste premesse ben si comprendono gli sforzi normativi<br />

perseguiti dal legislatore nazionale in modo sempre più sistematico<br />

(cfr. art. 13, d.l. 4 luglio 2006 n. 223, cd. decreto Bersani, convertito nella<br />

l. 4 agosto 2006 n. 248; cfr. anche art. 1, co. 725 – 730, l. 27 dicembre<br />

2006 n. 296, cd. Finanziaria 2007 e più di recente cfr. il Ddl. 772/XV<br />

leg., cd. Ddl. Lanzillotta, recante delega al Governo per il riordino dei<br />

servizi pubblici locali).<br />

L’orientamento adottato, ma ancora non defi nito con legge, tende<br />

a limitare il ricorso al modello organizzativo dell’in <strong>house</strong> agendo da<br />

un lato sulle norme procedurali (ad es. gara pubblica per la scelta del<br />

socio privato) e, dall’altro, richiedendo che il ricorso a questa modalità<br />

organizzativa risponda a una reale convenienza economica e si fondi<br />

su una valutazione ponderata, basata su un’analisi di mercato da cui<br />

emerga l’inadeguatezza di scelte alternative [vd. la relazione di MON-<br />

TEDORO G.].<br />

Restano sullo sfondo le questioni collegate <strong>alla</strong> confi gurazione dei<br />

modelli societari pubblicistici e pubblico – privati che, per le loro caratteristiche<br />

strutturali, si discostano nel funzionamento ma prima<br />

ancora nelle fi nalità dal modello societario civilistico [vd. la relazione<br />

di URSI R.], anche se ciò non sembra costituire ragion suffi ciente per<br />

negare <strong>alla</strong> radice la confi gurabilità dell’affi damento in <strong>house</strong> a favore<br />

di questi soggetti.<br />

- 12 -


Chiara Alberti<br />

Professore a contratto Università di Bologna<br />

L’IN HOUSE NEGLI ORIENTAMENTI<br />

DELLA COMUNITÀ EUROPEA<br />

SOMMARIO: 1. Premessa. - 2. Matrice extra-comunitaria dell’in <strong>house</strong>. - 3. Principali<br />

interventi della Corte di Giustizia. - 4. La posizione <strong>delle</strong> altre istituzioni <strong>comunitarie</strong>.<br />

1. Premessa<br />

La relazione che mi appresto ad esporre ha ad oggetto l’individuazione<br />

dei principali tratti, ricostruttivi e ricognitivi, caratterizzanti l’istituto dell’in<br />

<strong>house</strong> providing, con particolare attenzione <strong>alla</strong> posizione, certamente non<br />

monolitica né statica, assunta dalle istituzioni <strong>comunitarie</strong>, in special modo<br />

d<strong>alla</strong> Commissione e della Corte di Giustizia, posizione che rappresenta un<br />

elemento imprescindibile nello studio di tale fenomeno, in quanto l’in <strong>house</strong><br />

presenta una matrice estranea al nostro ordinamento giuridico, la quale,<br />

nella fase di implementazione ed armonizzazione del diritto comunitario a<br />

livello di diritto nazionale, ha suscitato non pochi problemi di compatibilità<br />

rispetto ai moduli gestori previsti dall’ordinamento italiano.<br />

Occorre fi n da subito ricordare che con l’espressione “appalto in <strong>house</strong>” viene<br />

descritta l’ipotesi in cui l’amministrazione decide di attingere a risorse<br />

proprie per l’acquisizione di beni e l’erogazione di servizi, ovvero, ricorre ad<br />

amministrazioni ad essa collegate (sotto diversi profi li), anziché affi darsi al<br />

mercato. Facendo propria la posizione del Consiglio di Stato (cfr. Consiglio di<br />

Stato, Sez. VI, 3 aprile 2007, n. 1514) è possibile qualifi care l’in <strong>house</strong> come un<br />

fenomeno di autoproduzione, grazie al quale l’amministrazione, anzichéo<br />

optare per l’esternalizzazione, si rivolge al proprio interno. In questo caso,<br />

l’amministrazione non deve applicare le <strong>regole</strong> e le procedure dell’evidenza<br />

pubblica, ovverosia la gara, trattandosi di un affi damento diretto.<br />

Tuttavia, l’in <strong>house</strong> providing rappresenta un’ipotesi eccezionale e residuale<br />

- 13 -


ispetto al principio di libera concorrenza, al divieto di ostacolare la libera<br />

circolazione dei servizi e la libera concorrenza e al divieto di porre in essere<br />

qualsivoglia fenomeno di discriminazione. Proprio perché l’istituto in parola<br />

costituisce una ipotesi del tutto particolare e specifi ca, si è posto il problema<br />

di individuare i limiti entro i quali il ricorso ad tale modalità sia possibile. Le<br />

corti nazionali, chiamate a decidere e valutare la legittimità di affi damenti<br />

diretti a soggetti appartenenti <strong>alla</strong> stessa amministrazione, in particolare a<br />

soggetti che hanno la forma di moduli societari, e che presentano, di conseguenza,<br />

e possono presentano una commistione tra pubblico e privato,<br />

hanno investito della questione la Corte di Giustizia, chiamata a valutare la<br />

compatibilità fra tale modulo gestorio atipico e le norme sul libero mercato<br />

del Trattato.<br />

2. Matrice extra - comunitaria dell’in <strong>house</strong><br />

Il fenomeno dell’in <strong>house</strong> presenta una matrice non comunitaria, infatti,<br />

l’espressione in questione non è nata nel diritto europeo, ma trae origine<br />

dal diritto inglese dei primi anni ’80, quando il programma thatcheriano<br />

di alleggerimento dell’esecutivo e della PA sull’economia contrapponeva<br />

il modello dell’outsourcing / esternalizzazione al modello dell’in <strong>house</strong> /<br />

gestione interna di servizi. Modello sviluppatosi anche in USA, in forza del<br />

processo di deregulation del camparto della Pubblica Amministrazione del<br />

Governo Regan.<br />

Dal mondo giuridico anglosassone il concetto di in <strong>house</strong> providing è poi<br />

migrato nel diritto europeo solo nel 1998.<br />

Il primo accenno <strong>alla</strong> questione degli “appalti in <strong>house</strong>” si ritrova nel Libro<br />

Bianco del 1998 “Gli appalti pubblici nell’Unione Europea” (COM[98] 143<br />

def., 1.3.1998), nel quale la Commissione - in risposta al Libro verde del 1996<br />

“Gli appalti pubblici nell’Unione Europea: spunti di rifl essione” - si era impegnata<br />

a rispondere con interventi chiarifi catori sulle oltre trecento osservazioni<br />

formulate da soggetti giuridici ed economici.<br />

Nel Libro Bianco, l’istituzione individuava tutta una serie di iniziative da adottare<br />

per incoraggiare la competitività in due settori strategici per ottimizzare<br />

il funzionamento del mercato unico: appalti pubblici e concessioni.<br />

L’azione della Commissione si inserisce a pieno titolo nel quadro comunitario.<br />

Infatti, considerato il ruolo centrale che il settore degli appalti pubblici<br />

riveste nella realizzazione eff ettiva del Mercato unico il quale è, al tempo<br />

- 14 -


stesso, fi ne e mezzo dell’Unione europea e considerata la frammentarietà<br />

della disciplina normativa, stratifi cata ed ormai obsoleta, le Istituzioni comunitari,<br />

attraverso una serie di dichiarazioni d’intenti (cfr. il Programma di lavoro<br />

per il 2000; le Conclusioni del Consiglio europeo di Lisbona; il Programma<br />

della Presidenza svedese del Consiglio dell’Unione europea, 1 gennaio<br />

– 30 giugno 2001; il Consiglio europeo di Stoccolma, 23 e 24 marzo 2001)<br />

hanno sollecitato la riorganizzazione di tale settore per chiarire, semplifi care<br />

ed ottimizzare il funzionamento dei settori degli appalti pubblici e <strong>delle</strong><br />

concessioni, con lo scopo di sortire eff etti positivi, in termini di concorrenzialità<br />

ed apertura, nei confronti sia degli operatori economici sia dei privati,<br />

in qualità di consumatori-utenti.<br />

Tali iniziative programmatiche hanno rappresentato l’incipit dell’azione della<br />

Commissione, la quale, in ossequio al ruolo di “custode dei Trattati”, ha<br />

cercato di ridefi nire la disciplina comunitaria degli appalti pubblici e <strong>delle</strong><br />

concessioni, tenendo presente le osservazioni presentate dai soggetti istituzionali<br />

ed economici dei singoli Paesi, in relazione <strong>alla</strong> fase di implementazione,<br />

e la posizione espressa d<strong>alla</strong> Corte di giustizia.<br />

Appare evidente che l’azione della Commissione in tema di appalti in <strong>house</strong><br />

e più in generale di appalti pubblici, si pone in un quadro comunitario che<br />

a partire dal 1990 era rivolto <strong>alla</strong> razionalizzazione della normativa del settore,<br />

partendo dal presupposto che il settore degli appalti pubblici e <strong>delle</strong><br />

concessioni rappresentava un punto fondamentale per la realizzazione del<br />

mercato unico.<br />

Tale azione può essere sintetizzata, principalmente, in due iniziative: la elaborazione<br />

della Comunicazione interpretativa sulle “concessioni nel diritto<br />

comunitario”, che ha rappresentato il primo intervento “para normativo”<br />

della Commissione in cui sono state elaborate le linee direttrici della materia,<br />

in modo da consentire una applicazione uniforme, da parte dell’interprete<br />

e dell’operatore.<br />

Il secondo intervento è stato costituito d<strong>alla</strong> proposta di direttiva unifi cata<br />

sugli appalti di lavori, servizi e forniture, conclusosi con l’emanazione <strong>delle</strong><br />

Direttive 17/2004 e 18/2004. Preme precisare che l’istituto degli appalti in<br />

<strong>house</strong> è stato disciplinato solo nella direttiva dei settori esclusi all’articolo<br />

23, rimanendo invece innominata nella direttiva 18. Questo può essere sintomatico<br />

del fatto che l’istituto dell’in <strong>house</strong> presenta profi li mobili, di non<br />

facile identifi cazione, la cui delimitazione dipende da fattori diversi e muta<br />

- 15 -


nelle diverse realtà nazionali, in relazione alle varie situazioni domestiche e<br />

che le istituzioni <strong>comunitarie</strong> hanno diffi coltà a defi nire in modo uniforme e<br />

lapidario tale istituto<br />

3. Principali interventi della Corte di Giustizia<br />

Fermo restando che il diritto comunitario è “neutrale” rispetto alle scelte<br />

organizzatorie e gestorie eff ettuate a livello nazionale e locale, tuttavia,<br />

per garantire la massima parità fra operatori del mercato pubblici e privati,<br />

l’unico limite imposto dal legislatore comunitario all’Amministrazione è<br />

l’espletamento della procedura ad evidenza pubblica nell’ipotesi in cui opti<br />

per il ricorso all’esternalizzazione. Ed è proprio in contrapposizione a questo<br />

modello, c.d. outsourcing, che si colloca l’istituto dell’in <strong>house</strong> providing, la<br />

cui defi nizione e “perimetrazione” sono state affi date all’opera interpretativa<br />

della Corte di Giustizia, le cui sentenze rappresentano un binding judicial<br />

precedent sulla falsariga dei sistemi di common law e, quindi, costituiscono<br />

un punto di riferimento fondamentale per i giudici nazionali e per l’ordinamento<br />

nazionale rispetto a questo fenomeno del tutto nuovo.<br />

La Corte di Giustizia ha emanato una serie di sentenze a partire d<strong>alla</strong> fi ne degli<br />

anni ‘90 che possono essere divise in due fi loni. Un primo fi lone giurisprudenziale<br />

(d<strong>alla</strong> fi ne del 1990 al 2005) in cui la Corte di Giustizia, per la prima<br />

volta chiamata a considerare, valutare e qualifi care il fenomeno dell’in <strong>house</strong>,<br />

attraverso un approccio sistematico e sostanziale, ha progressivamente<br />

defi nito la natura giuridica del rapporto intercorrente fra l’amministrazione<br />

aggiudicatrice ed il soggetto aggiudicatario appartenente all’amministrazione<br />

in termini di in <strong>house</strong>, enucleando una serie di indici ampi e fl essibili,<br />

non ritenendo necessaria una specifi cazione più stringente, a fronte di un<br />

fenomeno ritenuto (erroneamente) limitato.<br />

Un secondo fi lone giurisprudenziale inaugurato con una serie di pronunce<br />

a partire dal 2005, segnatamente della sentenza Stadt Halle (Corte di Giustizia,<br />

11 gennaio 2005, C-26/03, Stadt Halle, racc. 2005, p.I-1), a fronte di una<br />

crescente diff usione del fenomeno dell’in <strong>house</strong> providing.<br />

I Giudici comunitari si sono resi conti di dovere procedere ad una defi nizione<br />

più stringente e precisa dei requisiti di ammissibilità dell’in <strong>house</strong>, onde<br />

evitare il rischio che le amministrazioni nazionali aggirassero i limiti un po’<br />

troppo generici da essi individuati nelle prime decisioni, al fi ne di eludere<br />

l’obbligo della procedura ad evidenza pubblica. Particolare attenzione è sta-<br />

- 16 -


ta dedicata al rapporto fra in <strong>house</strong> e società pubbliche. Infatti, sempre più<br />

le Amministrazioni utilizzato il modulo gestorio <strong>delle</strong> società pubbliche per<br />

procedere ad affi damenti diretti.<br />

Come detto l’in <strong>house</strong> providing rappresenta un autonomo e distinto modello<br />

gestorio sia di servizi pubblici locali che uno strumento di gestione<br />

di reti, impianti ed altre dotazioni patrimoniali necessari per l’erogazione<br />

dei servizi. Tale modulo, come elaborato d<strong>alla</strong> giurisprudenza comunitaria<br />

ricordata, rappresenta uno strumento eccezionale di acquisizione diretta di<br />

forniture, lavori e servizi da parte <strong>delle</strong> pubbliche amministrazioni, in deroga<br />

alle <strong>regole</strong> di trasparenza e concorrenza e pone dei complessi problemi di<br />

coordinamento e compatibilità con lo strumento gestorio dei servizi pubblici<br />

locali della società per azioni, introdotta dall’art. 22 L. 142/1990 ed ora<br />

disciplinato dal d.lgs. 267/2000 (artt. 113 e ss.).<br />

Si è avvertita l’esigenza di defi nire la fi gura dell’in <strong>house</strong>, al fi ne di evitare che<br />

il ricorso all’in <strong>house</strong> fosse un modo per eludere la normativa comunitaria<br />

sull’evidenza pubblica, un escamotage per potere aggirare l’obbligo della<br />

gara e procedere ad affi damenti diretti, mascherando l’affi damento a soggetti<br />

in realtà estranei all’amministrazione aggiudicatrice sotto le mentite<br />

spoglie di amministrazioni in <strong>house</strong>. Appare evidente la problematica circa<br />

della compatibilità fra l’in <strong>house</strong> providing ed il modello societario.<br />

La questione di fondo riguarda la ammissibilità (ed i relativi limiti) dell’affi<br />

damento diretto da parte di una amministrazione aggiudicatrice ad una<br />

società in mano pubblica (maggioritaria o totalitaria).<br />

Il dibattito si è spostato sui caratteri che devono assumere i rapporti di controllo<br />

fra P.A. e società partecipata ai fi ni dell’ammissibilità di affi damento<br />

in <strong>house</strong>, in considerazione dei processi di trasformazione <strong>delle</strong> spa pubbliche.<br />

Come detto l’istituzione politica comunitaria è neutrale rispetto alle scelte<br />

che l’amministrazione può eff ettuare e, al contempo, la pubblica amministrazione<br />

è libera di scegliere i modelli gestori organizzativi per l’erogazione<br />

di un determinato servizio o la prestazione di un determinato bene, quindi<br />

può scegliere se ricorrere a soggetti interni e quindi direttamente, oppure,<br />

con il fenomeno dell’outsourcing, sul mercato. In questo contesto si pone il<br />

problema di capire quando si sia veramente in presenza di un’ipotesi di in<br />

<strong>house</strong> e quindi sussiste un determinato tipo di rapporto, di cosiddetta dele-<br />

- 17 -


gazione interorganica e quando, invece, nonostante il nomen juris, questo<br />

rapporto di delegazione interorganica non è presente.<br />

Nelle sue sentenze la Corte di Giustizia ha preso in considerazione la natura<br />

giuridica del legame che intercorre tra le due amministrazioni e individua le<br />

condizioni e i requisiti per poter legittimare un affi damento in <strong>house</strong>. L’approccio<br />

della Corte di Giustizia è di tipo funzionale e sostanziale, non basato<br />

semplicemente sul fatto che l’affi damento diretto è avvenuto nei confronti<br />

di un’altra amministrazione, ma per valutare concretamente e in modo specifi<br />

co il rapporto tra le due amministrazioni.<br />

Sentenze Arnhem e RI.SAN<br />

Già a partire dalle cause Arnhem (Corte di Giustizia, 10 novembre 1998, C-<br />

360/96, Arnhem, Racc.1998, p.I-6821) e RI.SAN (Corte di Giustizia, 9 settembre<br />

1999, C-108/98, RI.SAN, racc. 1999 p. I-5219) gli Avvocati generali hanno<br />

optato per un approccio funzionale anziché formale, compiendo valutazioni<br />

che andavano oltre la qualifi cazione giuridica del soggetto come società per<br />

azioni, elemento non idoneo di per sé ad escludere, a priori, l’appartenenza<br />

di detta società all’amministrazione ed il ragionamento si è articolato in più<br />

fasi, valutando una serie di indici, che mostrassero la “dipendenza” fra tali<br />

soggetti.<br />

In questi due primi casi, gli Avvocati, rispettivamente La Pergola e Alber, si<br />

sono soff ermati su due aspetti sintomatici del vincolo di dipendenza:<br />

1) schema fi nanziario <strong>alla</strong> base del rapporto fra l’amministrazione aggiudicatrice<br />

e il soggetto aggiudicatario;<br />

2) dipendenza amministrativa gestionale ed organizzativa.<br />

In entrambe le fattispecie il solo intreccio fi nanziario costituiva elemento<br />

necessario ma non suffi ciente per ritenere di essere in presenza di un servizio<br />

in <strong>house</strong>, risultando irrilevante anche il fatto che l’ente prestasse servizi di<br />

analoga natura in favore di terzi contro adeguata remunerazione. Quindi, si<br />

doveva accertare la presenza di una attribuzione di compiti fra organi.<br />

Nei due casi gli Avvocati hanno sostenuto la presenza di questo ulteriore<br />

elemento di collegamento, costituito, appunto, dall’infl uenza esercitata<br />

dall’amministrazione locale sul soggetto aggiudicatario del servizio, in forza<br />

del quale veniva meno la “terzietà e cioè la sostanziale distinzione” fra le Sp.a.<br />

pubbliche e i Comuni.<br />

- 18 -


Sia in Arnhem che in RI.SAN Srl, la dipendenza fi nanziaria, organizzativa e gestionale<br />

fra le amministrazioni aggiudicatici e la società pubblica confermavano<br />

la sussistenza di un nesso interorganico, escludendo entrambe le fattispecie<br />

dall’ambito di applicazione della direttiva servizi.<br />

La Corte di Giustizia, sulla falsariga <strong>delle</strong> conclusioni dell’Avv. generale Alber,<br />

ha aff ermato in termini più generali la non obbligatorietà del ricorso<br />

<strong>alla</strong> gara per l’affi damento di un servizio, potendo l’amministrazione aggiudicatrice<br />

decidere di svolgerlo direttamente o tramite il ricorso ad un soggetto<br />

in rapporto di delega interorganica, escludendo l’applicazione della<br />

direttiva 92/50.<br />

Sentenza Teckal<br />

Successivamente, nella causa Teckal (Corte di Giustizia, 18 novembre 1999,<br />

C-107/98, Teckal Srl Racc. 1999, p.I-8121), dopo avere preliminarmente risolto<br />

il problema dell’applicabilità della direttiva servizi nell’ipotesi di appalto<br />

misto di forniture e servizi, <strong>alla</strong> luce di un criterio meramente quantitativo,<br />

la Corte di giustizia, chiamata ad aff rontare un’ulteriore ipotesi “in <strong>house</strong>”,<br />

<strong>alla</strong> luce <strong>delle</strong> conclusioni dell’Avv. Cosmas, ha aff ermato espressamente un<br />

principio che dalle due sentenze precedenti poteva solo desumersi:<br />

- nel caso in cui l’amministrazione aggiudicatrice voglia stipulare il contratto<br />

di appalto a titolo oneroso con un soggetto anch’esso amministrazione<br />

aggiudicatrice, si applicherà la direttiva 93/36 solo se tale ente<br />

è “un ente distinto da essa sul piano formale ed autonomo rispetto ad essa<br />

sul piano decisionale”;<br />

- il fornitore, controparte dell’amministrazione aggiudicatrice, deve essere<br />

realmente soggetto diverso rispetto a tale amministrazione,<br />

- la terzietà del fornitore deve essere valutata <strong>alla</strong> luce dei parametri elaborati<br />

d<strong>alla</strong> giurisprudenza Arnhem e RI.SAN: indipendenza fi nanziaria<br />

ed indipendenza amministrativa.<br />

Sole se tutte e tre le condizioni verranno soddisfatte, allora si tratterà di un<br />

vero e proprio appalto di forniture, disciplinato d<strong>alla</strong> direttiva 93/36.<br />

Contre, nell’ipotesi in cui l’amministrazione aggiudicatrice eserciti su tale<br />

ente un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi e quest’ente<br />

realizzi la parte più importante della propria attività con l’amministrazione<br />

che la controlla, allora si esulerebbe dal campo applicativo di tale direttiva,<br />

poiché “un contratto non può essere considerato come stipulato tra persone di-<br />

- 19 -


stinte qualora l’operatore realizzi la parte più importante della propria attività<br />

con l’ente o con gli enti territoriali che lo controllano”.<br />

Aspetti importanti, colti dalle citate arrets sono stati approfonditi da due<br />

recenti pronunce della Corte di giustizia, le quali costituiscono una tappa<br />

attesa d<strong>alla</strong> stessa Commissione che, proprio nella Comunicazione interpretativa,<br />

confi dava nel fatto che “le ulteriori cause attualmente pendenti davanti<br />

<strong>alla</strong> Corte potranno apportare elementi di novità a riguardo” per sbrogliare i<br />

nodi di una matassa assai intricata.<br />

Sentenza Teleaustria<br />

La causa Teleaustria (Corte di Giustizia, 7 dicembre 2000 C-324/98, Telaustria<br />

Racc. 2000, p.I-10745) rileva in questa sede più che per avere fornito un<br />

contributo specifi co sul tema degli appalti in <strong>house</strong>, per il fatto che le osservazioni<br />

svolte dall’Avv. generale N. Fennelly si pongono in sequenza logica<br />

rispetto <strong>alla</strong> Comunicazione interpretativa della Commissione, laddove<br />

viene sostenuta la non applicabilità della normativa sugli appalti di servizi<br />

alle concessioni, fermo restando che gli enti aggiudicatori che stipulano tali<br />

contratti “siano cionondimeno tenuti a rispettare i principi fondamentali del<br />

Trattato, in generale, e il principio di non discriminazione in base <strong>alla</strong> nazionalità,<br />

in particolare”.<br />

Sentenza Arge<br />

Nella sentenza Arge (Corte di Giustizia, 7 dicembre 2000, C-94/99, ARGE,<br />

Racc. 2000, p.I-11037), infi ne, la quarta questione pregiudiziale sollevata dal<br />

Bundesvergabeamt austriaco ha focalizzato l’attenzione sul tema c.d “in <strong>house</strong><br />

providing”.<br />

La Corte, pur non ritenendo necessario risolvere tale questione per il giudizio<br />

a quo, tuttavia, ad ogni buon fi ne, ha deciso di approfondirla, seguendo<br />

le illuminanti osservazioni svolte dall’Avv. generale P. Léger, il quale ha stabilito<br />

che “le prestazioni qualifi cate “in <strong>house</strong>” - termine con cui si defi niscono<br />

le prestazioni fornite ad un’autorità pubblica dai propri servizi o da servizi dipendenti,<br />

sebbene organicamente distinti - esulano d<strong>alla</strong> sfera di applicazione<br />

della direttiva”.<br />

Conclusione elaborata sulla scorta del parametro del “controllo dell’amministrazione<br />

aggiudicatrice”, in forza del quale, nel caso in cui si sia in presenza<br />

di un vincolo contrattuale a titolo oneroso, si deve verifi care la sussistenza<br />

- 20 -


o meno di forte controllo da parte dell’amministrazione aggiudicatrice nei<br />

confronti dell’ente aggiudicatario, analogo a quello da esso esercitato sui<br />

propri servizi, che porti i due soggetti ad essere una sola e stessa persona,<br />

allora si esulerebbe dal regime della direttiva. In tal caso, infatti, la volontà<br />

negoziale verrebbe vanifi cata d<strong>alla</strong> capacità dell’ente territoriale di infl uire<br />

sul funzionamento del prestatore e l’assenza di autonomia di quest’ultimo.<br />

Criterio che l’Avv. Legér ha specifi cato, sostenendo la necessità di compiere<br />

ulteriori accertamenti, poiché la dipendenza strutturale nei confronti dell’ente<br />

pubblico che avvia una procedura di aggiudicazione di appalto pubblico<br />

non sarebbe suffi ciente per assimilarlo al ricorso a servizi interni. Per<br />

questo, è stato preso in esame un secondo aspetto, che riguarda il destinatario<br />

dell’attività economica esercitata da tali enti.<br />

Il criterio <strong>alla</strong> cui luce deve considerarsi l’attività svolta dall’ente è quello<br />

dell’autonomia dell’operatore. Nella misura in cui l’attività economica di tale<br />

soggetto è nella maggior parte svolta a vantaggio dell’autorità controllante<br />

si sarà in presenza di un servizio in <strong>house</strong>, in cui l’ente territoriale utilizzerà le<br />

prestazioni per fi ni pubblici e per destinarle principalmente a suo vantaggio,<br />

come se si trattasse di un servizio interno che agisce per la sua istituzione<br />

Unicamente in questo caso si può parlare di un “prolungamento amministrativo”<br />

dell’ente pubblico, che lo esonera dall’osservare le <strong>regole</strong> di concorrenza<br />

prescritte d<strong>alla</strong> direttiva, qualora esso stesso scelga di eff ettuare le<br />

operazioni economiche di cui ha bisogno. Ne discende che i motivi di tutela<br />

della concorrenza, che giustifi cano le norme <strong>comunitarie</strong> di aggiudicazione<br />

degli appalti pubblici, sono invece valide, come nei confronti degli altri<br />

prestatori di servizi, nell’ipotesi in cui l’amministrazione aggiudicatrice che<br />

partecipa all’appalto sia distinta rispetto all’ente pubblico che lo bandisce,<br />

non potendosi ravvisare quel nesso strutturale, di controllo e di destinazione<br />

essenziale per confi gurare un appalto in <strong>house</strong>, dal momento che questo<br />

soggetto è terzo rispetto all’ente appaltante sullo stesso piano degli altri<br />

operatori.<br />

Queste sentenze rappresentano i primi tentativi, anche eterogenei, della<br />

giurisprudenza europea di enucleare un sistema comunitario dei contratti<br />

della pubblica amministrazione ed aff rontano il peculiare caso di appalti in<br />

<strong>house</strong>. L’approccio seguito non è formale bensì concreto, fondato sull’analisi<br />

<strong>delle</strong> singole fattispecie, attraverso l’enucleazione di indici <strong>alla</strong> stregua dei<br />

quali valutare se si rientri oppure no nell’ipotesi di appalti in <strong>house</strong>, criteri<br />

- 21 -


che devono poi essere applicati in via analogica, anche per rinvenire ipotesi<br />

di concessioni in <strong>house</strong>.<br />

In defi nitiva, si può dire che non è precluso il ricorso alle direttive in materia<br />

di appalti solo perché il contratto viene stipulato dall’amministrazione<br />

aggiudicatrice con un soggetto che è egli stesso amministrazione aggiudicatrice.<br />

Come già anticipato, a partire dal 2005, la Corte di Giustizia ha provveduto<br />

ad individuare in modo molto più dettagliato e stringente le condizioni in<br />

cui è ammissibile il ricorso al sistema dell’in <strong>house</strong> providing, quale eccezione<br />

<strong>alla</strong> regola dell’evidenza pubblica, per evitare elusioni da parte <strong>delle</strong> Amministrazioni<br />

nazionali dei limiti più generici indicati nelle prime pronunce,<br />

con particolare riferimento al caso di società pubbliche, essendo evidente il<br />

problema di compatibilità fra il modello societario con i requisiti del controllo<br />

analogo e della prevalenza dell’attività.<br />

Sentenza Stadt Halle<br />

Si tratta di un fi lone giurisprudenziale di straordinaria importanza, apertosi<br />

con la sentenza Stadt Halle, che si pone in linea di continuità rispetto <strong>alla</strong><br />

cit. sentenza Teckal, in cui è stata aff rontata la complessa quanto delicata<br />

questione circa la suffi cienza del mero controllo totalitario sul capitale della<br />

società da parte dell’ente pubblico per giustifi care l’in <strong>house</strong>.<br />

Nella Sentenza Stadt Halle, la Corte si trova a dovere esaminare il caso di una<br />

società mista a prevalente capitale pubblico, i cui soci sono per il per il 75,1%<br />

il Comune e per il 24,9 un’impresa privata, in cui le modifi cazioni dello statuto<br />

si deliberano con una maggioranza del 75% a cui la città di Stadt Halle<br />

aveva affi dato direttamente il servizio di smaltimento dei rifi uti non riciclabili,<br />

ritenendo che si trattasse di una fattispecie di «in <strong>house</strong> providing».<br />

Il procedimento pregiudiziale verte in sostanza su due questioni giuridiche<br />

relative <strong>alla</strong> normativa sugli appalti pubblici:<br />

1) la tutela giurisdizionale dinanzi a fattispecie di affi damento diretto, ossia<br />

in caso di mancato svolgimento di una formale procedura di aggiudicazione;<br />

2) i presupposti per l’applicabilità dell’eccezione relativa agli affi damenti<br />

di appalti a società controllate (cosiddetti affi damenti «quasi in <strong>house</strong>»).<br />

Con riferimento a questo punto la Corte ha proceduto ad una reinter-<br />

- 22 -


pretazione in senso ancor più restrittivo di quanto stabilito nella sentenza<br />

Teckal.<br />

La Corte ha ritenuto che affi nché una società mista a prevalente capitale<br />

pubblico possa considerarsi come facente parte della pubblica amministrazione<br />

è determinante la concreta confi gurazione del rapporto, mentre non<br />

è di per sé decisiva l’entità della partecipazione.<br />

Con riferimento al criterio dello svolgimento della «parte più importante<br />

della sua attività in favore dell’autorità aggiudicatrice», non occorre che almeno<br />

l’80% del fatturato medio realizzato nella Comunità d<strong>alla</strong> società in<br />

questione negli ultimi tre anni nel settore dei servizi derivi d<strong>alla</strong> fornitura di<br />

tali servizi all’autorità aggiudicatrice ovvero ad imprese a questa collegate o<br />

a questa riconducibili, ovvero, qualora la società mista pubblico-privata non<br />

abbia ancora maturato un’attività triennale, che possa prevedersi il rispetto<br />

della citata regola dell’80%.<br />

Ai fi ni della detta qualifi cazione, il giudice nazionale deve considerare piuttosto<br />

le attività eff ettive e, in tale contesto, prendere in considerazione, in<br />

particolare, elementi di natura sia quantitativa che qualitativa. Ai fi ni della<br />

detta qualifi cazione quindi non è suffi ciente: 1. l’infl uenza dominante esercitata<br />

sulla società mista a prevalente capitale pubblico dall’amministrazione<br />

aggiudicatrice, 2. un ampio potere direttivo unicamente per quanto<br />

riguarda le decisioni in materia di affi damento di appalti in generale o le<br />

decisioni in materia di affi damento relative ad una specifi ca procedura di<br />

acquisizione di beni o servizi.<br />

Sentenza Truley<br />

Nella sentenza Truley (Corte di Giustizia, 27 febbraio 2003, C-373/2000, in<br />

GU C 101, 26.04.2003), la Corte ha ulteriormente precisato i requisiti che devono<br />

sussistere per la ricorrenza di un rapporto di controllo, stabilendo che<br />

soddisfa tale criterio di controllo organico una situazione in cui “le pubbliche<br />

autorità verifi cano non solo i conti annuali dell’organismo considerato, ma anche<br />

l’amministrazione corrente”.<br />

Sentenza Coname<br />

Il Coname aveva concluso con il Comune di Cingia de’ Botti, per il periodo<br />

1º gennaio 1999 - 31 dicembre 2000, un contratto per l’affi damento del ser-<br />

- 23 -


vizio di manutenzione, conduzione e sorveglianza della rete di gas metano.<br />

Con lettera del 30 dicembre 1999 il detto Comune ha informato il Coname<br />

che, con delibera 21 dicembre 1999, il Consiglio comunale aveva affi dato<br />

<strong>alla</strong> Padania il servizio avente ad oggetto la gestione, la distribuzione e la<br />

manutenzione dell’impianto di distribuzione del gas metano per il periodo<br />

1º gennaio 2000 - 31 dicembre 2005. Quest’ultima società è a prevalente capitale<br />

pubblico, detenuto d<strong>alla</strong> <strong>Provincia</strong> di Cremona nonché da quasi tutti<br />

i comuni di tale provincia. Il Comune di Cingia de’ Botti detiene una partecipazione<br />

dello 0,97% nel capitale della detta società.<br />

Il servizio controverso nella causa principale è stato attribuito <strong>alla</strong> Padania<br />

con affi damento diretto, in applicazione dell’art. 22, n. 3, lett. e), della legge<br />

n. 142/1990. Il Coname, che chiede al giudice del rinvio, in particolare, l’annullamento<br />

della delibera 21 dicembre 1999, fa valere che l’attribuzione del<br />

detto servizio avrebbe dovuto essere eff ettuata mediante gara d’appalto.<br />

Considerando che la soluzione della controversia della quale è investito richiede<br />

l’interpretazione di talune disposizioni del Trattato CE, il Tribunale<br />

amministrativo regionale per la Lombardia ha deciso di sospendere il giudizio<br />

e di sottoporre <strong>alla</strong> Corte la seguente questione pregiudiziale: «Se gli<br />

artt. 43 [CE], 49 [CE] e 81 [CE], laddove vietano rispettivamente le restrizioni<br />

<strong>alla</strong> libertà di stabilimento dei cittadini di uno Stato membro nel territorio di<br />

un altro Stato ed <strong>alla</strong> libera prestazione dei servizi all’interno della Comunità<br />

nei confronti dei cittadini degli Stati membri, nonché le pratiche commerciali<br />

e societarie idonee ad impedire, restringere o falsare il gioco della concorrenza<br />

nell’ambito dell’Unione europea, ostino a che sia previsto l’affi damento diretto<br />

e, cioè, senza l’indizione di una gara, della gestione del servizio pubblico di distribuzione<br />

del gas a società a partecipazione pubblica comunale, ogni volta<br />

che detta partecipazione al capitale sociale sia tale da non consentire alcun<br />

possibile controllo diretto sulla gestione stessa e se debba conseguentemente<br />

aff ermarsi che, come ricorre nel caso di specie, ove la partecipazione è pari allo<br />

0,97%, non si confi gurino gli estremi della gestione in <strong>house</strong>».<br />

I giudici comunitari (Corte di Giustizia 21 luglio 2005, C-231/2003, in GU C<br />

217, 03.09.2005, pag. 7) hanno stabilito che gli artt. 43 e 49 TCE ostano, in circostanze<br />

come quelle oggetto della causa principale, all’affi damento diretto<br />

da parte di un comune di una concessione relativa <strong>alla</strong> gestione del servizio<br />

pubblico di distribuzione del gas ad una società a prevalente capitale pubblico,<br />

capitale nel quale il detto comune detiene una partecipazione dello<br />

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0,97%, qualora tale affi damento non risponda a condizioni di trasparenza<br />

che, senza necessariamente implicare un obbligo di fare ricorso ad una gara,<br />

siano, in particolare, tali da consentire a un’impresa con sede nel territorio di<br />

uno Stato membro diverso da quello del detto comune di avere accesso alle<br />

informazioni adeguate riguardo <strong>alla</strong> detta concessione prima che essa sia<br />

attribuita, di modo che tale impresa, se lo avesse desiderato, sarebbe stata<br />

in grado di manifestare il proprio interesse a ottenere la detta concessione.<br />

La Corte ha ribadito che tutte le volte in cui il soggetto aggiudicatore è partecipato<br />

da privati, anche in minima parte, è da escludere in modo tassativo<br />

la perseguibilità di affi damenti in <strong>house</strong>, senza tuttavia chiarire se il controllo<br />

analogo di una società possa esser esercitato attraverso la somma <strong>delle</strong><br />

quote sociali di cui sono titolari i soggetti pubblici, quesito cruciale per i<br />

piccoli comuni che possono gestire i propri servizi in forma associata (cfr. S.<br />

Mento, Servizi pubblici e affi damenti trasparenti, in Gior. Dir. Amm., 2006, 4, p.<br />

406 ss.).<br />

Sentenza Parking Brixen<br />

Passo ulteriore è stato compiuto dai Giudici comunitari con la sentenza<br />

Parking Brixen (Corte di Giustizia, 13 ottobre 2005, C-458/2003, in GU C 296,<br />

26.11.2005, pag. 4), in cui la Corte ha sancito l’illegittimità dell’affi damento<br />

della concessioni di un servizio nel caso in cui, nonostante la titolarità totalmente<br />

pubblica del soggetto gestore, non appare comunque possibile<br />

che la Pubblica Amministrazione possa perseguire il controllo analogo su di<br />

esso, <strong>alla</strong> stessa stregua del controllo esercitato sui propri servizi interni.<br />

I Giudice comunitari hanno individuato una nozione in positivo di controllo<br />

analogo, stabilendo che tale condizione sussiste quando l’ente concessionario<br />

sia soggetto ad un controllo che consente all’autorità pubblica concedente<br />

di infl uenzarne le decisioni.<br />

Il controllo analogo deve necessariamente integrarsi sia:<br />

1) nell’infl uenza determinante dell’amministrazione aggiudicatrice sugli<br />

obiettivi prefi ssati in capo all’ente aggiudicatore;<br />

2) nell’adozione <strong>delle</strong> decisioni più rilevanti della società in <strong>house</strong>.<br />

I Giudici hanno a tal fi ne proceduto ad elencare gli indici rilevatori, la cui<br />

sussistenza, anche se non simultanea, esclude la praticabilità del controllo<br />

analogo: a) possibilità di ampliamento dell’oggetto sociale; b) l’espansione<br />

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territoriale dell’attività a tutto lo Stato e all’estero; c) l’apertura obbligatoria<br />

della società al capitale privato.<br />

Sentenza Modling<br />

Nella sentenza Modling (Corte di Giustizia 10 novembre 2005, C-25/2004,<br />

in GU C 86, 08.04.2006, pag. 5), la Corte ha ribadito i principi di cui in Stadt<br />

Halle, aff ermando che non è possibile l’affi damento diretto ad una società<br />

interamente pubblica che, dopo breve tempo, è divenuta mista a seguito<br />

della cessione del 49% del capitale ad una società privata. Ciò in quanto<br />

l’aggiudicazione diretta ad una impresa ad economia mista senza il previo<br />

espletamento di una gara comprometterebbe il principio di libera concorrenza,<br />

in quanto tale procedura off rirebbe all’impresa privata presente nel<br />

capitale della società mista un vantaggio rispetto ai suoi concorrenti.<br />

La partecipazione anche minoritaria di un socio privato nel capitale sociale<br />

di una società partecipata d<strong>alla</strong> stessa autorità aggiudicatrice esclude in<br />

ogni caso che tale autorità possa esercitare un controllo analogo a quello<br />

esercitato sui propri servizi, in quanto “qualunque investimento di capitale<br />

privato in un’impresa obbedirebbe a considerazioni proprie degli interessi privati<br />

e tenderebbe al raggiungimento di obiettivi di natura diff erente”.<br />

Sentenza Anav<br />

Nella sentenza Anav (Corte di Giustizia, 6 aprile 2006, C-410/04, in GU C 143,<br />

17.06.2006, pag. 12), la Corte ha ritenuto pienamente ammissibile che la legislazione<br />

nazionale consenta l’affi damento diretto di un servizio da parte<br />

di un ente pubblico ad una società: 1) di cui detenga l’intero capitale, ma<br />

a condizione che 2) il soggetto pubblico abbia su tale società un controllo<br />

analogo e 3) tale società realizzi la parte più importante della propria attività<br />

con l’ente che la controlla.<br />

Un chiaro richiamo ai concetti di “controllo analogo” e di “parte più importante<br />

della propria attività” svolta dal soggetto affi datario di cui <strong>alla</strong> sentenza<br />

Teckal, condizioni che devono essere interpretate in modo restrittivo,<br />

mentre “l’onere di dimostrare l’eff ettiva sussistenza <strong>delle</strong> circostanze eccezionali<br />

che giustifi cano la deroga a quelle <strong>regole</strong> grava su colui che intenda avvalersene”<br />

(sentenze Parking Brixen).<br />

La Corte ha espressamente stabilito che la partecipazione, anche minorita-<br />

- 26 -


ia (anche nella misura dell’1%) di un’impresa privata al capitale di una spa<br />

partecipata dall’Amministrazione concedente esclude in radice la possibilità<br />

per l’amministrazione medesima di esercitare sulla società concessionaria<br />

un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi; ciò in quanto la<br />

presenza di quote private nel capitale della società affi dataria non consente<br />

di ritenere quest’ultima una struttura di gestione “interna” al soggetto pubblico<br />

che la partecipa.<br />

In sostanza, i giudici non sembrano discostarsi dal solco della propria giurisprudenza,<br />

tuttavia, in questa sentenza non viene compiuto alcun richiamo<br />

<strong>alla</strong> necessità di un sindacato concreto sui poteri gestionali del Consiglio di<br />

Amministrazione della società affi dataria, sull’oggetto sociale e, più in generale,<br />

su tutto quanto previsto dallo statuto, al fi ne di verifi care l’eff ettività<br />

del “controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi”, così come era<br />

accaduto in occasione della sentenza Parking Brixen.<br />

Sentenza Carbotermo<br />

Nella sentenza Cabotremo (Corte di giustizia 11 maggio 2006, C-340/04, in<br />

GU C 165, 15.07.2006, pag. 5), i Giudici comunitari sono stati chiamati a defi<br />

nire, ancora una volta, il perimetro dei concetti di “controllo analogo” e di<br />

“svolgimento della parte più importante dell’attività a favore dell’ente locale”,<br />

trattandosi dei due invariabili requisiti richiesti perché si possa procedere<br />

all’affi damento diretto di un servizio.<br />

Quanto al “controllo analogo”.<br />

La Corte, riprendendo il ragionamento svolto nella sentenza Parking Brixen,<br />

improntato sull’eff ettività e concretezza del sindacato, riconduce la nozione<br />

di “controllo” nell’alveo dell’esercizio da parte dell’ente affi dante di un’infl<br />

uenza determinante sia sugli obiettivi strategici che sulle decisioni importanti<br />

<strong>delle</strong> società partecipate, avendo cura di precisare che la detenzione<br />

in mano pubblica dell’intero capitale sociale dell’affi dataria non è elemento<br />

suffi ciente e decisivo ai fi ni della sussistenza del requisito in parola. I giudici<br />

europei escludono nel caso sottoposto al loro vaglio la sussistenza del<br />

“controllo analogo” in ragione oltre che dell’ampiezza dei poteri attribuiti<br />

al Consiglio di Amministrazione della società anche dell’assenza di specifi -<br />

che riserve a favore del Comune. In sostanza, il controllo dell’ente pubblico,<br />

proprio perché circoscritto all’esercizio dei semplici poteri riconosciuti dal<br />

- 27 -


diritto societario ai soci di maggioranza, senza alcuna previsione aggiuntiva<br />

a benefi cio della p.a., non garantisce al soggetto affi dante alcuna signifi cativa<br />

infl uenza sugli obiettivi strategici e sulle decisioni importanti dell’affi dataria,<br />

anche in ragione di una vigilanza esercitata su quest’ultima mediante<br />

una holding pubblica.<br />

Quanto al requisito dello svolgimento della parte più importante dell’attività<br />

a favore dell’ente controllante.<br />

Il ragionamento compiuto d<strong>alla</strong> Corte muove dall’esigenza di tutelare il<br />

libero gioco della concorrenza. Il naturale corollario che discende da tale<br />

presupposto è che i principi comunitari non trovino applicazione nei soli<br />

casi in cui l’impresa non sia attiva nel mercato, dunque, in concorrenza con<br />

altri soggetti economici, e che le sue prestazioni siano rivolte in via esclusiva<br />

all’ente partecipante. Dal che ne discende che ogni altra diversa attività da<br />

quella principale, svolta d<strong>alla</strong> affi dataria, deve essere considerata assolutamente<br />

marginale. A tal proposito, la Corte di Giustizia evidenzia come il vincolo<br />

funzionale che lega l’affi dataria all’amministrazione aggiudicatrice, in<br />

un certo senso, imponga all’impresa di svolgere la propria attività all’interno<br />

del territorio del soggetto pubblico, pur non considerando l’extra territorialità<br />

elemento decisivo ai fi ni della verifi ca della sussistenza del “controllo<br />

analogo”. Al contrario, osserva la Corte, appare decisiva la circostanza che<br />

l’affi dataria realizzi il proprio fatturato direttamente nei confronti dell’ente<br />

pubblico, condizione, che ricorre anche nel caso in cui l’attività svolta dall’impresa<br />

a favore della amministrazione aggiudicatrice sia fatturata agli utenti<br />

in ragione di una specifi ca decisione assunta dall’ente locale controllante.<br />

Interessante, poi, è il successivo sviluppo logico argomentativo compiuto<br />

dai giudici di Lussemburgo riguardante l’ipotesi di affi damento congiunto<br />

del servizio da parte di più comuni. In questi casi, i magistrati ritengono che<br />

la parte più importante dell’attività svolta dall’affi datario debba essere valutata<br />

con riferimento a tutti gli enti complessivamente considerati e non a<br />

questo, piuttosto che quell’altro, soggetto pubblico<br />

La Corte ha analizzato la seconda condizione indicata nella cit. sentenza Teckal,<br />

ossia quella secondo cui il soggetto affi datario è tenuto a realizzare<br />

la parte più importante della propria attività con l’ente che la controllano.<br />

Secondo la Corte, lo scopo di tale condizione deve essere rintracciata nella<br />

volontà di non falsare il gioco della concorrenza, in quanto tale condizione<br />

mira a garantire che le direttive in materia di appalti continuino ad essere<br />

- 28 -


applicate nel caso in cui un’impresa controllata da uno o più enti sia attiva<br />

sul mercato e possa entrare in concorrenza con altre imprese. Infatti, un’impresa<br />

può ugualmente godere di libertà di azione anche se le decisioni che<br />

la riguardano sono prese dall’ente pubblico chela detiene se essa può esercitare<br />

ancora una pare importante della sua attività economica presso altri<br />

operatori. Pertanto, è necessario che le prestazioni di detta impresa siano<br />

sostanzialmente destinate in via esclusiva all’ente locale in questione.<br />

Un indicatore utile per valutare tale requisito è il “fatturato”, cioè la cifra<br />

d’aff ari realizzato dall’impresa controllata e quello determinante è rappresentato<br />

dal fatturato che la società realizza in virtù dei provvedimenti di affi<br />

damento adottati dall’ente locale controllante, compreso quello ottenuto<br />

con gli utenti in attuazione di tali provvedimenti.<br />

Le attività della società da prendere in considerazione sono quelle che quest’ultima<br />

realizza nell’ambito di un affi damento eff ettuato dall’ente locale,<br />

indipendentemente dal fatto che il destinatario sia lo stesso ente locale o<br />

l’utente <strong>delle</strong> prestazioni, non rilevando aff atto il territorio in cui è svolta l’attività.<br />

Non è poi rilevante sapere chi remunera le prestazioni della società,<br />

potendo trattarsi sia dell’ente controllante sia di terzi utenti di prestazioni<br />

fornite in forza di concessioni o di altri rapporti giuridici instaurati dal suddetto<br />

ente. Solo in tal caso, quindi, l’impresa in questione sarà sottratta agli<br />

obblighi dell’evidenza pubblica.<br />

Emerge una defi nizione di controllo analogo e di attività più importante ancora<br />

più stringente, secondo cui tali requisiti sussistono:<br />

1) nelle sole società a capitale interamente pubblico;<br />

2) società, che, in virtù del principio fi nalistico, perseguono in via esclusiva<br />

fi nalità di interesse pubblico;<br />

3) la cui attività prevalente sia svolta in concreto a favore del titolare (dei<br />

titolari) <strong>delle</strong> quote;<br />

4) in cui i poteri dell’organo amministrativo siano limitati <strong>alla</strong> mera esecuzione<br />

della volontà della amministrazione aggiudicatrice onde garantire<br />

che i criteri sopra indicati siano soddisfatti permanentemente.<br />

In estrema sintesi è possibile schematizzare i punti che, caso dopo caso, la<br />

Corte ha chiarito:<br />

a) la società pubblica, anche minimamente partecipata ad un soggetto<br />

privato, non è mai giuridicamente in una posizione analoga a quella dei<br />

soggetti sui quali l’amministrazione aggiudicatrice esercita un controllo<br />

- 29 -


analogo a quello esercitato sui propri servizi;<br />

b) l’ “alterità” giuridica ha per principali indici rilevatori la possibilità che<br />

la società partecipata amplii l’oggetto sociale ed operi anche al di fuori<br />

dell’ambito territoriale locale;<br />

c) la totale partecipazione pubblica di una società non serve a legittimare<br />

l’affi damento diretto, se successivamente prevede l’apertura al capitale<br />

privato;<br />

d) nel valutare il requisito del controllo analogo, la totale partecipazione<br />

pubblica è condizione necessaria ma non suffi ciente, dovendo sussistere<br />

altri requisiti:<br />

1) l’infl uenza determinante dell’amministrazione aggiudicatrice sugli<br />

obiettivi prefi ssati in capo all’ente aggiudicatore, nel senso cioè che<br />

il consiglio di amministrazione della s.p.a. in <strong>house</strong> non deve avere<br />

rilevanti poteri gestionali e l’ente pubblico deve poter esercitare<br />

maggiori poteri rispetto a quelli che il diritto societario riconosce<br />

<strong>alla</strong> maggioranza sociale, non potendo disporre<br />

- l’espansione territoriale dell’attività a tutto lo Stato e all’estero,<br />

- l’apertura obbligatoria della società al capitale privato;<br />

2) le decisioni più importanti della società in <strong>house</strong> devono essere sottoposte<br />

al vaglio preventivo dell’ente affi dante;<br />

f) le concessioni di servizio pubblico, anche se non espressamente disciplinate<br />

dal diritto comunitario, sono soggette al rispetto <strong>delle</strong> <strong>regole</strong><br />

fondamentali del Trattato Ce (in particolare sentenza Parking Brixen<br />

parr. 42-49), quasi da essere assimilate agli appalti pubblici.<br />

4. La posizione <strong>delle</strong> altre istituzioni <strong>comunitarie</strong><br />

La complessa questione dell’affi damento in <strong>house</strong> è stata aff rontata dalle<br />

istituzioni <strong>comunitarie</strong> soprattutto a partire d<strong>alla</strong> Comunicazione della commissione<br />

del 2004 in cui si esprime l’intenzione di defi nire le procedure di<br />

cooperazione fra pubblico e privato nell’erogazione di determinati servizi,<br />

nell’acquisizione di determinati beni, proprio per evitare che la commistione,<br />

la cooperazione tra pubblico e privato, in modo particolare in quei partenariati<br />

cosiddetti istituzionalizzati, quindi quei moduli societari come la<br />

S.p.A., possa essere un modo per eludere le <strong>regole</strong> di evidenza pubblica e<br />

della concorrenza.<br />

- 30 -


Nella propria risoluzione (Relazione A6-0363/2006-fi nal, rel. Barbara Weller<br />

- PSE) il Parlamento europeo ha chiesto che le istituzioni <strong>comunitarie</strong> forniscano<br />

la defi nizione più dettagliata di controllo analogo, per evitare di<br />

incorrere in questo rischio, cioè di utilizzare tali moduli societari eludendo<br />

la normativa comunitaria. A fronte di <strong>delle</strong> prospettive <strong>comunitarie</strong>, in evoluzione,<br />

il quadro nazionale presenta dei profi li di problematicità per quanto<br />

riguarda la compatibilità con l’ordinamento comunitario, in forza anche<br />

della specifi cità del nostro ordinamento e del nostro sistema.<br />

- 31 -


- 32 -<br />

Giancarlo Montedoro<br />

Consigliere - Consiglio di Stato<br />

LE SCELTE DEL LEGISLATORE E GLI ORIENTAMENTI DEI GIUDICI NAZIO-<br />

NALI<br />

SOMMARIO: 1. Premessa. - 2. Schizofrenie del modello societario in – <strong>house</strong>. - 3.<br />

Conseguenze del modulo organizzativo <strong>delle</strong> società in – <strong>house</strong>. - 4. Le scelte del<br />

legislatore. - 5. Sussidiarietà orizzontale e limiti all’applicazione dell’in <strong>house</strong>.<br />

- 6. La posizione degli utenti, le class action e la valutazione <strong>delle</strong> scelte organizzative.<br />

- 7. Istituzione ex lege <strong>delle</strong> società miste.<br />

1. Premessa<br />

Il brocardo latino omnis defi nitio periculosa est trova conferma nelle vicende<br />

legate all’istituto dell’in <strong>house</strong> quale esempio di creatività giurisprudenziale<br />

che apre una breccia nell’ambito del diritto della concorrenza. Una breccia<br />

nella quale i legislatori nazionali e i legislatori comunitari si sono infi lati<br />

e l’Italia non è stata certamente fra le meno impegnate se pensiamo che<br />

proprio la sentenza Teckal, considerata una <strong>delle</strong> capostipiti dell’istituto, era<br />

originata da un caso italiano.<br />

Indubbiamente il diritto pubblico dell’economia sta attraversando una fase<br />

particolare. Da un lato l’amministrazione pubblica tende a privilegiare la<br />

funzione del controllo e della regolazione rispetto a quella dell’amministrazione<br />

attiva e, dall’altro lato, tramonta la forma dell’ente pubblico / azienda<br />

e si moltiplica l’utilizzo del modulo organizzativo societario.<br />

Le attività economiche che una volta venivano svolte direttamente in autoproduzione<br />

rappresentano un’eccezione e l’in <strong>house</strong> rimane un’eccezione<br />

all’interno della più ampia eccezione rappresentata dai servizi pubblici.<br />

L’art. 86 del Trattato, infatti, non stabilisce una scelta netta tra concorrenza<br />

(cioè il mercato) e modello statale e prevede nel campo dei servizi pubblici i<br />

cd. diritti speciali ed esclusivi in deroga alle <strong>regole</strong> della concorrenza.


Ogni Stato membro organizza, lo aff erma la Commissione nelle Comunicazioni<br />

interpretative, i propri servizi pubblici nella maniera più acconcia,<br />

secondo le tradizioni nazionali. Quindi tradizioni nazionali di diverse organizzazioni<br />

dei servizi pubblici convivono all’interno di un’Unione che ha imperniato<br />

il suo Trattato sui principi della concorrenza.<br />

In questo contesto l’in <strong>house</strong>, che nell’ambito del diritto degli appalti era<br />

applicato ai rapporti non connotati da terzietà soggettiva, viene esteso al<br />

modulo organizzativo concessorio e utilizzato anche quando sono in gioco<br />

rapporti sociali ed esclusivi, diventando la breccia per non rispettare le <strong>regole</strong><br />

dell’evidenza pubblica.<br />

Alla luce di queste premesse si comprendono le ragioni dell’impegno che i<br />

giudici amministrativi e i giudici comunitari riservano <strong>alla</strong> questione dell’affi<br />

damento e, precisamente, all’individuazione dei presupposti che permettono<br />

di derogare tramite l’in <strong>house</strong> alle <strong>regole</strong> dell’evidenza pubblica.<br />

Invero se si pensa in modo più generale ai contenuti del modulo organizzativo<br />

societario e al suo utilizzo va rilevato che il problema dell’affi damento<br />

rappresenta solo una <strong>delle</strong> questioni aperte cui seguono quelle, non meno<br />

signifi cative, che riguardano le fasi successive. E le amministrazioni dopo<br />

l’affi damento fanno un sacco di cose interessanti che spesso costituiscono<br />

l’abuso dell’in <strong>house</strong>.<br />

2. Schizofrenie del modello societario in <strong>house</strong><br />

Innanzitutto chi sono e cosa fanno gli attori in gioco? Gli attori in gioco sono<br />

parecchi: un primo attore è la politica, poi ci sono gli enti locali (e gli amministratori<br />

degli enti locali), le imprese e i consumatori e gli utenti. Tutti<br />

questi soggetti sono variamente interessati allo svolgimento di ciò che noi<br />

chiamiamo servizio pubblico.<br />

All’interno di questo gioco fra più attori la politica fa la parte del leone e,<br />

nell’approcciare il modello societario come soluzione organizzativa per le<br />

attività amministrative rivolte agli utenti, è esposta a forti tentazioni. Prima<br />

fra tutte quella di disporre di uno strumento che permette di ‘giocare’ su<br />

più fronti. Ciò è possibile perché le società pubbliche rappresentano un modello<br />

giuridico ibrido e, come già dichiarava Massimo Severo Giannini negli<br />

anni ’60, la legislazione sulle imprese pubbliche si presenta disordinata.<br />

Le società miste in <strong>house</strong> rappresentano l’ibridismo per l’eccellenza perché,<br />

da una parte, mostrano un netto radicamento pubblicistico che pone di<br />

- 33 -


fronte a una sorta di alter ego dell’amministrazione (un travestimento della<br />

stessa amministrazione in forma soggettiva). Dall’altra parte, invece, palesano<br />

una professionalità giuridica e una forma – quella societaria – propria<br />

dell’ambito privatistico. Ecco perché la tentazione è duplice: il modello della<br />

società mista rende possibile lucrare i vantaggi del modulo privatistico e, al<br />

contempo, i vantaggi del radicamento pubblicistico.<br />

Quali sono questi vantaggi. Innanzitutto la possibilità dell’affi damento diretto<br />

senza gara. La società in <strong>house</strong> infatti è pubblica e quindi nella maggior<br />

parte dei casi risulta affi dataria diretta. Inoltre invocando il servizio pubblico<br />

è possibile garantire ‘l’esclusiva della gestione di determinate attività’ (il cd.<br />

diritto speciale ed esclusivo) e, di conseguenza, bypassare gli altri operatori<br />

estromettendoli da questo mercato. Poco importa se vi siano sul mercato<br />

tecnologie o know how migliori, o che la scelta della società in <strong>house</strong> sia o<br />

meno fi nanziabile, ciò che rileva giuridicamente è la circostanza che l’impresa<br />

terza non potrà accedere al mercato perché c’è una società con diritto di<br />

esclusiva.<br />

Tema parallelo è quello degli esoneri fi scali, o destinazioni speciali di entrate<br />

parafi scali, in funzione degli scopi pubblicistici perseguiti. Su questo<br />

argomento si registra un’ampia immunità dal diritto comunitario della concorrenza<br />

e una diffi coltà oggettiva della Corte a guardare dentro le forme di<br />

fi nanziamento degli appalti pubblici in <strong>house</strong>.<br />

La Corte è intervenuta (Sentenza del 24 luglio 2003, causa C-280/00, Altmark<br />

Trans) stabilendo che a fronte di determinate condizioni le compensazioni<br />

degli obblighi di servizio pubblico non costituiscono aiuti di Stato. I giudici<br />

comunitari hanno stabilito che la fi ssazione dell‘importo della compensazione<br />

nell‘ambito di una procedura che metta eff ettivamente in gara più<br />

concorrenti, o basandosi sui costi di imprese medie ben gestite, è tale da<br />

aumentare l‘effi cacia dei servizi. Tuttavia in molti casi i criteri della sentenza<br />

Altmark relativi <strong>alla</strong> fi ssazione dell‘importo della compensazione non risultano<br />

soddisfatti e, di conseguenza, queste compensazioni costituiscono<br />

aiuti di Stato soggetti <strong>alla</strong> disciplina specifi ca.<br />

Sfruttando questa ambiguità di fondo e facendo leva sulla natura privatistica,<br />

gli amministratori <strong>delle</strong> società miste pretendono l’immunità dai controlli<br />

di tipo pubblicistico e d<strong>alla</strong> responsabilità contabile e, se compare all’orizzonte<br />

il giudice contabile, se ne contesta la competenza. Lo stesso dicasi<br />

con riferimento al regime della responsabilità penale degli amministratori.<br />

- 34 -


Ancora si imbocca la natura privatistica per lucrare i vantaggi derivanti dall’anima<br />

privatistica della fi gura societaria quando si tratta di assumere personale.<br />

Questo è forse l’aspetto più dolente, perché si tratta di strutture di<br />

costo (le società miste) che vengono create dalle pubbliche amministrazioni<br />

con una certa discrezionalità e che non rispettano, nonostante siano in<br />

<strong>house</strong>, l’articolo 97 Cost. sulle assunzioni per pubblico concorso mediante<br />

procedure trasparenti.<br />

3. Cause ed eff etti del modulo organizzativo <strong>delle</strong> società in - <strong>house</strong><br />

Il legislatore nazionale ha aff rontato di recente il problema dell’in <strong>house</strong> dal<br />

punto di vista dei costi della politica e <strong>delle</strong> scelte organizzative dell’ente<br />

locale; scelte organizzative che non possono essere risolte nell’alternativa<br />

tra liberalizzazione sì e liberalizzazione no, soluzione che sarebbe eccessivamente<br />

semplicista e radicale, oltrechè penalizzante. Vi sono infatti numerose<br />

situazioni a fronte <strong>delle</strong> quali l’istituto dell’in <strong>house</strong> si rivela utile e/o<br />

possono ricorrere condizioni eccezionali che giustifi cano le deroghe all’evidenza<br />

pubblica.<br />

L’analisi del mercato, tuttavia, mostra che l’eccezione (l’in <strong>house</strong>) rappresenta<br />

oggi la regola: l’80% dei servizi pubblici locali infatti è affi dato direttamente<br />

(fonte Confservizi). Questa situazione è dovuta in parte all’attuale formulazione<br />

dell’art. 113 d,lgs. 267/00 (Testo unico degli enti locali), norma più volte<br />

rimaneggiata e frutto dell’evoluzione subita dall’art. 22 della l. 142/1990.<br />

Va subito detto che nel corso del 1990 il legislatore nazionale ha approntato<br />

una serie di norme strategiche che hanno impresso una reale spinta innovativa<br />

nel Paese: vd. part. la legge sul proscioglimento, la legge di riforma<br />

degli enti locali, la legge antitrust. Cambiano anche le disposizioni in materia<br />

di servizi pubblici locali con l’introduzione del modulo societario che,<br />

per la prima volta, apre al privato. Il legislatore infatti affi anca alle aziende<br />

privatizzate le società miste (l’in <strong>house</strong> è ancora un istituto sconosciuto nell’ordinamento<br />

nazionale).<br />

Le società miste della l. 142/1990 erano a prevalente capitale pubblico, con<br />

socio pubblico maggioritario. La legge non parlava di società miste con<br />

socio privato maggioritario; questa tipologia viene introdotta solo successivamente<br />

con le riforme Bassanini e costituisce un passaggio inevitabile<br />

ammodernare l’organizzazione dei servizi pubblici.<br />

- 35 -


L’avvento dell’in <strong>house</strong> cambia completamente le prospettive perché consente<br />

– a seguito di una lunga elaborazione della Cassazione e del Consiglio<br />

di Stato (che ha visto fra le prime pronunce Cass., Sez. Un., 6 maggio 1995,<br />

n. 4991, Soc. Siena Parcheggi c. Soc. D’Andrea costruz.) – di arrivare all’affi<br />

damento diretto dei servizi a queste società. Rimane non disciplinata la<br />

fase successiva all’affi damento, spesso caratterizzata da molteplici intrecci,<br />

gruppi a costellazione di società controllate con relazioni contrattuali privilegiate<br />

o catene azionarie diffi cilmente controllabili.<br />

Fra gli eff etti collaterali merita rilevare il fenomeno del polimorfi smo amministrativo:<br />

quasi tutte le regioni, province ed enti locali adottano il modulo<br />

organizzativo societario, con inevitabili consigli di amministrazione, indennità<br />

di carica … e moltiplicazione dei costi. Di qui la necessità di disposizioni<br />

come l’art. 1, comma 729, della Finanziaria 2007 che riducono il numero degli<br />

amministratori <strong>delle</strong> società pubbliche, l’ammontare dei compensi etc.<br />

Il fenomeno ovviamente non è rassicurante e la Corte di Giustizia a partire<br />

d<strong>alla</strong> fi ne degli anni ’90 cerca progressivamente di ridimensionare la breccia<br />

aperta. Parallelamente si registrano posizioni non sempre allineate della<br />

Commissione e del Parlamento europeo che, intervenendo con sorprendente<br />

protagonismo sull’argomento (vd. Risoluzione del PE del 26 ottobre<br />

2006 – 2006/2043/INI) sostiene la soluzione del partenariato pubblico – privato<br />

ma non off re alcuna indicazione sul an e sul quomodo. Si può anticipare<br />

che la scelta di un partner privato va giustifi cata non per associare un<br />

sodale in attività protette, ma in quanto il privato abbia un’idea, un knowhow<br />

che l’amministrazione non possiede e può conferire un valore aggiunto<br />

all’esercizio di un’attività pubblicistica. Alla luce di queste premesse ben si<br />

comprendono gli sforzi normativi rifl essi nei progetti di riforma attualmente<br />

in discussione, part. ddl. 772 / XV leg., Delega al Governo per il riordino dei<br />

servizi pubblici locali, cd. Ddl Lanzillotta il cui obiettivo è quello di mettere a<br />

regime il sistema dei servizi pubblici locali stabilendo la natura eccezionale<br />

dell’in <strong>house</strong> (conformandosi espressamente <strong>alla</strong> più recente giurisprudenza<br />

comunitaria).<br />

4. Le scelte del legislatore<br />

Il dibattito sul partenariato pubblico – privato in corso a livello comunitario<br />

ha sollecitato l’azione riformatrice del legislatore italiano che, da un lato, ha<br />

- 36 -


salvaguardato il modello <strong>delle</strong> società miste e, dall’altro lato, ha imposto la<br />

scelta del socio privato con gara basata sull’industrialità e sulla capacità gestionale.<br />

Inoltre è richiesta all’Amministrazione la motivazione della scelta<br />

del modulo societario (con l’auspicio di scoraggiare operazioni frettolose). Il<br />

tentativo del legislatore italiano è quello di introdurre un sistema fl essibile<br />

che garantisca l’equilibrio tra le esigenze di liberalizzazione e mercato concorrenziale<br />

e salvaguardia <strong>delle</strong> società miste in <strong>house</strong>.<br />

L’eccezionalità dell’in <strong>house</strong> è attenuata da alcuni emendamenti governativi,<br />

suggeriti dall’esigenza di evitare di aprire troppo al mercato. Tuttavia va<br />

detto che le altre nazioni europee non sono da meno dell’Italia nel proteggere<br />

gelosamente i propri modelli di socialismo municipale nell’organizzazione<br />

dei servizi pubblici. Uno studio comparato del 2001 descrive i modelli<br />

di Francia, Spagna, e Gran Bretagna. I risultati sembrano confermare che<br />

dappertutto prevalgano le stesse tentazioni. Tentazioni che, forse, non sono<br />

adeguatamente represse d<strong>alla</strong> Corte di Giustizia la quale off rendo soluzioni<br />

astratte dell’in <strong>house</strong> rinvia ai giudici nazionali la responsabilità di valutare<br />

caso per caso.<br />

Il Ddl. 772/XV leg. non liberalizza ma pone la regola dell’evidenza pubblica<br />

nell’affi damento dei servizi pubblici; regola che è già aff ermata in quasi tutte<br />

le discipline di settore, dai trasporti pubblici locali all’energia elettrica, al<br />

gas, risultando variamente declinata in periodi transitori non sempre omogenei.<br />

A fronte di questa situazione il legislatore vuole fi ssare una dead line<br />

comune per gli affi damenti diretti, stabilendo l’obbligo generale della gara<br />

entro il termine piuttosto congruo del 2011.<br />

Il tema non può essere aff rontato senza segnalare che lo Stato ha una competenza<br />

‘limitata’ per intervenire su questa materia. La norma di riferimento<br />

nel testo costituzionale infatti è l’articolo 117 che, pur tacendo in materia di<br />

appalti pubblici, attribuisce allo Stato potestà normativa esclusiva in materia<br />

di tutela della concorrenza. Naturalmente il meccanismo della limitata competenza<br />

statale è condizionante: per limitare l’in <strong>house</strong> lo Stato potrà agire<br />

sulle <strong>regole</strong> dell’affi damento e pretendere, ad esempio, che l’in <strong>house</strong> venga<br />

motivato. Altra possibile soluzione potrebbe consistere nell’individuazione<br />

di un’Autorità, ad es. l’Antitrust o un’altra Autorità di settore, cui spetti stabilire<br />

se la scelta organizzativa di chiudere il mercato, operata dall’amministrazione,<br />

sia proporzionale e adeguata… in altri termini giustifi cata.<br />

Per il diritto comunitario e gli organi dell’Unione non rileva che l’ammini-<br />

- 37 -


strazione provveda in autoproduzione o con gara, né entra nel merito per<br />

valutare la defi nizione del servizio pubblico come fi nalità. Spetta quindi agli<br />

Stati membri chiarire cosa vogliono qualifi care come servizio pubblico e<br />

nell’operare queste scelte dovrebbero avere sempre ben presenti gli interessi<br />

degli amministrati - utenti.<br />

Ciò che invece gli organi comunitari si riservano di dire è che la scelta organizzativa<br />

operata dai vari enti pubblici deve risultare proporzionata rispetto<br />

alle altre esigenze del mercato. Il rischio è che l’in <strong>house</strong> venga interpretato<br />

come una scelta di autoproduzione, senza preoccupazione da parte dell’amministrazione<br />

di comparare costi e benefi ci dell’operazione.<br />

Ben venga dunque l’obbligo di motivazione (la disciplina attuale neppure<br />

lo prevede); inoltre, se si inizia a motivare, qualcuno potrebbe sentirsi leso e<br />

fare ricorso cercando di spiegare ai giudici perché quella scelta organizzativa<br />

non andava fatta.<br />

Il Ddl. 772 tenta di defi nire questo tipo di <strong>regole</strong>, lasciando scoperto lo spazio<br />

riguardante l’organizzazione del servizio, le <strong>regole</strong> di governance della<br />

società e di svolgimento del servizio, le tariff e, gli organi di regolazione e il<br />

ruolo dell’ente locale.<br />

Il disegno di legge non dà seguito alle suggestioni dell’Antitrust dirette a valorizzare<br />

la concorrenza nel mercato, come avviene ad esempio nel settore<br />

della telefonia. Si sarebbe potuto utilizzare un modello simile, con un’autorità<br />

di regolazione molto attenta e una verifi ca sul piano tecnologico della<br />

fattibilità di un sistema concorrenziale. Tutto ciò non viene fatto probabilmente<br />

perché il diritto speciale ed esclusivo continua ad essere la stella polare<br />

con la quale ci si orienta quando si scelgono i modelli organizzativi dei<br />

servizi pubblici. Quindi concorrenza nel mercato ancora da <strong>prova</strong>re in questo<br />

settore e sovradimensionamento dell’ente locale comunale.<br />

Qui bisogna guardarsi da un municipalismo avverso al regionalismo, perché<br />

è chiaro che anche nei servizi pubblici, se si intende valorizzare l’industrialità<br />

di servizi come ad es. rifi uti o gestione dei servizi idrici, gli ambiti ottimali per<br />

la gestione non si trovano nella dimensione comunale, bensì nell’associazionismo<br />

dei comuni o in altre forme organizzative.<br />

Va aggiunto che il guardare al municipio è il frutto della moltiplicazioni degli<br />

enti, ed entia non sunt multiplicanda praeter necessitatem. Oltre ai comuni,<br />

le province, le regioni etc. nella nostra stratifi cazione istituzionale esistono<br />

anche ulteriori enti ad es. gli ATO ed altri ancora che gravano e moltiplicano<br />

- 38 -


il peso degli apparati sugli utenti. Quindi bisognerà trovare un modo per<br />

semplifi care questa selva di enti e fare della <strong>Provincia</strong> un ente diff erenziato<br />

dal Comune che svolge funzioni di area vasta (quelle svolte dagli ATO), a cui<br />

affi dare ad es. servizi idrici, servizi di smaltimento dei rifi uti.<br />

5. Sussidiarietà orizzontale e limiti all’applicazione dell’in <strong>house</strong><br />

Il disegno di riduzione dell’in <strong>house</strong> può essere considerato come una parte<br />

dell’attuazione dell’articolo 118 Cost., u.c., cioè d<strong>alla</strong> sussidiarietà orizzontale.<br />

La sussidiarietà orizzontale reclama un corretto rapporto fra lo Stato e il<br />

mercato il che implica la necessità di dare al mercato ciò che è del mercato<br />

e allo Stato, rectius, oggi sfera pubblica, ciò che è della sfera pubblica e, di<br />

conseguenza, impostare un utilizzo dell’in <strong>house</strong> proporzionato valutando<br />

anche le situazioni in cui non vi siano imprese in competizione fra loro per<br />

la gestione dei servizi. Mancando questi presupposti le imprese potranno<br />

essere selezionate mediante <strong>regole</strong> di evidenza pubblica senza la necessità<br />

di costringere le Amministrazioni ad organizzare una propria struttura di<br />

costo.<br />

Così anche il partenariato pubblico-privato si giustifi ca con il conseguente<br />

procedimento di selezione di un socio privato se ed in quanto quel socio privato<br />

apporti un valore aggiunto, un progetto particolare di tipo industriale<br />

o gestionale all’amministrazione: infatti è sul progetto e non sulle capacità<br />

fi nanziarie del socio che si deve svolgere la gara.<br />

Quindi il prezzo dei servizi pubblici non si può regolare in via legislativa ed<br />

è sempre conseguente alle scelte razionali della pubblica amministrazione<br />

che devono essere orientate sulla base di valori e fi nalità alle quali il legislatore<br />

sta cercando di dare adeguata copertura normativa.<br />

6. La posizione degli utenti, le class action e la valutazione <strong>delle</strong> scelte organizzative<br />

Il legislatore del Ddl. 772 mostra un occhio di riguardo verso gli utenti ai<br />

quali riserva l’ultimo articolo (e forse un articolo solo non è suffi ciente). Invero<br />

le soluzioni prospettate non sono particolarmente originali, dal momento<br />

che rinviano alle carte dei servizi le quali non hanno riscontrato fi no<br />

ad oggi grande successo (probabilmente a causa della scarsa giustiziabilità<br />

<strong>delle</strong> posizioni individuate).<br />

- 39 -


Tuttavia, se il quadro <strong>delle</strong> tutele derivanti dalle carte dei servizi dovesse<br />

essere completato con il riconoscimento <strong>delle</strong> class action 1 ciò porterebbe a<br />

impostare in maniera diff erente la gestione dei servizi pubblici locali, adottando<br />

un meccanismo orientato <strong>alla</strong> customer satisfaction, come si usa dire,<br />

cioè <strong>alla</strong> soddisfazione degli utenti, e misurabile con appositi indicatori. Si<br />

tratterebbe di portare la cultura degli economisti che operano nelle amministrazioni<br />

d<strong>alla</strong> fase della programmazione <strong>alla</strong> fase della valutazione. Sono<br />

trasformazioni che richiedono, come quelle del federalismo amministrativo,<br />

interventi di lungo periodo, semprechè sia questa la strada intrapresa.<br />

7. Istituzione ex lege <strong>delle</strong> società miste<br />

Regioni e province spesso istituiscono proprie società miste mediante leggi<br />

- provvedimento rispetto alle quali si pone posta la questione dell’art.<br />

127 Cost. ovverosia il controllo sulla legittimità costituzionale <strong>delle</strong> leggi.<br />

La Corte costituzionale più volte ha stabilito che le leggi provvedimento, in<br />

assenza di una riserva costituzionale di amministrazione, hanno un limite<br />

all’ingresso che è quello della ragionevolezza.<br />

Certo, se si aff ermasse, ai sensi del 117 comma 1, che c’è un principio comunitario<br />

per cui deve essere sempre scrutinabile la proporzionalità tra modello<br />

statale e di mercato nella scelta organizzativa operata dalle amministrazioni,<br />

allora potremmo immaginare l’ammissibilità di atti amministrativi<br />

invece di provvedimento normativi. Un po’ come avviene per le questioni<br />

<strong>delle</strong> deroghe fatte per legge <strong>alla</strong> direttiva sugli uccelli, sulle specie cacciabili<br />

protette, gli ungulati e così via, che vengono cacciati impunemente in<br />

Italia, in forza dei calendari venatori legifi cati che non sono sindacabili per<br />

eccesso di potere da parte del giudice amministrativo. Sul punto la Commissione<br />

ha chiesto al Governo, parlando ai legislatori regionali, di fare atti<br />

amministrativi sindacabili dai cittadini, dalle associazioni ambientaliste.<br />

Allo stesso modo, se si potesse evincere un principio di questo genere, forse<br />

la legge provvedimento si potrebbe sospettare di incostituzionalità, non<br />

1 Si fa riferimento specifi camente al tentativo di istituire e disciplinare l’azione collettiva risarcitoria<br />

a tutela dei consumatori (class action), quale nuovo strumento generale di tutela nel<br />

quadro <strong>delle</strong> misure nazionali volte <strong>alla</strong> disciplina dei diritti dei consumatori e degli utenti, cfr.<br />

emendamenti presentati all’art. 53 durante la discussione dell’Ddl. n. 1817/XV leg. relativo a<br />

Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato ( Legge fi nanziaria<br />

2008).<br />

- 40 -


solo per violazione dell’articolo 3, co 2, cioè del principio di ragionevolezza,<br />

ma anche dell’art. 117, co. 1, per violazione del principio di diritto comunitario<br />

che costruisce l’amministrazione come ente raziocinante e, conseguentemente,<br />

impone che la legge faccia un passo indietro tutte le volte che si<br />

possano ricavare dall’accumulo di scienza e tecnica, criteri e canoni di scelta<br />

più raffi nati di quelli che posti <strong>alla</strong> base <strong>delle</strong> scelte del legislatore .<br />

- 41 -


Riccardo Ursi<br />

Professore associato Università di Palermo<br />

L’AFFIDAMENTO IN HOUSE A SOCIETÀ MISTE<br />

SOMMARIO: 1. Il c.d. in <strong>house</strong> providing. - 2. La giurisprudenza comunitaria: il problema<br />

del c.d. controllo analogo. – 3. La necessaria natura interna e strumentale<br />

del controllo da parte dell’ente pubblico. – 4. L’inidoneità della società per<br />

azioni a soddisfare il modello in <strong>house</strong> – 5. (segue) La società a responsabilità<br />

limitata. – 6. Conclusioni.<br />

1. Il c.d. in <strong>house</strong> providing<br />

Le trasformazioni <strong>delle</strong> fi gure soggettive pubbliche costituiscono senza<br />

dubbio un importante capitolo del processo di diff erenziazione, erosione e<br />

frammentazione dell’Amministrazione.<br />

A partire dagli anni Novanta ha avuto inizio nel nostro ordinamento un processo<br />

di trasformazione degli schemi organizzativi propri del tradizionale<br />

modello di amministrazione nell’ambito del quale il legislatore, sia sulla<br />

spinta della sempre maggiore compenetrazione fra il diritto comunitario ed<br />

il diritto interno, sia per evidenti esigenze di bilancio, ha privilegiato l’utilizzo<br />

di modelli organizzativi e strumenti propri del diritto privato, ritenuti<br />

maggiormente funzionali <strong>alla</strong> luce di parametri di effi cienza ed economicità<br />

della gestione1 .<br />

Uno degli aspetti che di recente sembra costituire un banco di <strong>prova</strong> per<br />

un’analisi del fenomeno in esame riguarda la legittimazione di questi soggetti<br />

ad essere titolari di una specifi ca attività di rilevanza pubblica.<br />

Infatti, l’adozione di moduli organizzativi di diritto privato da parte dell’amministrazione<br />

deve tollerare un test di compatibilità europea in ragione del<br />

1 CERULLI IRELLI V., Pubblico e privato nell’organizzazione amministrativa, in Fondazioni ed attività<br />

amministrativa, Atti del Convegno di Palermo 12-13 maggio 2005, a cura di RAIMONDI e URSI,<br />

Torino, 2006, 13 ss.<br />

- 42 -


necessario rispetto della concorrenza tra gli operatori economici in presenza<br />

di un mercato potenzialmente contendibile.<br />

Tale questione, se da una parte consente di semplifi care il campo di indagine,<br />

escludendo tutte le ipotesi in cui si sia in presenza di esercizio di funzioni<br />

amministrative; dall’altra, apre la strada ad un attenta verifi ca della tenuta<br />

comunitaria dei modelli organizzativi di gestione diretta mediante società<br />

a capitale, totalmente o parzialmente pubblico, per la fornitura di servizi<br />

pubblici ovvero per l’approvvigionamento di attività strumentali allo svolgimento<br />

dei compiti amministrativi.<br />

L’ordinamento comunitario impone che qualsiasi fenomeno di esternalizzazione<br />

di un attività di rilevanza economica da parte della pubblica amministrazione<br />

debba rispettare le <strong>regole</strong> della concorrenza tra gli operatori<br />

economici sancite dal trattato e dalle norme di diritto derivato. Tuttavia, il<br />

diritto europeo consente la possibilità che l’amministrazione si produca al<br />

suo interno quelle attività. Infatti, non sussistendo in tal caso un mercato<br />

non dovrebbe sussistere il conseguente rispetto <strong>delle</strong> <strong>regole</strong> che presiedono<br />

al corretto funzionamento dello stesso. In proposito, si è osservato effi -<br />

cacemente che «la creazione di un mercato comune e l’applicazione <strong>delle</strong><br />

<strong>regole</strong> di tutela della concorrenza per garantire il mantenimento incontrano<br />

il limite del potere di organizzazione della pubblica amministrazione riconosciuta<br />

agli Stati membri dalle istituzioni <strong>comunitarie</strong>» 2 .<br />

Si tratta del fenomeno del c.d. in <strong>house</strong> providing, che si oppone a quello del<br />

c.d. outsourcing, e che consiste appunto in un’autoproduzione di attività da<br />

parte dell’ente pubblico che deve assicurare il servizio, il quale rinuncia a<br />

ricorrere al mercato, e rinviene, all’interno della propria organizzazione, il<br />

soddisfacimento di una determinata esigenza della collettività 3 . In buona<br />

sostanza, l’ente pubblico che si determina per la realizzazione di una attività<br />

di rilievo economico avrà, oltre <strong>alla</strong> necessaria connotazione pubblicistica di<br />

provider, quella più prettamente imprenditoriale di producer 4 .<br />

2 Cfr. CAVALLO PERIN – CASALINI, L’in <strong>house</strong> providing: un’impresa dimezzata, in Dir. amm., 2006, 59<br />

3 Per un’analisi più approfondita della questione si consenta di rinviare a URSI, Le società per la<br />

gestione dei servizi pubblici locali a rilevanza economica tra outsourcing e in <strong>house</strong> providing,<br />

in Dir. amm., 2005, 179 ss.<br />

4 Sul tema vedi CAVALLO PERIN – CASALINI, (nt.2), 51 ss.; VILLATA, Pubblici servizi, IV ed., Milano, 2006,<br />

279 ss.; PERFETTI, Miti e realtà nella disciplina dei servizi pubblici locali, in Dir. amm., 2006, 387<br />

ss.; M.G. ROVERSI MONACO, I caratteri <strong>delle</strong> gestioni in <strong>house</strong>, in Giorn. dir. amm., 2006, 1371 ss.;<br />

GILIBERTI, In <strong>house</strong> providing:questioni vecchie e nuove, in Foro amm. CdS, 2006, 44 ss.;; GRECO,<br />

- 43 -


Si tratta di una deroga al regime concorrenziale elaborata d<strong>alla</strong> giurisprudenza<br />

comunitaria che coinvolge l’assetto organizzativo prescelto evidenziandone<br />

alcune caratteristiche, le quali, in base al modello pubblicistico, ovvero<br />

privatistico, adottato dall’amministrazione, determinano conseguenze<br />

di non poco momento in ordine al regime giuridico applicabile.<br />

La questione riguarda evidentemente la scelta da parte dell’amministrazione<br />

di svolgere una determinata attività attraverso una società di capitali, la<br />

quale, ancorché dal punto di vista formale risulta essere un soggetto distinto,<br />

si dovrebbe confi gurare quale immedesimazione dell’amministrazione<br />

stessa.<br />

Occorre precisare che l’analisi circa gli elementi che possono determinare<br />

tale immedesimazione non ha nessuna infl uenza sullo sterile dibattito sul<br />

quale sembra incagliata sia la dottrina che la giurisprudenza in ordine al carattere<br />

pubblico o privato di tali società.<br />

L’approccio seguito nel testo muove dal postulato che il regime giuridico<br />

generale non può che essere quello proprio dello schema adottato: le società<br />

a capitale pubblico sono innanzitutto società, e della società, come<br />

disciplinata dal libro quinto del codice civile, devono presentare i paradigmi<br />

di riferimento. In tale senso, le deroghe legali, derivanti, il più <strong>delle</strong> volte,<br />

dal tipo di attività che tale organizzazione è chiamata a svolgere, devono<br />

Imprese pubbliche, organismi di diritto pubblico, affi damenti in <strong>house</strong>: ampliamento o limitazione<br />

della concorrenza, in Riv. it. dir. pubbl. com., 2005, 61 ss.; SCOTTI, Organizzazione pubblica<br />

e mercato: società miste, in <strong>house</strong> providing e partenariato pubblico privato, in Dir. amm.,<br />

2005, 665 ss.; COLOMBARI, “Delegazione interorganica” ovvero “in <strong>house</strong> providing” nei servizi<br />

pubblici locali, in Foro amm.-CdS, 2004, 1149; GAVARINI, Servizi pubblici locali ed affi damento<br />

“in <strong>house</strong>”: dall’eccezione <strong>alla</strong> regola in recenti interventi legislativi, in Servizi pubb. e appalti,<br />

2004, 729 ss.; CAPANTINI, Contratto di servizio ed affi damenti in <strong>house</strong>, in Riv. it. dir. pubbl. com.,<br />

2004, 801 ss.; CASALINI, L’organismo di diritto pubblico e l’organizzazione in <strong>house</strong>, Napoli, 2003,<br />

247 ss.; ALBERTI, Appalti in <strong>house</strong>, concessioni in <strong>house</strong> ed esternalizzazione, in Riv. it. dir. pubbl.<br />

com, 2001, 494 ss.; MAZZAMUTO, Brevi note su normativa comunitaria e In <strong>house</strong> providing, in<br />

Dir. Unione Europea, 2001, 537 ss.; ARNOULD, Les contrats de concession, de privatisation ed de<br />

services «in <strong>house</strong>» au regard des règles communautaires, in Rev. fr. droit adm., 2000, 1, 2 ss.;<br />

GRECO, Gli affi damenti «in <strong>house</strong>» di servizi e forniture, le concessioni di pubblico servizio e il<br />

principio della gara, in Riv. it. dir. pubbl. com., 2000, 1461 ss.<br />

- 44 -


confi gurarsi in termini di specialità rispetto a quei paradigmi, più che come<br />

indici di una pubblicità sostanziale 5 .<br />

Ciò posto, l’ancoraggio ai parametri comunitari che legittimano il modello<br />

dell’autoproduzione deve imprescindibilmente tenere conto del regime<br />

giuridico dello strumento prescelto. Come si avrà modo di evidenziare, l’autonomia<br />

organizzativa dell’amministrazione non potrebbe spingersi, in virtù<br />

di una supposta pubblicità del fenomeno gestionale, a coartare il regime<br />

giuridico proprio dello schema societario ad esigenze di politica economica,<br />

in quanto tale operazione risulterebbe priva di basi normative.<br />

2. La giurisprudenza comunitaria: il problema del c.d. controllo analogo<br />

Secondo l’orientamento espresso d<strong>alla</strong> Corte di giustizia europea, inaugurato<br />

con la sentenza sul caso Teckal, l’obbligo dell’evidenza pubblica per l’affi -<br />

damento diretto di un appalto di servizio non si riscontra quando manca un<br />

vero e proprio rapporto contrattuale fra l’ente aggiudicatore e il soggetto<br />

affi datario 6 .<br />

Secondo la giurisprudenza comunitaria, affi nché un contratto esuli dal regime<br />

della direttiva, occorre dimostrare che l’amministrazione aggiudicatrice<br />

eserciti sulla persona di cui trattasi un controllo analogo a quello da esso<br />

esercitato sui propri servizi e che il soggetto affi datario svolga la parte più<br />

importante della propria attività nei confronti della medesima amministrazione.<br />

La circostanza che l’amministrazione aggiudicatrice possa esercitare<br />

nei confronti di un operatore un tale potere, determina che i compiti che la<br />

5 In questa prospettiva, vedi OPPO, Pubblico e privato nelle società partecipate, in Riv. dir. civ.,<br />

2005, 162-163, il quale pone in rilievo come l’utilizzo pubblico di istituti privatistici non tocca<br />

la loro confi gurazione tipica. Infatti, «l’impresa nella sua economicità oggettiva, cioè nella sua<br />

produttiva (se non nell’economicità oggettiva, cioè nella lucratività) può servire ugualmente<br />

all’interesse privato e all’interesse pubblico. Nell’impresa privata l’interesse generale funge di<br />

regola da limite, nell’impresa pubblica da obiettivo».<br />

6 Corte Giust. CE, sent. 18 novembre 1999, causa C- 107/98, caso Teckal, in Riv. it. dir. pubbl.<br />

com., 2000, 1396 ss.; sent. 7 dicembre 2000, in causa C-94/99, caso ARGE Gewässerschutz, ivi,<br />

1442 ss.; ord. 14 novembre 2002, causa 310/01, caso Diddi; in Urb. e appalti, 2003, 1143; 11<br />

gennaio 2005, C-26-03, caso Stadt Halle, in Foro it., 2005; Grande Sez., 21 luglio 2005, causa n.<br />

C-231/03, caso Co.na.Me., ivi, 2006, pt. IV, 77 ss.; 21 luglio 2005, causa C/231/03, caso Parking<br />

Brixen, ibidem, 78; 13 ottobre 2005, causa C-458/03, caso Mödling; Sez. I, 6 aprile 2006, n. causa<br />

C-410/04, caso ANAV, 11 maggio 2006, causa C-340/04, caso Carbotermo e Consorzio Alisei, in<br />

Foro it., 2006, pt. VI, 510<br />

- 45 -


stessa può affi dargli saranno trattati come se fossero stati semplicemente<br />

delegati al suo interno. La capacità di infl uire sul funzionamento del prestatore,<br />

e l’assenza di autonomia che ne deriva per quest’ultimo, negano qualsiasi<br />

concretezza al contratto stipulato tra l’ente ed il prestatore di servizi.<br />

Segnatamente, ad avviso <strong>delle</strong> istituzioni <strong>comunitarie</strong>, per controllo analogo<br />

si intende un rapporto equivalente, ai fi ni degli eff etti pratici, ad una relazione<br />

di subordinazione gerarchica; tale situazione si verifi ca, in particolare,<br />

quando sussiste un controllo gestionale e fi nanziario stringente dell’ente<br />

pubblico sull’ente societario. In detta evenienza, pertanto, l’affi damento diretto<br />

della gestione del servizio è consentito senza ricorrere alle procedure<br />

di evidenza pubblica prescritte dalle disposizioni <strong>comunitarie</strong>.<br />

In altri termini, si tratta di un rapporto che determina, da parte dell’ammini-strazione<br />

controllante, un assoluto potere di direzione, coordinamento e<br />

supervisione dell’attività del soggetto partecipato, e che riguarda l’insieme<br />

dei più importanti atti di gestione del medesimo.<br />

Per limitare la possibilità che dietro la deroga si possano nascondere pratiche<br />

anticoncorrenziali di intervento pubblico nell’economia, la Corte di<br />

Giustizia ha inteso precisare i requisiti che consentono di confi gurare tale<br />

forma di controllo.<br />

In tal senso, i giudici comunitari, non solo hanno escluso che si possa confi -<br />

gurare il modello dell’autoproduzione in presenza di società a capitale misto<br />

pubblico e privato 7 ; ma hanno altresì aff ermato che la semplice titolarità<br />

dell’intero capitale della società è condizione necessaria, ma non suffi ciente,<br />

per individuare la presenza di una gestione in <strong>house</strong>.<br />

In particolare, nel caso Parking Brixen, si dice che, ai fi ni della deroga alle<br />

procedure di evidenza pubblica, non basta il semplice fenomeno dell’infl<br />

uenza dominante dell’amministrazione aggiudicatrice sull’ente affi datario<br />

derivante d<strong>alla</strong> titolarità dell’intero pacchetto azionario, poiché il controllo<br />

analogo impone un’analisi in concreto dei poteri di governance riservati al-<br />

7 Cfr. Corte Giust. CE, 11 gennaio 2005, C-26-03, caso Stadt Halle, (pt.6).<br />

- 46 -


l’ente pubblico e, dunque, del margine di autonomia decisionale concesso<br />

agli amministratori della società di gestione del servizio 8 .<br />

In questa prospettiva, la Corte di Giustizia, per individuare i confi ni operativi<br />

della deroga, indirizza la propria indagine sul profi lo strutturale dell’organizzazione<br />

del soggetto gestore, tratteggiando, in negativo, gli elementi<br />

idonei a consentire l’analogia tra controllo ed indirizzo esercitato dall’ente<br />

pubblico sulla propria struttura.<br />

Si tratta di una soluzione diversa rispetto a quella prospettata nel caso Truley<br />

in ordine al controllo necessario per la confi gurazione dell’organismo di<br />

diritto pubblico 9 , per il quale i giudici comunitari ritengono suffi ciente un<br />

controllo di tipo esterno esteso all’esattezza, <strong>alla</strong> regolarità, all’economicità,<br />

<strong>alla</strong> redditività e <strong>alla</strong> razionalità dell’amministrazione corrente. L’approccio<br />

seguito nel caso in esame, invece, confi gurando la pubblicità del capitale<br />

come condizione necessaria, ma non suffi ciente, impone conseguentemente<br />

una valutazione del regime giuridico del soggetto gestore e, pertanto,<br />

una verifi ca della rispondenza <strong>delle</strong> <strong>regole</strong> privatistiche del controllo societario<br />

rispetto agli obiettivi della deroga 10 . Occorre valutare principalmente<br />

l’autonomia decisionale di cui godono gli amministratori della società e, in<br />

un’ottica formalistica, focalizzare l’analisi sulla portata generale dello sche<br />

ma societario, e sulla sua natura caratterizzata da una assunta vocazione<br />

commerciale 11 .<br />

8 Corte giust. CE, 21 luglio 2005, causa C/231/03, caso Parking Brixen, (nt. 6) Nella fattispecie i<br />

giudici comunitari erano chiamati a pronunciarsi sull’applicabilità alle concessioni di servizio<br />

pubblico del regime dell’evidenza pubblica: la questione riguardava l’affi damento della concessione<br />

di gestione di un parcheggio ad una società, interamente partecipata dal Comune<br />

di Bressanone (un ex-azienda speciale trasformata in s.p.a.), la quale avrebbe remunerato il<br />

servizio attraverso i pagamenti degli utenti.<br />

9 Corte giust. CE, 27 febbraio 2003, causa C-373/00, caso Truley, in Foro amm –CDS, 2003, I, 424<br />

10 Dall’analisi in concreto, la Corte elabora alcuni indici presuntivi che escluderebbero la presenza<br />

di un controllo analogo a quello esercitato sulle proprie strutture: in particolare, si deve<br />

porre l’accento sull’ampia autonomia di cui godono gli amministratori rispetto agli azionisti,<br />

in virtù dei considerevoli poteri di gestione dallo statuto conferiti al Consiglio di amministrazione<br />

della società, il quale «dispone della facoltà di adottare tutti gli atti ritenuti necessari per<br />

il conseguimento dell’oggetto sociale», nonché «di realizzare altre operazioni senza previo<br />

accordo dell’assemblea dei soci»(cfr. punto 68).<br />

11 Per una critica ad una tale impostazione vedi D’ALESSANDRO, Affi damenti in <strong>house</strong> in senso ampio:<br />

la Corte mette in crisi l’idea della neutralità dello strumento societario, in Servizi pubbl. e<br />

appalti, 2006, 103 ss.<br />

- 47 -


Tale impostazione è stata successivamente seguita anche nella decisione<br />

Carbotermo e Consorzio Alisei, nella quale, la Corte ha aff ermato che la disciplina<br />

comunitaria in tema di contratti pubblici osta «all’affi damento diretto<br />

di un appalto di forniture e di servizi, con prevalenza del valore della fornitura,<br />

a una società per azioni il cui consiglio di amministrazione possiede ampi<br />

poteri di gestione esercitabili in maniera autonoma e il cui capitale è, allo<br />

stato attuale, interamente detenuto da un’altra società per azioni, della quale<br />

è a sua volta socio di maggioranza l’amministrazione aggiudicatrice» 12 .<br />

La circostanza che l’attività di direzione e coordinamento sulla società affi -<br />

dataria dell’appalto venga esercitata attraverso una holding di gestione, a<br />

sua volta interamente a capitale pubblico, che detiene la totalità del pacchetto<br />

azionario, indebolisce l’infl uenza che l’ente pubblico ha sulla società<br />

e non consente la confi gurazione del controllo analogo 13 .<br />

Alla luce di quanto evidenziato si registra una linea di tendenza forte nella<br />

giurisprudenza comunitaria verso una chiarifi cazione <strong>delle</strong> forme di gestione<br />

in <strong>house</strong>: dopo avere aperto nel 1999 una breccia nel regime della<br />

concorrenza tra operatori pubblici e privati, nel 2005, la Corte consolida,<br />

al contrario, un orientamento teso a ritornare in senso restrittivo su quella<br />

giurisprudenza, aff rontando, in maniera nitida, il nodo del controllo che gli<br />

enti pubblici devono esercitare sui soggetti gestori, vale a dire il requisito<br />

cardine dell’approvvigionamento in <strong>house</strong>.<br />

Quanto aff ermato dai giudici comunitari ha avuto un inevitabile riscontro<br />

anche nella recente giurisprudenza amministrativa italiana.<br />

Infatti, il Consiglio di Stato, modifi cando un orientamento tendente a riconoscere<br />

acriticamente negli affi damenti diretti a società a prevalente capitale<br />

pubblico una legittima forma di autoproduzione, con l’ordinanza sez.<br />

V, 22 aprile 2004, n. 2316, ha rimesso <strong>alla</strong> Corte di Giustizia la risoluzione<br />

della questione in ordine <strong>alla</strong> compatibilità di tale modello di affi damento<br />

diretto in <strong>house</strong> con la normativa comunitaria, in materia di libertà di presta-<br />

12 Cfr. Corte Giust. CE, Sez. I, 11 maggio 2006, n. causa C-340/04, (nt.6).<br />

13 Infatti, come correttamente rilevato, «la distanza che separa l’ultimo livello <strong>delle</strong> partecipate (di<br />

fatto quello in cui si muove il vero gestore del servizio pubblico) dall’ente locale in cui l’interesse<br />

collettivo sotteso al servizio è direttamente imputato è tale che nel livello operativo la dimensione<br />

pubblica dell’interesse fi nisce per essere percepita in modo assai blando e comunque marginale<br />

rispetto a quella eminentemente imprenditoriale» Cfr. DUGATO, Il fi nanziamento <strong>delle</strong> società a partecipazione<br />

pubblica tra natura dell’interesse e procedimento di costituzione, in Dir. amm., 2004,<br />

562.<br />

- 48 -


zione di servizi, divieto di discriminazione e obbligo di parità di trattamento,<br />

trasparenza e libera concorrenza 14 . In particolare, si pone in rilievo come<br />

«l’affi damento diretto a società per azioni, del tutto autonome, salvo l’esercizio<br />

dei poteri propri del possessore della maggioranza <strong>delle</strong> azioni, secondo<br />

le norme del diritto commerciale comune, sembra esporre la gestione<br />

<strong>delle</strong> pubbliche risorse a procedure diverse da quelle destinate a garantire<br />

una crescita del mercato interno, l’economia nelle spese e il vantaggio per<br />

l’utenza» 15 .<br />

Sembra, in altri termini, che il Consiglio di Stato, attraverso il rinvio pregiudiziale<br />

<strong>alla</strong> Corte di Giustizia, abbia intenso stimolare una soluzione in ordine<br />

all’ambiguità della nozione di controllo analogo.<br />

Dopo la sentenza sul caso Parking Brixen, la giurisprudenza amministrativa<br />

sembra indirizzata nel seguire il percorso logico seguito dai giudici comunitari,<br />

ritenendo la semplice titolarità pubblica dell’intero capitale, come con-<br />

14 In questa prospettiva, risulta agevole evidenziare come, nelle argomentazioni dell’ordinanza,<br />

si colgano importanti elementi di novità rispetto <strong>alla</strong> precedente giurisprudenza del Consiglio<br />

di Stato in tema di affi damenti diretti a società locali in mano pubblica.<br />

Ancora di recente, infatti, si aff ermava che l’affi damento diretto d<strong>alla</strong> gestione del servizio a<br />

società con partecipazione dell’ente locale «va qualifi cato come gestione diretta del servizio<br />

da parte dell’ente locale» (Cons. Stato, sez. V, 30 giugno 2003, n. 3864) ciò in quanto le società<br />

a prevalente capitale pubblico vanno confi gurate quali organi della pubblica amministrazione<br />

in senso sostanziale (Cons. Stato, sez. VI, 28 ottobre 1998, n. 1478) anche perché «ai fi ni<br />

dell’identifi cazione della natura pubblica di un soggetto la forma societaria è neutra e la quasi<br />

integrale pertinenza a referenti pubblici del pacchetto azionario dimostra che si è al cospetto<br />

di uno strumento alternativo alle tradizionali forme di intervento e consente di ritenere che<br />

anche le società per azioni si possano presentare come un’articolazione organizzativa dell’ente<br />

o degli enti di riferimento» (Cons. Stato, sez. VI, 1 aprile 2000, n. 1885). Pertanto, la giurisprudenza<br />

del Consiglio di Stato aveva ricostruito, ad esempio, il rapporto tra enti locali soci e<br />

società a prevalente capitale pubblico locale in maniera corrispondente <strong>alla</strong> c.d delegazione<br />

interorganica laddove si sottolineava che, ai fi ni della confi gurazione del controllo analogo,<br />

previsto quale presupposto dell’approvvigionamento in <strong>house</strong>, «è suffi ciente che la pubblica<br />

amministrazione possieda almeno il 51 per cento del capitale del soggetto affi datario e comunque<br />

abbia una posizione dominate su di esso» (Cons. Stato, sez. V, 18 settembre 2003, n.<br />

5316). Infatti, è proprio la prevalenza pubblica del capitale che spinge a ritenere che l’adesione<br />

di un ente pubblico <strong>alla</strong> società non possa essere considerata quale mera operazione fi nanziaria<br />

bensì, in ragione della circostanza che l’ordinamento contempla la società a prevalente<br />

capitale pubblico locale quale strumento per la gestione di servizi pubblici, tale adesione<br />

equivale <strong>alla</strong> manifestazione di volontà dell’ente pubblico stesso di espletare, a mezzo società,<br />

i servizi pubblici rientranti nel relativo oggetto sociale.<br />

15 Cons. Stato, ord. 22 aprile 2004, n. 2316, in Foro it., III, 546, con nota di URSI.<br />

- 49 -


dizione necessaria, ma non suffi ciente, ai fi ni della deroga <strong>delle</strong> procedure<br />

di evidenza pubblica e, conseguentemente, nel procedere ad una analisi<br />

degli spazi di autonomia di cui gode l’organo gestorio della società rispetto<br />

all’ente affi dante.<br />

Di recente i giudici amministrativi hanno aff ermato che «a seguito della decisione<br />

della Corte comunitaria 13 ottobre 2005, (C-458/03 Parking Brixen),<br />

un comune non può affi dare in via diretta, in deroga <strong>alla</strong> regola dello svolgimento<br />

<strong>delle</strong> procedure ad evidenza pubblica per la scelta del soggetto<br />

concessionario o affi datario dell’appalto del servizio pubblico, la gestione di<br />

parcheggi pubblici a pagamento ad una società per azioni, a capitale interamente<br />

pubblico, nel caso in cui lo statuto di quest’ultima consenta che una<br />

quota di esso, anche minoritaria, possa essere alienata a terzi e nel caso in<br />

cui i poteri del consiglio di amministrazione non risultano in alcun modo limitati<br />

o correlati a qualche forma di controllo da parte dell’Ente, salvi i poteri<br />

spettanti <strong>alla</strong> maggioranza dei soci secondo il diritto comune» 16 .<br />

Ed ancora, si è sottolineato che coerentemente con il par. 65 della sentenza<br />

Parking Brixen «per poter confi gurare il controllo analogo è necessario<br />

uno strumento, di carattere sociale ovvero anche parasociale, ma diverso<br />

dai normali poteri che un socio, anche totalitario, esercita in assemblea, che<br />

in ogni momento possa vincolare l’affi dataria agli indirizzi dell’affi dante ovvero<br />

la possibilità di infl uenza determinante sia sugli obiettivi strategici che<br />

sulle decisioni più importanti» 17 .<br />

In maniera più puntuale, si è ritenuto che secondo la giurisprudenza amministrativa<br />

e comunitaria, per controllo analogo si intende un rapporto equivalente,<br />

ai fi ni degli eff etti pratici, ad una relazione di subordinazione gerarchica<br />

18 ; «tale situazione si verifi ca quando sussiste un controllo gestionale<br />

e fi nanziario stringente dell’ente pubblico sull’ente societario. Il controllo<br />

16 Cfr. Cons. Stato, Sez. V, 13 luglio 2006, n. 4440, in Guida agli enti locali, 2006, 32, 76.<br />

17 Cfr. TAR Lombardia, Brescia, 2 maggio 2006, n. 433, in Foro amm. TAR, 2006, 1221.<br />

18 Sul punto vedi quanto aff ermato dal TAR Campania – Napoli, sez. I, 30 marzo 2005, n. 2784,<br />

in Foro amm. TAR, 2005, 1164, secondo il quale, ai fi ni dell’affi damento in <strong>house</strong>, il soggetto<br />

gestore deve sostanzialmente essere confi gurato come una sorta di longa manus dell’affi dante,<br />

pur conservando natura distinta ed autonoma rispetto all’apparato organizzativo di questo;<br />

deve, in altri termini, determinarsi una sorta di amministrazione “indiretta”, nella quale<br />

la gestione del servizio, in un certo senso, resta saldamente nelle mani dell’Ente concedente,<br />

attraverso un controllo assoluto sull’attività della società affi dataria la quale, a sua volta, è istituzionalmente<br />

destinata in modo assorbente ad operare in favore di questo».<br />

- 50 -


esercitato sulla società dal comune non ha le caratteristiche volute d<strong>alla</strong><br />

riferita disposizione normativa, in quanto gli amministratori, fi ntanto che<br />

sono in carica, gestiscono autonomamente le attività societarie senza che il<br />

Comune abbia alcun potere di intervento sui singoli atti gestionali. Tutto ciò<br />

esclude la presenza di una relazione di subordinazione gerarchica» 19 .<br />

3. La necessaria natura interna e strumentale del controllo da parte dell’ente<br />

pubblico<br />

Secondo una parte della dottrina i connotati dell’in <strong>house</strong> providing possono<br />

essere tracciati senza indagare sul modulo organizzativo prescelto. Infatti,<br />

se lo scopo dell’auto-produzione è quello di sottrarre al mercato alcune attività<br />

sulla base di una scelta discrezionale, il soggetto incaricato di gestire tali<br />

attività deve ritenersi esso stesso al di fuori del mercato. Tale aff ermazione<br />

conduce a ritenere che il modello organizzativo privatistico risulta essere<br />

neutro rispetto <strong>alla</strong> vicenda, poiché, non di governo dell’ente gestore si tratta,<br />

bensì di limitazione dell’attività dello stesso. La società che gestisce un<br />

servizio in <strong>house</strong>, in quanto soggetto giuridico che per defi nizione deve lavorare<br />

esclusivamente per l’ente titolare del servizio è sottoposta, dal punto<br />

di vista della sua vita imprenditoriale, al potere assoluto dell’ente per il quale<br />

svolge la propria attività20 .<br />

L’eff etto del controllo, in altri termini, non viene realizzato sulla base della<br />

titolarità del pacchetto azionario, che al più costituirebbe una conseguenza,<br />

ma sulla base della circostanza che la società in <strong>house</strong> non può assumere<br />

altre commesse in quanto titolare di un affi damento diretto. Attraverso il<br />

fi ltro del contratto di servizio e del carattere necessariamente analitico e circoscritto<br />

dell’oggetto sociale di tali società, l’ente indubbiamente esercita<br />

un controllo analogo a quello che esercita sui propri servizi nonostante la<br />

formale autonomia di cui godrebbero gli amministratori della società.<br />

La tesi in esame ha indubbiamente un riscontro normativo in quanto disposto<br />

dall’art. 13 del D.l. 4 luglio 2006, n. 223, convertito con legge 4 agosto<br />

2006 n. 248, il quale, al primo comma, stabilisce che «al fi ne di evitare<br />

alterazioni o distorsioni della concorrenza e del mercato e di assicurare la<br />

19 Cfr. Consiglio di Stato, Sez. V, 30/8/2006 n. 5072, in Urb. e appalti, 2006, 1417, con nota di URSO,<br />

Il requisito del controllo analogo negli affi damenti in <strong>house</strong>.<br />

20 Sul punto vedi L.R. PERFETTI, (nt. 4), 420 ss.; GILIBERTI, (nt.4), 42 ss.<br />

- 51 -


parità degli operatori, le società, a capitale interamente pubblico o misto,<br />

costituite o partecipate dalle amministrazioni pubbliche regionali e locali<br />

per la produzione di beni e servizi strumentali all’attività di tali enti, in funzione<br />

della loro attività, con esclusione dei servizi pubblici locali, nonché,<br />

nei casi consentiti d<strong>alla</strong> legge, per lo svolgimento esternalizzato di funzioni<br />

amministrative di loro competenza, devono operare esclusivamente con gli<br />

enti costituenti o partecipanti o affi danti, non possono svolgere prestazioni<br />

a favore di altri soggetti pubblici o privati, né in affi damento diretto né<br />

con gara, e non possono partecipare ad altre società o enti»; e, al secondo<br />

comma, dispone che «le società di cui al comma 1 sono ad oggetto sociale<br />

esclusivo e non possono agire in violazione <strong>delle</strong> <strong>regole</strong> di cui al comma 1».<br />

Inoltre, nella stessa prospettiva, andrebbe letto il divieto contenuto nell’art.<br />

113, comma 6, D.lgs. n. 267/2000, in ragione del quale non sono ammesse a<br />

partecipare alle gare per l’affi damento di un servizio pubblico locale «le società<br />

che, in Italia o all’estero, gestiscono a qualunque titolo servizi pubblici<br />

locali in virtù di un affi damento diretto, di una procedura non ad evidenza<br />

pubblica, o a seguito dei relativi rinnovi; tale divieto si estende alle società<br />

controllate o collegate, alle loro controllanti, nonché alle società controllate<br />

o collegate con queste ultime».<br />

In altre parole, la connotazione in <strong>house</strong> della società deriverebbe, non dal<br />

carattere strutturale del controllo gestionale, ma d<strong>alla</strong> necessaria esclusività<br />

del rapporto tra l’ente locale e la società stessa.<br />

Mediante tale ricostruzione che tende ad accentuare oltre misura il secondo<br />

dei requisiti per l’approvvigionamento in <strong>house</strong> individuati nella decisone<br />

sul caso Teckal, e sul quale di recente la Corte ha avuto modo di ritornare<br />

nella decisione sul caso Carbotermo e Consorzio Alisei, sarebbe possibile ammettere<br />

forme di compagini sociali pubbliche composite non caratterizzate<br />

da dominanza ovvero società a capitale misto pubblico privato.<br />

Tuttavia, la tesi in esame non convince. Infatti, il controllo esercitato da parte<br />

dell’ente pubblico si confi gurerebbe quale semplice potere di fatto derivante<br />

dal vincolo di esclusività oppure come prevalenza qualifi cata dell’attività<br />

imprenditoriale della società nei confronti dell’ente pubblico stesso.<br />

Dall’analisi della giurisprudenza della Corte emerge, al contrario, che l’elemento<br />

cardine per l’individuazione di qualsiasi forma di autoproduzione e<br />

della relativa legittima esclusione del ricorso dalle procedure di evidenza<br />

pubblica attiene al controllo strutturale che l’ente deve esercitare sull’orga-<br />

- 52 -


nizzazione societaria. Al riguardo, si dovrebbe escludere che tale controllo<br />

venga realizzato attraverso il contratto di servizio, in quanto questo assolve<br />

solo ad una funzione di regolazione “dall’esterno” dell’attività della società,<br />

laddove il controllo analogo in esame determina una eterodirezione “dall’interno”<br />

dell’organizzazione della società stessa.<br />

In questa prospettiva, non si tratta di valorizzare il profi lo soggettivo della<br />

titolarità del capitale, piuttosto che il profi lo oggettivo dei poteri riservati al<br />

socio pubblico, poiché, nell’ottica dell’immedesimazione tra società ed ente<br />

socio, i poteri a questo riservato si possono confi gurare solo allorquando la<br />

titolarità <strong>delle</strong> azioni è interamente in mano pubblica.<br />

Infatti, nel caso ARGE Gewässerschutz, l’avv. gen. P. Léger, ha avuto modo di<br />

precisare che per la confi gurazione dell’in <strong>house</strong> providing non è suffi ciente<br />

la circostanza che l’attività dell’ente produttore sia sottoposta ad un regime<br />

di controlli analogo a quello che l’amministrazione aggiudicatrice esercita<br />

sulle proprie attività, ma occorre che si verifi chi un controllo di tipo strutturale<br />

21 .<br />

Nello stesso senso, deve essere interpretato quanto aff ermato nella decisione<br />

Stadt Halle nella quale i giudici comunitari hanno aff ermato che la natura<br />

mista del capitale esclude la ricorrenza del controllo analogo in ragione della<br />

diff erente fi nalità che il socio privato persegue attraverso la partecipazione<br />

<strong>alla</strong> società.<br />

Per potere confi gurare un modello di organizzazione alternativo all’outsourcing<br />

- che impone il rispetto <strong>regole</strong> dell’evidenza pubblica – occorre che il<br />

rapporto tra un’autorità pubblica, che sia un’amministrazione aggiudicatrice,<br />

ed i suoi servizi risponda solo alle esigenze proprie del perseguimento<br />

di obiettivi di interesse pubblico, laddove, invece, qualunque investimento<br />

di capitale privato in un’impresa obbedisce a considerazioni proprie degli<br />

interessi privati e persegue obiettivi di natura diff erente 22 .<br />

21 Corte Giust. CE, sent. 7 dicembre 2000, in causa C-94/99, (nt.6), conclusioni avv. gen. P. Léger,<br />

p. 58 ss.<br />

22 Sul punto si è osservato che la Corte ha approntato «una ricostruzione solo funzionalistica della<br />

volontà <strong>delle</strong> parti del tutto estranea al rilievo del rapporto in <strong>house</strong>. All’uopo non può non<br />

sottolinearsi la evanescenza e ambiguità della prospettazione degli obiettivi di interesse pubblico,<br />

nell’ambito <strong>delle</strong> dinamiche sociali ed economiche, ma ancor più risulta sorprendente<br />

se si fa riferimento alle fi nalità dei privati, la cui imprescrutabilità, anche in termini di variegata<br />

articolazione, può senz’altro determinare, per obiettivi del tutto diversi da quelli oggetto dell’iniziativa<br />

da attuare, una posizione di assoluta passività nei confronti del socio pubblico, sì<br />

da giustifi care il controllo analogo a quelle esercitato sui propri servizi». Cfr. CLARIZIA, Il privato<br />

- 53 -


Ai fi ni dell’affi damento diretto, la presenza dell’interesse privato nella compagine<br />

sociale, anche se il privato è selezionato con gara, caratterizza l’istituzione<br />

mista precludendo qualsiasi forma di immedesimazione tra la società<br />

e l’ente affi dante23 .<br />

inquina: gli affi damenti in <strong>house</strong> solo a società a totale partecipazione pubblica, in www.giustamm.it.<br />

Infatti, secondo alcuni, sarebbe tutto da dimostrare che il privato «nel momento in cui entra<br />

nella società, si voglia comportare in modo da sovvertire quella che è la normale formazione<br />

della volontà sociale, in qualunque organismo in cui vi sia una maggioranza ed una minoranza.<br />

D’altro canto, se così non fosse, le strutture societarie non potrebbero garantire l’aff ermarsi<br />

della volontà della maggioranza». Cfr. GALLO, Disciplina e gestione dei servizi pubblici locali<br />

economici: il quadro comunitario e nazionale nella più recente giurisprudenza, in Dir. amm.,<br />

2005, 348.<br />

23 Il modello di società mista previsto dall’ordinamento comunitario è stato chiaramente defi nito<br />

nel recente Libro verde sul partenariato pubblico-privato (Commissione dell’Unione Europea,<br />

30 aprile 2004, COM/2004/327). In particolare, in tale documento la Commissione aff erma<br />

che nelle forme di partenariato istituzionalizzato spetta al socio privato svolgere le prestazioni<br />

affi date <strong>alla</strong> società (§ 58) mentre al socio pubblico compete solo il ruolo di controllore <strong>delle</strong><br />

operazioni “in seno agli organi decisionali dell’impresa comune” (§ 54); ed inoltre, che la<br />

durata della impresa mista dovrà coincidere con la durata del contratto o della concessione,<br />

giacché, altrimenti, le amministrazioni aggiudicatrici potrebbero essere indotte a rinnovi dell’incarico<br />

affi dato a questa impresa senza che sia posta in essere una reale nuova messa in<br />

concorrenza e, quindi, in defi nitiva, ad attribuire gli incarichi “per una durata illimitata (§ 61).<br />

Sembra corretto ritenere, allora, che il modello di società mista ipotizzato d<strong>alla</strong> Commissione<br />

nel Libro verde possa essere defi nito come una concessione che assume la forma della società<br />

nella quale il partner privato realizza gli incarichi specifi cati nel bando di gara e il partner pubblico<br />

controlla, dall’interno della società, il modo in cui gli incarichi stessi vengono realizzati.<br />

(In tema v. AA. VV., Il partenariato pubblico-privato, a cura di Chiti, Bologna, 2005; SANDULLI, Il<br />

partenariato pubblico-privato ed il diritto europeo degli appalti e <strong>delle</strong> concessioni: profi li di<br />

tutela, in Riv. it. dir. pubbl. com., 2005, 167 ss.; MASSERA, Il partenariato pubblico-privato ed in<br />

diritto europeo degli appalti, ivi, 1201 ss.<br />

Infatti, con riferimento <strong>alla</strong> possibilità per tali società possano godere di affi damento diretto,<br />

la Commissione nel § 63 del Libro verde ha ribadito che “l’applicazione del diritto comunitario<br />

degli appalti pubblici e <strong>delle</strong> concessioni non dipende dal carattere pubblico, privato o misto<br />

del co-contraente dell’organismo aggiudicatore”, il quale trova applicazione “quando un<br />

organismo aggiudicatore decide di affi dare un compito ad un terzo, ovvero ad una persona<br />

giuridicamente distinta”. L’unica deroga a tale principio può ravvisarsi in caso di in <strong>house</strong><br />

providing, il quale si connota d<strong>alla</strong> circostanza che “l’organismo aggiudicatore eserciti sulla<br />

persona in oggetto un controllo analogo a quello che esercita sui propri servizi e al contempo<br />

questa persona realizzi la parte più importante della propria attività con la collettività che la<br />

detengono. In tema la stessa Commissione, in ragione consolidamento del trend restrittivo<br />

adottato d<strong>alla</strong> giurisprudenza comunitaria, ha successivamente osservato, non solo che “there<br />

does not appear to be any compelling evidence at the present to suggest that the quality of<br />

- 54 -


Ciò posto, da una lettura corretta della giurisprudenza comunitaria sembra<br />

che una società in <strong>house</strong> si possa riscontrare solo allorché si rinvenga la fi gura<br />

del socio pubblico-amministratore nell’ambito di una compagine interamente<br />

a capitale pubblico24 .<br />

public services could be improved or prices be reduced, if private undertakings – via IPPPs<br />

(Institutional Public-Private Partnerships) – obtain public service missions without a preceding<br />

competitive award procedure”; ma altresì che “it is diffi cult to see how privileged treatment<br />

of IPPPs vis-à-vis their private competitors could comply with the equal treatment obligation<br />

derived from the EC Treaty”. (Cfr. Commissione Dell’Unione Europea, Comunicazione sul<br />

partenariato pubblico-privato e il diritto comunitario in materia di appalti e concessioni, 15<br />

novembre 2005, COM(2005) 569, punto 4.2).Sul punto vedi CHITI, Verso la fi ne del modello di<br />

gestione dei servizi pubblici locali tramite società miste, in Foro amm. TAR, 2006, 1161.<br />

In ultima analisi, il modello di partenariato istituzionalizzato disegnato dal diritto comunitario<br />

non coincide aff atto con il modello della società mista che si è sviluppato tradizionalmente in<br />

Italia. Al riguardo, sembra che la diff erenza principale attenga <strong>alla</strong> circostanza che le attività<br />

loro affi date non sono, almeno di norma, svolte dai soci, ma direttamente d<strong>alla</strong> società con la<br />

propria organizzazione imprenditoriale, per cui il ruolo che in esse esercita il socio pubblico<br />

non è quello di un semplice controllore, ma quello di gestore o co-gestore di tali attività. Inoltre,<br />

in quanto le società in questione vengono costituite per svolgere attività che, di solito,<br />

non sono limitate nel tempo, la loro durata non è suscettibile di una determinazione precisa,<br />

essendo strettamente collegata a quella dell’affi damento dell’attività stessa. Sul punto sia<br />

consentito rinviare a quanto rilevato in URSI, (nt. 3), 191 ss.<br />

In senso critico rispetto a tale approccio, VILLATA, (nt. 4), 299 ss.; SCOTTI, Le società miste tra in<br />

<strong>house</strong> providing e partenariato pubblico-privato:osservazioni a margine di una recente pronuncia<br />

della Corte di giustizia, in Foro amm. CdS, 2005, 666 ss.; DI DONNA, Il caso, chiuso, degli<br />

affi damenti in <strong>house</strong>, in Urb. e Appalti, 2006, 379; DUGATO, Le società miste <strong>alla</strong> luce della recente<br />

giurisprudenza italiana, relazione al Convegno Le forme di gestione dei servizi pubblici<br />

locali tra diritto europeo e diritto locale, Bologna, 25 novembre 2005, in www.servizipubblicilocali.it;<br />

PIPERATA, Commento a Corte di Giust. Ce, 13 ottobre 2005, Causa C-458/03, in Giorn. dir.<br />

amm., 2006, 137 ss.<br />

24 Tale assunto sembra confermato anche d<strong>alla</strong> giurisprudenza amministrativa: v. TAR Lombardia,<br />

Brescia, 2 maggio 2006, n. 433, (nt. 17), con nota di VACCA, Le società miste per la gestione<br />

dei servizi pubblici locali: un modello di diffi cile qualifi cazione; TAR Lazio, Latina, 5 maggio<br />

2006, n. 310, in Servizi pubbl. e appalti, 2005, n. 441, con nota di GUALTIERI, Società miste ed in<br />

<strong>house</strong> providing: un rapporto da defi nire; TAR Lazio, Roma, sez. II ter, 9 gennaio 2007, n. 72,<br />

in www.dirittodeiservizipubblici.it; Cons. giust. amm., 27 ottobre 2006, n. 589, ivi, secondo il<br />

quale «la procedura di evidenza pubblica per la scelta del socio non è sovrapponibile, quanto<br />

ai contenuti e alle fi nalità, a quella per l’affi damento del servizio; la prima è preordinata <strong>alla</strong><br />

selezione del socio privato in possesso dei requisiti non solo tecnici ed organizzativi, ma anche<br />

e soprattutto fi nanziari, tali da assicurare l’apporto più vantaggioso nell’ingresso nella compagine<br />

sociale; la seconda è invece esclusivamente diretta <strong>alla</strong> scelta del soggetto che off ra<br />

maggiori garanzie per la gestione del servizio pubblico»; infatti, «se, infatti, un’impresa privata<br />

detiene <strong>delle</strong> quote nella società aggiudicataria occorre presumere che l’autorità aggiudica-<br />

- 55 -


4. L’inidoneità della società per azioni a soddisfare il modello in <strong>house</strong><br />

Alla luce di quanto aff ermato d<strong>alla</strong> giurisprudenza comunitaria il fenomeno<br />

dell’in <strong>house</strong> providing ruota intorno alle modalità di esercizio del governo<br />

societario da parte dell’ente pubblico affi dante.<br />

La scelta organizzativa dell’ente a favore dello strumento della società di<br />

capitali è limitata d<strong>alla</strong> necessaria confi gurazione di immedesimazione, dal<br />

punto di vista gestionale, che deve ricorrere tra l’ente pubblico-socio, titolare<br />

dell’attività da affi dare, e la società di gestione.<br />

Sembra corretto ritenere che le aff ermazioni della Corte nel caso Parking<br />

Brixen conducano verso il necessario abbandono del modello della società<br />

per azioni per le società titolari di affi damenti in <strong>house</strong>.<br />

Infatti, come è noto, la riforma del diritto societario ha confi gurato la società<br />

per azioni come strumento di capitalismo manageriale inteso ad estromettere<br />

i soci d<strong>alla</strong> gestione dell’impresa, inibendo all’assemblea l’assunzione in<br />

tale materia di decisioni vincolanti per l’organo amministrativo25 .<br />

Al riguardo, si evidenzia come la centralità dell’organo amministrativo rispetto<br />

all’assemblea dei soci nella gestione dell’impresa sociale trova un<br />

preciso riscontro, da una parte nella disposizione contenuta nell’art. 2380bis,<br />

nel quale si aff erma l’esclusiva competenza dell’organo amministrativo<br />

trice non possa esercitare su tale società «un controllo analogo a quello da essa esercitato sui<br />

propri servizi»; una partecipazione minoritaria di un’impresa privata è quindi suffi ciente ad<br />

escludere l’esistenza di un’operazione interna». Contra, Cons. Stato, sez. V, 3 febbraio 2005, n.<br />

272, in Foro amm. CdS, 2005, 425.<br />

25 RESCIO, Assemblea dei soci. Patti parasociali, in Diritto <strong>delle</strong> società, Manuale breve, II ed., Milano,<br />

2005, 180 ss.; BARTALENA, Le competenze dell’assemblea, in Società, 2005, 1093 ss.; PINTO,<br />

Deliberazioni assembleari e gestione dell’impresa nella società per azioni, in Le riforme del<br />

diritto societario, a cura di Pierlingieri, Cacucci, Napoli, 2004, 103 ss.; GALGANO, Il nuovo diritto<br />

societario, in Tratt. di dir. comm. e dir. pubbl. dell’economia, diretto da GALGANO, vol. XXIX,<br />

Padova, 2003, 203; ASSOCIAZIONE DISIANO PREITE, Il nuovo diritto <strong>delle</strong> società,, Bologna, 2003, 113;<br />

SARALE, Il nuovo volto dell’assemblea sociale, in La riforma <strong>delle</strong> società, a cura di AMBROSINI,<br />

Torino, 2003, 35 ss.<br />

Per una lettura tendente a conservare un potere di indirizzo all’assemblea v. ABBADESSA, L’assemblea<br />

nella s.p.a.: competenza e procedimento nella legge di riforma, in questa rivista, suppl.<br />

al n. 3/04, Contributi <strong>alla</strong> riforma <strong>delle</strong> società di capitali, 554 il quale aff erma che «la nuova<br />

disciplina, pur non facendone menzione, sicuramente non vieta all’assemblea di indirizzare<br />

agli amministratori raccomandazioni ed agli amministratori di richiedere all’assemblea pareri,<br />

beninteso non vincolanti».<br />

- 56 -


in materia gestoria, in attuazione di quanto previsto dall’art. 4, comma 8,<br />

lett. c) della legge delega; dall’altra, nella eliminazione della facoltà, di cui<br />

al precedente art. 2364, 1 comma, n. 4, c.c., di riservare statutariamente all’assemblea<br />

il potere di pronunciarsi su oggetti attinenti <strong>alla</strong> gestione della<br />

società su iniziativa degli amministratori.<br />

D<strong>alla</strong> riforma emerge una separazione tra proprietà e controllo della società,<br />

salvo l’angusto ambito riservato dall’art. 2364, 1° comma, n. 5 c.c., il quale<br />

però, risulta evidentemente inadeguato per la confi gurazione dell’in <strong>house</strong>.<br />

Il nuovo testo dispone che, per il compimento di atti degli amministratori,<br />

all’assemblea ordinaria può competere il rilascio di autorizzazioni, ove<br />

lo statuto lo preveda. La norma stabilisce, non più una possibile e generica<br />

competenza dell’assemblea relativa “agli oggetti attinenti <strong>alla</strong> gestione”,<br />

bensì un circoscritto potere autorizzatorio relativo agli “atti di gestione”,<br />

che, comunque, non limita la responsabilità degli amministratori.<br />

Il socio o i soci pubblici riuniti in assemblea, autorizzando un atto gestionale,<br />

che dovrebbe essere di straordinaria amministrazione, non esercitano<br />

un potere di direzione analogo a quello che esercitano sui propri servizi, in<br />

quanto, la permanente responsabilità in capo agli amministratori denota<br />

un potere/dovere in capo a questi ultimi di valutare l’opportunità, o non,<br />

dell’adozione dell’atto autorizzato.<br />

In altri termini, la circostanza che il potere esercitato dall’assemblea è di<br />

carattere autorizzatorio e riguarda solamente singoli atti renderebbe nulle<br />

quelle previsioni statutarie tendenti a riservare all’assemblea la decisione su<br />

intere aree di gestione come il modello dell’in <strong>house</strong> providing, invece, pretenderebbe.<br />

Inoltre, la responsabilità dell’amministratore, speculare <strong>alla</strong> sua<br />

permanente autonomia gestionale, determina una soluzione di continuità<br />

nel processo decisionale che dovrebbe essere imputato all’ente pubblico.<br />

Anche ammettendo sussistenza di un’attività di direzione e coordinamento<br />

prevista dal novello art. 2497 c.c. 26 , nonché i poteri di direttiva che, secondo<br />

26 Sulla direzione e coordinamento di società nella riforma del diritto societario v. WEIGMANN, I<br />

gruppi di società, in Il nuovo diritto societario, Torino, 2005, II, 36 ss.; CARIELLO, Commento agli<br />

artt. 2497 e s.s., in Società di capitali, Commentario a cura di Niccolini, Stagno d’Alcontres; Napoli,<br />

2004, vol. III, 1853 ss.; TOMBARI, Riforma del diritto societario e gruppo di imprese, in questa<br />

rivista, I, 2004, 61 ss.; 147 ss.; RORDORF, I gruppi nella recente riforma del diritto societario, in<br />

Società, 2004, 538 ss.; FIGÀ-TALAMANCA, GENOVESE, Riforma del diritto societario e gruppi di società,<br />

in Riv. dir. civ., 2004, 1189; IRACE, Commento agli artt. 2497 ss., in La riforma <strong>delle</strong> società, a cura<br />

di Santoro e Sandulli, Torino, 2003, 2, II, 311 ss.; PAVONE LA ROSA, Nuovi profi li della disciplina<br />

- 57 -


una parte della dottrina, potrebbero essere implicitamente dedotti dall’art.<br />

2449 c.c., sembra che il necessario ambito di autonomia decisionale riservato<br />

agli amministratori dall’art. 2380-bis c.c. costituisca un ostacolo insormontabile,<br />

nell’ottica della rigida rappresentazione del fenomeno dell’autoproduzione<br />

disegnato d<strong>alla</strong> recente giurisprudenza comunitaria.<br />

La situazione non sembra essere diff erente se la società in esame adotta il<br />

modello dualistico 27 .<br />

Il potere riservato al consiglio di sorveglianza dall’art. 2409 terdecies, comma<br />

1, lett. f-bis), c.c., secondo il quale se previsto dallo statuto, il consiglio di sorveglianza<br />

delibera in ordine alle operazioni strategiche ed ai piani industriali<br />

e fi nanziarie <strong>delle</strong> società predisposti dal consiglio di gestione, non appare<br />

suffi ciente a confi gurare il controllo analogo.<br />

Al di là <strong>delle</strong> questioni inerenti <strong>alla</strong> perfetta immedesimazione tra il socio<br />

titolare del capitale e i membri del consiglio di sorveglianza, appare fuori<br />

di dubbio che l’attività di indirizzo esercitata riguarda solo scelte generali<br />

e strategiche che non consentono la confi gurabilità dei parametri previsti<br />

d<strong>alla</strong> giurisprudenza comunitaria, anche in ragione della circostanza che la<br />

stessa norma citata mantiene ferma la responsabilità del consiglio di gestione.<br />

Infatti, al pari di quanto stabilito dall’art. 2380-bis c.c., l’art. 2409-octies<br />

c.c. dispone che la gestione dell’impresa spetta esclusivamente al consiglio<br />

di gestione, il quale compie le operazioni necessarie per l’attuazione dell’oggetto<br />

sociale.<br />

Come si è avuto modo di evidenziare, la Corte di Giustizia chiede la presenza<br />

di un socio pubblico che sia diretto gestore della società, atteso che ampi<br />

margini di autonomia in capo agli amministratori non vengono ritenuti conformi<br />

all’in <strong>house</strong> providing.<br />

dei gruppi societari, in Riv. soc., 2003, 765 ss.; NIUTTA, La nuova disciplina <strong>delle</strong> società controllate:<br />

aspetti normativi dell’organizzazione del gruppo di società, ivi, 780 ss. Con particolare<br />

riferimento alle società pubbliche vedi ROMAGNOLI, L’esercizio di direzione e coordinamento di<br />

società da parte di enti pubblici, Nuova giur. civ. comm., 2004, 214 ss.<br />

27 In tema vedi: GUACCERO, Commento agli artt. 2409-octies e ss.; in Società di capitali, Commentario<br />

a cura di Niccolini, Stagno d’Alcontres, vol. II, 868 ss.; AA. VV., Sistemi alternativi di amministrazione<br />

e controllo, a cura di Ghezzi, Milano, 2005; WEIGMANN, Sistemi alternativi di amministrazione<br />

e controllo, in Le grandi opzioni della riforma del diritto e del processo societario, a<br />

cura di Cian, Padova, 2004, 231 ss.; CALANDRA BUONAURA, I modelli di amministrazione e controllo<br />

nella riforma del diritto societario, in questa rivista, 2003, I, 535 ss.<br />

- 58 -


5. (segue) La società a responsabilità limitata<br />

Escludendo il modello di società per azioni, le società in <strong>house</strong> potrebbero,<br />

tuttavia, rivestire effi cacemente la forme della società a responsabilità limitata,<br />

la quale, <strong>alla</strong> luce del nuovo diritto societario apparirebbe rispondente<br />

agli indici del controllo analogo sanciti d<strong>alla</strong> giurisprudenza comunitaria.<br />

Infatti, è noto che il carattere principale della s.r.l., dopo la riforma del 2003,<br />

è rinvenibile proprio nell’assenza di separazione tra proprietà e controllo<br />

che, al contrario, come si è visto, costituisce il connotato della s.p.a. 28 .<br />

In particolare, la rilevanza centrale attribuita <strong>alla</strong> persona del socio si è tradotta<br />

in un modello organizzativo fl essibile, caratterizzato da una struttura<br />

fortemente semplifi cata, ed orientabile verso un modello più squisitamente<br />

personalistico29 , nella quale i soci appaiono i portatori diretti dell’interesse<br />

imprenditoriale30 .<br />

28 In tema di governance di società a responsabilità limitata vedi, SALANITRO, Profi li sistematici della<br />

società a responsabilità limitata, Milano, 2005, 67 ss.; DI NANNI, L’amministrazione ed i controlli<br />

nella nuova società a responsabilità limitata, in La “nuova” società a responsabilità limitata, a<br />

cura di Miola, Napoli, 2005, 201 ss.; MALTONI, Commento all’art. 2468, in Il nuovo diritto <strong>delle</strong> società,<br />

a cura di Maff ei Alberti, Padova, 2005, III, 1817 ss.; PICCIAU, Appunti in tema di amministrazione<br />

e rappresentanza, in La nuova s.r.l., a cura di Farina, Ibba, Racugno, Serra, Milano, 2004,<br />

225 ss.; BUONOCORE, L’organizzazione interna della società a responsabilità limitata riformata, in<br />

Riv. not., 2004, 589 ss.; BENAZZO, Competenze di soci e amministratori nelle s.r.l.: dall’assemblea<br />

fantasma all’anarchia?, in Società, 2004, 808; RORDORF, I sistemi di amministrazione e di controllo<br />

nella nuova s.r.l., ivi, 2003, 664 ss.; PERRINO, La «rilevanza del socio» nella srl: recesso, diritti<br />

particolari, esclusione, in questa rivista, 2003, I, 810 ss.; SALVATORE, L’organizzazione corporativa<br />

nella nuova s.r.l.: amministrazione, decisioni dei soci e il ruolo dell’autonomia statutaria, in<br />

Contratto e impr., 2003, 1342 ss.; ZANARONE, Introduzione <strong>alla</strong> nuova società a responsabilità<br />

limitata, in Riv. soc., 2003, 58 ss; CAGNASSO, I volti della nuova società a responsabilità limitata, in<br />

La riforma <strong>delle</strong> società, a cura di S. Ambrosini, Torino, 2003, 23 ss.<br />

29 Sul punto v. STELLA RICHTER, Di alcune implicazioni sistematiche della introduzione di una nuova<br />

disciplina per le società a responsabilità limitata, in La “nuova” società a responsabilità limitata,<br />

a cura di Miola, 50, secondo il quale «la nuova società a responsabilità limitata italiana si<br />

presenta come uno schema organizzativo suscettibile, sulla base del concreto esplicarsi <strong>delle</strong><br />

scelte di autonomia statutaria, di dare vita a modelli organizzativi prettamente capitalistici (…)<br />

quanto a società organizzate su base personale».<br />

In questa prospettiva, è chiaro che il carattere di modello di approvvigionamento in <strong>house</strong> impone<br />

di valorizzare principalmente la seconda <strong>delle</strong> due alternative, in ragione della circostanza<br />

che un impianto statutario caratterizzato da forti tinte personalistiche del socio pubblico<br />

consentirà maggiormente la confi gurazione del controllo analogo.<br />

30 In tal senso, v. GUERRERA, La società di capitali come formula organizzativa dei servizi pubblici<br />

locali dopo la riforma del diritto societario, in Società, 2005, 681 ss., spec. 683, il quale pone in<br />

- 59 -


In virtù della fl essibilità del modello, attraverso quanto disposto dall’art.<br />

2468, 3° comma, si potrebbero attribuire poteri di gestione al socio<br />

pubblico titolare del servizio, che si ribalterebbero, altresì, sulle competenze<br />

dell’assemblea ai sensi del nuovo art. 2479, 1° comma, c.c. 31 .<br />

In tal senso, deve ritenersi che il contenuto dei diritti particolari riconoscibili<br />

al socio possa riguardare principalmente diritti di carattere amministrativo<br />

32 .<br />

Infatti, non solo lo statuto può prevedere che il socio, di sua iniziativa, possa<br />

procedere in via extra-assembleare <strong>alla</strong> nomina o <strong>alla</strong> revoca di uno o più<br />

amministratori, al pari di quanto stabilito per la s.p.a. dall’art. 2449 c.c., ma<br />

soprattutto la disciplina statutaria potrebbe riconoscere al socio un diritto<br />

di veto rispetto a determinate operazioni sociali, così come il diritto di decidere<br />

nuove operazioni. Ferma restando la responsabilità del socio – e non<br />

esclusivamente degli amministratori – quando abbia consapevolmente ap<strong>prova</strong>to<br />

un atto di amministrazione, che arrechi danno <strong>alla</strong> società ed ai soci<br />

(art. 2476 c.c.) 33 .<br />

Pertanto, attraverso il fi ltro della norma contenuta nell’art. 2468, comma 3,<br />

c.c., si può strutturare una regolamentazione statutaria che imprima una<br />

perfetta immedesimazione, dal punto di vista gestionale, tra socio pubblico<br />

titolare del servizio e amministrazione della società affi dataria.<br />

Si confi gura, in tal modo, il controllo analogo necessario per la confi gura-<br />

luce come nella società a responsabilità limitata, lo statuto è di per sé potenzialmente aperto<br />

ad ogni possibile soluzione tendente, secondo i casi, ad enfatizzare l’infl uenza gestionale del<br />

socio pubblico; IBBA, Società pubbliche e riforma del diritto societario, in Riv. soc., 2005, 11 ss.,<br />

il quale evidenzia come l’elevatissimo grado di autonomia statutaria riconosciuto alle s.r.l. le<br />

conferisce una maggiore fl essibilità e, quindi, una maggiore adattabilità alle esigenze del caso<br />

concreto, incluse quelle proprie <strong>delle</strong> società pubbliche; BANCI, La nuova s.r.l. e società miste, in<br />

La nuova s.r.l. a cura di Farina, Ibba, Racugno, Serra, 465 ss.; DEMURO, La compatibilità del diritto<br />

societario con il modello in <strong>house</strong> providing per la gestione dei servizi pubblici locali, in questa<br />

rivista, 2006, 780 ss.<br />

31 Il legislatore ha inteso enfatizzare la compenetrazione tra la qualità di socio e la funzione amministrativa,<br />

con conseguente spostamento dell’accento dal ruolo di semplice socio a quello<br />

di socio gestore. Cfr. BENAZZO, (nt. 28), 810.<br />

32 SANTUS, DE MARCHI, Sui «particolari diritti» del socio nella nuova srl., in Riv. not., 2004, 2004, 75<br />

ss.<br />

33 PICCIAU, (nt. 28), 246-247, il quale ammette la possibilità che lo statuto preveda la clausola che<br />

attribuisca al socio un potere di controllo e vigilanza, che potrebbe includere il diritto di avere<br />

una specifi ca ed analitica comunicazione preventiva od informazione approfondita sulle operazioni<br />

prima che siano decise.<br />

- 60 -


zione dell’approvvigionamento in <strong>house</strong>, allorché non sussisterebbe alcuna<br />

autonomia decisionale in capo agli amministratori di fronte alle direttive gestionali<br />

del socio pubblico 34 .<br />

In particolare, ai sensi di quanto previsto dall’art. 2479, comma 3, c.c. queste direttive<br />

potranno effi cacemente essere impartite anche in via extra-assembleare 35 .<br />

Si tratta, dunque, di una sorta di direzione e coordinamento “in senso forte”,<br />

in base <strong>alla</strong> quale l’amministrazione, per il tramite dei suoi organi, eserciterebbe<br />

un potere di gestione della società, non solo analogo, ma per certi<br />

versi equivalente a quello esercitato sui propri uffi ci.<br />

Con riferimento alle società degli enti locali la direttiva extra-assembleare<br />

consentirebbe al Sindaco o al Presidente della <strong>Provincia</strong> di tradurre nell’ambito<br />

della vita societaria gli “indirizzi da osservare da parte <strong>delle</strong> aziende<br />

pubbliche e degli enti dipendenti, sovvenzionati o sottoposti a vigilanza”,<br />

previsti tra gli atti fondamentali del Consiglio dell’Ente Locale dall’art. 42,<br />

comma 2, lett. g) del D.Lgs. n. 267/2000.<br />

Si realizza, in sostanza, una linea di sviluppo <strong>delle</strong> strategie che parte dall’organo<br />

assembleare del Comune o della <strong>Provincia</strong>, la quale viene ad essere<br />

trasposta nelle strategie della società partecipata mediante atti di “gestione”<br />

dell’amministrazione-socio e, quindi, tradotta in misure concrete da parte<br />

degli amministratori della società. Questi ultimi, privati della competenza<br />

esclusiva nella gestione di cui all’art. 2380-bis, risultano dotati di una ristrettissima<br />

autonomia decisioria.<br />

La fl essibilità della società a responsabilità limitata rispetto <strong>alla</strong> società per<br />

azioni consentirebbe, allora, di risolvere anche la questione della confi gurazione<br />

del rapporto in <strong>house</strong> nelle ipotesi di società a capitale pubblico composito,<br />

quali ad esempio le c.d. società multicomunali, in cui si riscontrano<br />

partecipazioni non determinanti ai fi ni del controllo della società stessa. Infatti,<br />

l’art. 2468 c.c. consente una regolamentazione statutaria che realizza<br />

34 MALTONI, (nt. 28), 1832; PICCIAU, (nt. 28), 246; ZANARONE, (nt. 28), 87; IBBA, (nt. 28), 17, il quale trae da<br />

questo potere argomenti per sostenere la derogabilità della disposizione contenuta nell’art.<br />

2479, comma 1, c.c., anche se evidenzia non pochi profi li di problematicità in ordine <strong>alla</strong> vincolatività<br />

di tali direttive e conseguente irresponsabilità degli amministratori.<br />

35 BENAZZO, (nt. 28), 810. Sul punto, in generale, vedi SALAFIA, L’assemblea dei soci nella società a<br />

responsabilità limitata, in Società, 2005, 823-824.<br />

- 61 -


una sorta di “dominanza a geometria variabile”, nella quale gli indirizzi nella<br />

gestione vengono esercitati in relazione al socio committente dell’attività<br />

imprenditoriale.<br />

6. Conclusioni<br />

Alla luce di quanto detto, non è pienamente condivisibile l’opinione secondo<br />

la quale le società in <strong>house</strong> sono moduli gestionali di diritto speciale36 , laddove<br />

sul piano organizzativo, esse rappresentano modelli di organizzazione privatistica<br />

in tutto riconducibili al codice civile. L’auto-produzione, che abilita al<br />

superamento dell’obbligo della gara pubblica, impone la confi gurazione di<br />

un particolare rapporto di direzione e coordinamento “in senso forte” che può<br />

trovare cittadinanza solo nello statuto della società a responsabilità limitata.<br />

36 Cfr. GUERRERA, (nt. 30), 682, il quale pone in luce che le società previste dall’art. 113, comma 5,<br />

lett. c) del D.lgs. n. 267/2000 sarebbero società speciali in quanto derogatorie del modello<br />

codicistico sia sotto il profi lo causale, in quanto, ferma restando l’esigenza di pareggio del bilancio,<br />

non potrebbero considerarsi chiamate ad attuare una gestione redditizia, cioè idonea<br />

a far conseguire la capitale investito una remunerazione in linea con il mercato; sia sotto il<br />

profi lo organizzativo in quanto, eccede giocoforza gli ordinari schemi del concorso del socio<br />

nell’attività sociale. Tale seconda aff ermazione non sembra condivisibile, anche se occorre sottolineare<br />

che l’a. si riferisce alle società azionarie, le quali per quello che si è evidenziato nel testo<br />

non sembra che possano ancora legittimamente trovare spazio nell’ambito <strong>delle</strong> gestioni<br />

in <strong>house</strong>.<br />

- 62 -


Ciò posto, anziché forzare lo schema della società per azioni, inventando<br />

meccanismi di governo sconosciuti 37 e giustifi candoli in ragione del carat-<br />

37 Appare quanto meno discutibile la legittimazione che la giurisprudenza amministrativa<br />

ha riconosciuto a forme di coordinamento extra assembleare in presenza di società per<br />

azioni multicomunali. In tal senso, vedi TAR Friuli Venezia Giulia, 15 luglio 2005, n. 634, in Foro<br />

amm. TAR, 2005, 1934, con nota di LOLLI, secondo il quale «In base all’art. 113, 5º comma, lett. c)<br />

D.lgs. 18 agosto 2000 n. 267, è legittimo l’affi damento diretto di un pubblico servizio disposto<br />

da un comune a favore di una società a capitale integralmente pubblico della quale il comune<br />

detiene una partecipazione di minoranza (nel caso di specie, l’otto per cento), nel caso che il<br />

controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi sia garantito da un apposito organo, nel<br />

quale sono rappresentati tutti gli enti locali che partecipano <strong>alla</strong> società (nel caso di specie,<br />

un’assemblea di coordinamento intercomunale, con competenze e poteri di ingerenza rispetto<br />

al funzionamento della società)».<br />

Tale soluzione è stata seguita da altre società pubbliche locali. A titolo esemplifi cativo si può<br />

riportare la norma dello statuto di una società per la gestione del servizio di raccolta e smaltimento<br />

rifi uti di un ATO siciliano:<br />

«Art. 16-bis - Diritti di controllo degli enti locali soci sulla società e sui servizi pubblici ad essa<br />

affi dati - Le modalità del controllo nei confronti della società da parte degli Enti locali soci ai<br />

sensi dell’art. 113, comma 5°, lett. c) del D.Lgs. n. 267 del 20000, sono disciplinate in apposita<br />

convenzione conclusa tra i predetti enti locali ed esercitate a mezzo dell’Assemblea dì coordinamento<br />

intercomunale.<br />

Al fi ne dell’esercizio da parte degli enti locali del controllo di cui al comma precedente, gli organi<br />

sociali, per quanto di rispettiva competenza, sono tenuti: 1) ad inviare, al fi ne della relativa<br />

ap<strong>prova</strong>zione, all’Assemblea di coordinamento intercomunale il piano industriale e gli altri<br />

eventuali documenti di tipo programmatico, nonché gli atti previsti dall’art. 6 dello Statuto,<br />

ed il piano tariff ario; 2) ad inviare, al fi ne della relativa ap<strong>prova</strong>zione. <strong>alla</strong> predetta Assemblea<br />

coordinamento intercomunale il bilancio di esercizio; 3) ad inviare <strong>alla</strong> Assemblea di coordinamento<br />

intercomunale la relazione cui all’art. 2409-ter, comma 2° c.c. appena depositata<br />

nella sede della società; 4) ad inviare senza ritardo, anche su richiesta di essa, gli ulteriori atti<br />

indispensabili <strong>alla</strong> Commissione - nominata dall’Assemblea di coordinamento intercomunale<br />

ai sensi della sopra ricordata convenzione stipulata tra gli enti locali soci al fi ne della verifi ca,<br />

anche sotto il profi lo della effi cacia, effi cienza ed economicità della gestione, dello stato di attuazione<br />

degli obiettivi risultanti dagli atti di programmazione ap<strong>prova</strong>ti d<strong>alla</strong> società e d<strong>alla</strong><br />

Assemblea di coordinamento intercomunale.<br />

La trasmissione di tutti gli atti sopra ricordati avviene anche al fi ne di consentire agli Enti locali<br />

soci di assumere le relative determinazioni in ordine allo svolgimento dei propri servizi pubblici<br />

a mezzo di(….)s.pa.<br />

Pertanto gli atti di cui ai precedenti n. 1) e n. 2) devono essere trasmessi e ap<strong>prova</strong>ti d<strong>alla</strong> Assemblea<br />

di Coordinamento intercomunale prima della defi nitiva ap<strong>prova</strong>zione da parte degli<br />

organi sociali.<br />

- 63 -


tere speciale <strong>delle</strong> società a capitale pubblico, sembra più corretto ricono<br />

scere in altre sedi il rilievo pubblicistico che importa l’applicazione di <strong>regole</strong><br />

speciali, ad esempio, nel carattere pubblico <strong>delle</strong> risorse impiegate.<br />

Il rapporto in <strong>house</strong>, come disegnato d<strong>alla</strong> giurisprudenza comunitaria va<br />

semplicemente confi gurato come un particolare modello di governo societario<br />

dal quale, come si è avuto modo di evidenziare, non possono essere<br />

dedotti alcuni elementi in ordine <strong>alla</strong> natura giuridica <strong>delle</strong> società, che sono<br />

e restano soggetti privati.<br />

L’Assemblea di coordinamento intercomunale nell’esercizio del potere di controllo di cui all’art.<br />

113 comma 5 lett. c) del D.Lgs. n. 267 del 2000, formula pareri, esprime atti di indirizzo<br />

politico - programmatico, assume decisioni vincolanti per gli organi gestionali della società.<br />

Almeno ogni semestre, il Presidente e l’Amministratore Delegato di (…) s.p.a. espongono apposita<br />

relazione davanti all’Assemblea di coordinamento intercomunale avente per oggetto<br />

la gestione dei servizi pubblici svolti da …) s.p.a. nonché l’andamento generale dell’amministrazione<br />

della Società.<br />

La società é tenuta a svolgere i servizi pubblici rientranti nel relativo oggetto sociale esclusivamente<br />

sulla base di disciplinari (contratti di servizio) aventi contenuti ap<strong>prova</strong>ti preventivamente<br />

dagli enti locali.<br />

Gli amministratori e il collegio sindacale sono tenuti a collaborare, anche tramite la comunicazione<br />

dei dati che vengano richiesti, al fi ne di consentire il completo controllo del singolo ente<br />

locale su ciascun servizio da esso affi dato <strong>alla</strong> società, a tal fi ne gli amministratori possono<br />

anche convocare la assemblea della società al fi ne di sottoporre <strong>alla</strong> ap<strong>prova</strong>zione degli enti<br />

locali soci gli atti che hanno maggiore rilievo nella gestione della società e dei servizi pubblici<br />

ad essa affi dati».<br />

Occorre rilevare che tale norma non è stato presentata dal notaio per la registrazione al Tribunale<br />

ai sensi e per gli eff etti dell’art. 2436 c.c. in quanto comporta la creazione di Organo<br />

(Assemblea di Coordinamento intercomunale) non previsto dalle norme che regolano le s.p.a.,<br />

di cui peraltro non è specifi cata né la funzione, né la composizione, né il quorum costitutivo,<br />

né il quorum deliberativo. Tale Organo, nella previsione statuaria, verrebbe in pratica ad avere<br />

nella previsione Statutaria verrebbe ad avere poteri di controllo così penetranti ed invasivi da<br />

espropriare l’Assemblea dei Soci della funzione che per legge e per Statuto le è propria e cioè<br />

l’ap<strong>prova</strong>zione del bilancio. Ma soprattutto in quanto lo stesso Organo verrebbe a limitare e<br />

condizionare l’operato del Consiglio di Amministrazione, che si ridurrebbe quindi quasi ad un<br />

mero esecutore materiale di attività gestionale della società e come tale irresponsabile nei<br />

confronti di terzi: in pratica al Consiglio di Amministrazione rimarrebbe la responsabilità civile<br />

e penale nei confronti dei soci e dei terzi per atti gestionali che sono stati infl uenzati, condizionati,<br />

condizionati o addirittura dettati da Organi esterni all’attività gestionale e comunque<br />

non previsti dalle norme che regolano la vita <strong>delle</strong> società per azioni; la riforma societaria, al<br />

contrario, ha ampliato i poteri degli amministratori.<br />

- 64 -


- 65 -<br />

Roberto Mangani<br />

Grandi Ferrovie S.p.a., Roma<br />

LE PROBLEMATICHE OPERATIVE DELL’IN HOUSE<br />

SOMMARIO: 1. Premessa. - 2. Presupposti e condizioni legittimanti l’in <strong>house</strong> providing.<br />

- 3. Le scelte del legislatore italiano (cd. Decreto Bersani). - 4. Società in<br />

<strong>house</strong> e organismi di diritto pubblico. - 5. La fi gura societaria quale modulo organizzativo.<br />

1. Premessa<br />

Il fenomeno dell’in <strong>house</strong> providing e in particolare la possibilità di confi gurarlo<br />

legittimamente nel caso in cui il soggetto affi datario della prestazione<br />

sia costituito in forma societaria, continua ad essere al centro del dibattito<br />

dottrinario e giurisprudenziale, nonché oggetto di costante attenzione degli<br />

operatori.<br />

Si tratta di un tema “trasversale”, in cui molteplici e interessanti problematiche<br />

giuridiche si intrecciano con questioni che attengano <strong>alla</strong> politica<br />

industriale e, più in generale, agli assetti sociali, politici ed economici del<br />

“sistema paese”.<br />

Dal punto di vista dell’inquadramento giuridico, l’interesse (e la complessità)<br />

del tema deriva dal fatto che vengono contestualmente in considerazione<br />

profi li di diritto comunitario, diritto amministrativo e diritto societario. E tali<br />

profi li si intrecciano e si sovrappongono in un quadro che spesso, proprio<br />

per questa sua caratteristica, stenta a trovare una sua coerenza complessiva.<br />

Dal punto di vista politico – istituzionale, basta considerare che sullo sfondo<br />

si intravede il tema “nobile” dello spazio che deve essere occupato dal<br />

potere pubblico nell’assetto economico complessivo, con la tradizionale<br />

contrapposizione tra una visione che tende a privilegiare un intervento<br />

pubblico di tipo regolatore e quella che invece, a determinate condizioni,


considera legittimo e perfi no opportuno che l’organizzazione pubblica si<br />

strutturi anche in termini di “autoproduzione” di determinati servizi e prestazioni.<br />

Ma si intravede anche l’aspetto meno “nobile” di resistenze al cambiamento<br />

dettate d<strong>alla</strong> volontà di mantenere – specie a livello di autonomie<br />

locali - situazioni monopolistiche che hanno il solo scopo di garantire spazi<br />

di mera occupazione del potere 1 .<br />

Seppure queste considerazioni fuoriescono da un’analisi strettamente<br />

giuridica del fenomeno dell’in <strong>house</strong>, ignorare totalmente tale contesto<br />

di riferimento rischia di lasciare incompiuta la suddetta analisi. Anzi, come<br />

emergerà meglio dallo sviluppo del ragionamento, ad avviso di chi scrive<br />

alcune questioni giuridiche possono trovare una corretta impostazione solo<br />

se inquadrate <strong>alla</strong> luce <strong>delle</strong> scelte politico – amministrative che vi si accompagnano.<br />

Come detto all’inizio, il tema dell’in <strong>house</strong> ha assunto negli ultimi tempi un<br />

rilievo assolutamente centrale in relazione alle questioni inerenti la possibilità<br />

di darne concreta attuazione attraverso il ricorso al modello societario.<br />

Questa particolare prospettazione che ha assunto il tema non deve meravigliare.<br />

Nel momento in cui la giurisprudenza comunitaria ha a suo tempo<br />

aperto una breccia in merito <strong>alla</strong> possibilità di ammettere un affi damento diretto<br />

di una prestazione da parte di un ente pubblico a favore di un soggetto<br />

che, pur essendo da esso formalmente distinto, poteva in qualche modo<br />

ricondursi <strong>alla</strong> sua organizzazione complessiva, si sono oggettivamente precostituite<br />

le condizioni per un successivo sviluppo del fenomeno.<br />

E, in questo percorso di progressiva espansione, una <strong>delle</strong> evoluzioni che<br />

poteva apparire più naturale era proprio quella relativa all’affi damento in<br />

<strong>house</strong> a favore di società. Ne sono derivati da un lato, il diff ondersi di una<br />

prassi tendente a fare largo ricorso all’affi damento in <strong>house</strong> a favore di soggetti<br />

societari; dall’altro, il tentativo di dare anche una copertura legislativa<br />

1 La <strong>prova</strong> di quanto il tema sia sensibile tanto alle diverse concezioni di politica economica<br />

che agli interessi organizzati degli enti locali è off erta d<strong>alla</strong> complessa discussione che fi n dall’inizio<br />

ha accompagnato il DDL n. 772 contenente la Delega al Governo per la riforma dei<br />

servizi pubblici locali (c.d. DDL Lanzillotta). Non è un caso che tale DDL rappresenti uno dei<br />

provvedimenti dove stanno emergendo, con plastica evidenza, le diverse sensibilità politiche<br />

presenti nell’attuale maggioranza di governo, che peraltro si uniscono alle forme di pressione<br />

provenienti da una larga rappresentanza degli enti locali a difesa proprio della formula dell’affi<br />

damento in <strong>house</strong>.<br />

- 66 -


a questa prassi, almeno per ciò che concerne il settore dei servizi pubblici<br />

locali 2 .<br />

Come spesso avviene quando le prassi si istituzionalizzano, l’uso dello strumento<br />

ha dato luogo anche a distorsioni ed abusi. E, di fronte a questo uso<br />

disinvolto, è scattata una reazione di rigetto che, paradossalmente, ha trovato<br />

il principale protagonista proprio in quello stesso giudice comunitario<br />

<strong>alla</strong> cui elaborazione si deve la creazione “pretoria” dell’istituto. Si è passati<br />

così da una posizione di totale apertura a una di sostanziale chiusura, con<br />

una serie di decisioni in cui spesso la correttezza della ricostruzione giuridica<br />

è sembrata cedere il passo a considerazioni di opportunità politica.<br />

In questo contesto generale, il presente intervento è incentrato sull’analisi<br />

<strong>delle</strong> problematiche più propriamente operative dell’in <strong>house</strong>. E’ tuttavia<br />

evidente che gli aspetti operativi non possono prescindere dal quadro normativo<br />

e giurisprudenziale esistente, che forma oggetto specifi co degli altri<br />

interventi di questa giornata di studio.<br />

Sia pure cercando di evitare sovrapposizioni e ripetizioni con il contenuto<br />

<strong>delle</strong> altre relazioni, è giocoforza riprendere alcuni principi e concetti generali<br />

che emergono specie d<strong>alla</strong> più recente elaborazione giurisprudenziale.<br />

Tenendo conto di questi principi e concetti, gli aspetti operativi verranno<br />

analizzati sotto un duplice profi lo. Il primo è un profi lo che potremmo defi -<br />

nire “interno”, in quanto attinente ai rapporti tra ente pubblico affi dante e<br />

società affi dataria; il secondo è un profi lo “esterno”, relativo ai rapporti tra<br />

la società e i soggetti terzi. Si tratta peraltro di profi li strettamente interconnessi<br />

e che tuttavia, per una maggiore chiarezza espositiva, possono essere<br />

analizzati distintamente.<br />

2. Presupposti e condizioni legittimanti l’in <strong>house</strong> providing<br />

Sotto il profi lo interno, la questione fondamentale che viene in considerazione<br />

riguarda la stessa confi gurabilità dell’in <strong>house</strong> a favore di società, ovvero<br />

l’individuazione <strong>delle</strong> condizioni che, sulla base dell’attuale stato della<br />

giurisprudenza e della normativa comunitaria e nazionale, devono ricorrere<br />

2 E’ noto che il TU sulle autonomie locali, D.lgs. 267/2000, prevede all’articolo 113, tra le varie<br />

forme di gestione del servizio pubblico locale, anche quella operata tramite affi damento a<br />

società a capitale misto (lettera b) o a totale partecipazione pubblica (lettera c).<br />

- 67 -


affi nché si possa legittimamente procedere all’affi damento di prestazioni<br />

da parte di un ente pubblico a favore di un soggetto costituito in forma<br />

societaria.<br />

Ma tale questione non esaurisce l’analisi del profi lo interno. Infatti, in stretta<br />

correlazione e come diretta conseguenza della posizione che si viene ad assumere<br />

su questo tema di fondo, si delinea la diversa problematica relativa<br />

all’individuazione <strong>delle</strong> modalità attraverso cui si devono concretamente atteggiare<br />

i rapporti tra l’ente pubblico affi dante (ma anche socio) e la società<br />

affi dataria. E la defi nizione di tali modalità – come vedremo – dà luogo a una<br />

serie di problemi operativi di non facile soluzione.<br />

Posta in questi termini, la questione può apparire oscura. Per cercare di fare<br />

luce, occorre tentare di dipanare una matassa che, in prima battuta, si presenta<br />

piuttosto intricata. E, per farlo, conviene partire da un dato che può<br />

ormai considerarsi assodato.<br />

Tale dato consiste nella constatazione che la possibilità di confi gurare gli affi<br />

damenti in <strong>house</strong> a favore di soggetti costituiti in forma societaria ha trovato<br />

negli ultimi tempi molti ostacoli in primo luogo in sede di giurisprudenza<br />

comunitaria e successivamente anche da parte del giudice nazionale.<br />

E’ risaputo che, a partire d<strong>alla</strong> celeberrima sentenza Tekal del 9 settembre<br />

1999, le condizioni individuate per ritenere legittimo l’affi damento in <strong>house</strong><br />

sono di due tipi : a) una condizione di tipo “funzionale”, rappresentata d<strong>alla</strong><br />

necessità che l’ente pubblico affi dante eserciti sul soggetto affi datario un<br />

“controllo analogo” a quello che esercita sui propri servizi; b) una condizione<br />

di tipo “operativo”, consistente nello svolgimento della parte principale<br />

dell’attività del soggetto affi datario a favore dell’ente affi dante.<br />

Con riferimento all’ipotesi in cui il soggetto affi datario agisca in forma societaria,<br />

il dibattito si è concentro sulla prima <strong>delle</strong> due condizioni indicate. Il<br />

punto centrale di tale dibattito si può riassumere in una domanda: é possibile<br />

confi gurare la sussistenza di un “controllo analogo” nei confronti di un<br />

soggetto come quello societario, caratterizzato da una connaturale sfera di<br />

autonomia gestionale?<br />

Contro questa possibilità é stata proposta una lettura secondo cui la nozione<br />

di controllo analogo dovrebbe implicare l’esistenza, nei rapporti tra ente<br />

controllante/affi dante e soggetto controllato, di una situazione di stretta dipendenza<br />

gerarchica e funzionale, del tutto simile a quella che sussiste nei<br />

- 68 -


confronti <strong>delle</strong> articolazioni organizzative interne all’ente stesso 3 .<br />

E’ evidente che qualora si ritenesse che il controllo analogo debba esprimersi<br />

attraverso una relazione di questo tipo, sarebbe esclusa <strong>alla</strong> radice<br />

la possibilità di confi gurarlo nei confronti di una realtà societaria. E ciò perchè<br />

il modello societario, per sua intrinseca natura, trova la sua disciplina in<br />

un’insieme di <strong>regole</strong> che, per quanto possano essere “piegate” alle esigenze<br />

del socio pubblico, non potranno mai limitare l’autonomia decisionale e gestionale<br />

della società fi no al punto di ricreare una relazione così stringente<br />

con l’ente pubblico di riferimento.<br />

Ed in eff etti, le pronunce del giudice comunitario che si sono occupate del<br />

tema hanno assunto una posizione via via più restrittiva proprio perché si<br />

sono focalizzate su questo profi lo. E incentrando l’analisi su questo aspetto<br />

hanno fi nito per imboccare una strada in qualche modo obbligata, che non<br />

poteva che portare a bocciare ogni possibilità di confi gurare l’in <strong>house</strong> a<br />

favore di soggetti costituiti in forma societaria (con soci pubblici e privati).<br />

La prima espressione di questo processo di progressiva involuzione verso<br />

la formula dell’in <strong>house</strong> a favore di società è costituita d<strong>alla</strong> sentenza Stadt<br />

Hall dell’11 gennaio 2005 che ha ritenuto illegittimo l’affi damento a favore<br />

di una società al cui capitale partecipi, sia pure in posizione di minoranza,<br />

un socio privato. In questo caso, la Corte di giustizia ha aff ermato che la<br />

presenza, accanto al socio pubblico di maggioranza, di un partner privato<br />

rende impossibile confi gurare da parte del primo il controllo analogo sulla<br />

società.<br />

Le ragioni sostanziali addotte a sostegno di questa conclusione sono di due<br />

tipi. La prima è che consentendo l’affi damento diretto (in <strong>house</strong>) a favore<br />

della società mista si fi nirebbe per attribuire al socio privato di minoranza<br />

una posizione di vantaggio rispetto agli altri operatori del settore, senza che<br />

3 Il Consiglio di Stato, già con l’Ordinanza del 22 aprile 2004, n. 2316 della Sezione V, aveva<br />

posto il dubbio se il possesso anche dell’intero capitale sociale della società affi dataria da parte<br />

dell’ente pubblico affi dante potesse di per sé garantire quella situazione di dipendenza<br />

organica che sembra essere richiesta affi nché si possa invocare la sussistenza del “controllo<br />

analogo” nei termini indicati d<strong>alla</strong> precedente giurisprudenza comunitaria.<br />

- 69 -


ciò abbia trovato giustifi cazione nello svolgimento di un precedente confronto<br />

concorrenziale 4 .<br />

Questa prima obiezione non sembra peraltro rivestire un carattere insormontabile.<br />

Se infatti si imponesse la scelta del partner privato tramite una<br />

procedura ad evidenza pubblica, si potrebbe quanto meno discutere sulla<br />

possibilità di superare la censura avanzata d<strong>alla</strong> Corte di Giustizia sotto questo<br />

profi lo.<br />

Ma è la seconda ragione addotta dal giudice comunitario che sembra delineare<br />

una bocciatura senza appello dell’in <strong>house</strong> a favore di una società<br />

mista. Secondo la Corte di Giustizia, infatti, la presenza del partner privato<br />

nella compagine sociale introdurrebbe un interesse di tipo privatistico inconciliabile<br />

con il pieno dispiegamento del potere di intervento e di direzione<br />

del socio pubblico necessario affi nché si possa confi gurare il controllo<br />

analogo 5 .<br />

In sostanza, la semplice presenza del socio privato sarebbe da considerare<br />

“inquinante” 6 , proprio perché portatrice di interessi naturalmente ed inevitabilmente<br />

confl iggenti con quelli del socio pubblico. E questa oggettiva<br />

confl iggenza renderebbe di per sé impossibile delineare quella situazione<br />

di sostanziale compenetrazione tra il socio ente pubblico e la società che<br />

sarebbe necessaria per legittimare l’affi damento in <strong>house</strong>.<br />

4 Si legge al punto 51 della pronuncia che “l’attribuzione di un appalto pubblico a una società<br />

mista pubblico- privata senza far appello <strong>alla</strong> concorrenza pregiudicherebbe l’obiettivo di una<br />

concorrenza libera e non falsata ed il principio della parità di trattamento degli interessati<br />

contemplato d<strong>alla</strong> direttiva 92/50, in particolare nella misura in cui una procedura siff atta offrirebbe<br />

ad un’impresa privata presente nel capitale della detta società un vantaggio rispetto<br />

ai suoi concorrenti”.<br />

5 “La partecipazione, anche minoritaria, di un’impresa privata al capitale di una società <strong>alla</strong> quale<br />

partecipi anche l’amministrazione aggiudicatrice in questione, esclude in ogni caso che tale<br />

amministrazione possa esercitare su detta società un controllo analogo a quello che essa esercita<br />

sui propri servizi “ (punto 49). E ciò in quanto “qualunque investimento di capitale privato<br />

in un’impresa obbedisce a considerazioni proprie degli interessi privati e persegue obiettivi di<br />

natura diff erente (dal perseguimento degli obiettivi di intesse pubblico)” (punto 50).<br />

6 Vedi in Giustamm.it, A. CLARIZIA, Il privato inquina: gli affi damenti in <strong>house</strong> solo a società a<br />

totale partecipazione pubblica.<br />

- 70 -


Si deve peraltro rilevare che, quasi contestualmente a questa decisione del<br />

giudice comunitario, il giudice nazionale si era espresso in termini diame<br />

tralmente opposti, ritenendo del tutto legittimo l’affi damento in <strong>house</strong> a<br />

favore di una società a partecipazione mista pubblico – privata 7 .<br />

Al di là di questo contrasto – e senza soff ermarsi su una puntuale analisi critica<br />

di alcuni passaggi contenuti nella decisione della Corte UE - non si può<br />

fare a meno di osservare che una soluzione così drastica sembra contraddire<br />

quella posizione di apertura che in sede comunitaria è stata più volte aff ermata<br />

verso le forme di partenariato pubblico - privato.<br />

Ritenere che la presenza del soggetto privato sia ontologicamente incompatibile<br />

con il pieno e soddisfacente perseguimento dell’interesse pubblico<br />

signifi ca, nei fatti, bocciare tutte quelle formule organizzative in cui il potere<br />

pubblico e l’imprenditore privato, invece di porsi in una logica di pura (e tradizionale)<br />

contrapposizione, tendono a cooperare in una diversa logica che<br />

mira a comporre i relativi interessi per il perseguimento di un fi ne comune.<br />

Come se ciò non fosse suffi ciente, a questo primo orientamento restrittivo<br />

relativo alle società miste ha fatto successivamente seguito un’ulteriore<br />

chiusura, che ha riguardato l’in <strong>house</strong> a favore di società a totale partecipazione<br />

pubblica. La sentenza Parking Brixen del 13 ottobre 2005 ha infatti<br />

ritenuto illegittimo l’affi damento operato dall’ente pubblico/ socio a favore<br />

di una società di cui il primo detenga l’intero capitale.<br />

Il giudice comunitario ha in questa occasione indicato una serie di ragioni<br />

che, a suo avviso, rendevano illegittimo l’affi damento in <strong>house</strong> 8 . E nell’elencare<br />

tale ragioni, è andato a toccare inevitabilmente il cuore del problema.<br />

Nella citata pronuncia si individuano infatti, tra gli ostacoli <strong>alla</strong> possibilità di<br />

consentire l’affi damento in <strong>house</strong>, l’esistenza di ampi poteri gestionali esercitabili<br />

in via autonoma dal Consiglio di amministrazione della società. Ma<br />

7 Consiglio di Stato, Sez. V, 3 marzo 2005, n. 272. Mette effi cacemente in luce la contraddittorietà<br />

<strong>delle</strong> due decisioni quasi contestuali della Corte di giustizia e del Consiglio di Stato,<br />

G. MARCHEGGIANI, Gli affi damenti in <strong>house</strong> e la sindrome del cavallo a dondolo. Sentenze a<br />

confronto, in Giustamm.it<br />

8 I profi li che sarebbero di ostacolo all’esercizio del controllo analogo vengono così individuati<br />

nella pronuncia del giudice comunitario: a) la natura di società per azioni del soggetto affi datario,<br />

conseguente <strong>alla</strong> sua trasformazione da azienda speciale; b) la particolare estensione<br />

dell’oggetto sociale; c) la prevista apertura del capitale della società a soggetti terzi, d) l’espansione<br />

territoriale dell’attività della società; e) gli ampi poteri gestionali conferiti al consiglio di<br />

amministrazione.<br />

- 71 -


così facendo si mette “sotto accusa”, ritenendolo un elemento preclusivo<br />

<strong>alla</strong> possibilità dell’affi damento in <strong>house</strong>, uno dei tratti caratterizzanti e tipici<br />

del modello societario, e cioè l’esistenza di un organo di gestione chiamato<br />

ad operare in autonomia per il perseguimento dell’oggetto sociale.<br />

La consapevolezza che l’iter argomentativo sviluppato porta inevitabilmente<br />

a ritenere l’affi damento in <strong>house</strong> ontologicamente incompatibile con il<br />

modello societario emerge peraltro anche in un passaggio della richiamata<br />

pronuncia, laddove viene aff ermato che tra le ragioni che rendono impraticabile<br />

l’esercizio da parte dell’ente pubblico del controllo analogo vi è proprio<br />

“la trasformazione (del soggetto affi datario) da azienda speciale in una<br />

società per azioni e la natura di questo tipo di società”.<br />

E’ proprio <strong>alla</strong> luce <strong>delle</strong> argomentazioni sviluppate nella predetta sentenza<br />

che è sembrato inevitabile parlare di un vero e proprio “de profundis” per<br />

l’in <strong>house</strong> a favore di soggetti costituiti in forma societaria 9 .<br />

Peraltro, questa posizione di netta chiusura ha trovato successive conferme<br />

non solo da parte dello stesso giudice comunitario 10 , ma anche in alcune<br />

importanti pronunce della giurisprudenza nazionale. Signifi cativo sul punto<br />

è il cambiamento di posizione operato dal Consiglio di Stato.<br />

In un primo tempo, infatti, il massimo organo di giustizia amministrativa si<br />

era mostrato possibilista in merito <strong>alla</strong> legittimità dell’affi damento in <strong>house</strong><br />

a favore di una società totalmente partecipata dall’ente pubblico affi dante.<br />

Si era cioè ritenuto che, nel momento in cui nella società non vi fosse la<br />

presenza di un partner privato, potesse riespandersi quella piena dominanza<br />

dell’ente pubblico necessaria per confi gurare la sussistenza del controllo<br />

analogo e per legittimare, di conseguenza, l’affi damento in <strong>house</strong> 11 .<br />

Ma a seguito della sentenza Parking Brixen anche il Consiglio di Stato ha<br />

abbandonato questa iniziale posizione aperturista e si è adeguato alle conclusioni<br />

del giudice comunitario 12 .<br />

9 Vedi in Giustamm.it, A. CLARIZIA, La Corte suona il de profundis per l’in <strong>house</strong><br />

10 Da ultimo, Corte di Giustizia, 11 maggio 2006, C 340/04, in Urbanistica e appalti n. 9/2006, con<br />

commento di P. LOTTI, Corte di Giustizia e involuzione dell’in <strong>house</strong> providing<br />

11 In questo senso Cons. Stato, Sez. V, 22 dicembre 2005, n.7345 (di data successiva ma redatta<br />

prima della sentenza Parking Brixen)<br />

12 Vedi Consiglio di Stato, Sez. V, 13 luglio 2006, n. 4440. Nello stesso senso si esprime la recentissima<br />

sentenza del Consiglio di Stato, Sez. VI, 3 aprile 2007, n. 1514<br />

- 72 -


Il risultato ultimo è che il panorama giurisprudenziale allo stato assolutamente<br />

dominante porta a concludere nel senso dell’illegittimità di qualunque<br />

affi damento in <strong>house</strong> a favore di società, ancorché a totale partecipazione<br />

pubblica. Detto in altri termini, la semplice posizione di socio, anche<br />

se totalitario, non consentirebbe all’ente pubblico di esercitare sulla società<br />

il c.d controllo analogo e, quindi, di confi gurare quella sostanziale identifi -<br />

cazione tra affi dante e affi datario che è l’unica condizione che consente di<br />

far luogo all’affi damento senza il previo svolgimento di una ordinaria procedura<br />

di gara.<br />

3. Le scelte del legislatore italiano (cd. Decreto Bersani)<br />

E’ in questo contesto, non certo favorevole al fenomeno dell’in <strong>house</strong> a favore<br />

di società, che si inserisce il decreto Bersani (d.l. 4 luglio 2006 n. 223,<br />

convertito con lievi modifi che nella l. 4 agosto 2006 n. 248). L’articolo 13<br />

di tale decreto sembra fi nalizzato a un duplice obiettivo. Da un lato, evitare<br />

che il fenomeno dia luogo a palesi eff etti distorsivi della concorrenza,<br />

limitando una prassi che negli ultimi anni ha portato spesso ad alterazioni<br />

del mercato e ad una mancata apertura di determinati settori al confronto<br />

competitivo. Dall’altro lato, il decreto sembra volersi fare carico anche della<br />

necessità di non precludere in assoluto l’utilizzo da parte degli enti pubblici<br />

di questo modello organizzativo che, nel ricorso di determinate condizioni,<br />

può comunque costituire una risposta valida in termini di maggiore effi -<br />

cienza gestionale per lo svolgimento di determinati servizi e prestazioni che<br />

l’ente deve garantire nell’assolvimento dei suoi compiti istituzionali.<br />

In questo delicato gioco di equilibri, il decreto Bersani si muove in una logica<br />

che va nella direzione di un totale cambiamento di prospettiva rispetto ai<br />

termini in cui il dibattito si è sviluppato fi no ad oggi. Così, mentre tutto il<br />

problema si è sostanzialmente concentrato, come abbiamo visto, sulla prima<br />

<strong>delle</strong> condizioni che legittimerebbero l’affi damento in <strong>house</strong>, e cioè la<br />

sussistenza del controllo analogo, l’articolo 13 focalizza tutta la sua attenzione<br />

sulla seconda condizione: lo svolgimento della parte principale dell’attività<br />

del soggetto affi datario a favore dell’ente affi dante.<br />

Sotto questo profi lo, anzi, il decreto Bersani detta una disciplina ancora più<br />

rigorosa rispetto agli stessi orientamenti della giurisprudenza comunitaria.<br />

Viene infatti previsto che la società debba svolgere tutta la sua attività – e<br />

- 73 -


non solo la parte principale della stessa - a favore dell’ente pubblico socio.<br />

In sostanza, tutta la fi losofi a della disciplina introdotta si fonda sul concetto<br />

di “esclusività”. La società deve agire in esclusiva per l’ente pubblico di riferimento,<br />

deve cioè operare solo per quest’ultimo, senza poter <strong>alla</strong>rgare il suo<br />

ambito di attività su mercati diversi 13 .<br />

L’obiettivo di questa impostazione appare chiaro. Se la società opera solo<br />

per l’ente pubblico di riferimento, è più agevole ricondurre la stessa a una<br />

sorta di longa manus dell’ente medesimo. Viene cioè evidenziata la sussistenza<br />

di quella situazione di sostanziale identifi cazione tra ente pubblico<br />

e società per cui, pur trattandosi di soggetti formalmente e giuridicamente<br />

distinti, essi possono essere ricondotti a una matrice comune che ne esalta<br />

la sostanziale unitarietà sotto il profi lo organizzativo.<br />

Al di là del suo specifi co ambito applicativo – che esclude in particolare tutto<br />

il settore dei servizi pubblici locali – è evidente che l’intento del decreto<br />

Bersani sembra quello di disegnare un nuovo modello dell’in <strong>house</strong> a favore<br />

di società 14 .<br />

Tale modello è tutto volto a esaltare la funzione “servente” della società rispetto<br />

all’ente pubblico socio. Stabilire che la società non può svolgere le<br />

sue prestazioni a favore di soggetti diversi dall’ente pubblico (o dagli enti<br />

pubblici) che partecipa (o partecipano) al suo capitale signifi ca nella sostanza<br />

confi gurare la stessa come una struttura organizzativa che, per quanto<br />

dotata di una propria autonomia giuridica e di <strong>regole</strong> di funzionamento proprie,<br />

è posta all’esclusivo servizio dell’ ente pubblico socio.<br />

Da un punto di vista di ricostruzione del quadro complessivo del fenomeno,<br />

questo modello può risultare funzionale al tentativo di giungere a una<br />

riconsiderazione della posizione tradizionalmente negativa assunta d<strong>alla</strong><br />

13 L’articolo 13 contiene anche una disciplina molto dettagliata di diritto transitorio, fi nalizzata a<br />

prevedere i meccanismi attraverso cui assicurare il perseguimento dell’obiettivo dell’esclusività<br />

per le società già operanti <strong>alla</strong> data di entrata in vigore del decreto.<br />

14 Peraltro, il modello fondato sul concetto di “esclusività” dell’attività, da svolgere cioè unicamente<br />

a servizio dell’ente locale di riferimento, viene riproposto anche nel DDL Lanzillotta,<br />

dove é esplicitamente previsto che le società a totale partecipazione pubblica affi datarie in via<br />

diretta della gestione del servizio pubblico locale “non possono svolgere, né in via diretta, né<br />

partecipando a gare, servizi o attività per altri enti pubblici o privati “ (art. 2, comma 1, lettera<br />

d), ultimo periodo). Sembra quindi evidente che il legislatore nazionale abbia scelto questa<br />

strada come quella da perseguire in tutti i casi si ipotizzano affi damenti in <strong>house</strong> a favore di<br />

soggetti societari.<br />

- 74 -


giurisprudenza in merito al profi lo del c.d. “controllo analogo” nei rapporti<br />

tra ente pubblico e società da questi partecipata.<br />

In sostanza, il valore dirimente attribuito al concetto di “esclusività” potrebbe<br />

rappresentare il “cavallo di troia” attraverso cui tentare di abbattere la<br />

fortezza che nega la possibilità di confi gurare un controllo analogo nell’ipotesi<br />

in cui il soggetto controllato sia costituito in forma societaria.<br />

Va peraltro tenuto presente che già in alcuni passaggi della nostra giurisprudenza<br />

amministrativa - almeno prima della recente svolta restrittiva<br />

– era stata messa in luce la necessità che, rispetto <strong>alla</strong> formula societaria,<br />

il concetto di controllo analogo fosse interpretato con quegli adattamenti<br />

necessari per renderlo coerente con le peculiarità dello strumento 15 .<br />

La fi losofi a di fondo di questa posizione è evidente: non si può pensare di<br />

richiedere, nei confronti di un soggetto societario, un potere di intervento<br />

così penetrante da contrastare irrimediabilmente con i principi fondamentali<br />

che regolano il funzionamento <strong>delle</strong> società.<br />

Se dunque si parte dall’assunto che anche il concetto di controllo analogo va<br />

adattato alle tipicità proprie del modulo societario, è proprio il riferimento<br />

<strong>alla</strong> condizione di “esclusività” dell’attività svolta che può aiutare a costruire<br />

un diverso percorso argomentativo.<br />

E questo diverso percorso parte da un primo presupposto: se la società opera<br />

in via esclusiva per l’ente pubblico di riferimento, si elimina la possibilità<br />

che, attraverso la sua presenza su mercati diversi, si producano eff etti distorsivi<br />

della concorrenza.<br />

E’ infatti indubbio che consentire a un soggetto che gode di una mercato<br />

in qualche modo “protetto” – quale è quello conseguente all’affi damento<br />

fi duciario ricevuto dall’ente pubblico di riferimento – di concorrere anche<br />

per l’affi damento di contratti di competenza di altri soggetti pubblici, signifi<br />

ca porre questo soggetto in una posizione di oggettivo vantaggio rispetto<br />

ai concorrenti.<br />

15 Di notevole interesse sono alcune aff ermazioni contenute nella sentenza 7345/2005 del Consiglio<br />

di Stato, sopra ricordata , laddove si evidenzia “che l’adozione nel diritto comunitario<br />

della fi gura societaria, come strumento alternativo <strong>alla</strong> prestazione diretta di servizi pubblici,<br />

impone di risolvere il problema del “controllo analogo” secondo un criterio coerente con la<br />

peculiarità dell’istituto in questione… E’ quindi da escludere, in linea di principio, che il diritto<br />

comunitario possa imporre un modello che riproduca, tra amministrazione e società affi dataria,<br />

quella forma di dipendenza che è tipica degli uffi ci interni all’ente”.<br />

- 75 -


Ma se questa possibilità viene eliminata, proprio sancendo il principio dell’esclusività<br />

<strong>delle</strong> prestazioni nei termini sopra ricordati, ecco che, sotto il<br />

profi lo della tutela della concorrenza, un primo signifi cativo risultato viene<br />

raggiunto.<br />

4. Società in <strong>house</strong> e organismi di diritto pubblico<br />

L’altro aspetto che necessariamente deve venire in considerazione in un’ottica<br />

che tende a “salvare” lo strumento dell’in <strong>house</strong> a favore di società attiene<br />

<strong>alla</strong> necessità che esso non si trasformi in un meccanismo elusivo <strong>delle</strong><br />

<strong>regole</strong> concorrenziali.<br />

Questo aspetto chiama in causa quello che, in apertura <strong>delle</strong> presenti note,<br />

è stato individuato come il secondo profi lo sotto cui possono essere esaminate<br />

le problematiche operative dell’in <strong>house</strong>, e cioè i rapporti “esterni” tra<br />

la società e i soggetti terzi.<br />

A questo proposito, occorre essere chiari. La società in <strong>house</strong> può provvedere<br />

<strong>alla</strong> materiale esecuzione <strong>delle</strong> prestazioni che rientrano nel suo campo<br />

di attività attraverso due modalità. La prima è tutta “interna”, nel senso<br />

che passa per la creazione di un’organizzazione strutturale della società che<br />

permette <strong>alla</strong> stessa di far fronte ai propri compiti esclusivamente con i suoi<br />

uffi ci e le sue articolazioni produttive.<br />

La seconda modalità comporta invece che le prestazioni da eseguire siano<br />

affi date, in tutto o in parte, a soggetti terzi. In questa ipotesi, appare indubbio<br />

che la società, per la scelta degli appaltatori chiamati materialmente a<br />

eseguire le prestazioni di beni, servizi o lavori debba necessariamente espletare<br />

procedure ad evidenza pubblica.<br />

Questa conclusione trova la sua ragione sotto un duplice profi lo. In primo<br />

luogo, la società in parola, per le sue caratteristiche, appare catalogabile nell’ambito<br />

di quelle fi gure che, pur non essendo amministrazioni pubbliche<br />

nel senso tradizionale del termine, sono ormai equiparate a tutti gli eff etti<br />

a queste ultime per ciò che concerne le <strong>regole</strong> da seguire nel procedere<br />

all’affi damento degli appalti.<br />

Ci si riferisce alle categorie soggettive <strong>delle</strong> società con capitale pubblico<br />

anche non maggioritario che producono beni e servizi non destinati ad essere<br />

collocati sul mercato in regime di libera concorrenza (art. 32 del Codice<br />

dei Contratti pubblici); <strong>delle</strong> società per la gestione dei servizi pubblici locali<br />

- 76 -


(sempre art. 32 citato); <strong>delle</strong> imprese pubbliche (art. 207); dei soggetti titolari<br />

di diritti speciali o esclusivi (art. 207); per fi nire <strong>alla</strong> controversa nozione di<br />

organismo di diritto pubblico (art. 32).<br />

In sostanza, le società in <strong>house</strong> sembrano potersi ricondurre, ai fi ni della normativa<br />

sugli appalti pubblici, a una di quelle fi gure soggettive con cui - al di<br />

là della diffi coltà che talora sussistono nel defi nirne gli esatti contorni – il<br />

legislatore ha nella sostanza voluto attrarre nell’ambito della committenza<br />

pubblica tutti quei soggetti che collaborano all’assolvimento di funzioni<br />

pubblicistiche.<br />

A questa prima considerazione ne va aggiunta una seconda. Proprio al fi ne<br />

di evitare ogni possibilità elusiva, si è andato nel tempo consolidando un<br />

principio generale, ormai pacifi camente riconosciuto, secondo cui quando<br />

un soggetto agisce quale longa manus di un ente pubblico, deve applicare<br />

per la scelta del contraente le stesse <strong>regole</strong> che avrebbe dovuto applicare<br />

l’ente di riferimento.<br />

E nella confi gurazione che, secondo la ricostruzione indicata, viene ad assumere<br />

la società in <strong>house</strong>, non è dubitabile che essa vada considerata a tutti<br />

gli eff etti proprio come una longa manus dell’ente pubblico di riferimento.<br />

5. La fi gura societaria quale modulo organizzativo<br />

Delineati i caratteri della società in <strong>house</strong> nei termini anzidetti, in un conteso<br />

cioè di sostanziale salvaguardia <strong>delle</strong> ragioni della concorrenza, si<br />

pongono le premesse per impostare in termini diversi anche la questione<br />

relativa al c.d. controllo analogo.<br />

Se non vi sono più ragioni sostanziali per temere che lo strumento societario<br />

– e il relativo affi damento diretto operato a suo favore – si possa confi<br />

gurare come uno strumento elusivo <strong>delle</strong> <strong>regole</strong> concorrenziali, si riapre<br />

lo spazio per dare una lettura meno restrittiva della nozione di controllo<br />

analogo applicata al modello societario.<br />

In questa logica, si potrebbe ritenere che la qualità di azionista unico, magari<br />

accompagnata da puntuali clausole statutarie relative al funzionamento<br />

della società o da strumenti esterni consistenti in specifi che convezioni<br />

tra ente pubblico e società ( 16 ), possa eff ettivamente portate a confi gurare<br />

16 Tra le possibili clausole statutarie, particolare rilevo può assumere quella che consente, in base<br />

<strong>alla</strong> previsione contenuta all’articolo 2364, punto 5, del codice civile, di condizionare all’autorizzazione<br />

dell’assemblea il compimento di determinati atti da parte degli amministratori. Per<br />

- 77 -


la sussistenza di un controllo analogo del socio pubblico sulla società da<br />

esso totalmente partecipata. E, di conseguenza, legittimare l’affi damento<br />

in <strong>house</strong> a favore di quest’ultima.<br />

Del resto, l’ordinamento comunitario non impone un obbligo di “esternalizzazione”<br />

a carico dei committenti pubblici, nel senso che questi non<br />

sono tenuti a provvedere all’assolvimento dei loro compiti istituzionali<br />

procedendo necessariamente all’affi damento all’esterno <strong>delle</strong> prestazioni<br />

funzionali a tale assolvimento. E’ del tutto legittimo, cioè, che possano<br />

scegliere di operare attraverso la propria organizzazione interna, senza<br />

che ciò possa essere considerata un’indebita restrizione del mercato.<br />

Nel contempo, lo stesso ordinamento comunitario riconosce agli Stati<br />

membri un’ampia autonomia nella scelta <strong>delle</strong> modalità organizzative con<br />

cui operare. Ed allora, non sembra che la formula organizzativa societaria<br />

debba essere necessariamente vista con sfavore, se il suo utilizzo è accompagnato<br />

dalle cautele necessarie a salvaguardare i principi generali della<br />

concorrenzialità.<br />

E’ in questo contesto che la possibilità di ammettere l’affi damento in <strong>house</strong><br />

a favore di società potrebbe riprendere legittimo spazio almeno per<br />

l’ipotesi in cui la società sia a totale partecipazione pubblica. Mentre dubbi<br />

più consistenti rimangono rispetto alle società miste, in cui la presenza del<br />

partner privato incontra comunque quelle obiezioni di fondo già avanzate<br />

nella sentenza Stadt Hall e che appaiono diffi cilmente superabili anche in<br />

un’ottica di rivisitazione del quadro complessivo di riferimento.<br />

L’ipotesi ricostruttiva sopra delineata - basata sulla valorizzazione del requisito<br />

della “esclusività” cui si accompagna una rilettura della nozione di “controllo<br />

analogo” applicata al modello societario - potrebbe dunque consentire<br />

di superare la posizione di pregiudiziale sfavore che negli ultimi tempi si<br />

un’analisi approfondita degli strumenti attraverso cui il socio ente pubblico può precostituire<br />

le condizioni per l’esercizio del controllo analogo nei confronti di una società di cui sia azionista,<br />

vedi in Giustamm.it, A. LIROSI, Affi damento in <strong>house</strong>: lo stato dell’arte della dottrina e<br />

giurisprudenza in materia di controllo analogo. Anche attraverso una puntuale ricostruzione<br />

<strong>delle</strong> più rilevanti pronunce giurisprudenziali sul tema, l’Autore distingue tra modelli di “controllo<br />

analogo interno”, basati cioè sull’inserimento nello statuto sociale di particolari clausole<br />

che attribuiscono al socio pubblico poteri di direzione e coordinamento sulla società; e modelli<br />

di “controllo analogo esterno”, in cui si tende a perseguire il medesimo risultato attraverso<br />

strumenti di natura amministrativa, posti quindi al di fuori dei meccanismi societari in sé considerati.<br />

- 78 -


è andata aff ermando rispetto all’in <strong>house</strong> a favore di società. Non ci si può<br />

nascondere, tuttavia, come la stessa faccia sorgere altri e rilevanti problemi,<br />

attinenti sempre al rapporto “interno” tra ente pubblico e società.<br />

Se infatti la confi gurabilità del “controllo analogo” passa necessariamente<br />

per l’introduzione di clausole statutarie o addirittura di strumenti convenzionali<br />

esterni che hanno la fi nalità di limitare l’autonomia gestionale<br />

dell’organo di amministrazione, si pone la necessità di analizzare se, ed<br />

eventualmente in che termini, questo approccio provochi ricadute sul fi -<br />

siologico funzionamento dell’organismo societario, fi no al punto di poter<br />

stravolgere le <strong>regole</strong> fondamentali del diritto societario.<br />

Il tema è evidentemente molto complesso, ed esige un esame approfondito<br />

dei diversi problemi, che necessita di uno sviluppo autonomo. In questa<br />

sede, non essendo possibile off rire un’analisi puntuale degli specifi ci problemi,<br />

ci si può limitare a indicare la questione di fondo nel cui ambito essi<br />

vanno collocati.<br />

Tale questione è collegata al fatto che, laddove si inseriscono dei meccanismi<br />

di “tutela” dell’organo di gestione, ne esce automaticamente limitata<br />

l’autonomia decisionale degli amministratori della società. E questo può<br />

provocare un’alterazione, più o meno profonda, dei meccanismi che ordinariamente<br />

governano il funzionamento del modello societario.<br />

Tanto per fare un esempio, fi no a che punto potrebbe essere esercitata<br />

l’azione di responsabilità nei confronti degli amministratori di fronte a una<br />

“mala gestio”, laddove questa fosse dovuta al pedissequo rispetto di direttive<br />

e istruzioni impartite dall’ente pubblico socio nell’ambito di quei<br />

meccanismi che gli consentono di esercitare il c.d. “controllo analogo” ?<br />

Ovvero, senza arrivare a queste ipotesi estreme, si pensi a cosa potrebbe<br />

accadere in caso di un contenzioso tra l’ente pubblico socio e la società<br />

affi dataria relativo a un ritenuto non corretto adempimento <strong>delle</strong> prestazioni<br />

affi date. Gli amministratori potrebbero trovarsi nella non invidiabile<br />

situazione di dover difendere le ragioni della società contro le contestazioni<br />

mosse dal proprio azionista di riferimento.<br />

Questi problemi, solo accennati, evidenziano in realtà l’esistenza di un confl<br />

itto di interessi - che è latente ma rischia di emergere in ogni circostanza<br />

critica - in capo all’ente pubblico. Confl itto riportabile <strong>alla</strong> circostanza che<br />

quest’ultimo è contemporaneamente il “cliente” della società - <strong>delle</strong> cui<br />

prestazioni usufruisce - e il suo “proprietario”, in quanto azionista unico.<br />

- 79 -


E’ evidente che questa duplice veste rischia di creare una confusione di<br />

ruoli che fi nisce per essere deleteria per il corretto e lineare svolgimento<br />

dei rapporti. E in questo contesto, il punto di frizione trova la sua emblematica<br />

espressione proprio nella posizione degli amministratori della società,<br />

che possono trovarsi schiacciati tra l’esigenza di assolvere correttamente<br />

la loro funzione e quella di non andare contro la volontà del proprio azionista<br />

di riferimento.<br />

La possibilità di salvaguardare - nel ricorso di determinati presupposti e<br />

fermo restando le criticità da ultimo evidenziate – il modello dell’in <strong>house</strong><br />

a favore di società implica tuttavia l’analisi di un ulteriore profi lo, non sempre<br />

valutato in tutto il suo rilievo.<br />

La legittimità dell’affi damento in <strong>house</strong> passa infatti per la dimostrazione<br />

che il ricorso a questa modalità organizzativa per lo svolgimento di determinate<br />

prestazioni di competenza dell’ente pubblico risponde a una<br />

reale convenienza economica. Occorre ciò fugare ogni dubbio sul fatto<br />

che lo strumento societario possa essere utilizzato al solo fi ne di mantenere<br />

posizioni di “potere” nella gestione della cosa pubblica, senza alcun<br />

riferimento <strong>alla</strong> sua reale economicità gestionale.<br />

In questa logica, appare necessario che l’ente pubblico possa dimostrare<br />

e adeguatamente motivare nel senso che il modulo dell’in <strong>house</strong> a favore<br />

di una società da esso partecipata rappresenti il modello gestionale più<br />

conveniente, cioè quello che off re i risultati più vantaggiosi dal punto di<br />

vista economico – imprenditoriale. Solo ricorrendo questa condizione può<br />

essere giustifi cata la scelta di preferirlo alle altre modalità gestionali e, in<br />

particolare, a quella che passa per un affi damento all’esterno <strong>delle</strong> prestazioni<br />

a seguito di un’ordinaria procedura di gara.<br />

Sotto questo profi lo, appare particolarmente signifi cativa l’aff ermazione<br />

del principio secondo cui il rapporto tra ente pubblico affi dante e società<br />

in <strong>house</strong> affi dataria <strong>delle</strong> prestazioni non deve avere carattere oneroso. La<br />

mancanza di onerosità è collegata <strong>alla</strong> circostanza che nell’ambito dell’in<br />

<strong>house</strong> la società affi dataria non è un terzo in senso proprio, al pari di qualunque<br />

fornitore di servizi, ma un soggetto riconducibile <strong>alla</strong> sfera organiz-<br />

- 80 -


zativa dell’ente pubblico17 .<br />

Questo principio tende evidentemente a sottolineare che la società, per potersi<br />

legittimamente confi gurare come un braccio operativo dell’ente pubblico<br />

di riferimento, non deve ricevere alcun corrispettivo da cui ricavare<br />

il proprio utile industriale. La sua attività, cioè, deve essere compensata al<br />

solo fi ne di rimborsare i costi di gestione, che peraltro devono essere in linea<br />

con quelli di mercato. In sostanza, l’attività sociale non dovrebbe avere fi ni<br />

di lucro; il che, peraltro, riapre una discussione mai totalmente sopita sulla<br />

confi gurabilità di particolari modelli societari che si allontanano da quello<br />

tipico nella misura in cui non pongono la fi nalità lucrativa al centro dell’attività<br />

sociale.<br />

Al di là dell’ammissibilità di un inquadramento concettuale di questo tipo<br />

di società che la riporterebbe nell’ambito della controversa categoria <strong>delle</strong><br />

“società di diritto speciale”, la strada che passa per la dimostrazione della<br />

convenienza economica del modello gestionale fondato sull’in <strong>house</strong> a favore<br />

di società non è certo priva di diffi coltà.<br />

Tale strada, infatti, si trasforma in un sentiero molto stretto laddove la valutazione<br />

sulla scelta del modello gestionale operata dall’ente pubblico e<br />

sulle motivazioni che ne sono <strong>alla</strong> base viene a coinvolgere profi li che si<br />

pongono ai limiti di quello che viene tradizionalmente considerato il “merito”<br />

dell’azione amministrativa, come tale insindacabile in sede di giudizio<br />

di legittimità.<br />

In sostanza, nel momento in cui una <strong>delle</strong> condizioni per confi gurare il legittimo<br />

ricorso all’in <strong>house</strong> viene individuata nella dimostrazione della sua<br />

convenienza economica rispetto ad altri modelli gestionali, si fi nisce inevitabilmente<br />

per spingere il sindacato di legittimità sulle scelte compiute dall’ente<br />

pubblico ai confi ni del giudizio di merito.<br />

E’ di tutta evidenza che, in questa prospettiva, il problema assume dei contorni<br />

ancora più complessi, che chiamano in causa il delicato rapporto tra<br />

l’attività politico – amministrativa dell’ente pubblico e il controllo sull’azione<br />

amministrativa demandato agli organi giurisdizionali. Rapporto che rischia<br />

17 L’aspetto della necessaria mancanza di onerosità in relazione <strong>alla</strong> prestazione fornita d<strong>alla</strong><br />

società a favore dell’ente pubblico si trova aff ermato con chiarezza nelle conclusioni dell’Avvocato<br />

generale della Corte di Giustizia La Pergola, nella causa C – 360/96 BFI Holding. Tale<br />

aspetto è ripreso e sviluppato nei suoi eff etti conseguenti da A. PIAZZA, In <strong>house</strong> providing:<br />

assenza di terzietà e nuovi approcci interpretativi, in Rivista Trimestrale degli Appalti, 531,<br />

2006.<br />

- 81 -


di tradursi in un confl itto nel momento in cui venissero a sovrapporsi due<br />

sfere che dovrebbero invece rimanere totalmente autonome e distinte.<br />

Tuttavia, un indizio in ordine al fatto che quella descritta possa essere un’opzione<br />

dotata di una propria logica si rinviene proprio nel c.d. Ddl Lanzilotta<br />

sulla riforma dei servizi pubblici locali. L’articolo 2 di tale Ddl prevede infatti<br />

diverse modalità di gestione del servizio pubblico, tra cui viene ricompreso,<br />

sia pure quale eccezione <strong>alla</strong> regola, l’affi damento a società a capitale interamente<br />

pubblico, partecipata dall’ente locale affi dante 18 . Ma ciò che rileva ai<br />

nostri fi ni è la previsione contenuta <strong>alla</strong> lettera d) del comma 1, laddove viene<br />

precisato che per procedere a tale forma di affi damento in <strong>house</strong> l’ente<br />

locale debba adeguatamente motivare in ordine alle ragioni che inducono a<br />

optare per questo modello gestionale in luogo di quello dell’affi damento all’esterno<br />

tramite ordinarie gare ad evidenza pubblica. E – aspetto ancora più<br />

rilevante - questa motivazione implica una valutazione ponderata basata su<br />

un’analisi di mercato da cui emerga la necessità del ricorso <strong>alla</strong> gestione in<br />

<strong>house</strong> rispetto <strong>alla</strong> dimostrata inadeguatezza dell’off erta privata 19 .<br />

Anche sulla base di questa aff ermazione contenuta nel Ddl Lanzillotta, ci si<br />

può chiedere se l’ipotesi ricostruttiva delineata, per quanto presenti aspetti<br />

di notevole complessità, non possa rappresentare la base di un ragionamento<br />

volto a superare quella contrapposizione netta in <strong>house</strong> sì/in <strong>house</strong><br />

no in cui fi no ad oggi si è incanalato il dibattito.<br />

Si intende dire che, sulla base <strong>delle</strong> considerazioni svolte, si potrebbe tentare<br />

di impostare i termini del problema evitando di partire dal presupposto<br />

dell’esistenza del “modello”, unico e tipico, della società in <strong>house</strong>, su cui si<br />

debba esprimere una valutazione per così dire “ideologica”.<br />

Questa impostazione tradizionale del problema porta infatti ad abbracciare<br />

soluzioni giuridiche che rischiano di essere o troppo permissive, aprendo la<br />

18 Accanto <strong>alla</strong> società a totale partecipazione pubblica, è contemplato anche il modello della<br />

società mista pubblico – privata, nei cui confronti l’affi damento diretto è consentito sempre<br />

in via di eccezione <strong>alla</strong> regola. Per le società miste è peraltro stabilito che la scelta del partner<br />

privato debba avvenire tramite procedure competitive e che vadano individuate clausole<br />

statutarie idonee ad assicurare un’effi cace controllo pubblico della gestione del servizio e ad<br />

evitare possibili confl itti di interesse.<br />

19 Nello specifi co, viene previsto che tale analisi di mercato, che deve evidenziare la necessità<br />

della gestione diretta, sia soggetta a verifi ca da parte <strong>delle</strong> autorità nazionali di regolazione<br />

dei servizi di pubblica utilità competenti per settore ovvero, ove non costituite, dall’Autorità<br />

garante della concorrenza e del mercato.<br />

- 82 -


strada all’elusione <strong>delle</strong> <strong>regole</strong> concorrenziali; o, viceversa, eccessivamente<br />

restrittive, con l’eff etto di apparire inutilmente penalizzanti anche in quei<br />

casi in cui l’affi damento in <strong>house</strong> a favore società può rappresentare un utile<br />

ed effi cace strumento gestionale a disposizione dell’ente pubblico.<br />

Superare questa impostazione signifi ca aderire a una visione sostanzialistica,<br />

in cui l’affi damento in <strong>house</strong> può essere considerato opportuno e legittimo<br />

tutte le volte in cui ricorrano condizioni di garanzia in relazione a tre<br />

fondamentali profi li: a) i rapporti esistenti con l’ente pubblico di riferimento,<br />

confi gurati in termini di eff ettiva compenetrazione organizzativa tra ente e<br />

società; b) i rapporti con il mercato esterno, che assicurino il rispetto <strong>delle</strong><br />

<strong>regole</strong> concorrenziali nel momento in cui la società si rivolge a soggetti terzi<br />

per acquisirne le prestazioni; c) l’esistenza di un’evidenza motivazionale che<br />

permetta all’ente pubblico di dimostrare l’economicità della scelta eff ettuata.<br />

Restano naturalmente sullo sfondo le questioni collegate <strong>alla</strong> confi gurazione<br />

di una società che, per le sue caratteristiche strutturali, si discosta nel suo<br />

funzionamento ma prima ancora nelle sue fi nalità dal modello societario<br />

tipico disciplinato da codice civile. Questioni che se vanno sicuramente affrontate<br />

con il necessario rigore, non sembra debbano tuttavia rappresentare<br />

una valida ragione per negare <strong>alla</strong> radice la confi gurabilità stessa dell’affi -<br />

damento in <strong>house</strong> a favore di soggetti societari.<br />

- 83 -


APPENDICE<br />

Sul sito web dell’Osservatorio di diritto comunitario e nazionale sugli appalti pubblici<br />

www.jus.unitn.it/appalti sono disponibili gli atti, le sentenze e le disposizioni<br />

normative commentate nel corso dei Seminari.<br />

Principali atti <strong>delle</strong> Istituzioni <strong>comunitarie</strong><br />

- Risoluzione del 26 ottobre 2006 sui Partenariati pubblico - privati e il diritto<br />

comunitario degli appalti pubblici e <strong>delle</strong> concessioni (2006/2043)(INI)<br />

- Comunicazione del 15 novembre 2005 recante il Rapporto sulla consultazione<br />

pubblica sul Libro verde relativo ai partenariati pubblico privati ed al diritto<br />

comunitario degli appalti pubblici e <strong>delle</strong> concessioni, COM/2005/629<br />

- Libro Verde del 30 aprile 2004 relativo Ai partenariati pubblico - privati ed al<br />

diritto comunitario degli appalti pubblici e <strong>delle</strong> concessioni, COM/2004/327<br />

def.<br />

- Comunicazione del 29 aprile 2000 sulle Concessioni nel diritto comunitario, in<br />

G.U. C 121 del 29 aprile 2000<br />

- Libro Bianco dell’1 marzo 1998 su Gli appalti pubblici nell’Unione Europea,<br />

COM/98/ 143 def.<br />

Giurisprudenza comunitaria<br />

- Corte di Giustizia, 6 aprile 2006, C-410/04, Anav<br />

- Corte di giustizia 11 maggio 2006, C-340/04, Carbotermo<br />

- Corte di Giustizia 10 novembre 2005, C-25/2004, Modling<br />

- Corte di Giustizia, 13 ottobre 2005, C-458/2003, Parking Brixen<br />

- Corte di Giustizia, 11 gennaio 2005, C-26/03, Stadt Halle<br />

- Corte di Giustizia 21 luglio 2005, C-231/2003, Coname<br />

- Corte di giustizia 10 aprile 2003, C-20/01 e C-28/01, Comm. v. Germania,<br />

- Corte di giustizia 22 maggio 2003, C-18/01, Korhonen Oy<br />

- Corte di giustizia 13 gennaio 2003, C-84/03, Commissione v. Spagna<br />

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- Corte di Giustizia, 27 febbraio 2003, C-373/2000, Adolf Truley Gmbh<br />

- Corte di Giustizia, 7 dicembre 2000 C-324/98, Telaustria<br />

- Corte di Giustizia, 7 dicembre 2000, C-94/99, ARGE<br />

- Corte di giustizia 3 ottobre 2000, C-380/98, University of Cambridge<br />

- Corte di giustizia 12 dicembre 2000, C-470/99, Universale-Bau<br />

- Corte di Giustizia, 9 settembre 1999, C-108/98, RI.SAN<br />

- Corte di Giustizia, 18 novembre 1999, C-107/98, Teckal Srl<br />

- Corte di Giustizia, 10 novembre 1998, C-360/96, Arnhem<br />

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COLLANA “QUADERNI DEL CDE”<br />

1. La tutela <strong>delle</strong> minoranze etnico-linguistiche in relazione <strong>alla</strong> rappresentanza politica:<br />

un’analisi comparata<br />

2. Le professioni turistiche nell’ottica comunitaria<br />

3. Euro: una sfi da per la pubblica amministrazione<br />

4. L’accesso ai documenti amministrativi nella prospettiva comunitaria<br />

5. Cooperative, associazioni e mutue nelle normative e nelle politiche della comunità<br />

europea<br />

6. Accesso alle fonti informative <strong>comunitarie</strong><br />

7. Opportunità di cofi nanziamento comunitario nel settore dell’ambiente<br />

8. Documento elettronico e fi rma digitale<br />

9. Gioventù - il programma Europeo per l’educazione non formale e la mobilità internazionale<br />

10. La Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea<br />

11. Programma comunitario “Cultura 2000”<br />

12. Disciplina comunitaria in materia di aiuti di Stato<br />

13. Il sistema degli aiuti di Stato nella politica di concorrenza dell’Unione Europea<br />

14. La produzione della normativa comunitaria<br />

15. Il nuovo Programma Quadro dell’Unione Europea per la ricerca<br />

16. La concorrenza nei servizi pubblici di trasporto<br />

17. Il Libro Bianco sulla Governance Europea: nuove prospettive <strong>comunitarie</strong> dell’autonomia<br />

trentina<br />

18. L’Unione Europea e la “questione regionale”. Quali orientamenti nella Convenzione<br />

per una Costituzione europea?<br />

19. Le politiche europee in materia di cooperazione con i paesi terzi: processi, prospettive,<br />

opportunità<br />

20. Il futuro dell’Unione europea dopo il V <strong>alla</strong>rgamento<br />

21. Gli strumenti tematici all’interno <strong>delle</strong> politiche europee di cooperazione con i<br />

paesi terzi<br />

22. Via Claudia Augusta. Sulle tracce degli imperatori<br />

23. Gare d’appalto: come redigere un’off erta e gestire un contratto di fi nanziamento<br />

della Commissione europea<br />

24. L’energia costa?... Risparmiare si può<br />

25. La tutela del contraente debole nei rapporti tra imprese<br />

26. Società pubblico-private e procedure di affi damento. L’in <strong>house</strong> <strong>alla</strong> <strong>prova</strong> <strong>delle</strong><br />

<strong>regole</strong> <strong>comunitarie</strong><br />

Le pubblicazioni sono disponibili su Internet al seguente indirizzo:<br />

http://www.cde.provincia.tn.it, oppure si possono richiedere a:<br />

<strong>Provincia</strong> Autonoma di Trento,<br />

Centro di Documentazione Europea, via Romagnosi, 9<br />

38100 Trento, tel. 0461/495087-88, fax 0461/495095, mailto: cde@provincia.tn.it<br />

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Finito di stampare nel mese di marzo dell’anno 2008<br />

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