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CONNESSIONI LEGGENDARIE - Domenico Quaranta

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Adrian Ward<br />

Auto-Illustrator<br />

2001<br />

“Credo che dovremmo incorporare<br />

la nostra soggettività nei<br />

sistemi automatici, piuttosto che<br />

cercare ingenuamente di far sì<br />

che un robot abbia un proprio progetto<br />

creativo. Molti di noi lo<br />

fanno un giorno sì e un giorno no.<br />

Lo chiamiamo programmare.”<br />

Con queste parole il programmatore<br />

inglese Adrian Ward presentava<br />

nel 2001 Auto-Illustrator,<br />

una modificazione del noto programma<br />

della Adobe. Vincitore<br />

nello stesso anno del primo<br />

premio della categoria “software<br />

art” al festival Transmediale di<br />

Berlino, il programma di Ward pre-<br />

48<br />

senta la stessa interfaccia di<br />

Illustrator e, a riposo, è pressoché<br />

indistinguibile dall’originale.<br />

Tuttavia, basta cliccare su una<br />

delle icone allineate nella barra<br />

degli strumenti per osservare<br />

dei fenomeni difficilmente<br />

riconducibili al software della<br />

casa madre. Ogni strumento<br />

genera infatti delle linee<br />

vettoriali, che producono a loro<br />

volta delle figure antropomorfe:<br />

il cerchio si trasforma nel volto<br />

sorridente di un bambino; il rettangolo<br />

diventa una casa; le forbici<br />

tagliano in modo del tutto<br />

arbitrario; il testo è una specie<br />

di macchina dadaista che sputa<br />

parole immaginarie.<br />

Questi risultati imprevisti<br />

mettono in crisi il rapporto di<br />

fiducia che abbiamo con l’interfaccia<br />

grafica svelando l’arbitrarietà<br />

delle metafore adottate da<br />

programmatori e disegnatori<br />

per descrivere certe funzioni.<br />

Per questa ragione la giuria di<br />

Transmediale premiava il<br />

software di Ward ricordando<br />

che “l’arte del software ci<br />

rende consapevoli che il codice<br />

digitale non è innocuo, non è<br />

limitato alla simulazione di altri<br />

strumenti, e che è di per sé un<br />

terreno per la pratica creativa.”<br />

[Marco Deseriis]<br />

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