Associazione Renato Caneva - Archiviostorico.Net
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essere estremamente precarie: i contadini erano costretti a vivere in case umide e malsane,<br />
con una alimentazione quasi sempre povera e “deficiente in qualità”.<br />
“In generale -continuava il relatore dell’Inchiesta Agraria -la carne e il riso compaiono raramente<br />
sul desco del contadino, il caffè è conosciuto come bevanda di lusso o medicinale. (...). Nel circondario<br />
di Novi il pane è misto con farina di frumento, veccie, fave, ceci e piselli; la pasta casalinga<br />
d’infima qualità con verdura serve per la minestra. Polenta e castagne sono i cibi prevalenti<br />
al monte, e quasi esclusivi per tutto l’anno nei tempi di carestia. Generale quantunque limitato è<br />
l’uso del vino. Nel circondario di Acqui l’alimentazione abituale e comune del contadino è la polenta,<br />
che viene preferita al pane anche nelle annate in cui il prezzo delle due derrate fosse uguale. Il<br />
vino, per lo meno vinello, è la bibita costante di tutti i contadini i quali sono generalmente parchi” 6 .<br />
Tuttavia, le rivendicazioni economiche e sociali maturarono lentamente. In particolare,<br />
fu solo verso la fine del primo decennio del Novecento che i mezzadri dell’Ovadese,<br />
gravati da crescenti spese per fronteggiare alcune malattie della vite - crittogama, peronospera<br />
e cochylis - entrarono in agitazione chiedendo una riforma, o quantomeno una<br />
revisione, dei patti di mezzadria. La questione si pose immediatamente anche sui giornali<br />
locali, da “Il Corriere delle Valli Stura e Orba” a “L’Ancora”, e anche sui giornali di<br />
Genova, come “Il Lavoro” e “Il Caffaro”, sviluppando un acceso dibattito. Nel 1907<br />
“circa cinquecento contadini capi-casa di mezzadria nel territorio ovadese” presentarono<br />
un sottoscrizione al Sindaco di Ovada per ottenere alcune modifiche dei patti di mezzadria.<br />
In sostanza, sulla base di alcune considerazioni, come l’aumento dei costi per<br />
fronteggiare la crittogama, la peronospera e la cochylis, l’aumento dei costi dello zolfo,<br />
dei solfati e dei costi di trasporto dell’uva (questi ultimi attribuiti al pessimo stato di<br />
manutenzione delle strade comunali, un vecchio retaggio dell’Ovadese) e “la consuetudine<br />
di valutare il prezzo delle uve corrisposte dai mezzadri ai proprietari sulla mercuriale<br />
di Acqui”, fatto che “non risponde ai concetti di equità essendo notoria la superiorità<br />
dei dolcetti ovadesi su quelli circonvicini”, i mezzadri ovadesi chiedevano<br />
“un’intesa sui seguenti punti:<br />
1. che i raccolti della mezzadria siano divisi fra le due parti per metà, restando<br />
così abolito il cosiddetto decimo sul raccolto dell’uva;<br />
2. che la spesa degli zolfi, solfati, ed altri rimedi per le malattie della vite, esistenti ed impreviste,<br />
sia a carico dei padroni, rimanendo ai mezzadri la mano d’opera; oppure in via subordinata, sia<br />
egualmente divisa la spesa della materia prima, come della mano d’opera;<br />
3. che sia abolito ai coloni l’onere della spesa dei trasporti dei raccolti, specie dell’uva, dalla<br />
cascina colonica all’abitazione del padrone, a meno che questa non trovisi nella stessa regione dove<br />
trovasi la mezzadria;<br />
4. che qualora si ritenga opportuno vendere al padrone la parte dell’uva del mezzadro, questa sia<br />
valutata al prezzo medio locale; in questo caso però la spesa della pesatura sia esclusivamente a<br />
carico del padrone;<br />
5. che i concimi provenienti da altra origine che dalla mezzadria siano condotti alla casa colonica<br />
esclusivamente a spese dei proprietari;<br />
6 Ibidem, p. 649 e segg.<br />
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