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La citt nel XX secolo: il successo infelice - Eddyburg

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addirittura a preconizzare la dissoluzione del concetto stesso di <strong>citt</strong>à (v. Tosi, 1987). Disagio<br />

conoscitivo o disagio ideologico? “<strong>La</strong> letteratura e <strong>il</strong> senso comune identificano per lungo tempo la<br />

<strong>citt</strong>à con la civ<strong>il</strong>tà e questa, in ispecie dalla modernità in poi, diviene sinonimo di progresso<br />

scientifico” (v. Mazzette, 1997, p. 123). I numerosi critici della modernità che questa fine di <strong>secolo</strong><br />

sta mob<strong>il</strong>itando tanto più sono efficaci <strong>nel</strong> prevedere o <strong>nel</strong> descrivere la “morte della <strong>citt</strong>à quanto<br />

più questa può essere elevata a simbolo di un continuo progredire di scienza e ragione, oggetti di<br />

fedi intiepidite per una certa parte del sentire comune. E tanto più una concezione forte dell’urbano<br />

può essere ritenuta improbab<strong>il</strong>e, forse anche inut<strong>il</strong>e sul piano esplicativo, quanto più la sua<br />

definizione diventa una cassetta di attrezzi concettuali e analitici genericamente disponib<strong>il</strong>i, ma<br />

poco affidab<strong>il</strong>i.<br />

Il fatto è che le classificazioni della <strong>citt</strong>à si moltiplicano proporzionalmente alla crescita del<br />

fenomeno urbano e della sua centralità <strong>nel</strong>la società contemporanea. <strong>La</strong> <strong>citt</strong>à non può più essere<br />

rappresentata come entità sociale a sé stante e non è più <strong>il</strong> solo luogo dell’urbanesimo, così come<br />

la <strong>citt</strong>à occidentale non è <strong>il</strong> punto conclusivo della storia dell’urbanizzazione: “Oggi l’intero<br />

pianeta sembra avviarsi - a poco più di cinque m<strong>il</strong>lenni dalla rivoluzione urbana - a costituire<br />

un’unica area urbanizzata <strong>nel</strong>la quale la <strong>citt</strong>à celebra <strong>il</strong> proprio trionfo, ma vede anche<br />

approssimarsi la fine dei suoi caratteri distintivi” (v. Ceri e Rossi, 1987, p. 575). Non soltanto<br />

bisogna tener conto dell’esistenza di “diverse” <strong>citt</strong>à pur all’interno di quel fenomeno “<strong>citt</strong>à che<br />

finora appariva universalmente condiviso, ma coesistono più <strong>citt</strong>à dentro ogni <strong>citt</strong>à, in particolare<br />

entro ogni <strong>citt</strong>à metropolitana. Infatti “all’interno della medesima esperienza di <strong>citt</strong>à, si sono<br />

creati mondi urbani indipendenti gli uni dagli altri [...] riconoscib<strong>il</strong>i in virtù della formazione di<br />

specifiche interazioni tra <strong>il</strong> corpo individuale, <strong>il</strong> corpo sociale e <strong>il</strong> corpo della <strong>citt</strong>à” (v. Mazzette,<br />

1998c, p. 123).<br />

Come sottolinea David Harvey (v., 1989), siamo noi abitanti e utenti a costruire, con le nostre<br />

azioni, una <strong>citt</strong>à e i suoi nuovi ritmi di vita, senza necessariamente sapere che cos’è la <strong>citt</strong>à tutta<br />

intera o cosa dovrebbe essere.<br />

<strong>La</strong> <strong>citt</strong>à, in gran parte del mondo, non si contrappone più alla campagna, perché si è come<br />

diffusa e dissolta <strong>nel</strong> territorio, occupandolo fisicamente e simbolicamente, affermandovi e<br />

riproducendovi i suoi modelli di comportamento e i suoi st<strong>il</strong>i di consumo, replicandovi la sua<br />

organizzazione dello spazio e la sua tipologia abitativa: verticalizzazione ed<strong>il</strong>izia, centri<br />

commerciali, megadiscoteche, ecc. “I curati non-luoghi autostradali, gli autogr<strong>il</strong>l, i caselli, i<br />

distributori-bazar, le piazzole di umanizzazione erano la prova, tangib<strong>il</strong>e e sovraregionale, della<br />

smisurata, onnipresente estensione della metropoli diffusa” (v. Desideri, 1997, p. 13). L’addizione<br />

compatta di migliaia di edifici di abitazione non rappresenta più la sola forma e <strong>il</strong> solo spazio urbano:<br />

la fitta rete di autostrade, superstrade, tangenziali, viadotti, svincoli, assi attrezzati stringe<br />

attorno ai nuclei urbani un territorio non più agricolo, ma già postindustriale, solcato in profondità<br />

dalla tecnologia. Anche là dove la campagna conserva tutti i segni della natura, essa è ormai<br />

oggetto di insediamenti e di forme spaziali organizzate, funzionalmente comprese <strong>nel</strong> sistema<br />

urbano-metropolitano: le cascine o le fattorie che diventano centri agrituristici, mescolando magari<br />

cavalli (reintrodotti in un’economia agricola meccanizzata), colture biologiche e vasche da bagno<br />

con idromassaggio; castelli e conventi che diventano alberghi di lusso o sedi prestigiose per<br />

convegni manageriali o di partito; interi paesi che diventano “albergo”, ambienti di particolare<br />

valore naturalistico e/o paesaggistico che diventano parchi nazionali o regionali, artificializzandosi<br />

(con percorsi guidati, supporti audiovisivi o di animazione, ecc.).<br />

Siamo quindi in presenza di un vero e proprio processo di esportazione dell’urbano verso <strong>il</strong><br />

non-urbano. Sembra sempre più astratto contrapporre alla <strong>citt</strong>à <strong>il</strong> vecchio concetto di campagna<br />

(secondo quel modello dualistico di divisione del lavoro proposto dalla teoria marxista della società<br />

e ripreso dalla sociologia classica). Infatti, <strong>il</strong> <strong>successo</strong> dell’urbano ha destrutturato <strong>il</strong> mondo<br />

territoriale, architettonico, economico, sociale che in passato era esterno - ed estraneo - alla <strong>citt</strong>à: al<br />

tentativo di reintrodurre la campagna <strong>nel</strong>la <strong>citt</strong>à attraverso l’acquisizione di nuovi grandi spazi<br />

verdi e la riqualificazione dei parchi pubblici non si è accompagnato un tentativo in direzione

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