La citt nel XX secolo: il successo infelice - Eddyburg
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<strong>La</strong> trasformazione metropolitana accompagna flessib<strong>il</strong>mente <strong>il</strong> passaggio dalla società<br />
industriale alla società postindustriale, inventando nuove soluzioni per rispondere ai bisogni di<br />
residenza, di lavoro, di consumo, di tempo libero, di comunicazione. <strong>La</strong> metropoli<br />
contemporanea è segnata da una frattura netta rispetto alla <strong>citt</strong>à industriale: “<strong>il</strong> territorio urbano<br />
non è più ordinab<strong>il</strong>e per funzioni corrispondenti a spazi prestab<strong>il</strong>iti [...] le funzioni fondamentali<br />
così come sono state sistematizzate per la <strong>citt</strong>à industriale dal Razionalismo [...] non solo non<br />
sono più individuab<strong>il</strong>i chiaramente, ma si è creato uno squ<strong>il</strong>ibrio interno, dovuto al fatto che le<br />
funzioni dell’abitare e del lavorare sono state perifericizzate, mentre quelle del circolare e del<br />
ricrearsi hanno acquisito una tale importanza da incidere pesantemente sullo spazio urbano ed<br />
extraurbano complessivamente inteso” (v. Mazzette, 1998b, p. 91). Ancora più radicalmente: “In<br />
realtà non c’è più territorio per la metropoli. Lo spazio non produce più l’abitare. Bauen, wohnen,<br />
denken, costruire, abitare, pensare si dissociano, si contraddicono, si combattono” (v. Tronti, 1998,<br />
p. 42). Meno drasticamente si può osservare che all’identità fondata sui luoghi - luoghi<br />
dell’abitare, del lavorare, del rappresentarsi - si sostituisce via via un’identità fondata sulle<br />
modalità specifiche del proprio consumo; e ogni struttura di localizzazione sfuma <strong>nel</strong>l’urgenza e<br />
<strong>nel</strong>la criticità dei problemi di attraversamento, di spostamento, di fruizione dei servizi nei nuovi<br />
tempi della quotidianità urbana.<br />
Nel nuovo ciclo capitalistico di produzione/distribuzione, la rete di sostegno della forma<br />
urbana è assicurata dal consumo e questo è movimento, variab<strong>il</strong>ità, mutamento, perché implica<br />
traffici e traffico. Così “la metropoli <strong>nel</strong>le sue dimensioni spaziali e temporali è sottoposta a<br />
un’alta flessib<strong>il</strong>ità e a processi dinamici in continuo mutamento, non prevedib<strong>il</strong>i e non ordinab<strong>il</strong>i<br />
a priori” (v. Mazzette, 1998b).<br />
In questi termini nuovi - così diversi da quell’immagine di <strong>citt</strong>à-fabbrica su cui si è attardata una<br />
riflessione sociologica di antiche memorie - la metropoli contemporanea contiene ogni possib<strong>il</strong>ità<br />
di conflitto e, insieme, di libertà. Il territorio metropolitano è <strong>il</strong> prodotto continuamente rinnovato<br />
dei desideri o dell’indifferenza del vivere di nuove figure sociali; è, <strong>nel</strong>lo stesso tempo, la forma<br />
spaziale che assume <strong>il</strong> conflitto tra i diversi percorsi individuali che attraversano la metropoli; è la<br />
forma irriducib<strong>il</strong>e della contingenza del presente di fronte al culto delle origini, delle identità<br />
storiche che possono essere reinventate secondo tracce e mappature che a esse conferiscono nuovi<br />
significati e valori d’uso.<br />
I grandi conflitti antagonistici incubati <strong>nel</strong>la prima <strong>citt</strong>à industriale restano sullo sfondo della<br />
metropoli contemporanea, occultati, se non rimossi, dalla molteplicità e dalla volub<strong>il</strong>ità dei<br />
conflitti che aggrediscono <strong>il</strong> tessuto sociale, incapaci di lacerarlo irrimediab<strong>il</strong>mente, ma al<br />
contempo non più governati da quel patto tra politica e spazio che aveva fondato la <strong>citt</strong>à come luogo<br />
della “legge” e della “conmenzione”: <strong>nel</strong>la metropoli postmoderna <strong>il</strong> noto aforisma citato da Weber,<br />
“L’aria della <strong>citt</strong>à rende liberi”, sembra assai lontano o, almeno, va interpretato in termini assai<br />
diversi.<br />
Metropoli è, <strong>nel</strong>l’epoca posturbana, <strong>il</strong> regno del solo ‘urbano’ possib<strong>il</strong>e, un urbano che anche sotto <strong>il</strong><br />
prof<strong>il</strong>o del progetto architettonico, del disegno fisico, ha scambiato la ricerca di senso con la<br />
provocazione dei sensi. L’architettura urbana sembra seguire - e vedremo in seguito che ciò<br />
rappresenta ben più che un’apparenza - le sorti della moda: abbandona le proprie categorie<br />
fondative tradizionali e si ridefinisce continuamente gettando sullo spazio sguardi obliqui e<br />
compositi come luci taglienti su un set cinematografico, cercando effetti, anche involontari,<br />
<strong>nel</strong> fantastico, <strong>nel</strong> visionario, <strong>nel</strong>l’esaltato, <strong>nel</strong>l’irrazionale. Global city (v. Sassen, 1991) e <strong>citt</strong>à<br />
diffusa come unica “<strong>citt</strong>à possib<strong>il</strong>e” (v. Indovina, 1992) appaiono i due fenomeni emergenti dalla<br />
dissoluzione della metropoli tradizionale.<br />
Si può dire per la metropoli quello che si è detto per l’urbano, anche se su scala diversa: “Persino<br />
la metropoli con <strong>il</strong> suo skyline prevalentemente verticale, con i suoi eccezionali tetti demografici,<br />
con i suoi più elevati coefficienti di occupazione del suolo, si distende su spazi sempre più ampi e<br />
abbraccia orizzonti sempre più estesi: fino al punto di generare una nuova forma urbana. L’area<br />
metropolitana - delimitata da zone limitrofe, anche extraurbane, collegate e interdipendenti per le