La citt nel XX secolo: il successo infelice - Eddyburg
La citt nel XX secolo: il successo infelice - Eddyburg
La citt nel XX secolo: il successo infelice - Eddyburg
Create successful ePaper yourself
Turn your PDF publications into a flip-book with our unique Google optimized e-Paper software.
prendessero per cautela psicologica le distanze rispetto ai vincoli e ai possib<strong>il</strong>i rischi,<br />
rifiutandone la paternità e la responsab<strong>il</strong>ità. E come se la consapevolezza di questo destino, delle<br />
sue incognite e delle sue sfide, producesse un forte sentimento di inadeguatezza e la vergogna di<br />
fronte a tale inadeguatezza portasse al fatalismo o alla ribelle negazione. Nei confronti della <strong>citt</strong>à<br />
gli uomini osc<strong>il</strong>lano tra la negazione del <strong>successo</strong> (la tesi della morte della metropoli) e la sua<br />
psicologicizzazione (l’enfatizzazione delle grandi paure urbane).<br />
<strong>La</strong> mitologia dell’antiurbanesimo nasce sul terreno del continuo conflitto tra natura e cultura di<br />
cui gli uomini sono partecipi in maniera ambigua. Socrate <strong>nel</strong> Fedro risponde all’amico che lo<br />
rimprovera di non uscire quasi mai fuori dalle mura della <strong>citt</strong>à: “Perdona me, buon uomo: io sono<br />
uno che ha amore per imparare; or i paesi, gli alberi, non mi vogliono insegnare nulla; gli uomini<br />
sì”. Città-civ<strong>il</strong>tà: Socrate esprime <strong>il</strong> pensiero fondante di questo percorso. Ma la realtà non è sempre<br />
collocab<strong>il</strong>e entro questo rassicurante divenire, non per tutti, almeno; non per coloro che vivono <strong>nel</strong>la<br />
paura e <strong>nel</strong>la schiavitù, non per coloro che pagano subito i costi della nascita o della trasformazione<br />
della <strong>citt</strong>à e che ne avranno, forse molto più in là, i benefici.<br />
L’antichità, che con l’invenzione della <strong>citt</strong>à ha sottratto lo spazio al disordine della natura, non<br />
può ignorare che <strong>il</strong> “dentro” della <strong>citt</strong>à è sempre aggredito e spesso invaso dal disordine che viene<br />
dal “fuori”; non ci sono mura sufficientemente alte e spesse che un cavallo di Troia non possa attraversare<br />
col suo carico di violenza e di distruzione. Da qui l’immagine, tramandata dai testi sacri<br />
come dai miti prestorici, delle <strong>citt</strong>à sante e delle <strong>citt</strong>à maledette: le une prosperano<br />
<strong>nel</strong>l’abbondanza e <strong>nel</strong>la felicità, sono governate da sovrani giusti e sapienti offerti<br />
all’ammirazione del mondo intero che a esse invia i pellegrini di speranza, gli assetati di sapere, i<br />
bisognosi di giustizia; le altre sono inferno di abominio e di corruzione, destinate alla rovina<br />
sotto i colpi della collera divina.<br />
Cambia la <strong>citt</strong>à <strong>nel</strong>la dissoluzione del mondo antico e cambiano i sentimenti dell’urbano. Alle<br />
soglie dell’età moderna si afferma in Europa l’esigenza di una forma permanente, la “<strong>citt</strong>à ideale”,<br />
in cui geometria e f<strong>il</strong>osofia, accresciuta cultura visiva e potere del principe si saldano in un<br />
progetto politico che è insieme organizzazione razionale dello spazio e rappresentazione del mondo,<br />
così come sono state fissate <strong>nel</strong>le categorie senza tempo e senza confini dell’ideale della monarchia<br />
assoluta.<br />
Il trauma provocato dalle grandi rivoluzioni - politica, economica, tecnologica, sociale - che<br />
accompagnano <strong>il</strong> passaggio dal XVIII al XIX <strong>secolo</strong> spiega <strong>il</strong> rinnovato vigore del pensiero<br />
antiurbano. Sono f<strong>il</strong>osofi come Jean-Jacques Rousseau o Johann Fichte, romanzieri come Eugène<br />
Sue, Victor Hugo, Honoré de Balzac e Charles Dickens, raffinati critici d’arte e artisti come John<br />
Ruskin e W<strong>il</strong>liam Morris, poeti come W<strong>il</strong>liam Blake e Ralph Emerson, perfino statisti come<br />
Thomas Jefferson, che <strong>nel</strong> Vecchio e <strong>nel</strong> Nuovo Mondo, entrati <strong>nel</strong>l’era urbano-industriale, denunciano<br />
la <strong>citt</strong>à come espressione estrema della rottura con la natura e come sconfitta della<br />
piccola comunità integrata e solidale. Alla fine del <strong>secolo</strong> <strong>il</strong> tema viene ripreso dalla<br />
contrapposizione tra Gemeinschaft (comunità) e Gesellschaft (società): “<strong>La</strong> <strong>citt</strong>à è la forma più<br />
alta, cioè più complicata, della convivenza umana in generale. Essa ha in comune con <strong>il</strong> v<strong>il</strong>laggio<br />
la struttura locale in antitesi a quella fam<strong>il</strong>iare della casa. Ma entrambi conservano molti<br />
caratteri della famiglia - e <strong>il</strong> v<strong>il</strong>laggio in misura maggiore della <strong>citt</strong>à, la <strong>citt</strong>à li perde quasi<br />
completamente quando si sv<strong>il</strong>uppa in grande <strong>citt</strong>à” (v. Tónnies, 1887; tr. it., p. 290).<br />
Nel corso del XIX <strong>secolo</strong> la visione apocalittica del destino della <strong>citt</strong>à non rimane appannaggio<br />
soltanto di pochi profeti <strong>il</strong>luminati, né si affida soltanto a giudizi etici ed estetici. Gli strumenti<br />
delle nuove scienze sociali offrono al sentimento antiurbano una provvisoria base scientifica.<br />
Thomas Malthus, Friedrich Engels e Charles Booth documentano, in momenti successivi e con<br />
strumenti empirici diversi, le condizioni delle classi povere <strong>nel</strong>la <strong>citt</strong>à per eccellenza, Londra,<br />
denunciandone l’invivib<strong>il</strong>ità. Si fa strada la tesi della morte della <strong>citt</strong>à: tesi del tutto compatib<strong>il</strong>e<br />
con <strong>il</strong> suo <strong>successo</strong>. Anche per l’escatologia materialistica di Marx, la <strong>citt</strong>à, che pure ha avuto un<br />
ruolo positivo consentendo di superare l’isolamento e l”idiotismo” del mondo rurale, è destinata a<br />
sparire con l’abolizione del modello di produzione capitalistico (v. Marx, 1867-94). Robert