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2° perCorSo de coniuratione catilinae<br />

Un evento<br />

contemporaneo<br />

Contro il senato<br />

e contro Catilina<br />

L’intelligenza<br />

politica di Sallustio<br />

La congiura di Catilina tra<br />

rivendicazioni e sovversione<br />

633<br />

Indotto a ripiegare sull’attività letteraria (negli anni dal 43 al 40 a.C.) dal disgusto per l’azione<br />

politica, era naturale che Sallustio si sentisse portato a ripensare il suo passato di uomo<br />

pubblico e a ricercare le cause che ne avevano decretato il fallimento. La trama eversiva organizzata<br />

vent’anni prima da Catilina, della quale Sallustio era stato testimone oculare, gli<br />

consentiva una ricognizione articolata delle ragioni di malessere che travagliavano l’età contemporanea,<br />

teatro di una lotta in cui, a distanza di vent’anni, non erano per nulla cambiate<br />

né le forze in campo né la posta in gioco.<br />

Sallustio aveva militato tra le file dei populares ed era profondamente avverso alla nobiltà<br />

senatoria, alla cui corruzione attribuiva la crisi della repubblica. I suoi spiriti antioligarchici<br />

non lo spinsero, però, a condividere le rivendicazioni catilinarie a favore dei miserabili. Nei<br />

confronti delle forze sociali emarginate Sallustio nutriva la paura tipica del ceto possidente,<br />

che vedeva messa a repentaglio la propria sicurezza e pertanto auspicava un potere forte<br />

– del senato o di un moderatore super partes – capace di coalizzare i ceti possidenti italici e<br />

di fare scudo contro eventuali tentativi di eversione.<br />

Eppure Sallustio è lo storico che, in certi passi del discorso di Catilina (cap. 20) e in altre<br />

parti di questa sua prima monografia (la lettera del luogotenente Manlio nel cap. 33; l’excursus<br />

etico-politico nei capp. 36-39), ha saputo dar voce alla disperazione degli oppressi<br />

e dei diseredati, alla miseria dei contadini coperti di debiti, al desiderio di legalità contro<br />

i soprusi di pretori rapaci.<br />

C’è da aggiungere, però, che alle istanze di rinnovamento istituzionale, che stavano portando<br />

alla fine della repubblica, era estraneo qualsiasi progetto di cambiamento sul piano economico-sociale;<br />

per giunta, mancava ai ceti subalterni la consapevolezza di costituire una classe<br />

sociale. Così, alla denuncia Sallustio non fa seguire una proposta di intervento concreto:<br />

o meglio, egli si mostra convinto che la corruzione dovesse essere eliminata dal risanamento<br />

morale e che le parti sociali dovessero raggiungere la concordia per mantenere l’ordine,<br />

come nella Roma arcaica, quando non imperversavano né avidità né ambizione. Questa<br />

è la soluzione proposta: evidente ne è l’astrattezza utopistica, come se i pochi potenti avessero<br />

potuto rinunciare volontariamente a parte dei loro privilegi o le masse miserabili, prive<br />

di coscienza sociale, avessero potuto battersi per uno stato migliore rispettando la legalità<br />

e senza intraprendere la strada della violenza.

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