La medaglia nella Milano asburgica - Scuola Normale Superiore
La medaglia nella Milano asburgica - Scuola Normale Superiore
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Cap. I.0. Alcuni antefatti<br />
Questa parte della tesi introdurrà la storia della <strong>medaglia</strong> a <strong>Milano</strong> in una forma piuttosto<br />
tradizionale e familiare al lettore, quella delle biografie di artefici. <strong>La</strong> prima sezione, in<br />
particolare, si concentrerà sugli artisti nati nei primi due decenni del XVI secolo e attivi a<br />
<strong>Milano</strong> entro la metà del sesto decennio, Leone Leoni (1509-90) e Iacopo da Trezzo<br />
(1514/15-1589). Attraverso la loro vicenda emergerà immediatamente anche la tesi che<br />
dovrà accompagnare il lettore dei primi sette capitoli: l’ingresso sullo scenario milanese di<br />
committenti appartenenti alla dinastia degli Asburgo o alle loro corti, di poco successivo al<br />
1535, trasformò la città in un centro di reperimento di artisti, e la cultura figurativa sorta da<br />
questo connubio si distribuì a cavallo tra la Lombardia e capitali europee come Bruxelles,<br />
Madrid e Londra.<br />
Bisogna però notare subito che solo a partire dagli anni quaranta del XVI secolo il successo<br />
della <strong>medaglia</strong> rende possibile ricostruirne gli svolgimenti attraverso la vita di artefici<br />
documentati e rinomati. Nei primi anni dell’età <strong>asburgica</strong> – e non è forse un dato casuale –<br />
predominano invece le opere anonime. Le poche medaglie milanesi databili agli anni venti<br />
e trenta, cioè prima degli inizi della dominazione <strong>asburgica</strong>, restituiscono<br />
inequivocabilmente i tratti di una produzione rarefatta. Esaurite (forse entro gli anni venti)<br />
le sottili modulazioni, assai poco anticheggianti nel loro bordo iperornato e nel loro corredo<br />
epigrafico, della serie coniata degli Sforza – eco debole e attardata dei modi assai più<br />
decisamente bramanteschi di Caradosso Foppa –, la <strong>medaglia</strong> milanese conobbe un riflusso<br />
verso la tecnica della fusione entro stampi e assunse una fisionomia meno caratterizzata 80 .<br />
In questa temperie recessiva, punteggiata solo da commissioni episodiche, non trovarono<br />
continuità nemmeno le audacie prospettiche e i saldi volumi di quel Caradosso (identificato<br />
anche recentemente con il Moderno) 81 che aveva riunificato la <strong>medaglia</strong> al corso principale<br />
delle ricerche figurative del principio del secolo 82 .<br />
80 Sulla serie delle medaglie coniate sforzesche cfr. Hill 1930, I, pp. 668 e ss., secondo il quale esse<br />
potrebbero essere state realizzate in più fasi (come invece dimenticano Toderi e Vannel 2000, I, p. 94, nn.<br />
205-226): se così fosse, la conservazione di tratti tipologici arcaici, come quelli attestati dai bordi o dal taglio,<br />
risponderebbe ad un’esigenza di uniformità specifica di questa commissione, e rispecchierebbe convenzioni<br />
ormai desuete altrove.<br />
81 Per un aggiornamento bibliografico e documentario sul Caradosso cfr. inoltre risp. Venturelli 1996, pp.<br />
200-201; Brown e Hickson 1997, pp. 3-39; e Brown e Lorenzoni 2001, pp. 41-44. Senza voler entrare qui nel<br />
merito della querelle che investe anche di recente la tradizionale identificazione del Moderno con l’orafo<br />
veronese Galeazzo Mondella (sostenuta da Bode 1903-04, col. 269; Rossi 1974, pp. 25-36; Lewis 1989;<br />
Rognini 1973-74, e avversata da Malaguzzi Valeri 1913-23, III, pp. 333 e ss., che per primo propose il nome<br />
di Caradosso Foppa), mi limito ad osservare che, a dispetto della cultura milanese del Moderno e della sua<br />
fortuna in ambito padano (a proposito della quale cfr. Walter Cupperi, in Avargnina, Binotto e Villa 2005, pp.<br />
208-223, nn. 235-253), la mancanza di continuità tra quest’artista e la bronzistica lombarda successiva<br />
potrebbe deporre a favore di un suo allontanamento non più tardi del terzo decennio. Le componenti<br />
centroitaliane del linguaggio di Moderno sono del resto già state ravvisate dal Middeldorf (Middeldorf e<br />
Goetz 1944, p. 34, n. 232), e poi ribadite in relazione al riconoscimento del Moderno in Caradosso da<br />
Giovanni Agosti (1990, p. 132, nota 40) e Marco Collareta (in Pavoni 2003-04, II, p. 638, n. 721); sulla<br />
qeustione cfr. anche il parere più cauto di Paola Venturelli (2002 (1), p. 150; 2002 (2), p. 93).<br />
82 Nel rovescio della <strong>medaglia</strong> di Giulio II, ad esempio, Caradosso assesta la nuova Basilica Vaticana sopra un<br />
disco di terra sgretolata perfettamente scorciata (Toderi e Vannel 2000, I, p. 35, nn. 9-10), mentre <strong>nella</strong><br />
<strong>medaglia</strong> di Donato Bramante (Toderi e Vannel 2000, I, p. 36, n. 12), il busto dell’artista è impaginato a<br />
cavallo della cornice, scardinando la convenzione che induceva ad appiattirlo lungo il piano immaginario che<br />
delimita il fondo del mezzo rilievo. <strong>La</strong> vasta fama del Foppa garantirà però a queste sue soluzioni un seguito<br />
imprevisto tra più maestri, e segnatamente un ritorno per via romana attraverso Leone Leoni. Vedremo poi,<br />
nel cap. II.3, di quale fortuna collezionistica godessero i microritratti caradosseschi rimasti in circolazione a<br />
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