La medaglia nella Milano asburgica - Scuola Normale Superiore
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Pietro Aretino nel gennaio 1537 140 . Pur <strong>nella</strong> precarietà che li caratterizzava, tali<br />
spostamenti furono per Leoni i primi segnali di riconoscimento: erano i centri artistici in cui<br />
la <strong>medaglia</strong> moderna era nata ad essere conquistati dal maturo e bilanciato cocktail formale<br />
proposto da Leoni 141 . Egli si affermava inoltre in quelle stesse città in cui l’inventivo e<br />
disponibile “classicismo” aretiniano, prima di finire ingessato nelle pagine di Ludovico<br />
Dolce, aveva trovato riscontro in un mecenatismo aperto a declinazioni centroitaliane,<br />
lombarde e venete 142 .<br />
Fu infine opera del poligrafo toscano se Leoni incise il conio per una <strong>medaglia</strong> di Pietro<br />
Bembo e la portò a compimento negli stessi mesi in cui Benvenuto Cellini si recava a<br />
Padova per ritrarre il raffinato arbiter elegantiarum 143 ; il compenso superiore concesso al<br />
concorrente fiorentino, decisamente più affermato su scala peninsulare, fu sufficiente a<br />
motivare il protetto dell’Aretino ad una brusca rottura con il prelato 144 : la <strong>medaglia</strong> di<br />
Leoni, come quella di Cellini, non fu mai terminata (anche se non è da escludersi che ne<br />
serbi memoria la <strong>medaglia</strong> del cardinale fusa intorno al 1540 da Pastorino Pastorini) 145 .<br />
140 Aretino 1997-2002, I (1538), p. 154, n. 92.<br />
141 Nel caso di Ferrara, il passaggio dello scultore aretino non sarebbe rimasto senza conseguenze, se<br />
consideriamo il largo corso delle imitazioni ivi proposte dal camaleontico Pastorino da Siena nel corso degli<br />
anni cinquanta: cfr. p.e. le medaglie pastoriniane di Ercole II ed Alfonso II d’Este (Toderi e Vannel 2000, II,<br />
pp. 606-607, nn. 1857 e 1860), strettamente dipendenti da tipi leoniani (la <strong>medaglia</strong> di Carlo V del 1543 e<br />
quella di Massimiliano d’Austria, per le quali cfr. infra). Ma c’è da credere che la fortuna del senese si legasse<br />
già prima ad una duttilità rispetto alle forme dell’aretino, come mostra il caso della sua <strong>medaglia</strong> del Bembo,<br />
che è del 1540 circa (cfr. le tre note seguenti). Escluso dalle Zecche di Roma e di Firenze, Pastorino si adeguò<br />
ai ritratti più à la page, mutando visibilmente stile (Toderi e Vannel 2000, II, p. 581) e non disdegnando<br />
talora, di fronte all’ampia richiesta, di assumere atteggiamenti che a noi sembrano sfiorare il plagio, mentre<br />
<strong>nella</strong> medaglistica protomoderna tali pratiche furono affatto consuete. Ulteriori indizi in questa direzione<br />
saranno forniti nei capp. I.2, I.5, e I.7.<br />
142 Non è da escludersi che proprio nel contesto aretiniano maturasse, attraverso le stampe, il precoce interesse<br />
di Leoni per Raffaello, di lì a poco alimentato in presa diretta a Roma. Sulla fortuna di Raffaello nell’ambito<br />
veneto dell’Aretino cfr. Dolce 1960 (1557), pp. 149, 153 e soprattutto 157.<br />
143 Le Lettere di Pietro Aretino attestano che Leoni fece dono al cardinal Bembo di un esemplare della propria<br />
<strong>medaglia</strong> stampata da Leoni, proponendogli di farlo ritrarre dal suo protetto (Aretino 1997-2002, I (1538), p.<br />
157, n. 95, e p. 156, n. 94, entrambe del 6 febbraio 1537). Il letterato toscano rilanciava così la posta dopo un<br />
primo riconoscimento concessogli dal prelato, che aveva contribuito con un proprio sonetto alla celebrazione<br />
di Angela Serena, amante dell’Aretino (P. Bembo, Rime rifiutate, IV, Ben è quel caldo voler voi, ch’io<br />
prenda, in Bembo ed. 1960, p. 669). Rispondendo alla proposta per mano del segretario Antonio Anselmi,<br />
Bembo si dichiarò disponibile a posare, ma lasciò intendere che affidava l’intera iniziativa di omaggio<br />
all’interlocutore (Aretino 2003-04, I (1552), p. 352, n. 374, lettera del 21 febbraio 1537).<br />
144 Cfr. la lettera di Leone Leoni a Pietro Aretino del 23 aprile (Aretino 2003-04, I (1552), p. 327, n. 346) e la<br />
risposta di Aretino, datata 25 maggio 1537 (Aretino 1997-2002, I (1538), p. 202, n. 133: “Voi non sareste né<br />
di Arezzo né vertuoso, non avendo lo spirto bizzarro. Bisogna vedere il fin de le cose, e poi lodarle e<br />
biasimarle con il dovere. Quando sia che Monsignore abbia sì largamente remunerato, si può dir, la bozza del<br />
suo ritratto, dovete rallegrarvene, perché sendo egli la bontà del mondo e persona di compiuto giudizio,<br />
pagarà anco il conio vostro. Sua Signoria ha voluto contentar con la liberalità che dite, e l’oppinione che egli<br />
ha di Benvenuto, e i due anni indugiati a venire a trovarlo da Roma a Padova, e l’amor che quella gli porta. A<br />
me parebbe che gli mostraste l’acciaio dove è la sua testa, e l’improntata ancora, stando a veder ciò che egli<br />
ne dice. Qui è Tiziano, con il Sansovino, e una caterva d’uomini saputi, che ne stupiscono; ed essi<br />
consultaranno sopra le fatiche vostre. Né potrò mai credere che il Bembo manchi a l’onor suo e che non abbia<br />
tanto lume che discerna le disuguaglianze. È ben vero che l’affezion invecchiata in altri offusca […] dipoi<br />
l’opra vostra non ha a rimanersi nela sua conoscenza sola, benché molto conosca. Perciò mostrisi a lui e a chi<br />
ha piacer di vederla”. Alla questione cercò dal canto suo di porre rimedio anche Antonio Anselmi, che il 21<br />
giugno 1537 scriveva a Pietro Aretino (Aretino 2003-04, I (1552), p. 350, n. 372): “Io ho molto ben compreso<br />
dalla lettera di vostra Signoria, che assai maggiormente ha potuto in Lione lo ingiusto sdegno che egli ha<br />
preso per non gli aver voluto Monsignor dare quei denari, che egli [h]a sua Signoria chiesti, che la verità,<br />
nelle molte cortesie che esso ha ricevute in questa casa”.<br />
145 Su questo aspetto dell’inaccontentabile committenza di Pietro Bembo, cfr. Coggiola 1914-15, e ora<br />
Gasparotto 1996, pp. 190 e ss.; sulle medaglie di Cellini cfr. più in generale Attwood 2004, I, pp. 97-120.<br />
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