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La medaglia nella Milano asburgica - Scuola Normale Superiore

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del ritratto di sua Santità” fatta fare “a Francesco dal Prato suo amicissimo”; ed il Pontefice<br />

accetta di buon grado 7 . Il significato dei due aneddoti è chiaro: per piccola che sia, la<br />

<strong>medaglia</strong> è un artefatto raffinato e una forma di presentazione imprescindibile, al cui<br />

fascino non si sottraggono né i principi più altolocati, né gli artisti più accreditati: persino<br />

Michelangelo, sorvegliatissimo nelle manifestazione pubbliche e inaccontentabile nelle<br />

scelte artistiche, si cura di concordare con Leone Leoni il rovescio per una <strong>medaglia</strong><br />

autorizzata e ne rimane soddisfatto 8 .<br />

Già nel primo volume delle Lettere di Pietro Aretino (1538) la medaglietta coniata,<br />

concepita per assimilarsi alle monete di età romana nelle dimensioni e nell’impaginazione,<br />

si proponeva alla committenza di un canone allargato di ‘nobili di virtù’, in pratica<br />

aristocratici e figure in cerca di autopromozione come quelle che trovavano vantaggio nei<br />

servigi del poligrafo lagunare e del suo medaglista Leone Leoni (cioè letterati come<br />

Bernardo Tasso e Francesco Molza, artisti come Tiziano e il Bandinelli, musicisti come<br />

Francesco Firmo) 9 . In tal senso le componenti antiquarie del microritratto metallico, dei<br />

suoi testi, della sua forma epigrafica e iconografica costituivano ancora uno strumento<br />

legittimante poderoso 10 .<br />

Molti prìncipi, uomini d’arme, professionisti del pennello, dello scalpello e della penna<br />

dovettero inoltre condividere con Pietro Aretino l’idea che la <strong>medaglia</strong>, essendo non solo<br />

durevole, replicabile e trasportabile, ma anche corredata di figurazioni emblematiche e di<br />

un apparato epigrafico, fosse felicemente complementare alle altre forme di ritratto<br />

pittorico, scultoreo e letterario, e andasse perciò commissionata con cura 11 . Utile ai<br />

7 Vasari 1966-87 (1568), risp. IV, p. 621, e V, p. 252. <strong>La</strong> <strong>medaglia</strong> in questione, “il rovescio della quale […]<br />

era Cristo flagellato”, è identificabile con quella schedata da Toderi e Vannel 2000, II, p. 475, n. 1404. Il<br />

rilievo di Bandinelli con la Flagellazione è oggi al Musée des Beaux-Arts di Orléans (cfr. Gaborit 1994, pp.<br />

146-152). Qualcosa di simile agli episodi narrati a testo avveniva anche attraverso il dono di monete antiche:<br />

il trattato di Gilio, ad esempio, formula una sorta di casistica del dono numismatico per illustrare il principio<br />

secondo cui “dà grado al dono il più delle volte il donante” (Gilio 1564, quaderno A, c. IIr-v<br />

dell’Introduzione: “Sogliono spesso i ricchi amici et affetionati servitori, per mostrar segno de l’amicitia e<br />

servitù loro, donare agli amici et a’ signori ricchi et honorati presenti o de cavalli o di gioie o d’altre cose rare<br />

et honorate. Gli amici e servitori di minor qualità e di più bassa fortuna, volendo mostrare gli effetti medesimi<br />

dell’amicitia e la servitù, non potendo donare cose alte e pregiate, a le volte alcuni donano epigrammi latini o<br />

greci; altri, canzoni, sonetti o capitoli alla bernesca [...]”; ma “se un un ricco nobile e potente dona <strong>medaglia</strong><br />

di bronzo logra, goffa e di tristo conio, et il povero una di finissimo oro intiera, bella e ben coniata, l’auttorità<br />

dei potenti abbellisce e preggia di gran lunga il goffo e consumato bronzo che non fa ’l povero il forbito, puro<br />

e terso oro”).<br />

8 Vasari 1966-87 (1568), VI, p. 101. Sulla commissione di questa <strong>medaglia</strong> cfr. qui il cap. I.1.<br />

9 Le medaglie di Francesco Molza e di Bernardo Tasso, perdute, sono menzionate come opere di Leone Leoni<br />

nel carteggio di Pietro Aretino (cfr. risp. Aretino 1997-2002, III (1546), p. 226, n. 248, lettera a Leoni del<br />

luglio 1545, passo già segnalato a questo proposito da Schlosser 1935, p. 450; e Aretino 2003-04, I (1552), p.<br />

327, n. 346, lettera di Leoni all’Aretino del 13 aprile 1537). Per la bibliografia su queste medaglie cfr. infra,<br />

cap. I.1.<br />

10 Cfr. in proposito infra il cap. II.4.<br />

11 L’idea che la <strong>medaglia</strong> sia un’immagine durevole e destinata alla posterità è accreditata da Pietro Aretino in<br />

una lettera diretta a un interlocutore significativo come Pietro Bembo, che di lì a poco avrebbe commissionato<br />

un ritratto su conio a Leone Leoni: “Ma perché l’effigie, con cui onorate il mondo e la natura, sia ogni or la<br />

medesima come tuttavia sarà una istessa la fama che avete, consentite, con il presto venir qui, che se le<br />

cominci e fornisca la stampa, dove apparirete vero e vivo. E ciò fate, perché quei che nasceranno,<br />

s’innamorino de l’imagine di colui che gli terrà in continuo stupore con gli essempi de le cose scritte […]. E si<br />

vive con due vite, quando ci contempliamo ne l’industria de l’arte. Sì che venite, e con la degnità de la<br />

memoria del vostro ritratto consolate chi riverisce la Signoria vostra” (Aretino 1997-2002, I (1538), p. 157, n.<br />

95, 6 febbraio 1537). In una lettera a Francesco Maria I della Rovere, duca di Urbino, la cura <strong>nella</strong> scelta del<br />

ritrattista viene presentata come una questione di decoro imprescindibile per un capo di Stato: “È atto degno<br />

di chi lo fa, dignissimo Principe, il sapere osservare il grado del suo grado fin nei cenni, e merita più di servire<br />

che di comandare chi non ispecchia il volto del suo onore molte volte il giorno. Perciò […] non comporti che<br />

la sua effigie e le sue zecche sieno lacerate da l’altrui grossezza. Quello che vi porta questa [scil. Leone<br />

III

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