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Comunità in cammino - Oratorio - Coccaglio

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nascondendosi dietro la giustificazione<br />

della sera che <strong>in</strong>combe, come se <strong>in</strong><br />

fondo non avessero il coraggio di<br />

riconoscere di avere bisogno della sua<br />

compagnia. Il Signore non chiede<br />

umiliazione, pur avendone il diritto.<br />

Ci chiede solo di essere <strong>in</strong>vitato e<br />

chiude un occhio sul nostro impaccio,<br />

motivato dal timore di cedere del<br />

tutto. Il Signore, qu<strong>in</strong>di, resta e con la<br />

sua presenza fa <strong>in</strong> modo che noi arriviamo<br />

a scoprire la radicale necessità<br />

di averlo presente <strong>in</strong> noi nella nostra<br />

vita. Ma quanto ha dovuto attendere<br />

prima che ci spogliassimo delle<br />

nostre sicurezze!<br />

«Egli entrò — dice Luca — per rimanere<br />

con loro». È il suo unico scopo, il<br />

suo desiderio che dall’eternità ha preceduto<br />

il nostro, quello per cui ha<br />

voluto e cercato l’<strong>in</strong>vito. Ed è come se<br />

lo scopo di rimanere fosse l’obiettivo<br />

f<strong>in</strong>ale di tutte le storie narrate e sofferte,<br />

l’unico senso di un camm<strong>in</strong>o<br />

faticoso. «Rimanere» è una parola che<br />

andrebbe cercata e ascoltata <strong>in</strong> tutta<br />

la Scrittura per la densità e la centralità<br />

che segna. Nel Vangelo di<br />

Giovanni il rimanere con e nel<br />

Signore <strong>in</strong>dica il restare del Figlio nel<br />

Padre ed è <strong>in</strong>sieme l’<strong>in</strong>vito a tutti noi<br />

figli a condividere il banchetto eterno<br />

dell’Amore tr<strong>in</strong>itario.<br />

Ma la figura del «rimanere» popola<br />

tutta la storia della salvezza. È una<br />

parola sempre scambiata tra Dio e i<br />

suoi figli, è <strong>in</strong>vito rivolto e ricevuto,<br />

espressione di amicizia che si fa ospitalità.<br />

Èil senso di una comunanza che è<br />

sempre e solo dono gratuito e<br />

diventa un cont<strong>in</strong>uo <strong>in</strong>vito scambiato<br />

e ripetuto. Ma è anche il senso di una<br />

dimensione che potremmo def<strong>in</strong>ire<br />

passiva, nel senso benefico dell’essere<br />

e dello stare <strong>in</strong>sieme che rende bella<br />

qualsiasi cosa si faccia, anche tacere e<br />

non far nulla.<br />

Rimanere vuol dire accettare il<br />

ritmo dell’altro, il suo parlare<br />

come il suo tacere, il suo fare come il<br />

suo oziare, perché è stare <strong>in</strong>sieme che<br />

conta. Dobbiamo cogliere questa<br />

dimensione e cercare il Signore non<br />

solo per chiedere, offrire, agire, ma<br />

per restare con Lui, perché Lui vuole<br />

rimanere con noi.<br />

Ma cosa vuol dire veramente il<br />

«rimanere» del Signore? La<br />

seconda parte del v. 31 ci mette sulla<br />

strada di un paradosso: «Lui sparì alla<br />

loro vista». Colui che è entrato per<br />

rimanere segna una misteriosa assenza<br />

e mostra il suo rimanere con lo<br />

sparire. È strano, doloroso, ancora<br />

una volta oscuro. Entra con un solo<br />

Copert<strong>in</strong>a dell’Enciclica sull’Eucaristia di<br />

Giovanni Paolo II, che ha posto l’Anno<br />

dell’Eucaristia <strong>in</strong> corso sotto l’icona dei due<br />

discepoli di Emmaus.<br />

scopo, quello di restare; ha condotto<br />

faticosamente f<strong>in</strong>o lì i due recalcitranti<br />

discepoli e, sul più bello, se ne va.<br />

La chiave è tutta <strong>in</strong> questi versetti<br />

centrali, <strong>in</strong> ciò che accade tra l’<strong>in</strong>vito<br />

accolto e assunto a rimanere e la<br />

sparizione. A tavola il viandante prende<br />

il pane, lo spezza, lo dona e gli<br />

occhi dei discepoli si aprono e Lo<br />

riconoscono.<br />

8<br />

<strong>Comunità</strong> <strong>in</strong> ascolto<br />

Il viandante ripete il gesto<br />

dell’Ultima Cena, si mostra nel<br />

pane spezzato e condiviso, nel corpo<br />

offerto per gli amici, nel sacrificio<br />

consumato f<strong>in</strong>o all’atto di fiducia più<br />

totale nell’Amore del Padre. Ancora<br />

una volta si fa cibo per la fame degli<br />

altri, si spezza nel dono e nell’Amore<br />

e al suo gesto f<strong>in</strong>almente i discepoli<br />

Lo riconoscono. Quello che vedono é<br />

lo stesso viandante e poi sarà un<br />

posto lasciato vuoto da chi è sparito<br />

alla vista.<br />

Ma il riconoscimento è altra cosa. Ciò<br />

che riconoscono è tutta la loro storia<br />

riassunta nella sua, ritrovata e riconosciuta<br />

come libera e bella, piena d’amore<br />

e di grazia. Non c’è più speranza<br />

delusa, né tristezza, né paura. Ciò<br />

che riconoscono è la fedeltà di Dio<br />

che ha accolto il loro mettersi alla<br />

sequela, l’ha purificato e trasfigurato<br />

nell’obbedienza del Figlio. Questo<br />

riconoscimento rimane con loro per<br />

sempre, nel pane ogni giorno spezzato<br />

<strong>in</strong> memoria di Lui; ed è proprio la<br />

sua assenza, che gli consente di esserci<br />

veramente, dovunque e sempre.<br />

La Liturgia Eucaristica è per noi<br />

questo gesto duplice del «rimanere»<br />

e del «riconoscere»? Si tratta di<br />

vivere l’esperienza del rimanere come<br />

ospiti <strong>in</strong>vitati, che a loro volta <strong>in</strong>vitano.<br />

Nel restare e nel guardare il pane<br />

spezzato possiamo riconoscere e riconoscerci,<br />

ma soprattutto ritrovare<br />

trasfigurata la storia narrata nella tristezza.<br />

Lasciamo dunque che questi<br />

densissimi versetti penetr<strong>in</strong>o nel<br />

nostro cuore e ci conducano a riconoscere.<br />

Lasciamoci permeare da questo<br />

clima di amorevole attesa silenziosa.<br />

Chiediamo il dono di saper rimanere,<br />

di saper chiedere e <strong>in</strong>vitare.<br />

Facciamoci condurre anche noi alla<br />

tavola imbandita dal viandante che ci<br />

accompagna nel nostro peregr<strong>in</strong>are<br />

terreno.<br />

(da F. Cuccarese: Il ritorno a Pietro)

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