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La Colomba n° 17 - Comunità degli Italiani “Dante Alighieri”

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42<br />

Se penso agli amici di ieri non<br />

posso fare a meno di ripercorrere<br />

una fase molto bella e nel<br />

contempo assai critica della mia esistenza,<br />

un periodo che è stato determinante<br />

nella mia formazione: prima<br />

traboccante di esperienze positive<br />

per poi provocare attorno a me il<br />

vuoto più profondo. Mi sto riferendo<br />

agli anni cinquanta, a quei bellissimi<br />

e purtroppo estremamente tristi<br />

anni cinquanta; al periodo prima,<br />

durante e dopo l'esodo <strong>degli</strong> Istriani,<br />

di quei conterranei che ora vivono<br />

in Italia o sparsi per il mondo e<br />

che, anche se ormai ben inseriti nei<br />

nuovi contesti, sentono sempre<br />

un'infinita nostalgia per la terra<br />

dalla quale sono stati sradicati. Poco<br />

però si sa dei rimasti, cioè di<br />

quelle persone che non hanno voluto<br />

o non hanno potuto abbandonare<br />

la propria terra natale.<br />

Io sono una "rimasta". Nata agli<br />

inizi della seconda guerra mondiale,<br />

sono cresciuta in un ambiente sereno,<br />

dove l'amore e i sani principi sono<br />

sempre stati presenti, anche<br />

quando le risorse finanziarie lasciavano<br />

alquanto a desiderare. A Capodistria,<br />

dove sono nata e vissuta<br />

fino agli undici anni avevo molte<br />

amichette, gran parte della parentela<br />

e, grazie ai miei genitori, appassionati<br />

di teatro, ero anche ben<br />

inclusa nell'ambiente culturale della<br />

città, sebbene fossi ancora piccola.<br />

Nonostante la mia vita scorresse<br />

piacevolmente, il giorno in cui mio<br />

padre ricevette un'offerta di lavoro<br />

a Isola d'Istria e volle sentire il parere<br />

della mamma e il mio, io mi infervorai<br />

subito all'idea anche se, per<br />

realizzarla, avrei dovuto lasciare<br />

tutto il mio piccolo mondo: scuola,<br />

Vicende & Costume<br />

<strong>La</strong> <strong>Colomba</strong> - Anno V - N° <strong>17</strong> - 18<br />

Questa volta accontentiamo tutti quei lettori che ci hanno chiesto di pubblicare l’elaborato con il<br />

quale Amina Dudine ha vinto, nell’anno 2002, il primo premio al Consorso “Storia e Storie” di Forlì<br />

dal tema “Chi trova un amico...” Un racconto autobiografico nel quale narra il periodo dell’esodo nei<br />

suoi ricordi, nelle sue emozioni e i suoi problemi di “ragazza rimasta”.<br />

È STATO DIFFICILE PER TUTTI<br />

di AMINA DUDINE<br />

1° PREMIO AL CONCORSO STORIA E STORIE DI FORLÌ - ANNO 2002<br />

amiche, parenti e poi i nonni (adoravo<br />

particolarmente il nonno paterno).<br />

Ma era più forte di me. Con la<br />

complicità della mamma dimostrai<br />

apertamente la mia grande gioia. Il<br />

papà non era troppo entusiasta, forse<br />

perché non ha mai amato i cambiamenti<br />

repentini e, ricordo, di<br />

aver espresso questo mio desiderio<br />

in modo piuttosto plateale, inginocchiandomi<br />

davanti a lui, dicendo:<br />

Papà! Te prego! Acèta sto lavor!<br />

Dai, andemo a star a Isola! E poi<br />

sorridendo mi ero alzata e l'avevo<br />

abbracciato. Ancor oggi non riesco a<br />

giustificare quel mio fervore, quella<br />

mia voglia di andare a vivere a Isola.<br />

Ero semplicemente convinta di<br />

recarmi in un posto migliore, diciamo<br />

pure che fu uno straordinario intuito.<br />

Naturalmente riuscimmo a<br />

convincere il babbo. D'altronde,<br />

quando si mettono due donne...! E<br />

questo mio slancio fu molto ben ripagato,<br />

per un paio d'anni. A Isola<br />

d'Istria trovai persone splendide,<br />

modeste, ma con una grande ricchezza<br />

d'animo: gente estroversa,<br />

pronta a offrire tutto pur di aiutare<br />

il prossimo. Ci eravamo spostati soltanto<br />

di sei chilometri, ma mi trovavo<br />

in un mondo del tutto diverso,<br />

più semplice, più caloroso. A scuola<br />

le classi erano ancora divise in base<br />

al sesso. Le alunne usavano tutte il<br />

traverson, cioè un grembiule nero,<br />

ornato da un colletto bianco, unito<br />

alle estremità da un vistoso fiocco<br />

turchino. Mi meravigliai non poco<br />

nell'osservare che le mie nuove amiche<br />

non indossavano le scarpe, ma<br />

usavano calzature che chiamavano<br />

papuse, cioè delle babbucce che le<br />

mamme o le nonne confezionavano<br />

a casa unendo, con l'ausilio dell'ago<br />

grosso e dello spago, vari strati di<br />

stoffa che riciclavano da vecchi cappotti<br />

o pantaloni. Le mamme, quasi<br />

tutte casalinghe, un po' prima dell'inizio<br />

della ricreazione, si radunavano<br />

davanti all'entrata della scuola<br />

con le merende per i loro figli: pane<br />

fresco, quasi sempre fatto in casa, e<br />

le porzioni erano piuttosto abbondanti.<br />

Spesso portavano pure le cagole,<br />

dolce semplice ma molto apprezzato<br />

che veniva fatto schiacciando<br />

un pezzetto d'impasto del pane<br />

(la forma era quella di un disco<br />

con il diametro di una spanna), bucherellato<br />

con la forchetta, quindi<br />

fritto nell'olio e poi spruzzato con lo<br />

zucchero. Le donne, specialmente<br />

quelle più anziane, d'inverno usavano<br />

il fasoletón, un grosso scialle nero<br />

con il quale si coprivano la testa<br />

e il corpo, per ripararsi dal freddo.<br />

Esclusi i mesi invernali e le giornate<br />

piovose, nel tardo pomeriggio e<br />

nelle ore serali, gli Isolani usavano<br />

radunarsi davanti alla propria casa,<br />

seduti sui loro scagneti - sgabelli<br />

bassi - e qui le donne facevano la<br />

calza, preparavano nuove papuse,<br />

lavoravano a maglia, pulivano le<br />

verdure, mentre gli uomini mettevano<br />

il pesce in salamoia, cucivano<br />

le reti, riparavano gli arnesi della<br />

campagna, facevano altri lavoretti<br />

e, nel contempo, discorrevano del<br />

più e del meno. In generale si trattava<br />

di gente molto allegra e tutti si<br />

esprimevano in dialetto veneto (del<br />

resto come a Capodistria), ma qui la<br />

parlata aveva una particolare cadenza<br />

che la rendeva inconfondibile.<br />

Qualche volta scappava pure<br />

qualche parolaccia, ma detta senza<br />

cattiveria, e serviva soltanto a rafforzare<br />

e a rendere più fiorito il di-

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