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GLI ULTIMI<br />
SARANNO I PRIMI<br />
SETTANTADUE ANNI DOPO<br />
Il primo fiore di primavera<br />
66 | 13 luglio 2011 | |<br />
di Marina Corradi<br />
nessuna viola, ancora; proprio non ce n’era nessuna. Ho trovato<br />
invece dopo molte ricerche un fiore che deve essere un bucaneve. È<br />
«Annamaria,<br />
<strong>il</strong> primo che vedo, quest’anno». La lettera porta la data dell’11 febbraio<br />
1939. Sulla carta ingiallita, sopra le righe vergate da una calligrafia irrequieta, c’è come<br />
una macchia bruna, sott<strong>il</strong>e, del colore del sangue rappreso. Ma no, scopro distendendo<br />
delicatamente <strong>il</strong> foglio con le mani: è un fiore. È proprio un bucaneve disseccato;<br />
se ne distinguono i petali e <strong>il</strong> calice es<strong>il</strong>e. Non lo tocco per <strong>il</strong> timore che le mie<br />
dita possano ridurlo in polvere. Considero commossa l’ombra gent<strong>il</strong>e su un vecchio<br />
foglio di carta da lettere: <strong>il</strong> primo fiore della primavera di settantadue anni fa.<br />
È la lettera di un ragazzo di 24 anni alla fidanzata. Lui sta a Parma, lei è a Napoli,<br />
entrambi non lo sanno ma fra poco più di sei mesi scoppierà la guerra in Europa. Lui<br />
scrive che non riesce a stare un giorno senza pensare a lei, e in un pomeriggio di fine<br />
inverno va a cercare un fiore da mettere nella busta. Dalla terra nera, dove l’ultima<br />
neve si è sciolta, coglie <strong>il</strong> bucaneve. Il ragazzo<br />
scrive che vuole andare a trovare<br />
la fidanzata: ma Parma e Napoli sono così<br />
lontane. Lui però sogna, progetta: «Basterebbe<br />
recuperare certi tagliandi del<br />
Guf (la Gioventù universitaria fascista)<br />
che danno modo di avere un fortissimo<br />
sconto; basterà dire a casa che domenica<br />
si va a sciare e bisogna partire presto, perché la gita è lunga; basta, infine, che tu dica<br />
sì». Ma Napoli in questo grigio febbraio padano dista come un altro pianeta. Il ragazzo<br />
cammina, cammina, e si trova a costeggiare <strong>il</strong> cimitero, ed entra. È ben triste,<br />
un cimitero in un pomeriggio di fine inverno, quando già alle quattro <strong>il</strong> sole cala.<br />
Scrive: «Ci pensi, Anna, che fra ottant’anni, forse cinquanta, forse tra meno, nessuno<br />
si ricorderà di noi? Saremo semplicemente schedati in un camposanto, cogli altri».<br />
E qui proprio ti sbagli, papà. Sono passati settantadue anni da quel giorno del<br />
’39, e io sto leggendo questa tua lettera alla mia futura madre; e mi sembra di essere<br />
con te alla periferia di Parma sotto a un cielo grigio, cercando viole che non<br />
ci sono ancora, da mandare a una a cui vuoi bene. Ti sbagli, perché le righe di questa<br />
carta ingiallita mi restituiscono i vent’anni di uno<br />
così sim<strong>il</strong>e ai miei figli, adesso; e a come ero io, quasi<br />
trent’anni fa. Ti sbagli, mio padre ragazzo del 1939,<br />
ignaro del cielo di piombo che incombeva su di voi:<br />
io oggi, 2 luglio 2011, ho assolutamente vivo <strong>il</strong> ricordo<br />
di te e di Annamaria, mia madre. E anzi mi pare,<br />
leggendo queste righe, di stare parlando con voi due;<br />
ma quasi con tenerezza materna, come se oggi la madre<br />
fossi io, e voi due ragazzini.<br />
Di questa lettera antica una cosa mi riconosco nel<br />
sangue: l’ansia di una felicità per sempre, di un amore<br />
più forte di quelle pietre, al cimitero. Quella domanda<br />
oggi negata, che però abbiamo stampata addosso; tenace<br />
come l’impronta bruna sulla carta di un bucaneve,<br />
<strong>il</strong> primo, della primavera di settantadue anni fa.<br />
È la lettera di un ragazzo alla fidanzata.<br />
Non lo sanno ma fra poco scoppierà la guerra<br />
in Europa. Lui scrive che non riesce a stare<br />
senza lei, e un pomeriggio di fine inverno<br />
va a cercare un fiore da mettere nella busta<br />
DIARIO