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Desiderio di Dio e creazione di un ordine mondano nella Regula ...

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esaustività del testo della regola, che non si propone <strong>di</strong> fondare <strong>un</strong>a spiritualità e <strong>un</strong>a teologia della vita monastica,<br />

che l’autore dà in qualche modo per presupposta. Due questioni alle quali RB non dà (deliberatamente?) <strong>un</strong>a<br />

risposta, quanto meno non dà <strong>un</strong>a risposta esplicita, riguardano il senso <strong>di</strong> <strong>un</strong>a <strong>di</strong>stribuzione oraria della preghiera e<br />

le ragioni <strong>di</strong> <strong>un</strong>a celebrazione com<strong>un</strong>e della preghiera. Perché, cioè, si prega in determinate ore e perché questa<br />

preghiera viene fatta tutti insieme?<br />

Sono possibili per entrambi i problemi due risposte <strong>di</strong> massima, entrambe largamente attestate <strong>nella</strong> tra<strong>di</strong>zione<br />

cristiana: l’ideale è quello <strong>di</strong> <strong>un</strong>a preghiera incessante e la moltiplicazione nel corso della giornata <strong>di</strong> momenti<br />

esplicitamente de<strong>di</strong>cati alla preghiera serve ad avviare a <strong>un</strong>a pratica continua dell’orazione; oppure si può pensare<br />

che vi sia <strong>un</strong>a con<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> com<strong>un</strong>ione profonda con <strong>Dio</strong> che accompagna le attività profane trasformandole in<br />

preghiera e che solo in alc<strong>un</strong>i momenti si affaccia in modo esplicito <strong>nella</strong> celebrazione della liturgia, come attività<br />

libera e gratuita che interrompe il flusso delle occupazioni mondane.<br />

Per quanto riguarda la <strong>di</strong>mensione com<strong>un</strong>itaria <strong>di</strong> questa preghiera, si può assumerla come <strong>un</strong>a semplice pedagogia<br />

che avvia e sostiene il cammino della preghiera personale, l’<strong>un</strong>ione del solo al Solo; oppure si può pensare che la<br />

<strong>di</strong>mensione com<strong>un</strong>itaria sia <strong>un</strong>a aspetto necessario e irrin<strong>un</strong>ciabile della preghiera, senza il quale smette <strong>di</strong> essere<br />

possibile anche la preghiera personale.<br />

Il § 1 <strong>di</strong> RB 19 riecheggia Cipr. De orat. dom. 4; il passo <strong>di</strong> Prov è già stato citato anche in RB 7, 26. Come già nei<br />

capitoli sulla quaresima (RB 49) e sul silenzio notturno (RB 42), anche qui viene en<strong>un</strong>ciato <strong>un</strong> principio generale<br />

che poi viene circoscritto a <strong>un</strong>a situazione determinata: <strong>Dio</strong> è presente ov<strong>un</strong>que e quin<strong>di</strong> sempre e com<strong>un</strong>que<br />

bisognerebbe essere compenetrati dal senso della sua presenza e agire come se si fosse <strong>di</strong>nanzi a lui; ma questo<br />

atteggiamento è raccomandato in modo particolare <strong>nella</strong> celebrazione della liturgia (opus <strong>di</strong>vinum). Il sapienter che<br />

è raccomandato agli oranti significa presenza a se stessi, consapevolezza <strong>di</strong> quello che si fa, <strong>di</strong> chi si è e <strong>di</strong> chi è<br />

colui in presenza del quale ci si trova. Non basta che i testi della liturgia vengano pron<strong>un</strong>ciati, occore che la mens<br />

sia in consonanza con essi, non sia <strong>di</strong>stratta.<br />

La tra<strong>di</strong>zione monastica più antica tende ad <strong>un</strong>a applicazione letterale del monito biblico <strong>di</strong> pregare senza<br />

interruzione (1 Ts 5, 17; Rm 12, 12; Ef 6, 18; Fil 4, 6; Col 4, 2; Lc 18, 1; 21, 36), quin<strong>di</strong> non fa <strong>di</strong>stinzioni forti tra<br />

preghiera liturgica, preghiera privata, lavoro manuale e tempo de<strong>di</strong>cato ai pasti e <strong>di</strong>lata, invece, su tutte queste<br />

attività la pratica dell’ascolto o della recitazione <strong>di</strong> testi biblici, intervallati da frequenti prostrazioni <strong>di</strong> preghiera<br />

silenziosa. RM e RB (che non citano in alc<strong>un</strong> luogo l’invito alla preghiera continua) mostrano, invece, la tendenza<br />

a separare più nettamente il tempo della preghiera da quello del lavoro, accentuando gli elementi che <strong>di</strong>sciplinano e<br />

sacralizzano il tempo e i luoghi de<strong>di</strong>cati alla celebrazione della liturgia. Una spia lessicale si può cogliere nello<br />

spostamento del significato dell’espressione opus Dei: essa in<strong>di</strong>ca in RM e RB solo l’ufficiatura liturgica, dalla<br />

quale, come si vedrà in RB 52, è escluso il lavoro manuale. Di questa più accentuata <strong>di</strong>stinzione tra l’ambito<br />

profano del lavoro e l’ambito sacro della liturgia può essere spia anche il fatto che l’or<strong>di</strong>namento della liturgia<br />

giornaliera è presentato tutto in blocco separatamente dalla regolamentazione degli altri aspetti della giornata<br />

monastica.<br />

L’opus Dei inteso come celebrazione della liturgia verrà progressivamente percepito come <strong>un</strong>’attività accanto ad<br />

altre, come la più importante fra le attività della giornata monastica (cf. il monito <strong>di</strong> RB 43, 3: nihil operi Dei<br />

praeponatur), fino a <strong>di</strong>ventare più tar<strong>di</strong> — nel monachesimo cl<strong>un</strong>iacense, per esempio — in <strong>un</strong> certo senso il<br />

lavoro stesso del monaco. Si perderà in tal modo l’idea che la preghiera non sia <strong>un</strong>’attività da svolgere in <strong>un</strong><br />

determinato quantitativo nel corso della giornata, ma <strong>un</strong>a con<strong>di</strong>zione che dovrebbe abbracciare l’intera esistenza.<br />

Caput XX<br />

De reverentia orationis<br />

[1] Si, cum hominibus potentibus volumus aliqua suggerere, non praesumimus nisi cum humilitate et<br />

reverentia, [2] quanto magis Domino Deo <strong>un</strong>iversorum cum omni humilitate et puritatis devotione<br />

supplicandum est. [3] Et non in multiloquio (Mt 6, 7), sed in puritate cor<strong>di</strong>s et comp<strong>un</strong>ctione<br />

lacrimarum nos exau<strong>di</strong>ri sciamus. [4] Et ideo brevis debet esse et pura oratio, nisi forte ex affectu<br />

inspirationis <strong>di</strong>vinae gratiae protendatur. [5] In conventu tamen omnino brevietur oratio, et facto<br />

signo a priore omnes pariter surgant.<br />

Questo capitolo e il precedente pongono <strong>un</strong> problema: in essi si tratta <strong>di</strong> due argomenti separati. dell’ufficio<br />

liturgico in RB 19 e della preghiera privata extraliturgica in RB 20, o si tratta <strong>di</strong> due momenti complementari della<br />

celebrazione dell’opus Dei, cioè salmo<strong>di</strong>a recitata/cantata e preghiera personale?<br />

Cassiano descrive (Inst. II 7) l’uso egiziano dell’orazione salmica, la preghiera silenziosa al termine della recita <strong>di</strong><br />

<strong>un</strong> salmo; tale pratica è attestata anche da RM 14, 1; 20. Si può perciò ragionevolmente supporre che RB 19-20<br />

formino <strong>un</strong>a <strong>un</strong>ità, <strong>nella</strong> quale si descrivono i due momenti fondamentali della celebrazione dell’opus Dei:<br />

salmo<strong>di</strong>a e preghiera personale ispirata dal salmo. Tale preghiera personale silenziosa si faceva in ginocchio o<br />

prostrati (cf. il surgant e RB 50, 3); secondo RB, essa non si deve protrarre troppo a l<strong>un</strong>go, perlomeno non <strong>nella</strong><br />

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