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“Il dialetto Tarantino: una favola ancestrale …” - Taranto in cartolina

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- ’U vìste (La visita/veglia funebre). Era/è <strong>una</strong> visita di cordoglio che veniva fatta ai parenti<br />

stretti del defunto a pochi giorni dalla morte. I visitatori erano soliti recare caffè, cioccolato,<br />

biscotti per consolare gli affranti dal dolore, che non pensavano certo a nutrirsi <strong>in</strong> momenti<br />

così critici. La consuetud<strong>in</strong>e è proseguita s<strong>in</strong>o agli anni ’60. La visita <strong>in</strong> quel tempo si faceva<br />

precedere dal garzone del bar che <strong>in</strong> capaci vassoi recava bevande calde ristoratrici a casa<br />

del defunto. S’aprí ’u vìste, ci chiangéve da ’na vànne e cci da n’ôtre (N. Gigante, op cit. pag. 918).<br />

- Cci vriije … ?!(Chi impasta la far<strong>in</strong>a …?!). Nella <strong>Taranto</strong> dell’isola un garzone così<br />

strillava ogni matt<strong>in</strong>a tra vichi, stretti e larghi per poi raccogliere dalle massaie le<br />

prenotazioni di cottura del pane casal<strong>in</strong>go presso il forno del quartiere.<br />

- Le piàtte d’erva Paravíse: Gram<strong>in</strong>acee e legum<strong>in</strong>ose. Si facevano germogliare <strong>in</strong> piatti al<br />

buio. Le piant<strong>in</strong>e che crescevano erano di color bianco-giallo per mancanza di clorofilla e<br />

adornavano gli altari del SS Sacramento, preparati nelle chiese il giorno dei sepolcri nel<br />

giovedì santo.<br />

- Se n’à scennúte. (Se ne è scesa). Lo “scendere” era <strong>una</strong> fuga amorosa della coppietta <strong>in</strong><br />

caso di divergenze fra le rispettive famiglie. Di norma lei passava <strong>una</strong> o due nottate a casa di<br />

lontani parenti di lui o di lei o presso amici compiacenti. Il matrimonio riparatore dopo ’u<br />

fàtte aveva rigorosamente luogo all’alba. Gli ex fuggitivi accedevano – <strong>in</strong> segno di umiltà e<br />

pentimento - da <strong>una</strong> porta secondaria della chiesa (quella vic<strong>in</strong>o al campanile).<br />

- Zzì Frangìsche d’u sciuvedije sande. (Zio Francesco del giovedì santo). Un nostro<br />

concittad<strong>in</strong>o di nome Francesco Cecere era solito effettuare il giro delle case dei congregati<br />

dell’Addolorata. Egli bussava col crepitàcolo agli stipiti di portoni e portonc<strong>in</strong>i per<br />

ammonirli a prepararsi alla processione notturna del giovedì santo.<br />

- ’U Sciuvedíje sande de le sebbúlcre. “Nella strada maggiore che era l’arteria pr<strong>in</strong>cipale<br />

della vecchia <strong>Taranto</strong>, per pia costumanza, il giovedì santo non era consentito il transito<br />

delle vetture. I sontuosi equipaggi delle famiglie tarent<strong>in</strong>e rimanevano così, come le<br />

modeste vetture da nolo, nelle scuderie. Le dame dai grandi casati, verso l’imbrunire,<br />

<strong>in</strong>traprendevano a piedi il sacro pellegr<strong>in</strong>aggio. Ciò creava uno speciale tono di eleganza,<br />

un suggestivo particolare di signorilità mondana, curiosamente commista alla pietà<br />

religiosa. E vi era uno sfoggio di abiti neri e di austere acconciature” 40<br />

Le pecherèdde d’a Pàsche Tarandíne<br />

40 Articolo di Gennar<strong>in</strong>i Diego, Interventi giornalistici sulle tradizioni e riti della Settimana Santa a <strong>Taranto</strong> citato da:<br />

Claudio De Cuia, Arie de Pasche, Mandese editore, <strong>Taranto</strong>, marzo 2001, pag.16.

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