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Espressività ed emozione nell'esperienza musicale. Orientamenti ...

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suscitate dall’ascolto, da quel dominio del patologico che imp<strong>ed</strong>iva la possibilità di<br />

guardare alla musica come mondo a se stante, libero dalle proiezioni della nostra vita<br />

emotiva. Torna certamente utile ricordare quanto Hanslick ha affermato a tale proposi-<br />

to:<br />

L’ascoltatore gode attraverso una pura contemplazione [Anschaung]<br />

il pezzo <strong>musicale</strong> eseguito e ogni interesse per il contenuto deve essergli<br />

lontano. Tuttavia un interesse per il contenuto è la tendenza a<br />

lasciar eccitare in se stessi le affezioni. Se il bello interessa esclusivamente<br />

l’intelletto, siamo nel campo della logica, non dell’estetica;<br />

se esercita un effetto dominante sul sentimento, si ha un fatto ancora<br />

più preoccupante, vale a dire un fatto patologico. Tutto ciò, sviluppato<br />

già da tempo dall’estetica generale, vale altrettanto riguardo al bello<br />

di ogni arte. Se dunque si considera la musica come arte bisogna<br />

riconoscere come sua istanza estetica la fantasia e non il sentimento.<br />

Questa breve premessa ci sembra opportuna, perché in maniera indefessa<br />

si ritiene che con la musica si ottenga un’influenza calmante<br />

sulle passioni umane, finendo spesso col non sapere più se si parli<br />

della musica come di una norma di polizia, di p<strong>ed</strong>agogia o di m<strong>ed</strong>icina<br />

57 .<br />

In realtà è ben noto il fatto che questo riconoscimento spinse Hanslick a negare<br />

qualsiasi possibilità di dare descrizioni della musica in termini espressivi, poiché<br />

l’unico significato estetico che egli riconosce alla musica è quello della sua bellezza<br />

formale, delle forme sonore in movimento, nient’altro. Le cose non stanno così invece<br />

per i sostenitori del requisito dell’esternalità i quali manifestano uno scetticismo pressoché<br />

radicale rispetto a questa istanza teorica. Urge infatti, dal loro punto di vista, il<br />

bisogno di ripensare il problema dell’espressività <strong>musicale</strong> all’interno di una prospettiva<br />

che accetta, è vero, i presupposti di un’impostazione formalistica, ma non ne condivide<br />

gli esiti. È possibile cioè salvare l’espressività <strong>musicale</strong> a partire da premesse formalistiche.<br />

Ma a questo punto, preannunciavamo, sorge il problema di stabilire come si<br />

possa vincolare un’<strong>emozione</strong> alla struttura <strong>musicale</strong>.<br />

Una prima conferma a quanto sinora esposto è quella che ci viene da Kivy, il<br />

quale così ci informa della mutata condizione:<br />

Fra i filosofi della musica è andato crescendo il consenso sul fatto<br />

che, contrariamente alla affermazioni scettiche di Hanslick, sia perfettamente<br />

sensato descrivere la musica in termini espressivi e che,<br />

ancora contrariamente alla affermazioni scettiche di Hanslick, fra gli<br />

57 E. Hanslick, Il bello <strong>musicale</strong>, cit., pag. 40.<br />

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