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Espressività ed emozione nell'esperienza musicale. Orientamenti ...

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capace di incarnare le emozioni ordinarie. In secondo luogo, occorre spiegare quale<br />

ruolo giocano queste proprietà espressive nella struttura <strong>musicale</strong> alla quale apparten-<br />

gono. Infine, l’ultima questione: dato che le emozioni ordinarie risi<strong>ed</strong>ono, in quanto<br />

proprietà espressive, nella musica, e non nell’ascoltatore, cosa significa dire che una<br />

persona è emotivamente colpita dalla musica.<br />

Come può dunque la musica ‘incarnare’ le emozioni ordinarie? Per ragioni di<br />

ordine e di chiarezza abbiamo individuato due tipi di risposta a questa domanda: una<br />

risposta “dal basso” e una risposta “dall’alto”.<br />

La risposta “dal basso” è quella secondo cui il problema espressivo è da ricondurre<br />

sul piano di una risposta imm<strong>ed</strong>iata, a partire soprattutto dalla riabilitazione di<br />

una tesi isomorfica. L’idea è che proprio sulla soglia dei nostri decorsi percettivi si rivelino<br />

somiglianze, similarità, tra le dinamiche della musica e quelle del comportamento<br />

espressivo umano. Il senso dei decorsi percettivi è cioè una proiezione che si radica<br />

in una struttura. Le nostre percezioni, come del resto la fenomenologia ha ben mostrato,<br />

non sono delle esperienze puntuali <strong>ed</strong> isolate, ma disegnano una trama. Questa trama,<br />

fatta di ritenzioni e protensioni, rappresenta quello che qui chiamiamo ‘struttura’.<br />

Ed è proprio grazie a questa nozione che possiamo arrivare a concepire le proprietà<br />

emotive come analogicamente ancorate alla struttura <strong>musicale</strong>.<br />

L’orizzonte dell’affettività da una parte e l’insieme delle strutture percettive<br />

dall’altra non sono due dimensioni che stanno in un qualche rapporto tra loro, ma due<br />

aspetti di un’unica realtà, strutturalmente isomorfici. Secondo questa lettura,<br />

l’isomorfismo si presenta con il suo massimo di necessità, ogni qualvolta si voglia fuggire<br />

da ipotesi riduzionistiche che, ispirate all’autorità della logica scientifica tendono a<br />

riaffermare il principio secondo cui la musica non può provare emozioni né può essere<br />

triste, a meno che tali attribuzioni non si dicano poetiche o metaforiche, per la circostanza<br />

che l’esperienza (la possibilità) di sentire emozioni dentro di sé è propria solo<br />

degli esseri senzienti.<br />

Una risposta “dal basso” è quella che abbiamo facilmente riconosciuto nella cosiddetta<br />

teoria del profilo (Contour Theory) di Peter Kivy, ma anche nella tesi espressiva<br />

(Emotion-characteristics-in-appearances Theory) di Stephen Davies. Nel caso specifico,<br />

Kivy sostiene che certamente deve esservi una somiglianza tra la struttura, il<br />

profilo, il contorno della musica e le manifestazioni acustiche e visive dell’espressione<br />

emotiva umana. Kivy precisa che, nonostante l’apparenza, non si tratta di una teoria<br />

rappresentazionale, perché le emozioni non sono percepite come rappresentate, vale a<br />

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