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| internazionale | Sierra Leone |<br />
L’eterna<br />
maledizione<br />
dei diamanti<br />
LA SIERRA LEONE È UNO DEI PAESI PIÙ POVERI DEL MONDO, l’ultimo<br />
nella scala dello sv<strong>il</strong>uppo umano delle Nazioni Unite. Un<br />
posto in graduatoria che al viaggiatore risulta evidente<br />
fin dal primo impatto. L’aereo della<br />
di Raffaele Masto Royal Air Maroc arriva all’aeroporto internazionale<br />
di Lungi in piena notte e<br />
scarica una piccola folla di passeggeri che prima di arrivare a destinazione<br />
ha ancora da passare una notte di avventura.<br />
Sbrigate le formalità doganali, infatti, la piccola folla di passeggeri<br />
viene sospinta fuori dallo scalo che, incredib<strong>il</strong>mente, chiude i battenti<br />
e si ritrova, al buio pesto, nel mezzo di una foresta tropicale aggressiva,<br />
in una situazione tutt’altro che tranqu<strong>il</strong>lizzante: Freetown è<br />
a quaranta ch<strong>il</strong>ometri in linea d’aria, cioè dalla parte opposta della<br />
baia, raggiungib<strong>il</strong>e via terra facendo però tutto <strong>il</strong> giro, lungo una strada<br />
senza luci e asfaltata solo in parte, prospettiva non allettante.<br />
L’alternativa, seguita dalla maggioranza degli ex passeggeri, è quella<br />
di attendere, <strong>il</strong> mattino dopo, <strong>il</strong> ferry boat che collega l’aeroporto al-<br />
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la città. Non resta che raggiungere <strong>il</strong> beach, a circa cinque ch<strong>il</strong>ometri.<br />
E così una processione di sgangherati taxi improvvisati che sembrano<br />
lucciole nella notte, trasporta l’ormai esausta folla al porto dove<br />
ognuno, abbarbicato ai propri bagagli, si addormenta in attesa dell’alba,<br />
prigioniero tra la foresta e <strong>il</strong> mare e fac<strong>il</strong>e preda di stormi di insetti<br />
e falene che si ritrovano, senza fatica, un’ottima cena offerta dalla<br />
disorganizzazione e dalla mancanza di mezzi di un Paese che, già<br />
dal biglietto da visita, non promette bene.<br />
Brutte promesse. Mantenute<br />
E la Sierra Leone le promesse le onora. All’alba <strong>il</strong> ferry boat compare<br />
come un fantasma tra la nebbiolina sprigionata dall’umidità della foresta<br />
tropicale. È un traghetto antiquato, con le fiancate a f<strong>il</strong>o d’acqua<br />
coperte di ruggine, che in breve si riempie di passeggeri e venditori<br />
di ogni genere di merce spuntati da chissà dove. Poco dopo siamo in<br />
navigazione nella splendida baia di Freetown. La città e le sue coste<br />
viste da lontano sembrano i luoghi di un esclusivo posto di v<strong>il</strong>leg-<br />
SIERRA LEONE<br />
OCEANO ATLANTICO<br />
giatura: spiagge dorate e insenature coperte di mangrovie, sovrastate<br />
da colline ammantate da una rigogliosa vegetazione. Una volta presa<br />
terra però l’incanto svanisce. Freetown è una chiassosa città africana,<br />
due m<strong>il</strong>ioni di abitanti, un terzo della popolazione di tutta la<br />
Sierra Leone: traffico, spazzatura, inquinamento, venditori, poveri<br />
mercati, mendicanti, confusione e musica sparata a tutto volume<br />
contemporaneamente da decine di radio e registratori.<br />
Senza elettricità<br />
Scopro che in città si fa un grande uso di batterie perché – incredib<strong>il</strong>e<br />
– non c’è l’elettricità. Due m<strong>il</strong>ioni di persone che dalle sei di sera all’alba<br />
vivono a lume di candela, esclusi i rari hotel di lusso, le ambasciate<br />
e non tutti gli edifici governativi. Il presidente Ernest Koroma,<br />
eletto lo scorso autunno, come primo atto del suo mandato ha promesso<br />
la luce e ha fatto arrivare una nave dal Marocco carica di generatori<br />
ai quali vorrebbe collegare la malandata rete elettrica della città.<br />
I lavori sono ancora in corso, la gente attende, ma ci crede poco.<br />
RAFFAELE MASTO<br />
A sinistra, tra<br />
le baracche di<br />
Waterloo, un sobborgo<br />
di Freetown, la capitale<br />
della Sierra Leone.<br />
Sopra, un ragazzo<br />
amputato gioca<br />
a calcio su una<br />
spiaggia nei pressi<br />
della capitale.<br />
Uno delle migliaia<br />
nel Paese, mut<strong>il</strong>ati<br />
dai bambini soldato<br />
del Ruf. A destra, un<br />
mercato di Freetown.<br />
Peperoni, cipolle<br />
e insalata sono i pochi<br />
prodotti che la gente<br />
può acquistare.<br />
Sierra Leone, 2007.<br />
Un Paese ferito da dieci anni di guerra civ<strong>il</strong>e, combattuta solo per <strong>il</strong> controllo delle pietre preziose. Ferita è la popolazione, tra bambini soldato e migliaia di amputati e ciechi.<br />
AFRICA<br />
SIERRA LEONE,<br />
PEDINA DELL’OCCIDENTE<br />
| internazionale |<br />
A FREETOWN IL LASCITO COLONIALE È EVIDENTE, a cominciare<br />
dal nome: città libera. Furono gli abolizionisti inglesi della schiavitù<br />
a chiamare così la capitale della Sierra Leone quando, alla fine del 1700,<br />
aiutarono quattrocento schiavi liberati a tornare in Africa e a stab<strong>il</strong>irsi<br />
su queste coste, che divennero una delle prime colonie britanniche<br />
nel continente. Poi, per diversi decenni, a Freetown continuarono<br />
ad affluire schiavi liberati dalla Giamaica e dagli Stati Uniti tanto<br />
che finirono per costituire una vera e propria etnia, i krio, e a sommarsi<br />
a quelle degli indigeni locali: i temne, i mende, i limba, i kono. L’odierna<br />
Sierra Leone, con i suoi attuali confini, incuneata tra la Liberia<br />
e la Guinea, deve la sua storia a questi avvenimenti che prendevano<br />
esempio da ciò che era accaduto nella vicina Liberia, a sua volta nata<br />
su iniziativa del presidente abolizionista statunitense Monroe,<br />
che diede addirittura <strong>il</strong> nome alla capitale Monrovia. Il risultato<br />
fu che, nel succedersi della storia coloniale, Sierra Leone e Liberia divennero<br />
una enclave anglofona in quella che fu poi l’Africa Occidentale Francese.<br />
Questo assetto geo-politico non è estraneo ai recenti avvenimenti.<br />
In quello scacchiere che è l’Africa, sul quale le grandi potenze muovono<br />
le loro pedine da lontano, sfruttando i contrasti locali, la Sierra Leone<br />
e le sue ricchezze divennero, nei primi anni Novanta, una merce<br />
di scambio nel conflitto politico-diplomatico tra Francia e Stati Uniti<br />
che ha segnato l’Africa negli ultimi quindici anni.<br />
Parigi a quei tempi andava progressivamente perdendo influenza<br />
nella regione dei Grandi Laghi, in particolare in Ruanda e nell’ex Zaire,<br />
soprattutto per quanto riguardava lo sfruttamento delle ingenti risorse<br />
minerarie nelle regioni orientali del Congo. Quell’enclave anglofona<br />
nell’Africa Occidentale Francese era l’ideale per recuperare terreno.<br />
Così quando <strong>il</strong> RUF nacque trovò nella Francia un’ottima sponda,<br />
che aveva tutto l’interesse a destab<strong>il</strong>izzare l’area.<br />
Oggi, a guerra finita, la concorrenza tra anglo-americani e francesi<br />
in Sierra Leone, è ancora aperta. Lo si capisce da quanto Parigi,<br />
Washington, Londra investono nella loro presenza nel Paese<br />
con organizzazioni umanitarie, aiuti e diplomazia. Gli Stati Uniti<br />
per esempio hanno rifatto con i criteri più moderni la loro ambasciata<br />
che, apparentemente, è sovradimensionata: si stende su un’intera collina<br />
che sovrasta Freetown e occupa uno stuolo di diplomatici.<br />
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