speciale Quirino Bezzi Di Bezzi poeta a me piace solo far conoscere la canzone funebre che riportiamo a parte, che egli senza tanta pubblicità ha chiesto in segreto al suo amico don Giuseppe Grosselli <strong>di</strong> musicare e poi l’ha infilata nel pacco dei suoi appunti lasciato sul tavolo. Non credo egli abbia avuto modo <strong>di</strong> poterla ascoltare, visto che il tutto è sempre 16 stato così riservato, oggi comunque potrebbe essere un bell’ omaggio alla memoria del grande solandro, maestro per generazioni, amante delle montagne oltre che della sua valle natia. * Direttore <strong>di</strong> Strenna Trentina.
QUIRINO BEZZI: UNA VITA FATTA DI DEMOCRAZIA IN AZIONE <strong>di</strong> Vincenzo Bonmassar* Conobbi <strong>di</strong> persona Quirino Bezzi nel 1977, un anno dopo il congedo dal servizio militare e ad un paio d’anni dalla laurea. Il “68” che avevo lasciato alle spalle mi aveva consegnato una sana <strong>di</strong>ffidenza verso le soluzioni facili, gli slogans, il pensiero conforme. Mi aveva regalato anche una gran voglia <strong>di</strong> andare oltre le apparenze e <strong>di</strong> impegnarmi nella cosa pubblica senza ben sapere quali fossero gli strumenti veri <strong>di</strong> cui fare uso per incidere, per cambiare, per dare risposta ad uno spirito critico che le frequentazioni giovanili e le frustrazioni della caserma avevano alimentato non poco. Quirino Bezzi, allora, aveva poco più <strong>di</strong> sessant’anni, il suo pizzo era completamente grigio ed i suoi occhi sprizzavano una vivacità che il suo modo <strong>di</strong> parlare confermavano pienamente. L’incontro mi lasciò perplesso e curioso perché quello era un <strong>di</strong>scendente collaterale <strong>di</strong> Ergisto, del quale conoscevo la biografia che lo descriveva come “il più mazziniano dei garibal<strong>di</strong>ni ed il più garibal<strong>di</strong>no dei mazziniani”. Quirino parlava quasi sempre <strong>di</strong>aletto con uno stile <strong>di</strong>retto e quasi scanzonato, che a tratti interrompeva per concedersi ad una certa solennità con la quale scan<strong>di</strong>va una o poche frasi alle quali intendeva dare un particolare significato. “No, non è questa l’Italia che volevamo” recitò quasi ad occhi chiusi per rilassarsi poi in espressioni <strong>di</strong>alettali. Non era l’Italia che volevamo... Noi, quin<strong>di</strong>, noi tutti che avevamo vissuto tante esperienze <strong>di</strong>verse. Lui che aveva un antenato nobilitato dal rapporto epistolare, ma confidenziale, con Giuseppe Mazzini. Che aveva esposto la sua vita a tutti i rischi del conflitto armato assieme a Giuseppe Garibal<strong>di</strong>. Ma assieme mi ci trovavo pure io con il fasti<strong>di</strong>o <strong>di</strong> un “sessantotto” conformista e <strong>di</strong> un solo anno <strong>di</strong> vita in <strong>di</strong>visa praticamente inutile. “La <strong>di</strong>fesa della patria è sacro dovere dei citta<strong>di</strong>ni”, così recitava e recita la Costituzione della Repubblica. Non avevo <strong>di</strong>feso proprio nulla. Ergisto, non solo l’aveva <strong>di</strong>fesa, ma l’aveva costruita. Quirino non parlò mai delle nobili tra<strong>di</strong>zioni <strong>di</strong> famiglia. Gli interessava l’attualità, voleva vivere il suo tempo. Ma viverlo a tempo pieno, in tutte le manifestazioni che il suo modo d’essere gli avrebbe consentito. Scrivere, parlare, sostenere temi ed argomentare. Fondare associazioni, partecipare alla vita civile. La vita civile. Le mie conoscenze mazziniane, allora, risalivano alla frequentazione <strong>di</strong> convegni nei quali prevalevano gli 17 speciale Quirino Bezzi interventi facon<strong>di</strong> espressi con accento romagnolo. Le memorie <strong>di</strong> una grande insegnamento che chiedeva <strong>di</strong> impegnarsi, <strong>di</strong> adempiere ai doveri dell’uomo. Cercare la verità sapendo che la ricerca non sarebbe mai finita. Allora il pensiero mazziniano era relegato, quasi peggio <strong>di</strong> quel che accade oggi, negli anfratti scolastici e in qualche e angusta celebrazione retorica. Stava forse vincendo quel messaggio volto a realizzare la “società <strong>di</strong> armenti”, così come Mazzini, quasi con stizza, aveva apostrofato il vaticinio marxista. Quirino Bezzi veniva da ben altra storia. Con lui la “società degli armenti” non avrebbe superato il traguardo e piegato l’umanità ad una vita da caserma. La sua vivacità era veramente un esempio reale <strong>di</strong> quel vivere in azione che assommava l’azione garibal<strong>di</strong>na al pensiero mazziniano. C’era da imparare da quel suo <strong>di</strong>namismo sempre alla ricerca <strong>di</strong> una risposta che non era mai quella definitiva. C’era un tratto gioioso in quel suo proporre sempre cose nuove, nel porre temi ed interrogativi ai quali, e forse questo gli era ben presente, solo lui avrebbe potuto cercare <strong>di</strong> dare una risposta. Ma come, lui con la sua storia, con un carattere fatto <strong>di</strong> sintesi fra pensiero ed azione, alla fine si era dato a collaborare con la Democrazia Cristiana? Per me, che ero sopravvissuto e pretendevo <strong>di</strong> essere immune ai luoghi comuni del sessantotto, questo sembrava davvero troppo. “Questa non è l’Italia che avevamo voluto”, aveva accennato Quirino ad un mio timido ma intransigente rilievo. Non c’era che con<strong>di</strong>videre il metodo e correre il rischio <strong>di</strong> esporsi per misurasi con le idee, con gli altri: farsi carico del dovere <strong>di</strong> impegnarsi. Del dovere <strong>di</strong> <strong>di</strong>ventare azione del proprio pensiero. L’occasione si offrì un giorno del <strong>di</strong>cembre del 1985 quando Quirino, con poche battute, si <strong>di</strong>sse <strong>di</strong>sponibile ad ospitare qualche mio scritto <strong>di</strong>alettale in rima sulla rivista che aveva fondato da poco e che si intitolava: “Ciacere”. Mi guardò con un poco <strong>di</strong> <strong>di</strong>ffidenza, forse, perché quel mio modo <strong>di</strong> pormi non rientrava nelle sue categorie, che si erano formate in ben altre occasioni ed in ben altre esperienze. Ci <strong>di</strong>videvano trent’anni <strong>di</strong> vita e forse trentamila occasioni ed esperienze <strong>di</strong>verse. Io scrissi qualcosa nel mio <strong>di</strong>aletto <strong>di</strong> Trento e Quirino subito si mise a chiedere perché avessi usato un tal fo