RIBALTA G IOVANI di Alessandra Mastrodonato UN’ETICA DEL LAVORO A RESPONSABILITÀ LIMITATA? Le difficoltà odierne dei giovani riguardo al lavoro sono note e la situazione non sembra poter migliorare a breve scadenza. La precarietà è regina. Gli atipici si moltiplicano. Eppure… U Negli ultimi tempi, sfogliando i giornali o leggendo le indagini che cercano di analizzare <strong>il</strong> complicato rapporto che <strong>nel</strong>la fase storica attuale intercorre tra giovani e mondo del lavoro, è fac<strong>il</strong>e imbattersi in dati piuttosto allarmanti che fanno riferimento al d<strong>il</strong>agare della disoccupazione giovan<strong>il</strong>e e all’emergere di nuove forme di precarietà occupazionale, che sembrano rimettere in discussione i concetti di “posto fisso” e di “carriera lavorativa”. Non c’è dubbio che queste statistiche fotografino una situazione reale e da tutti percepib<strong>il</strong>e, ma è altrettanto vero che, mentre abbondano i tentativi di descrivere le trasformazioni in atto, raramente ci si interroga sul valore e sul significato che <strong>il</strong> lavoro tende oggi ad assumere per noi giovani. È, infatti, innegab<strong>il</strong>e che negli ultimi due decenni <strong>il</strong> lavoro sia cambiato radicalmente: nuove tipologie lavorative si sono progressivamente affermate, nuove modalità di contratto hanno preso <strong>il</strong> sopravvento sulla tradizionale assunzione a tempo pieno e indeterminato, e nuovi personaggi, i cosiddetti “atipici”, sono diventati ormai i protagonisti tipici del panorama occupazionale. Ma non si può fare a meno di riconoscere che anche <strong>il</strong> modo di rapportarsi al lavoro è radicalmente mutato. E noi giovani rappresentiamo, un termometro particolarmente sensib<strong>il</strong>e, in grado di cogliere in modo più marcato <strong>il</strong> cambiamento di prospettiva in atto. In particolare, si è recentemente sostenuto che noi giovani abbiamo imboccato la strada di una crescente disaffezione dal mondo del lavoro, che sempre più tendiamo ad abbracciare un’etica del lavoro di tipo meramente strumentale, in cui domina un senso di “responsab<strong>il</strong>ità limitata”. E non c’è da stupirsi che per molti giovani le cose stiano effettivamente così poiché, spesso stremati dall’interminab<strong>il</strong>e ricerca di un’occupazione, delusi dal dover in molti casi accettare un impiego non congruente con i propri interessi e competenze, preoccupati che una certa professione non offra possib<strong>il</strong>ità di autorealizzazione, né assicuri dignità e sicurezza di vita, è prevedib<strong>il</strong>e che in tanti scelgano infine di ridurre al minimo <strong>il</strong> proprio investimento affettivo e ideale nei confronti del lavoro, riversando al di fuori di esso le aspettative e le aspirazioni più autentiche. Tuttavia, più che di un vero e proprio “rifiuto del lavoro”, a me sembra che sia piuttosto <strong>il</strong> caso di parlare di un suo “riposizionamento” <strong>nel</strong>l’universo valoriale di noi giovani, che ci troviamo spesso alle prese con una doppia contingenza. Se è vero, infatti, che diminuisce la possib<strong>il</strong>ità di fare affidamento su percorsi e modelli certi e già sperimentati, con tutto <strong>il</strong> carico di rischio e di insicurezza che questo comporta, d’altro canto va anche detto che si moltiplicano le opportunità di scegliere e di costruire in modo originale <strong>il</strong> nostro percorso occupazionale, grazie anche all’allentarsi dei vincoli e dei meccanismi della predestinazione sociale. A ogni modo, una cosa sembra potersi affermare con certezza, e cioè che ci troviamo oggi a sperimentare percorsi lavorativi e professionali immancab<strong>il</strong>mente segnati da precarietà, incertezze e ri/orientamenti, che contribuiscono a movimentare e a complicare <strong>il</strong> nostro personale romanzo lavorativo. E tutto ciò ci stimola a imparare, pena una condizione di svantaggio permanente, a divenire “imprenditori di noi stessi”, sforzandoci di autoconcepirci come “ufficio-pianificazione” in merito alla nostra biografia, alle nostre capacità, ai nostri orientamenti e alle nostre relazioni. BS GENNAIO <strong>2009</strong> 5