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SETTEMBRE 2010 NUMERO 91 - Urban

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BIDIBIBODIBIBOO (1996). – Una squallida<br />

cucina degli anni Cinquanta in miniatura,<br />

uguale a quella dell’infanzia di<br />

Cattelan, e uno scoiattolino che si suicida.<br />

Da mesi Cattelan cercava l’idea giusta per<br />

una mostra che gli toglieva il sonno. Finalmente<br />

un giorno, a New York, mentre<br />

sta correndo a Central Park,<br />

inciampa in uno scoiattolo<br />

morto e immediatamente arriva<br />

l’illuminazione: “Ecco,<br />

lui mi salverà!”. Così è nato il<br />

suo lavoro più melanconico. Il titolo allude<br />

alla formula usata da Mary Poppins quando<br />

agita la bacchetta magica. Ma nella vita<br />

vera la magia delle fiabe non funziona. ChARlIE DON’T SURF (1997). – È la prima<br />

volta che compare Charlie, alter ego<br />

dell’artista. Presentato sempre di spalle,<br />

rivolto verso una finestra, il manichino con<br />

le mani appoggiate al banco e trafitte dalle<br />

matite, sembra un bambino vero. Il titolo<br />

viene dal film Apocalypse<br />

now dove gli americani, che<br />

chiamavano Charlie i<br />

vietkong, prendono una postazione<br />

per andare a surfare e si dicono strafottenti<br />

che non c’è pericolo perché “Charlie<br />

don’t surf”. Charlie è plurale, come il nemico,<br />

generico e collettivo: in questo senso<br />

moltiplica i significati inquietanti e dolorosi<br />

dell’opera. Per inciso, Cattelan,<br />

che ha sempre vissuto come<br />

una punizione dover andare a<br />

scuola e che è stato ripetutamente<br />

bocciato, in seconda elementare<br />

aveva trafitto un compagno di banco<br />

con la biro e ora passa mesi a fare kite<br />

surfing in Costa Rica.<br />

SENZA TITOlO (2003). – I bambini sono<br />

molto presenti nell’opera di Cattelan.<br />

Questa scultura fu issata<br />

sul tetto del museo<br />

ludwig di Colonia:<br />

il bambino batteva sul tamburo, come un<br />

ritardato, senza produrre alcuna musica o<br />

ritmo. Ai tedeschi non poteva non ricordare<br />

il protagonista de “Il tamburo di latta”<br />

di Günter Grass, Oskar, che a tre anni<br />

capisce la falsità del mondo degli adulti,<br />

smette di crescere e di parlare e comunica<br />

solo attraverso il suo tamburo. la crescita<br />

è per Oskar, come per la<br />

Germania nazista in cui vive,<br />

qualcosa di difficile e doloroso<br />

tanto che Oskar riprenderà<br />

a parlare solo dopo la morte<br />

del padre nazista. Cattelan nega<br />

di aver pensato a questa storia, ma aveva<br />

visto il film tratto dal libro: nella vicenda<br />

di quel bambino disadattato e ribelle c’è<br />

un’eco dell’infanzia stessa dell’artista.<br />

NON È MAI<br />

TROPPO TARDI<br />

PER<br />

RIFARSI<br />

UN’INFANZIA<br />

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