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BIDIBIBODIBIBOO (1996). – Una squallida<br />
cucina degli anni Cinquanta in miniatura,<br />
uguale a quella dell’infanzia di<br />
Cattelan, e uno scoiattolino che si suicida.<br />
Da mesi Cattelan cercava l’idea giusta per<br />
una mostra che gli toglieva il sonno. Finalmente<br />
un giorno, a New York, mentre<br />
sta correndo a Central Park,<br />
inciampa in uno scoiattolo<br />
morto e immediatamente arriva<br />
l’illuminazione: “Ecco,<br />
lui mi salverà!”. Così è nato il<br />
suo lavoro più melanconico. Il titolo allude<br />
alla formula usata da Mary Poppins quando<br />
agita la bacchetta magica. Ma nella vita<br />
vera la magia delle fiabe non funziona. ChARlIE DON’T SURF (1997). – È la prima<br />
volta che compare Charlie, alter ego<br />
dell’artista. Presentato sempre di spalle,<br />
rivolto verso una finestra, il manichino con<br />
le mani appoggiate al banco e trafitte dalle<br />
matite, sembra un bambino vero. Il titolo<br />
viene dal film Apocalypse<br />
now dove gli americani, che<br />
chiamavano Charlie i<br />
vietkong, prendono una postazione<br />
per andare a surfare e si dicono strafottenti<br />
che non c’è pericolo perché “Charlie<br />
don’t surf”. Charlie è plurale, come il nemico,<br />
generico e collettivo: in questo senso<br />
moltiplica i significati inquietanti e dolorosi<br />
dell’opera. Per inciso, Cattelan,<br />
che ha sempre vissuto come<br />
una punizione dover andare a<br />
scuola e che è stato ripetutamente<br />
bocciato, in seconda elementare<br />
aveva trafitto un compagno di banco<br />
con la biro e ora passa mesi a fare kite<br />
surfing in Costa Rica.<br />
SENZA TITOlO (2003). – I bambini sono<br />
molto presenti nell’opera di Cattelan.<br />
Questa scultura fu issata<br />
sul tetto del museo<br />
ludwig di Colonia:<br />
il bambino batteva sul tamburo, come un<br />
ritardato, senza produrre alcuna musica o<br />
ritmo. Ai tedeschi non poteva non ricordare<br />
il protagonista de “Il tamburo di latta”<br />
di Günter Grass, Oskar, che a tre anni<br />
capisce la falsità del mondo degli adulti,<br />
smette di crescere e di parlare e comunica<br />
solo attraverso il suo tamburo. la crescita<br />
è per Oskar, come per la<br />
Germania nazista in cui vive,<br />
qualcosa di difficile e doloroso<br />
tanto che Oskar riprenderà<br />
a parlare solo dopo la morte<br />
del padre nazista. Cattelan nega<br />
di aver pensato a questa storia, ma aveva<br />
visto il film tratto dal libro: nella vicenda<br />
di quel bambino disadattato e ribelle c’è<br />
un’eco dell’infanzia stessa dell’artista.<br />
NON È MAI<br />
TROPPO TARDI<br />
PER<br />
RIFARSI<br />
UN’INFANZIA<br />
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