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milano & co. musica<br />
Di Paolo maDeDDu<br />
UN’ARPA<br />
FOLK & BLUES<br />
Joanna newsom<br />
27 settembre<br />
milano – teatro Dal Verme<br />
28 settembre<br />
roma – auDitorium Parco Della musica<br />
Se non la conoscete, potreste essere ingannati da alcune foto in pose sexy o<br />
dal titolo porcellino del suo ultimo disco, Have one on me (un modo di dire<br />
“Offro io” che somiglia pericolosamente a “Fattene una su di me”), o dalla<br />
sua provenienza, la west coast americana. Ma Joanna Newsom, nata 28 anni<br />
fa a Nevada City, la Novi Ligure degli Stati Uniti (nel senso che non sta dove<br />
dice di stare. È in California), è di una pasta un pochino più complicata.<br />
Il disco di cui sopra, il terzo da lei pubblicato, non contiene 40 minuti di<br />
dance pop, ma due ore di musica composta al piano ma soprattutto all’arpa,<br />
cantata con una voce che lei definisce “ineducabile”: un tantino chioccia<br />
e infantile, soprattutto dopo che ha avuto dei noduli alle corde vocali.<br />
Molte anime rudi fermatesi ad ascoltare sono però state rapite dall’incanto<br />
di questa donzella un po’ tolkieniana, che dall’alto del suo virtuosismo<br />
50 | urban<br />
impone alla sua arpa di tutto, dal folk al blues. Certo non è una musicista<br />
per tutti i gusti, e non c’è radio che suonerebbe i suoi pezzi: le mancano<br />
quei pienoni epici che permettevano a Enya di “bucare” l’etere. Però le dà<br />
una grossa mano l’ammirazione di chi, infarinato di musica, è in grado di<br />
cogliere l’agilità con cui si muove sul pentagramma, e la diffusa voglia di<br />
intimismo profondo tra gli utenti di internet, grazie ai quali – tenetevi pronti<br />
a un’espressione intollerabile da veri giornalisti, lo facciamo per rompere<br />
ogni tipo di incantesimo – impazza in rete… Se vi siete ripresi, vi diamo<br />
il colpo di grazia: fa boom di contatti sul web. È altamente probabile<br />
quindi che impazzi e faccia boom anche ai concerti del 27 e 28 settembre<br />
a Milano (Teatro Dal Verme) e Roma (Auditorium Parco della Musica).<br />
Ah, ancora due cose: primo, non offre lei. Secondo, non vi salti in testa di<br />
farvene una – su, da bravi. •<br />
HUrts<br />
HaPPiness<br />
Sony<br />
Who: Adam Anderson (quello che suona) e Theo<br />
Hutchcraft (quello che canta). Due giovani di<br />
Manchester che si struggono in bianco e nero.<br />
Where: In quella pericolosa e affollata Ellis Island piena<br />
di gruppi che arrivano, si sentono dire che somigliano a<br />
tre o quattro gruppi degli anni Ottanta (nel loro caso, ai<br />
dui degli anni Ottanta. Quelli con le Lacrime nel nome.<br />
Oppure quelli col Negozio di Animali). Per poi essere<br />
gettati a mare senza tanti complimenti.<br />
Why: Negli ultimi anni c’è del buon pop in giro, e arriva<br />
anche in radio – purtroppo chi lo fa non riscuote credito<br />
e viene presto archiviato anche perché i critici over 30<br />
sono ancora fissati con quello stupido suonino indie.<br />
Ehi, non guardate qui. Gli ALTRI critici over 30.<br />
What: “Le nostre richieste sono: 1 abito Savile Row, 1<br />
abbonamento al Manchester Utd, 1 ombrello, 2 biglietti<br />
per l’Eurofestival, 1 pettine”. (dal contratto con la Sony)<br />
When: Adesso.<br />
UNA SU 12<br />
sting<br />
i Hung mY HeaD<br />
Da “sYmPHonicities”<br />
Deutsche Grammophon<br />
Non fai a tempo a parlarne bene, a negare che se la<br />
tira da professore del rock passato a incidere per la<br />
più prestigiosa delle etichette classiche, a elogiare<br />
quel disco nevoso intitolato If on a winter’s night… che<br />
blonDe reDHeaD<br />
PennY sParKle<br />
4AD<br />
Who: I gemelli Amedeo e Simone<br />
Pace, ex milanesi, Kazu Makino,<br />
ex giapponese. Oggi tutti e tre<br />
newyorchesi – non lo siamo<br />
tutti? In giro da 15 anni. Caspita.<br />
All’ottavo disco. Caspita.<br />
Where: Comodi nel loro acquario<br />
elettropop, dove sguazzano sinuosi<br />
tra i sintetizzatori evitando tanto le<br />
reti dei pescatori quanto le acque<br />
di mari e fiumi più popolati, in<br />
cui forse non spiccherebbero allo<br />
stesso modo.<br />
Why: Però un posto garantito in Mtv<br />
Brand New lo avranno sempre.<br />
What: “Non sono sicura di cosa<br />
sia questo disco ma mentre lo<br />
incidevamo ho avuto la sensazione<br />
di essere come un pastore che<br />
cerca di radunare cinque stalloni<br />
in un recinto, senza riuscirci, mi<br />
sono sentita come fossi un punto<br />
di contatto tra tutti quelli che ci<br />
lavoravano, io rimanevo ferma e<br />
tutti gli altri si muovevano, e…”<br />
(Kazu Makino) (abbiamo tagliato<br />
per ragioni di spazio ma il concetto<br />
ci pareva chiaro).<br />
When: Quando non vi resta che<br />
prendere atto.<br />
robert plant<br />
banD oF JoY<br />
Universal<br />
Who: Capellone 62enne, un<br />
Grammy per un album con<br />
Alison Krauss, insignito del titolo<br />
dell’Eccellentissimo Ordine<br />
dell’Impero Britannico e del<br />
titolo di dio del rock. Sospettato<br />
di mettere messaggi satanici<br />
nelle canzoni sul Paradiso. Oggi<br />
reinterpreta Satan, your kingdom<br />
must come down. Vatti a fidare.<br />
Where: Nell’ennesimo tuffo nel<br />
passato: Band of Joy era la sua<br />
prima band, col defunto John<br />
Bonham. Il repertorio pesca<br />
ovunque: dal rockabilly al country,<br />
dai Los Lobos ai Low.<br />
Why: Più i cantanti invecchiano,<br />
più tornano quei ragazzini che<br />
mimavano allo specchio canzoni<br />
altrui: Peter Gabriel ha fatto un<br />
cover album, Phil Collins pure,<br />
Suzanne Vega anche, Sting lo ha<br />
fatto di se stesso. Robert Plant (ma<br />
sì, è lui) peraltro lo faceva già 30-40<br />
anni fa col suo gruppo più famoso,<br />
quello che catturò Moby Dick.<br />
What: “Mi piace cantare”.<br />
lui se ne esce con questo sgorbio gradasso e tronfio.<br />
Inutile fare l’elenco (lunghissimo) delle rockstar o<br />
dei cantautori (anche italiani) che hanno riletto il<br />
loro repertorio in chiave sinfonica, e il controelenco<br />
(vuotissimo) di quelli che ne hanno cavato qualcosa<br />
di buono. Ci aspettavamo che uno con l’esperienza e<br />
l’intelligenza del 58enne divo non avesse complessi<br />
(oltre ai Police), che sapesse che la musica che ha inciso<br />
in tre decenni non necessitava della convalida di una<br />
versione orchestrale. Cosa voleva, entrare in qualche<br />
salotto buono? Uno che possiede castelli e tenute<br />
ovunque? E poi, avesse avuto il fegato di rinunciare<br />
del tutto a batterie e chitarre elettriche. Il bello è<br />
che a far da elefante nella cristalleria non è il rock in<br />
filarmonica, ma la filarmonica nel rock: Every little thing<br />
she does is magic era volarella come una libellula, qui è<br />
pesante come un ippopotamo; Next to you era un pezzo<br />
When: Al bar, da soli, col lettore<br />
mp3, leggendo il giornale. Anche<br />
questo. Se non ce n’è altri.<br />
interpol<br />
interPol<br />
Cooperative Music<br />
Who: Quattro estimatori dei Joy Division.<br />
Newyorchesi – non lo siamo tutti?<br />
In giro da otto anni. È già qualcosa.<br />
Al quarto disco. È già qualcosa.<br />
Where: In una spirale di compiaciuto<br />
strazio, ma non priva di un certo<br />
fervore ritmico.<br />
Why: Nel Thesaurus di Word, tra i<br />
sinonimi di “desolazione” potrete<br />
trovare: angoscia, tristezza, disperazione,<br />
infelicità, sconforto, scoramento,<br />
avvilimento, abbattimento.<br />
Ma se cercate “cupezza”, la risposta<br />
sarà “Nessun risultato” – perlomeno<br />
fino all’uscita di questo disco. È<br />
interessante rilevare che Paul Banks,<br />
cantante e autore dei testi, è sentimentalmente<br />
legato alla supermodella<br />
Helena Christensen. Ne deduciamo<br />
agilmente che le supermodelle non<br />
siano una compagnia esilarante.<br />
What: “Siamo qui per poco e la nostra<br />
esistenza non ha senso”.<br />
When: Quando vi torna quella strampalata<br />
convinzione che un’espressione<br />
immusonita vi doni.<br />
prontivia, ispirato dal punk, qui è comico come una<br />
banda di paese che saluta il nuovo sindaco; We work<br />
the black seam era pop malinconico e minimalista, qui<br />
è goffa e tromboneggiante (in tutti i sensi). Quanto<br />
a Englishman in New York, l’ha rifatta uguale, eppure<br />
persino lei era meglio prima. Solo I hung my head è<br />
decorosa, forse perché non valorizzata abbastanza<br />
quando l’ha incisa. Scritta nello stile di Johnny Cash, lo<br />
colpì tanto che Cash la rifece più epica. Forse grazie a<br />
quella cover, il nuovo arrangiamento è più nobilmente<br />
drammatico. Il che dimostra che i maestri la cui<br />
approvazione è importante non sono necessariamente<br />
quelli con la bacchetta. •<br />
urban | 51