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Il Dal Molin ad Asiago? Che sparata! - Giornale dell'Altopiano

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Sabato 6 settembre 2008<br />

LA RUBRICA DELLA PSICOLOGIA<br />

La natura degli sport estremi<br />

Riflessioni psicologiche a margine dell’incontro<br />

con Mario Vielmo organizzato dal CAI <strong>Asiago</strong> Altopiano<br />

Prendiamo un bimbo di due<br />

anni. Lo facciamo “volare”<br />

in aria e lo riprendiamo tra<br />

le nostre braccia<br />

ripetutamente. Piangerà?<br />

Riderà? Da cosa dipende la<br />

sua reazione? Provare per un<br />

istante l’ebbrezza del vuoto<br />

può essere un’esperienza<br />

angosciosa o molto piacevole.<br />

La stimolazione che deriva<br />

dai movimenti rotatori violenti<br />

o dalle vertigini (detti<br />

“ilinx”) induce il nostro sistema<br />

nervoso a liberare alcuni<br />

neurotrasmettitori che attivano<br />

la nostra modalità di allarme<br />

producendo delle sensazioni<br />

psicofisiche “da brivido”<br />

attraverso l’azione<br />

dell’<strong>ad</strong>renalina e della<br />

dopamina. Quando<br />

l‘iperattivazione termina, il<br />

cervello “ci premia” facendoci<br />

tornare all’equilibrio biochimico<br />

grazie alla liberazione<br />

di endorfine naturali (una<br />

specie di droga autoprodotta)<br />

che hanno il potere di farci<br />

percepire un senso di benessere<br />

e di rilassamento.<br />

La dinamica biochimica descritta<br />

è il miglior indice del<br />

fatto che il nostro sistema<br />

interno non è statico ma è<br />

costantemente attivo per<br />

garantire l’<strong>ad</strong>attamento all’ambiente.<br />

I nostri molteplici<br />

recettori (soprattutto relativi<br />

ai cinque sensi e alla sensazione<br />

propriocettiva della<br />

nostra posizione nello spazio<br />

circostante) ci aiutano <strong>ad</strong><br />

essere in contatto con<br />

l’esterno e mandano in continuazione<br />

segnali al sistema<br />

nervoso centrale che coordina<br />

il tutto e sintetizza<br />

l’esperienza percettiva.<br />

Fatta questa premessa, probabilmente<br />

ora è più facile<br />

da un punto di vista organico<br />

comprendere come mai<br />

alcune persone cercano in<br />

attività estreme di vivere il<br />

brivido del rischio e dell’estrema<br />

dinamicità fisica.<br />

Attraverso questi articoli,<br />

spero di essere riuscito a far<br />

comprendere ai lettori che<br />

ogni fenomeno dev’essere<br />

studiato da molteplici punti di<br />

vista per essere correttamente<br />

interpretato. Parlando<br />

spesso di comportamenti,<br />

abbiamo visto come le<br />

spiegazioni degli atti umani<br />

sono da ricercarsi a vari livelli,<br />

senza alcuna esclusione<br />

di sorta.<br />

La passione per gli sport<br />

estremi non costituisce<br />

un’eccezione: i motivi vanno<br />

scovati tenendo in considerazione<br />

il livello biochimico,<br />

psicologico e sociale. <strong>Dal</strong><br />

punto di vista “bio-psichico”<br />

gli studiosi hanno da tempo<br />

scoperto che alcune persone<br />

si caratterizzano per un<br />

tratto di personalità denominato<br />

“sensation seeking” (ricerca<br />

di emozioni estreme).<br />

In parole povere questi soggetti<br />

hanno una soglia di attivazione<br />

per la liberazione dei<br />

neurotrasmettitori “del brivido”<br />

più alta rispetto alla norma.<br />

Ciò comporta una marcata<br />

avversione alla noia, una<br />

ricerca costante di attività<br />

stimolanti e bisogno di sentirsi<br />

eccitati. Nello specifico,<br />

i “sensation seekers” vanno<br />

alla ricerca del brivido e dell’avventura,<br />

ovvero di attività<br />

contornate dal rischio dell’imprevisto<br />

che faccia accendere<br />

i recettori<br />

<strong>ad</strong>renergici; inoltre, le attività<br />

preferite sono estremamente<br />

dinamiche e connotate<br />

dal senso di novità, in opposizione<br />

alle situazioni<br />

ripetitive e routinarie che sopportano<br />

a fatica.<br />

Se da un lato questa necessità<br />

“endemica” di essere alimentati<br />

da “benzina super”<br />

rispetto agli altri giustificherebbe<br />

una spiegazione di tipo<br />

organico, dall’altro è necessario<br />

appellarsi alle tr<strong>ad</strong>izionali<br />

teorie comportamentiste<br />

per avere una visione più<br />

completa del fenomeno. Senza<br />

peraltro essere in contr<strong>ad</strong>dizione<br />

con le ipotesi biologiche,<br />

l’ipotesi del<br />

condizionamento operante afferma<br />

che chi privilegia gli<br />

sport estremi ha imparato nel<br />

corso della vita a trovare certe<br />

sensazioni di piacere solamente<br />

nelle attività dinamiche<br />

in cui è presente il fattore “rischio”.<br />

Sembra infatti che il<br />

valore aggiunto sia proprio<br />

quell’elemento di pericolo per<br />

l’incolumità del soggetto (in<br />

proporzione molto elastiche a<br />

seconda della disciplina) in gr<strong>ad</strong>o<br />

di mantenere altissimo il livello<br />

di tensione e di sfida con<br />

se stessi. Sport quali l’alpinismo,<br />

il parac<strong>ad</strong>utismo, le discese<br />

estreme, contengono<br />

tutti gli ingredienti di gratificazione<br />

che queste persone hanno<br />

imparato <strong>ad</strong> apprezzare nel<br />

corso della loro vita.<br />

Da un punto di vista psicologico,<br />

la costante sembra consistere<br />

nel rapporto tra l’elemento<br />

base (aria, acqua, terra o<br />

fuoco) e la capacità dell’uomo<br />

di controllare la natura, di<br />

dominare (quale istinto più primordiale?).<br />

Ciò che coinvolge<br />

è proprio l’incremento gr<strong>ad</strong>uale<br />

della sfida che continuamente<br />

sorpassa i limiti precedenti,<br />

garantendo, al termine dell’impresa,<br />

una scarica di<br />

<strong>ad</strong>renalina e di appagamento<br />

conseguente. Verrebbe da<br />

pensare che sia una dipendenza<br />

da sport. In effetti è così,<br />

ma non dobbiamo tanto scandalizzarci.<br />

Tutti noi “funzionia-<br />

mo” proprio grazie a questi<br />

equilibri che ci mantengono<br />

vivi. Lo sport estremo può diventare<br />

in alcuni casi un vero<br />

e proprio motivo di vita, integrandosi<br />

completamente nel<br />

sistema identitario dell’individuo,<br />

estromettendo altre aree<br />

fondamentali quali la famiglia<br />

o gli amici. D’altro canto, a mio<br />

parere queste persone sono<br />

“sistemi umani” al limite della<br />

norma.<br />

Mi è capitato recentemente di<br />

ascoltare la testimonianza di<br />

un alpinista estremo. Mi ha<br />

colpito ed emozionato, nelle<br />

parole di questo scalatore, il<br />

senso della passione assoluta,<br />

la tensione irrefrenabile per<br />

l’incontro con la vetta (quando<br />

possibile), l’incosciente ricerca<br />

del controllo della natura<br />

e lo spirito libero. Ritengo<br />

che in questi “sistemi umani<br />

estremi”, molti parametri psicologici<br />

siano ben oltre la norma:<br />

la percezione del pericolo,<br />

la fame di sensazioni, la resistenza<br />

alla fatica, la determinazione<br />

a raggiungere un risultato,<br />

la soglia della paura. Ma<br />

per comprendere davvero queste<br />

persone, oltre a quanto già<br />

detto, è necessario aggiungere<br />

un’ulteriore ultima riflessione.<br />

Nelle attività che statisticamente<br />

sono altamente rischiose<br />

per la vita, subentra un<br />

sistema di significati che per<br />

definizione è psicologicamente<br />

estremo; <strong>ad</strong> essere “folle”,<br />

credo sia soprattutto il significato<br />

della morte, che viene<br />

percepita in un modo diverso.<br />

Per accedere a certe esperienze,<br />

il valore della perdita non<br />

può essere presente secondo i<br />

canoni tr<strong>ad</strong>izionali, perché non<br />

può essere considerato dolore.<br />

<strong>Il</strong> dolore ci blocca, ci annienta.<br />

La dimensione della morte<br />

per questi alpinisti non è di per<br />

sé un pericolo da cui fuggire ma<br />

uno stato naturale con cui convivere<br />

durante tutta la scalata.<br />

Solamente così, e ne sono consapevoli,<br />

si può anelare di raggiungere,<br />

magari per un attimo,<br />

quel “momento perfetto”, l’acme<br />

assoluto in cui l’equilibrio mente-corpo-creato<br />

contempla la vita<br />

e la morte contemporaneamente,<br />

su quella vetta infranta.<br />

Stefano Rigoni,<br />

Psicologo Psicoterapeuta<br />

Cognitivo<br />

Comportamentale –<br />

Tel. 338.2919597 – E-mail:<br />

stefanorigoni@hotmail.com<br />

8<br />

l’Altopiano<br />

Amore a prima vista: è successo<br />

a Francesca Rigoni<br />

dopo aver visto per la prima<br />

volta i Rispaar. Un colpo di<br />

fulmine che ha fatto nascere<br />

un’idea ferma, decisa: “questo<br />

genere di spettacolo lo<br />

sento mio, voglio farne parte!”<br />

Con lei c’era anche Laura<br />

Benetti, insieme le due<br />

amiche non hanno perso tempo,<br />

informandosi immediatamente<br />

sulla possibilità di entrare<br />

nel gruppo. Detto, fatto!<br />

Gli occhi di Francesca,<br />

che incontro nel suo negozio<br />

di abbigliamento per bambini<br />

e ragazzi in un momento di<br />

tranquillità, si illuminano mentre<br />

racconta il suo percorso<br />

nei Rispaar, ricordando particolarmente<br />

i primi anni,<br />

quando il tempo da dedicare<br />

a incontri, riunioni, prove era<br />

maggiore rispetto <strong>ad</strong> oggi,<br />

visto che attualmente tra i<br />

suoi vari ruoli predomina<br />

quello di mamma. “Avendo<br />

fatto danza fin da piccola –<br />

racconta – l’idea iniziale era<br />

quella di ballare, l’importante<br />

era entrare a far parte del<br />

gruppo, da qualche anno avevo<br />

smesso i saggi di danza, il<br />

palcoscenico mi mancava e<br />

quello dei Rispaar mi ha subito<br />

affascinato. Andò a finire<br />

che mi fecero fare un po’<br />

di tutto: ballare, cantare, dare<br />

una mano in diversi ruoli fra<br />

cui quello di aiutare nelle coreografie<br />

Piero Brazzale e<br />

Gianluca Rodeghiero. Ricordo<br />

benissimo il numero<br />

d’esordio, insieme a Laura,<br />

Franco e Paolo facemmo i<br />

Beatles. I primi 2 – 3 anni,<br />

quando non avevo ancora<br />

l’impegno di mamma e moglie,<br />

dedicai ai Rispaar ogni<br />

momento libero, ricordo in<br />

particolare le prove del bellissimo<br />

“Balletto dell’amore”,<br />

non vedevo l’ora di andare<br />

a provare e ogni volta<br />

ci si divertiva moltissimo”.<br />

Nel tempo poi Francesca diventò<br />

la coreografa “ufficiale”,<br />

ma oltre a danzare e a<br />

mettere a punto i balletti, non<br />

www.giornalealtopiano.it<br />

Francesca, folgorata dai Rispaar!<br />

ha rinunciato a nuovi ruoli,<br />

compreso quello di presentatrice.<br />

“Piero mi propose di affiancarlo<br />

nella presentazione<br />

poco prima dello spettacolo,<br />

accettai e ci completammo a<br />

vicenda, mettendo a punto<br />

passi di danza e momenti di<br />

ballo da fare insieme, come<br />

nella sigletta introduttiva e in<br />

altri momenti dello show, impostato<br />

allo stesso modo dei<br />

varietà di un tempo, con tanto<br />

di numerosi cambi d’abito!”.<br />

Nel penultimo spettacolo<br />

“<strong>Il</strong> locale dei locali”, Francesca,<br />

da poco mamma, ha<br />

dovuto rinunciare <strong>ad</strong> esserne<br />

parte attiva. “Essere solo<br />

spettatore – confida – è stato<br />

bello, mi sono divertita, ma<br />

allo stesso tempo ho sentito<br />

più di un colpo al cuore per<br />

non poter essere lì, sul palcoscenico,<br />

per il quale ho una<br />

grande passione”. Ma parliamo<br />

di come nasce un balletto,<br />

di quanto tempo occorre<br />

per metterlo a punto.<br />

“Nell’ultimo spettacolo –<br />

continua Francesca – mi è<br />

stata data carta bianca. Ho<br />

deciso di fare il flamenco, mi<br />

sono studiata i passi guardando<br />

dei video, mentre un’amica<br />

spagnola mi ha procurato<br />

le musiche. I balletti richiedono<br />

molto tempo, chi vede<br />

lo spettacolo non può render-<br />

Francesca con la<br />

figlia Valentina<br />

22<br />

si conto del grande impegno<br />

necessario per mettere a<br />

punto quattro minuti di ballo.<br />

Soprattutto quando, come nel<br />

flamenco che ha coinvolto<br />

una quindicina di persone, a<br />

ballare è un gruppo numeroso,<br />

anche i passi più semplici<br />

devono essere coordinati. Si<br />

comincia a provare circa sei<br />

mesi prima, ricordo che nessuno<br />

è professionista e che i<br />

risultati raggiunti sono per<br />

questo ancor più apprezzabili.<br />

Nei balletti poi molto importanti<br />

sono i costumi, di cui<br />

si occupano, impeccabilmente,<br />

Anna e Marisa. Gli abiti<br />

vengono decisi insieme, io<br />

propongo uno spunto e loro,<br />

che se ne intendono di più<br />

di tessuti, vedono come elaborarlo,<br />

fino alla confezione<br />

finale”. In conclusione<br />

Francesca ci fa partecipi di<br />

un suo desiderio. “Mi piacerebbe<br />

molto in futuro poter<br />

far qualcosa ancora con<br />

la mia amicona Laura<br />

Benetti, con la quale sono<br />

entrata a far parte del gruppo<br />

e che dopo il primo spettacolo,<br />

essendo sempre lontana<br />

per lavoro, non ha più<br />

fatto parte attiva dei<br />

Rispaar. Ma io spero sempre<br />

che un giorno il mio desiderio<br />

si possa avverare!”<br />

Silvana Bortoli

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