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vocabolario del dialetto albanense nino dori aldo ... - ISSiRFA - Cnr

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che perfino rischia d'essere avvertito offensivo se si appaiano alla buona come ora s'è fatto.<br />

Sono mondi diversificati nei gusti, nella cucina, nei modi di vita, nel parlare. L'incauto forestiero<br />

che non sa rischia di essere travolto da proteste e peggio se confonde i tortelli di zucca<br />

di Ferrara con quelli soltanto omonimi di Reggio o di Modena. E, se è lecito dirlo, scendendo<br />

appena nella scala demografica, lo stesso grado di diversificazione si ritrova tra Bagheria<br />

e Castelvetrano, tra Sorrento e Torre Annunziata, tra Cori e Velletri, tra Sesto e Prato,<br />

tra Cogne e Cuorgnè: anche qui ci sono distanze culturali che la carta geografica non riesce<br />

a far presenti e che, nella classe intellettuale nazionale, solo qualche <strong>dialetto</strong>logo più fine ed<br />

esperto conosce.<br />

Ma, per rendersi conto <strong>del</strong>le distanze, a parte la <strong>dialetto</strong>logia e la vita a contatto con le<br />

realtà locali, basterebbe ed è sempre utile guardare le raccolte di blasoni popolari. Scopriamo<br />

così che in loco è viva la percezione <strong>del</strong>le differenze tra, poniamo, Ascoli Piceno (Asculà,<br />

Asculà, larghe de vocca e stritte de ma) e centri vicini, ora deprezzati dai vicini (Masciù,<br />

Masciù, Masciù, vacce na voda e 'n ce i più. E se ce vuò rejì, puortete le pa, lu vi e lu liette<br />

pe dermì; Ce ne jeme a Sant Jache, llà ce sta tutte 'mbriache, ce ne jeme a Collegane, là ce<br />

sta tutte villane, ce ne jeme su Masciù, su ce sta tutte cafù) ora invece pregiati (E' li Scalelle<br />

nu paese bielle, è fabbricate a ferre de cavalle, ce sta la geventù de sangue bielle, è bianche<br />

e rusce come lu coralle; Seme de Sante Jache e seme donne, la 'uerra la faceme senza<br />

l'arme, seme più forte nu de li colonne ecc.). Del resto, i blasoni popolari castellani non sono<br />

in genere teneri, come proprio in questo volume si ricorda: arbanese fregnone e broccolaro,<br />

castellano miccarolo, frascatano pallonaro, genzanese rogarolo, marinese ajo cipolla<br />

e peperino, nemese sciorno, ricciarolo biedone, rocchiciano fascettaro, velletrano sette vorte<br />

villano.<br />

Se un difetto ha il nostro ceto intellettuale è non essere abbastanza consapevole <strong>del</strong>la<br />

straordinaria variegata ricchezza di quella che, trent'anni fa, ho chiamato "l'Italia dei paesi".<br />

Peggio: il ceto intellettuale <strong>del</strong>le capitali attinge spesso a quella ricchezza il meglio <strong>del</strong>le sue<br />

energie, ma poi finge di dimenticarla e la rimuove. Sotto la scorza patinata e lustra <strong>del</strong>l'omogeneità<br />

televisiva, di pessime bevande americane, di porcherie da fastfood, di capi d'abbigliamento<br />

simili, quella varietà resiste e il diversificarsi <strong>del</strong>le parlate, chi lo osservi con qualche<br />

attenzione, ne è indice e, forse, insieme condizione.<br />

Ho cominciato a occuparmi <strong>del</strong>la realtà linguistica italiana quasi cinquant'anni fa e mi sono<br />

subito imbattuto in autorevolissime dichiarazioni di morte prossima o già avvenuta dei<br />

dialetti. Studiando un po' mi sono poi accorto che queste dichiarazioni ripetevano con poche<br />

varianti quelle che possono leggersi in molti dizionari dialettali fioriti durante o poco dopo<br />

gli anni <strong>del</strong>l'unificazione politica nazionale. Il fatto è che c'è una falsa lettura <strong>del</strong>la realtà linguistica<br />

italiana (e non solo) dettata da un'idea altrettanto falsa: che la nostra mente linguistica<br />

sia come un secchio o uno sciacquone in cui, se si versa una lingua, forzatamente deve<br />

uscirne quella che c'era prima. I primi timidi passi verso l'appropriazione effettiva <strong>del</strong>la lingua<br />

nazionale vennero subito ritenuti campane a morto per il persistere dei dialetti. Non fu,<br />

non è stato e non è così. Oggi meglio di ieri ci rendiamo conto di quanto ogni comunità umana<br />

sia naturalmente intrisa di plurilinguismo, di coesistenza, anche nelle singole persone, di<br />

capacità idiomatiche diverse. Un'idea più adeguata di ciò ci permette di correggere la falsa<br />

lettura cui accennavo. Il pur faticoso ma sicuro cammino che la popolazione italiana ha compiuto<br />

negli ultimi quarant'anni verso l'appropriazione effettiva <strong>del</strong>la lingua nazionale, una<br />

lingua ancora cinquant'anni fa straniera in patria, una vera lingua di minoranza (disse ironi-<br />

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