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Stefano Benedetti<br />
ri<strong>di</strong>ci alla vocazione letteraria tracciato nel De vita et moribus Domini Francisci<br />
Petracchi si delinea un canone che dopo Omero, Terenzio e Virgilio, e prima <strong>di</strong><br />
Ovi<strong>di</strong>o, Lucano, Stazio e Giovenale pone <strong>Orazio</strong>: «quid Flaccus lirica suavitate<br />
ac acerbitate satyrica decantarit» (De vita et moribus, 6). Luogo in cui il<br />
<strong>Boccaccio</strong> teneva <strong>di</strong>nanzi la Collatio laureationis, sia per la presenza <strong>di</strong> <strong>Orazio</strong><br />
nell’aureo canone dei vates egregii dell’età augustea («Virgilius, Varus, Ovi<strong>di</strong>us,<br />
Flaccus», Collatio, 4, 1), sia per il non minore rilievo conferito all’<strong>Orazio</strong><br />
lirico, <strong>di</strong> cui l’orazione petrarchesca esibiva esclusivamente citazioni dai Carmina,<br />
per <strong>di</strong> più alternandole ad allegazioni dal Satyricus, che era però, come sempre<br />
in Petrarca, Giovenale.<br />
Ma è poi l’esempio dantesco ad imporre il nome <strong>di</strong> <strong>Orazio</strong> negli anni anteriori<br />
alla <strong>di</strong>retta influenza petrarchesca, come mostra il trionfo in Amorosa<br />
Visione V 17, strettamente modellato su Inf. IV, 88: «Omero e <strong>Orazio</strong> quivi,<br />
dopo <strong>di</strong> lui» (preceduti cioè da Virgilio «più ch’altro esaltato», in Dante escluso<br />
in qualità <strong>di</strong> agens, e seguiti da Lucano e Ovi<strong>di</strong>o). Equiparazione nella quale il<br />
<strong>Boccaccio</strong> riproduceva l’innovazione dantesca entro la quaterna dei regulati 57 ,<br />
certo indotto dal pressante contesto metrico e visionistico, mentre peraltro operava<br />
un’appropriazione del canone dantesco con l’estenderlo poi fino al suo più<br />
prossimo patrimonio culturale. La presenza <strong>di</strong> <strong>Orazio</strong> risulterà d’ora innanzi<br />
obbligata, quando non topica, nella trafila dei poeti onorati in patria (così nel<br />
Trattatello in laude <strong>di</strong> Dante, I red., 97), o destinati a fama imperitura (Esposiz.<br />
XV 94), oppure nell’altro stereotipo <strong>di</strong> poeti e mecenati dell’età antica (come<br />
nella de<strong>di</strong>ca della Come<strong>di</strong>a delle ninfe fiorentine a Niccolò <strong>di</strong> Bartolo del<br />
Buono, Come<strong>di</strong>a ninfe, L 4; o ancora nella più ampia rassegna <strong>di</strong> poeti e prestantissimi<br />
viri, coronata dal binomio <strong>Orazio</strong>-Mecenate, della tarda epistola al<br />
Pizzinga, Epist. XIX 15-16).<br />
È d’altra parte nel riferimento al tirocinio dantesco sui classici che il nome <strong>di</strong><br />
<strong>Orazio</strong> si cristallizza nel più ristretto canone dei latini, quel canone atto a schiudere<br />
a Dante la<br />
[...] piena notizia delle finzioni poetiche e dello artificioso <strong>di</strong>mostramento <strong>di</strong> quelle. Nel<br />
quale esercizio familiarissimo <strong>di</strong>venne <strong>di</strong> Virgilio, d’<strong>Orazio</strong>, d’Ovi<strong>di</strong>o, <strong>di</strong> Stazio e <strong>di</strong> ciascuno<br />
altro poeta famoso: non solamente avendo caro il conoscergli, ma ancora, altamente cantando,<br />
s’ingegnò d’imitarli [...] 58 .<br />
A questo snodo dei primi anni Cinquanta, pertanto, quando il <strong>Boccaccio</strong><br />
viene assimilando il para<strong>di</strong>gma imitativo petrarchesco da lui proiettato sull’ap-<br />
57 Cfr. R. MERCURI, Il canone della Comme<strong>di</strong>a, in ID., Genesi della tra<strong>di</strong>zione letteraria<br />
italiana, cit., pp. 273-78; C. VILLA, Dante <strong>lettore</strong> <strong>di</strong> <strong>Orazio</strong>, cit., pp. 94-95.<br />
58 BOCCACCIO, Trattatello in laude <strong>di</strong> Dante, a cura <strong>di</strong> P. G. Ricci, in Tutte le opere, cit.,<br />
vol. III, 1974, I red., 22.<br />
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