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libro -- i vultaggio di monte san giuliano rivisto - 3 - Trapani Nostra

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Un barone Giuseppe fu capitano giustiziere <strong>di</strong> Monte San Giuliano, nell’anno 1790-91.<br />

Nell’anno 1797 troviamo, fra i giu<strong>di</strong>ci pretoriani della città <strong>di</strong> Palermo, un Gioacchino<br />

Barberi. Questa famiglia godette pure nobiltà in Messina nel secolo XVII. Ad Erice<br />

troviamo, anche, Luigi Barberi (archeologo). È degnissimo poi <strong>di</strong> menzione quel Giovan<br />

Luca Barberi, appartenente a questa stessa famiglia, maestro notaro della cancelleria del<br />

Regno <strong>di</strong> Sicilia. Giovan Luca Barberi (…-…) fu un notaio e giurista siciliano, ed è noto per<br />

la Descriptio terrarum in hoc Siciliae Regno existentium, in tre volumi, comunemente<br />

denominato, anche dallo stesso Barberi, Magnum Capibrevium. È questa un'opera<br />

monumentale che descrive i feu<strong>di</strong> popolati (o terre o contee) siciliani. Quest'opera, <strong>di</strong><br />

nessun valore letterario, è una miniera inesauribile cui attingere per ricostruire la storia<br />

siciliana dal feudalesimo, che in Sicilia si instaura con i successori dei Normanni, al<br />

Seicento. Le notizie biografiche su Giovan Luca Barberi sono scarne e incerte. Non si<br />

conosce la sua data <strong>di</strong> nascita né il luogo. Una tra<strong>di</strong>zione, risalente al XVII sec., lo vuole<br />

natio <strong>di</strong> Noto, un'altra <strong>di</strong> Lentini (1455-1530 d.C.) altri lo vogliono nativo <strong>di</strong> Siracusa, ma<br />

quasi sicuramente è natio <strong>di</strong> Erice. Dal Capibrevio si evidenzia la sua cultura giuri<strong>di</strong>ca,<br />

particolarmente versata nel <strong>di</strong>ritto feudale, non sufficiente a farlo menzionare nel novero<br />

dei giuristi. La prima data certa che lo riguarda è quella del 13 novembre 1484, quando<br />

viene nominato Commissario della Regia Gran Corte. A partire dal 1491 è Maestro Notaro<br />

della Regia Cancelleria. Nel 1497 <strong>di</strong>viene usciere del Provve<strong>di</strong>tore dei reali castelli e ancora<br />

Procuratore Fiscale del Regio Patrimonio11. Mentre rivestiva questo incarico constatò,<br />

nell'esaminare i titoli <strong>di</strong> possesso del baronaggio, che molti baroni possedevano i feu<strong>di</strong><br />

senza alcun titolo e fece profilare la possibilità che i feu<strong>di</strong> potessero essere revocati al<br />

Regio Erario. Comunicò la scoperta al Viceré Raimondo de Cardona che, ravvi<strong>san</strong>do il<br />

grande utile che ne poteva venire alla corona, lo incaricò <strong>di</strong> espletare le indagini e quin<strong>di</strong><br />

lo inviò in Spagna per fare presenti al Re Fer<strong>di</strong>nando i <strong>di</strong>ritti della Corona su quei feu<strong>di</strong><br />

che i Baroni detenevano in maniera illegittima. Il Sovrano approvò e il Barberi si lanciò a<br />

capofitto nella ricerca. Nel 1509 fu in grado <strong>di</strong> presentare al re <strong>di</strong> Spagna i risultati del suo<br />

lavoro: il Capibreve della secrezia (steso nel 1506), il Magnum Capibrevium (1508) e<br />

alcune indagini relative ai rapporti tra Chiesa e Stato, raccolte nel "Dignitates<br />

Ecclesiasticae" (1506) e nel co<strong>di</strong>ce "De Monarchia" (1508). La misura del gra<strong>di</strong>mento del<br />

Sovrano fu proporzionata all'irritazione che l'opera <strong>di</strong> Barberi suscitò nella nobiltà<br />

siciliana. Non sempre, infatti, i beneficiari erano in grado <strong>di</strong> sostenere con prove certe i<br />

loro <strong>di</strong>ritti. Le loro ragioni erano affidate spesso alla fortuna <strong>di</strong> ritrovare i titoli nei vari<br />

uffici del Regno e all'obiettività del Barberi, il quale, fattosi "promotore <strong>di</strong> tutti i <strong>di</strong>ritti e le<br />

prerogative reali", portava avanti le sue ricerche in modo molto rigido. Già dal Parlamento<br />

<strong>di</strong> Palermo del 7 agosto 1508 partì la prima contestazione contro il suo operato. Il<br />

Parlamento era stato convocato da Fer<strong>di</strong>nando per presentare la sua richiesta <strong>di</strong><br />

sovvenzioni per finanziare l'impresa contro i pirati berberi che infestavano le coste del<br />

me<strong>di</strong>terraneo. I Baroni si <strong>di</strong>chiararono <strong>di</strong>sposti a dare un finanziamento <strong>di</strong> 300.000 fiorini<br />

in cambio <strong>di</strong> alcune grazie, tra cui quella <strong>di</strong> essere liberati dalle vessazioni del Barberi. Il<br />

Re, accogliendo l'offerta, <strong>di</strong>ede ai Baroni una risposta ambigua ed equivoca: li rassicurò<br />

che avrebbe impe<strong>di</strong>to al Barberi <strong>di</strong> vessarli ingiustamente. Il lavoro <strong>di</strong> Barberi non subì<br />

arresti, anzi le rimostranze dei Baroni, unitamente ad una serie <strong>di</strong> accuse anche anonime<br />

che le accompagnarono, riconfermarono il Re nella convinzione che quella intrapresa era<br />

la strada giusta. Si spiegano così i favori accordati a Barberi e ai suoi familiari. Il 30 luglio<br />

1509 il Re gli affidò l'incarico <strong>di</strong> approfon<strong>di</strong>re le relazioni fra Stato e Chiesa e l'esercizio<br />

dello "ius potronatus regio". Le informazioni e i documenti raccolti durante questa<br />

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