Sotto l’albero della croce si compie il duplice affidamento: la madre al <strong>di</strong>scepolo e il <strong>di</strong>scepolo alla madre. Qui è l’origine della comunità: il dono prezioso del testamento <strong>di</strong> Cristo che non è più solo <strong>di</strong> parole e gesti ma si prolunga nella <strong>di</strong>mensione della testimonianza e nell’accoglienza come primo passo per acquisire la <strong>di</strong>namica comunitaria. Si riceve l’adozione perché donati alla madre, si riceve la madre come para<strong>di</strong>gma dell’accoglienza, dell’ascolto e della sequela. Qui la madre non è più la donna storica, la madre <strong>di</strong> Gesù, ma l’immagine stessa della Chiesa, della comunità, <strong>di</strong>namica nel suo essere accolta da chi desidera <strong>di</strong>ventare <strong>di</strong>scepolo; ma, allo stesso tempo, non ci sarebbe <strong>di</strong>scepolo senza la casa, la madre, la comunità che nasce - madre e figlia insieme - dal sangue <strong>di</strong> Cristo. Così il <strong>di</strong>scepolo accoglie la comunità e ne fa parte. Non è appartenenza passiva: è scelta che coinvolge la vita intera. L’origine della comunità Ecce filium tuum, ecce mater tua olio su tela, 271x162 c m Antonio Gan<strong>di</strong>no (<strong>Brescia</strong> 1565-1630) Gussago, Collezione privata (in deposito al Museo Diocesano) Il <strong>di</strong>pinto, destinato alla cappella <strong>di</strong> un palazzo gentilizio, è stato realizzato dal Gan<strong>di</strong>no sul finire degli anni Dieci del Seicento. È in questi anni che l’artista comincia ad utilizzare tonalità più cupe e accenti patetici più pronunciati. La scena del Calvario non si <strong>di</strong>scosta dalla classica rappresentazione della crocifissione, ma qui l’artista concentra la sua attenzione sul momento nel quale il Cristo, secondo il racconto dell’evangelista Giovanni, affida la madre al <strong>di</strong>scepolo e il <strong>di</strong>scepolo alla madre. Tutto è concentrato nel <strong>di</strong>alogo muto tra il Figlio e la madre: Gesù sta pronunciando quelle poche parole e la madre lo guarda con intensità. Il <strong>di</strong>scepolo assiste quasi attonito. Aver concentrato l’attenzione su questo momento ha permesso al Gan<strong>di</strong>no <strong>di</strong> accentuare la tensione psicologica che lega i personaggi, col Cristo che, a labbra <strong>di</strong>schiuse, sembra parlare con la forza dello sguardo; con la madre che, avvolta <strong>di</strong> tristezza, assume con il suo atteggiamento tutto il senso della rassegnazione e dell’affidamento. Un gruppo compatto che traspone in immagine la solennità del dono ultimo <strong>di</strong> Cristo. Agostino, De Civitate Dei, XIX, 11. Perciò potremmo <strong>di</strong>re che la pace è il fine del nostro bene, come l’abbiamo detto della vita eterna, soprattutto perché alla città <strong>di</strong> Dio si <strong>di</strong>ce in un Salmo: Glorifica il Signore, Gerusalemme, loda, Sion, il tuo Dio, perché ha rinforzato le sbarre delle tue porte; in mezzo a te ha benedetto i tuoi figli colui che ha posto la pace come tuo fine. Quando infatti saranno state rinforzate le sbarre delle sue porte, nessuno entrerà in essa e nessuno ne uscirà. Perciò come suo fine in questo caso dobbiamo ravvisare quella che inten<strong>di</strong>amo <strong>di</strong>mostrare come pace finale. Anche il nome simbolico della città, cioè Gerusalemme, come ho già detto, s’interpreta “visione della pace”. Ma poiché il termine “pace” si usa frequentemente anche per le cose nel <strong>di</strong>venire, in cui perciò non si avrà la vita eterna, ho preferito denominare “vita eterna” anziché “pace” il fine della città celeste in cui si avrà il sommo bene.
TESTAMENTO E DONO Gv 19, 25-27 Stavano presso la croce <strong>di</strong> Gesù sua madre, la sorella <strong>di</strong> sua madre, Maria madre <strong>di</strong> Clèopa e Maria <strong>di</strong> Màgdala. Gesù allora, vedendo la madre e accanto a lei il <strong>di</strong>scepolo che egli amava, <strong>di</strong>sse alla madre: “Donna, ecco tuo figlio!”. Poi <strong>di</strong>sse al <strong>di</strong>scepolo: “Ecco tua madre!”. E da quell’ora il <strong>di</strong>scepolo l’accolse con sé.