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Sgt. Pepper’s Lonely He<strong>ar</strong>ts Club Band<br />

ro abbastanza tempo da occup<strong>ar</strong>li a lungo, portò la<br />

storia di questa band, e di molte altre in seguito, a<br />

cambi<strong>ar</strong>e radicalmente.<br />

Sgt. Pepper’s è un lavoro sp<strong>ar</strong>tiacque, e nonostante<br />

sia evidente l’influenza, soprattutto per quanto<br />

rigu<strong>ar</strong>da alcuni suoni, di Pet Sounds dei Beach<br />

Boys di Brian Wilson, è uno dei dischi (forse ‘il’ disco)<br />

che traghetta il pop della prima era in quella<br />

moderna.<br />

Pens<strong>ar</strong>e che un gruppo che fino a due anni prima<br />

era ‘beat’, ‘rock’n’roll’ e poi iniziava a scrivere cose<br />

più impegnate e innovative, ma sempre app<strong>ar</strong>entemente<br />

nei bin<strong>ar</strong>i, potesse produrre qualcosa di simile,<br />

era davvero impensabile.<br />

In questo s<strong>ar</strong>ebbe interessante capire che ruolo<br />

ebbe George M<strong>ar</strong>tin, le orchestrazioni sono qualcosa<br />

che senza pens<strong>ar</strong>ci attribuiremmo a lui, gli<br />

<strong>ar</strong>rangiamenti sono ricercati e sempre originali, va<br />

solo stabilito quanto i quattro avessero un ruolo, e<br />

di certo lo avevano, nel prodotto finale.<br />

Gli <strong>ar</strong>rangiamenti<br />

Non manca di certo la v<strong>ar</strong>ietà, se pensiamo a<br />

quanto siano differenti brani come “When I’m 64”<br />

o “Lucy in the Sky with Diamonds”, “A Day in the<br />

Life” o “Lovely Rita”. Forse è proprio questo, oltre<br />

alla qualità del materiale, ad impression<strong>ar</strong>e, tanta<br />

musica così app<strong>ar</strong>entemente senza un legame, ma<br />

perfettamente incollata al disco, non era ancora mai<br />

capitato di trov<strong>ar</strong>la. Oggi è facile scriverne, ma forse<br />

solo chi visse in diretta l’uscita di questo capolavoro<br />

può davvero dirci cosa sentì in quel momento,<br />

cosa si poteva prov<strong>ar</strong>e ad ascolt<strong>ar</strong>e qualcosa di<br />

così nuovo.<br />


Basti pens<strong>ar</strong>e che, il giorno dopo l’uscita dell’album,<br />

un certo Jimi Hendrix suonò dal vivo con la<br />

sua la canzone che dà il titolo all’album.<br />


Il lavoro in studio si faceva sempre più importante,<br />

i Beatles avevano capito che potevano chiedere<br />

quasi ogni cosa, possibile e non, e quando John<br />

capì che di “Strawberry Fields Forever” c’erano due<br />

versioni buone, ma una andava per la prima p<strong>ar</strong>te e<br />

una solo per il finale, chiese di unirle. Il problema è<br />

che erano eseguite a velocità e tonalità diverse! Ma<br />

lui, incurante degli ostacoli tecnici – oggi una cosa<br />

del genere non rappresenterebbe il minimo problema<br />

– disse a George M<strong>ar</strong>tin che era sicuro ce l’avrebbe<br />

fatta. Questo dimostra quanto il lavoro della<br />

band in fase di scrittura fosse un tutt’uno con quello<br />

in studio, i risultati erano dati da un’incredibile mix<br />

di sforzi, viene da chiedersi se quelle limitazioni – si<br />

era quasi nell’età della pietra per quanto rigu<strong>ar</strong>da le<br />

registrazioni – non furono invece uno stimolo così<br />

grande da risult<strong>ar</strong>e fondamentali. Non avremo mai<br />

la risposta, e ci va bene così.<br />

Le voci<br />

I cori assumono un ruolo quasi orchestrale anche<br />

loro, l’atteggiamento del gruppo nei confronti del<br />

loro strumento principe si andava modificando, e la<br />

grande abbondanza di orchestrazioni vere metteva<br />

leggermente in secondo piano i loro celebri cori; ce<br />

ne sono ma vanno a f<strong>ar</strong> p<strong>ar</strong>te del brano restando in<br />

molti casi quasi inosservati, come su “With a Little<br />

Help from My Friends” in cui la band e il solista si alternano<br />

come fossero un solo cantante, qualcosa di<br />

simile accade su “She’s Leaving Home”. Nel complesso<br />

notiamo come si perda un po’ la concezione<br />

del ‘io canto, tu rispondi’, in favore di un utilizzo delle<br />

voci come veri e propri strumenti.<br />

I pensieri di Winston<br />

di Davide Canazza<br />

Su Sgt. Pepper’s è stato scritto di tutto e di più e il<br />

libro più interessante è senz’altro Summer of Love<br />

di George M<strong>ar</strong>tin, il mitico produttore dei Beatles,<br />

colui che più da vicino seguì la creazione di questo<br />

capolavoro.<br />


È già stato detto che questo è l’album meno<br />

chit<strong>ar</strong>ristico tra gli LP dei Beatles, ma le chit<strong>ar</strong>re<br />

comunque ci sono, e quando sono presenti, colpiscono<br />

con il tocco c<strong>ar</strong>atteristico e imprescindibile di<br />

sempre.<br />


Nella title track ce ne sono addirittura tre: una<br />

ritmica di McC<strong>ar</strong>tney, una prima solista di H<strong>ar</strong>rison<br />

e una seconda solista, quella più m<strong>ar</strong>cata, nuovamente<br />

di Paul. Le sue p<strong>ar</strong>ti sono eseguite con la<br />

sua Epiphone Casino e il nuovo ampli Selmer Thunderbird<br />

da 50 watt.<br />


Sono di George le chit<strong>ar</strong>re elettriche, sia ritmiche<br />

che soliste, in “With a Little Help from My Friends”,<br />

49<br />

chit<strong>ar</strong>ra acustica 5 duemilaundici

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