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ISTITUTO ITALIANO PER GLI STUDI FILOSOFICIQUADERNI DEL TRENTENNALE1975-200571


FIORINDA LI VIGNIIl pensiero del Novecentonelle ricerchedell’<strong>Istituto</strong> <strong>Italiano</strong> <strong>per</strong> <strong>gli</strong> <strong>Studi</strong> F<strong>il</strong>osoficiNella sede dell’<strong>Istituto</strong>Napoli 20053


A cura di Antonio Gargano, Segretario generale dell’<strong>Istituto</strong> <strong>Italiano</strong> <strong>per</strong> <strong>gli</strong> <strong>Studi</strong> F<strong>il</strong>osofici© <strong>Istituto</strong> <strong>Italiano</strong> <strong>per</strong> <strong>gli</strong> <strong>Studi</strong> F<strong>il</strong>osoficiPalazzo Serra di CassanoNapoli - Via Monte di Dio, 144


INDICELa collana editoriale “Saggi dell’<strong>Istituto</strong> <strong>Italiano</strong> <strong>per</strong><strong>gli</strong> <strong>Studi</strong> F<strong>il</strong>osofici” 71. L’approccio ermeneutico e fenomenologico 132. La riab<strong>il</strong>itazione della f<strong>il</strong>osofia pratica 293. La rivalutazione della retorica 414. Letture vichiane 555. Prospettive novecentesche sulla f<strong>il</strong>osofia moderna 676. Il primato dell’etica 857. F<strong>il</strong>osofia e l<strong>in</strong>guaggio 1158. Estetica e storia nell’idealismo tedesco 1339. La prospettiva decostruzionista 14910. La ragione nei rapporti di <strong>in</strong>tesa 16311. Il problema del fondamento 1895


LA COLLANA EDITORIALE“SAGGI DELL’ISTITUTO ITALIANO PER GLI STUDI FILOSOFICI”I testi della collana editoriale “Saggi dell’<strong>Istituto</strong> <strong>Italiano</strong> <strong>per</strong> <strong>gli</strong><strong>Studi</strong> F<strong>il</strong>osofici” dell’editore Guer<strong>in</strong>i e Associati (M<strong>il</strong>ano) costituisconoun’ampia ricognizione delle proposte storiografiche e teoretichepiú r<strong>il</strong>evanti della costellazione f<strong>il</strong>osofica contemporanea.Tale ricognizione è affidata <strong>in</strong> larga misura ai suoi stessi protagonisti,e si mostra tanto piú <strong>in</strong>dicativa delle dimensioni e delle direzioniassunte dalla ricerca promossa dall’<strong>Istituto</strong> <strong>Italiano</strong> <strong>per</strong> <strong>gli</strong><strong>Studi</strong> F<strong>il</strong>osofici <strong>in</strong> quanto si tratta <strong>per</strong> lo piú di testi scaturiti dacorsi di lezioni e sem<strong>in</strong>ari organizzati dall’<strong>Istituto</strong> stesso. È dunquedalla “viva voce” di alcuni dei piú grandi <strong>in</strong>terpreti del nostrotempo che possiamo seguire <strong>il</strong> dipanarsi di un dialogo <strong>in</strong>torno a<strong>in</strong>odi piú emblematici dell’attuale <strong>in</strong>terrogazione f<strong>il</strong>osofica.1. L’APPROCCIO ERMENEUTICO E FENOMENOLOGICOHans-Georg Gadamer, L’<strong>in</strong>izio della f<strong>il</strong>osofia occidentale. Lezioniraccolte da Vittorio De Cesare, 1993, Collana Saggi n. 14, 150 pp.Hans-Georg Gadamer, Metafisica e f<strong>il</strong>osofia pratica <strong>in</strong> Aristotele, acura di Vittorio De Cesare, 2000, pp. 117, Collana Saggi n. 36,117 pp.7


Klaus Held, La fenomenologia del mondo e i greci, 1995, CollanaSaggi n. 22, 133 pp.Otto Pöggeler, L’Europa come dest<strong>in</strong>o e come compito. Correzion<strong>in</strong>ella f<strong>il</strong>osofia ermeneutica, a cura e con una postfazione diAntonello Giu<strong>gli</strong>ano, traduzione di Agost<strong>in</strong>o Cera, 2005, CollanaSaggi n. 43.2. LA RIABILITAZIONE DELLA FILOSOFIA PRATICAWolfgang Kullmann, Il pensiero politico di Aristotele, traduzionedi Agost<strong>in</strong>o Marsoner, 1992, Collana saggi n. 11, 171 pp.Yves Charles Zarka, L’altra via della soggettività. La questione delsoggetto e <strong>il</strong> diritto naturale nel XVII secolo, traduzione di FrancescoPaolo Adorno, 2002, Collana Saggi n. 40, 82 pp.Victoria Camps, Per una f<strong>il</strong>osofia modesta. Dalla f<strong>il</strong>osofia praticaall’etica applicata, traduzione di Luigi Giuliani, 2000, CollanaSaggi n. 35, 119 pp.3. LA RIVALUTAZIONE DELLA RETORICAErnesto Grassi, Potenza dell’immag<strong>in</strong>e. Rivalutazione della retorica,traduzione di L<strong>il</strong>iana Croce e Massimo Marassi, 1989, CollanaSaggi n. 2, 267 pp.Ernesto Grassi, Vico e l’umanesimo, <strong>in</strong>troduzione all’edizione italianadi Antonio Verri, prefazione di Donald Ph<strong>il</strong>ip Verene,1990, Collana Saggi n. 10, 244 pp.Em<strong>il</strong>io Hidalgo-Serna, L<strong>in</strong>guaggio e pensiero orig<strong>in</strong>ario. L’umanesimodi J. L. Vives, traduzione di Luigi Reitani, 1990, CollanaSaggi n. 12, 168 pp.8


4. LETTURE VICHIANEAndrea Battist<strong>in</strong>i, La sapienza retorica di Giambattista Vico, 1995,Collana Saggi n. 21, 138 pp.Vittorio Hösle, Introduzione a Vico. La scienza del mondo <strong>in</strong>tersoggettivo,traduzione italiana di Claudia e Giovanni Stelli, a curadi Giovanni Stelli, 1997, Saggi n. 28, 252 pp.Gustavo Costa, Vico e l’Europa. Contro la “boria delle nazioni”,1996, Collana Saggi n. 25, 183 pp.5. PROSPETTIVE NOVECENTESCHE SULLA FILOSOFIA MODERNAGiuseppe Rensi, Sp<strong>in</strong>oza, a cura di Aniello Montano, con unabibliografia di Renato Chiarenza, 1993, Collana Saggi, n. 13,138 pp.Jean-Luc Marion, Il prisma metafisico di Descartes. Costituzione elimiti dell’onto-teo-logia nel pensiero cartesiano, traduzione diFelice Ciro Papparo, 1998, Collana Saggi n. 32, 362 pp.Re<strong>in</strong>hard Lauth, Descartes. La concezione del sistema della f<strong>il</strong>osofia,a cura di Marco Ivaldo, 2000, Collana Saggi n. 38, 393 pp.Miguel A. Granada, Sfere solide e cielo fluido. Momenti del dibattitocosmologico nella seconda metà del C<strong>in</strong>quecento, 2002, CollanaSaggi n. 41, 312 pp.Alberto Tenenti, Venezia e <strong>il</strong> senso del mare. Storia di un prisma culturaledal XIII al XVIII secolo, 1999, Collana Saggi n. 34, 653 pp.6. IL PRIMATO DELL’ETICAEmmanuel Lev<strong>in</strong>as, Adriaan Pe<strong>per</strong>zak, Etica come f<strong>il</strong>osofia prima,a cura di Fabio Ciaramelli, 1989, Collana Saggi n. 6, 185 pp.9


Gwendol<strong>in</strong>e Jarczyk, Pierre-Jean Labarrière, L’impronta deldeserto. L’a-teismo mistico di Meister Eckhart, traduzione italianadi Domenico Carosso e Maria Pia Donat-Catt<strong>in</strong>, 2000,Collana Saggi n. 39, 271 pp.Franco Chieregh<strong>in</strong>, Dall’antropologia all’etica. All’orig<strong>in</strong>e delladomanda sull’uomo, 1997, Collana Saggi n. 27, 141 pp.Sergio Landucci, Sull’etica di Kant, 1994, Collana Saggi n. 19, 413pp.Etica e medic<strong>in</strong>a. Problemi e scelte della pratica quotidiana, a curadi Dietrich von Engelhardt, 1994, Collana Saggi n. 18, 364 pp.Gerardo Marotta, Livio Sichirollo (a cura di), Il resistib<strong>il</strong>e decl<strong>in</strong>odell’Università, 1999, Collana Saggi n. 33, 401 pp.7. FILOSOFIA E LINGUAGGIOPaul Ricoeur, F<strong>il</strong>osofia e l<strong>in</strong>guaggio, a cura di Domenico Jervol<strong>in</strong>o,1994, Collana Saggi n. 16, 232 pp.Luciano Anceschi, C<strong>in</strong>que lezioni sulle istituzioni letterarie. Breve propostadi dialogo fenomenologico, 1989, Collana Saggi n. 1, 77 pp.Giuseppe Dolei, Tra mal<strong>in</strong>conia e utopia. La letteratura tedescade<strong>gli</strong> anni Settanta, 1995, Collana Saggi n. 24, 102 pp.Manfred Riedel, Pensieri all’aria a<strong>per</strong>ta. L’es<strong>per</strong>ienza poetica delmondo di Nietzsche, traduzione di Steffen Wagner e NicolaRusso, 2005, Collana Saggi n. 42, 321 pp.8. ESTETICA E STORIA NELL’IDEALISMO TEDESCOPeter Szondi, Antico e moderno nell’estetica dell’età di Goethe,<strong>in</strong>troduzione di Remo Bodei, traduzione di Pietro Kobau, 1995,Collana Saggi n. 20, 270 pp.10


Livio Sichirollo, F<strong>il</strong>osofia, storia, istituzioni. Saggi e conferenze,1990, Collana Saggi n. 8, 387 pp.Roberto Rac<strong>in</strong>aro, Rivoluzione come riforma. F<strong>il</strong>osofia classicatedesca e Rivoluzione francese, 1995, Collana Saggi n. 23, 194pp.Albert Mathiez, Danton e la pace, prefazione di Michel Vovelle,traduzione di Ner<strong>in</strong>a Rod<strong>in</strong>ò, 1989, Collana Saggi n. 3, 205 pp.Giovanni Mastroianni, La f<strong>il</strong>osofia <strong>in</strong> Russia prima della Rivoluzione.I “Voprosy f<strong>il</strong>osofii i psichologii” (1890-1917), 1989, CollanaSaggi n. 4, 138 pp.9. LA PROSPETTIVA DECOSTRUZIONISTAJacques Derrida, Ritorno da Mosca. Omaggio a Jacques Derrida,con testi di Ferraris, Rovatti, S<strong>in</strong>i, Vattimo, Vitiello, a cura diV<strong>in</strong>cenzo Vitiello, 1993, Collana Saggi n. 15, 210 pp.Fabio Ciaramelli, Bruno Moronc<strong>in</strong>i, Felice Ciro Papparo, Diffrazioni.La f<strong>il</strong>osofia alla prova della psicoanalisi, 1994, CollanaSaggi n. 17, 276 pp.10. LA RAGIONE NEI RAPPORTI DI INTESAJürgen Habermas, Prof<strong>il</strong>i politico-f<strong>il</strong>osofici. Heidegger, Gehlen,Jas<strong>per</strong>s, Bloch, Adorno, Löwith, Arendt, Benjam<strong>in</strong>, Scholem,Gadamer, Horkheimer, Marcuse, a cura di Leonardo Ceppa,2000, Collana Saggi n. 37, 292 pp.Jürgen Habermas, Fatti e norme. Contributi a una teoria discorsivadel diritto e della democrazia, a cura di Leonardo Ceppa, 1996,Collana Saggi n. 26, 579 pp.Jürgen Habermas, Solidarietà tra estranei. Interventi su “Fatti e11


norme”, a cura di Leonardo Ceppa, 1997, Collana Saggi n. 30,149 pp.Karl-Otto Apel, Discorso, verità, responsab<strong>il</strong>ità. Le ragioni dellafondazione: con Habermas contro Habermas, traduzione e curadi Virg<strong>in</strong>io Marzocchi, 1997, Collana Saggi n. 29, 390 pp.11. IL PROBLEMA DEL FONDAMENTOVittorio Hösle, La legittimità del politico, traduzione di SebastianoCalabrò, Irma Santa Maria, Marco Ivaldo, 1990, Collana Sagg<strong>in</strong>. 7, 87 pp.Christoph Jermann, Dalla teoria alla prassi? Ricerche sul fondamentodella f<strong>il</strong>osofia politica <strong>in</strong> Platone, traduzione di AntonioGargano, 1991, Collana Saggi n. 9, 144 pp.Margherita Isnardi Parente, L’eredità di Platone nell’Accademiaantica, 1989, Collana Saggi n. 4, 94 pp.Giovanni Stelli, Il labir<strong>in</strong>to e l’orizzonte. Strutture f<strong>il</strong>osofiche delpostmoderno, 1998, Collana Saggi n. 31, 137 pp.12


1.L’APPROCCIO ERMENEUTICO E FENOMENOLOGICO13


Non vi sono dubbi sulla profondità dell’<strong>in</strong>fluenza esercitata dall’ermeneuticagadameriana sul pensiero del Novecento. I duesaggi contenuti <strong>in</strong> questa collana, dedicati l’uno a Parmenide, l’altroad Aristotele, offrono non solo una magistrale <strong>il</strong>lustrazione dell’eserciziodi tale approccio, ma anche una riflessione sui suoistessi presupposti. La r<strong>il</strong>ettura <strong>in</strong> chiave fenomenologica del pensierodei presocratici, ripresa e sv<strong>il</strong>uppata da Klaus Held, r<strong>in</strong>novala <strong>per</strong>cezione del legame fra <strong>il</strong> pr<strong>in</strong>cipio della f<strong>il</strong>osofia nel mondogreco e <strong>il</strong> nostro attuale dest<strong>in</strong>o. Ed è ancora al dest<strong>in</strong>o dell’Europae al suo compito che si volge Otto Pöggeler a partire dallavocazione ermeneutica di a<strong>per</strong>tura al passato e al futuro dellastoria.Hans-Georg Gadamer, L’<strong>in</strong>izio della f<strong>il</strong>osofia occidentale. Lezioniraccolte da Vittorio De Cesare, 1993, Collana Saggi n. 14, 150pp.Il <strong>testo</strong> qui presentato, a cura di Vittorio De Cesare, si basa sullatrascrizione delle lezioni tenute a Napoli da Hans-Georg Gadamerdall’11 al 22 gennaio 1988 nell’ambito dei corsi sem<strong>in</strong>ariali tenutiannualmente dal f<strong>il</strong>osofo presso l’<strong>Istituto</strong> <strong>Italiano</strong> <strong>per</strong> <strong>gli</strong> <strong>Studi</strong>14


F<strong>il</strong>osofici. Esso si mantiene fedele all’orig<strong>in</strong>ale, conservando <strong>in</strong>larga misura l’andamento dialogante, l’impronta del discorso oralenel quale l’esposizione teoretica s’<strong>in</strong>treccia con i ricordi <strong>per</strong>sonalie risponde <strong>in</strong>sieme alle sollecitazioni dell’uditorio.Il tema affrontato dal grande studioso tedesco è quello del“pr<strong>in</strong>cipio” della f<strong>il</strong>osofia greca e della cultura occidentale, untema che non ha solo un <strong>in</strong>teresse storico, ma che si rivela conGadamer strettamente connesso ai problemi attuali della nostracultura e del nostro dest<strong>in</strong>o. Prima ancora di affrontare tale “pr<strong>in</strong>cipio”nel pensiero dei presocratici e <strong>in</strong> particolare di Parmenide,Gadamer ricostruisce i diversi significati dell’arché, <strong>in</strong>teso comepr<strong>in</strong>cipio <strong>in</strong> senso naturalistico e come pr<strong>in</strong>cipio <strong>in</strong> senso speculativo,logico-f<strong>il</strong>osofico. È tuttavia all’idea dell’Anfän<strong>gli</strong>chkeit – diquell’essere pr<strong>in</strong>cipio <strong>in</strong> senso non ancora determ<strong>in</strong>ato <strong>in</strong> unadirezione o nell’altra, paragonab<strong>il</strong>e alla giov<strong>in</strong>ezza come quellafase <strong>in</strong> cui l’<strong>in</strong>dividuo è ancora passib<strong>il</strong>e dei piú diversi sv<strong>il</strong>uppi –che Gadamer attribuisce forse <strong>il</strong> maggior peso nel rivolgersi a<strong>gli</strong>albori della f<strong>il</strong>osofia greca. I tre diversi significati f<strong>in</strong>isconocomunque <strong>per</strong> essere considerati come tre aspetti complementari,legati all’<strong>in</strong>tuizione <strong>per</strong> cui <strong>il</strong> pr<strong>in</strong>cipio è sempre tale rispetto ad unpunto d’arrivo. Essi ci <strong>in</strong>troducono ai presupposti stessi dell’approccioermeneutico: <strong>in</strong> primo luogo all’idea che l’<strong>in</strong>izio non ci èdato immediatamente, ma che è necessario tornare ad esso da unaltro punto: nel caso specifico, dai testi di Platone e di Aristotele,che costituiscono <strong>per</strong> Gadamer l’unico approccio possib<strong>il</strong>e al pensierodei presocratici. In secondo luogo a quel concetto di Wirkungsgeschichteche riconduce ogni <strong>in</strong>terpretazione ad una tradizionedi cui bisogna rendersi consapevoli.La lettura platonica del pensiero dei presocratici viene ricostruitada Gadamer a partire dal Fedone, <strong>il</strong> dialogo <strong>in</strong> cui si narradell’ultima notte di Socrate. Il primo tema che <strong>il</strong> dialogo affrontaè quello dell’immortalità dell’anima, che Platone, analogamente a15


quanto farà Kant nell’ambito della metafisica, non pretende didimostrare con argomentazioni teoretiche, ma piuttosto rifacendosialla realtà della figura di Socrate e del suo agire. È <strong>in</strong> questocon<strong>testo</strong> e qu<strong>in</strong>di nella discussione che segue <strong>in</strong>torno al problemadella conoscenza come anamnesi, che Platone discute l’approccio“naturalistico” dei presocratici, contrapponendo al concetto dianima come pr<strong>in</strong>cipio di vita <strong>il</strong> nuovo orientamento socratico-platonicoverso <strong>il</strong> sa<strong>per</strong>e e la matematica. La ricostruzione dell’ideaplatonica del bene <strong>in</strong>duce fra l’altro Gadamer ad escludere un’ontologizzazionedelle idee. Essa, <strong>in</strong>fatti, non sarebbe altro che unportato della tradizione successiva, <strong>in</strong> particolare neoplatonica, laquale farà di Platone quel pensatore della trascendenza che tantafortuna avrà nell’Ottocento. (Da questo punto di vista può essere<strong>in</strong>teressante un confronto con le tesi esposte da Christoph Jermannnel saggio dedicato a Platone, presente <strong>in</strong> questa stessa collana,e con le obiezioni – <strong>in</strong> questo senso analoghe a quelle gadameriane– mosse da Margherita Isnardi Parente). Il Teetetoriformula <strong>il</strong> contrasto fra <strong>il</strong> concetto vitalistico e quello spiritualisticodi anima, riproponendo cosí le “correzioni” che Platone<strong>in</strong>tende <strong>in</strong>trodurre rispetto alla fisiologia dei M<strong>il</strong>esî e <strong>in</strong>troducendoal concetto di logos che troverà pieno sv<strong>il</strong>uppo nel Sofista.Come Platone, anche Aristotele quando parla dei presocratic<strong>in</strong>on è mosso da un <strong>in</strong>teresse storiografico, ma dai problemi dellasua f<strong>il</strong>osofia. Tuttavia mentre Platone è orientato verso la matematica,Aristotele lo è piuttosto verso la fisica e la biologia. Ad Aristotelee alla sua ricostruzione del pensiero dei naturalisti nellaFisica – fortemente condizionata dalla contrapposizione con Platone– va ricondotta una deformazione del pensiero dei presocraticiche avrà grande peso sulla successiva dossografia: vale a direl’affermazione secondo la quale essi avrebbero identificato lacausa con la materia. Tuttavia è proprio ricorrendo alla concettualitàdella Fisica aristotelica che possiamo formulare <strong>il</strong> problema16


che era al centro della riflessione dei presocratici: vale a dire <strong>il</strong> problemadella physis, ciò che <strong>per</strong>mane nel divenire e nella varietàdelle manifestazioni naturali. Ciò che fa apparire i pensatori diquella che solo erroneamente può essere def<strong>in</strong>ita “Scuola diM<strong>il</strong>eto” come la prima tappa del pensiero greco è dunque <strong>il</strong> tentativodi esprimere l’idea di una realtà che si regge e si organizza da sestessa. Proprio su quest’idea, nell’ipotesi che ad essa occorra tornarecome al piú genu<strong>in</strong>o de<strong>gli</strong> <strong>in</strong>terrogativi f<strong>il</strong>osofici, <strong>in</strong>siste KlausHeld nel suo saggio, come si vedrà <strong>in</strong> seguito. Gadamer conclude<strong>in</strong>vece <strong>il</strong> suo ciclo di lezioni proponendo la sua lettura di Parmenidee del suo poema proprio come <strong>il</strong> tentativo di offrire unarisposta alle questioni sollevate dai M<strong>il</strong>esî. Rifiutando l’ipotesi cheParmenide si rivolga <strong>in</strong> term<strong>in</strong>i polemici alla concezione di Eraclito,e negando <strong>in</strong>oltre <strong>il</strong> carattere religioso della sua visione,Gadamer <strong>in</strong>terpreta <strong>il</strong> poema di Parmenide come un diretto <strong>in</strong>terrogarsisu quel divenire della natura che era al centro della ricercadei M<strong>il</strong>esî. L’idea de<strong>gli</strong> opposti irrelati e <strong>in</strong>separab<strong>il</strong>i viene <strong>per</strong>òcondotta da Parmenide ad una piú alta concettualizzazione: all’ideadi una stab<strong>il</strong>ità dell’essere che si annuncia nella relatività del<strong>per</strong>cepire.Hans-Georg Gadamer, Metafisica e f<strong>il</strong>osofia pratica <strong>in</strong> Aristotele, acura di Vittorio De Cesare, 2000, pp. 117, Collana Saggi n. 36,117 pp.In questo <strong>testo</strong>, che riproduce le lezioni svolte da Hans-GeorgGadamer nella sede dell’<strong>Istituto</strong> dall’8 al 12 gennaio 1990, <strong>il</strong> camm<strong>in</strong>otracciato dal f<strong>il</strong>osofo ri<strong>per</strong>corre <strong>il</strong> rapporto fra Aristotelecome metafisico e Aristotele come fondatore dell’etica f<strong>il</strong>osofica. Ilprogetto <strong>in</strong> cui esso s’<strong>in</strong>scrive è quello di una r<strong>il</strong>ettura dell’o<strong>per</strong>adello Stagirita all’<strong>in</strong>terno di una prospettiva ermeneutica. Contro17


l’<strong>in</strong>terpretazione riduttiva propria del neokantismo è la fenomenologiahusserliana, secondo Gadamer, ad aver a<strong>per</strong>to la possib<strong>il</strong>itàdi una nuova lettura di Aristotele. Decisivo – quasi una “folgorazione”– fu tuttavia <strong>per</strong> Gadamer l’<strong>in</strong>contro con Heidegger ed<strong>in</strong> particolare la lettura di uno scritto su Aristotele del 1922 (orapubblicato nel VI volume del “D<strong>il</strong>they-Jahrbuch”) nel quale l’espressionecontenuta nel libro VII della Metafisica – “to on leghetaipollakos” – veniva <strong>in</strong>tesa non nel senso, ancora <strong>in</strong>valso nella letturaneokantiana, <strong>per</strong> cui “l’essere comprende varie e diversenozioni”, ma con esplicito riferimento alla dimensione l<strong>in</strong>guistica:“l’essere – traduceva Heidegger – si dice <strong>in</strong> molti modi”. Tale letturaoffriva evidentemente a Gadamer un approccio alla metafisicaaristotelica che si mostrava <strong>in</strong> stretta consonanza con <strong>il</strong> punto divista ermeneutico.Se l’<strong>in</strong>teresse del giovane Heidegger <strong>per</strong> Aristotele era piuttostorivolto al contrasto che e<strong>gli</strong> riteneva di riscontrare tra i concetti aristotelicicon cui i pensatori medievali hanno elaborato le dottr<strong>in</strong>edella Chiesa e <strong>il</strong> messaggio centrale del Cristianesimo – l’idea dellaparusia, della riapparizione del Salvatore -, e<strong>gli</strong> aveva <strong>in</strong>oltre a<strong>gli</strong>occhi di Gadamer <strong>il</strong> merito di estendere la sua riflessione dall’Aristoteledella Metafisica e della Fisica anche a quello dell’Etica edella Retorica. In tal modo Heidegger riconosceva l’<strong>in</strong>separab<strong>il</strong>itàdella dimensione logica del l<strong>in</strong>guaggio dalla sfera della vita emozionale:ed è qui che s’<strong>in</strong>nesta lo sv<strong>il</strong>uppo propriamente gadamerianodell’<strong>in</strong>terpretazione di Aristotele. Punto di partenza è ladist<strong>in</strong>zione fra la dialettica di Platone e quella di Aristotele. La dialetticaha <strong>per</strong> Platone un duplice senso. Per un aspetto essa è l’artedi conversare, di partecipare ad un dialogo, è l’arte con la qualeSocrate guida l’<strong>in</strong>terlocutore verso un punto f<strong>in</strong>ale circa ciò su cuisi sta discutendo. Un altro aspetto della dialettica è <strong>in</strong>vece di orig<strong>in</strong>eeleatica e si riferisce ad un argomentare che si sv<strong>il</strong>uppa attraversotesi opposte. Non mancano tuttavia i collegamenti fra l’uno18


e l’altro aspetto. La prima esposizione platonica della dialettica èla diairesis: <strong>il</strong> dialogo si sv<strong>il</strong>uppa <strong>per</strong> dicotomie ed è necessario, <strong>per</strong>non deviare, sa<strong>per</strong>e che una delle due posizioni deve essere elim<strong>in</strong>ata<strong>in</strong> quanto non rientra nella consequenzialità del ragionamento,nell’<strong>in</strong>tenzionalità che sta alla base della differenziazionedicotomica. Aristotele parla <strong>in</strong>vece della dialettica come delmetodo <strong>per</strong> trovare la giusta def<strong>in</strong>izione, l’orismos, consideratacome <strong>il</strong> risultato del discorso. Nel libro M della Metafisica (1078b27-29) Aristotele attribuisce a Socrate un duplice merito: di aversco<strong>per</strong>to i ragionamenti <strong>in</strong>duttivi (quelli che Gadamer ha def<strong>in</strong>itocome <strong>il</strong> guidare qualcuno verso un risultato) e la def<strong>in</strong>izione universale(che è <strong>il</strong> risultato dell’<strong>in</strong>duzione). Qu<strong>in</strong>di è evidente, argomentaGadamer, che qui Aristotele descrive l’arte socratica deldialogo assegnando a quella che <strong>per</strong> Socrate era solo una forma didiscussione problematica una valenza <strong>in</strong> piú, cioè la def<strong>in</strong>izionede<strong>gli</strong> universali. Ciò sta <strong>in</strong> una relazione significativa con i temidella f<strong>il</strong>osofia di Aristotele, <strong>in</strong> quanto sia i ragionamenti <strong>in</strong>duttivi,sia la def<strong>in</strong>izione universale concernono <strong>il</strong> pr<strong>in</strong>cipio della scienza.Ne consegue che quel che è primo non è esso stesso ciò che derivada una dimostrazione s<strong>il</strong>logistica, ma è <strong>il</strong> risultato della epagoghe,del ragionamento <strong>per</strong> <strong>in</strong>duzione. Per Aristotele dunque l’<strong>in</strong>duzionesocratica è <strong>il</strong> presupposto di ogni forma di sa<strong>per</strong>e.Una conferma sembra offerta all’autore da<strong>gli</strong> Analitici posteriori(libro II, cap. 19), dove Aristotele descrive l’epagoghe, l’approccio<strong>in</strong>duttivo all’<strong>in</strong>tenzionato, come un progressivo estendersi dell’es<strong>per</strong>ienzaf<strong>in</strong>o al momento <strong>in</strong> cui qualcosa di <strong>per</strong>manente, di fisso,si stab<strong>il</strong>isce nella conoscenza. Attraverso la metafora della ricostituzionedell’esercito <strong>in</strong> ritirata, Aristotele mostrerebbe che learchai, i pr<strong>in</strong>cípi della scienza, non possono essere dimostrati conuna deduzione logica, ma possono solo essere colte nel camm<strong>in</strong>odell’es<strong>per</strong>ienza della vita. Da questo punto di vista Gadamer proponeuna convergenza con quanto afferma Platone nell’excursus19


della VII lettera (sulla cui autenticità lo studioso non avanzadubbi). Dal ragionamento platonico risulterebbe che <strong>il</strong> sa<strong>per</strong>e deipr<strong>in</strong>cípi non è dimostrab<strong>il</strong>e come avviene nella matematica, non èuna conseguenza che si possa trarre secondo le leggi della logica.Infatti, dice Gadamer, la f<strong>il</strong>osofia – <strong>il</strong> dialogo, <strong>il</strong> discorso – è semprenella tensione tra l’uso de<strong>gli</strong> strumenti logici e <strong>il</strong> sa<strong>per</strong>e la cosastessa. L’uso di que<strong>gli</strong> strumenti non potrà mai, di <strong>per</strong> sé, “costr<strong>in</strong>gere”l’<strong>in</strong>terlocutore a <strong>in</strong>tendere la cosa stessa, cosí come viene<strong>in</strong>tesa dal parlante. La condizione di un uso positivo di que<strong>gli</strong> strumentiè <strong>il</strong> dialogo, <strong>in</strong> cui accade che attraverso <strong>il</strong> confronto de<strong>gli</strong>argomenti <strong>il</strong> nous si “accenda”. Vi sarebbe dunque già <strong>in</strong> Platone,prima ancora che <strong>in</strong> Aristotele, la consapevolezza dei limiti dellalogica dimostrativa. I due pensatori greci antici<strong>per</strong>ebbero cosí <strong>il</strong>punto di vista di Gadamer, secondo <strong>il</strong> quale, com’è noto, essa noncostituisce uno strumento adeguato quando si tratta di comprendere<strong>il</strong> pensiero nella sua funzione comunicativa, di articolazionedel nostro orizzonte pratico.Lo sv<strong>il</strong>uppo del ragionamento impone dunque un confronto frala scienza antica e la scienza moderna. Fondamentale <strong>per</strong> Gadamerrimane la dist<strong>in</strong>zione presente <strong>in</strong> Aristotele fra la dimostrazionematematica e la f<strong>il</strong>osofia: quest’ultima non è dimostrazione,ma ricerca. L’esempio dell’apprendimento della l<strong>in</strong>gua, cheavviene parlando con <strong>gli</strong> altri, sarebbe <strong>in</strong> questo senso una buona<strong>il</strong>lustrazione del procedere del sa<strong>per</strong>e f<strong>il</strong>osofico. Invece, proprio <strong>in</strong>quanto sa<strong>per</strong>e che si forma nel corso delle es<strong>per</strong>ienze di vita, e chequ<strong>in</strong>di è possib<strong>il</strong>e apprendere, la f<strong>il</strong>osofia non differisce <strong>per</strong> Gadamerdal sa<strong>per</strong>e pratico. In term<strong>in</strong>i analoghi <strong>il</strong> concetto moderno di“metodo” si dist<strong>in</strong>guerebbe da quello proprio de<strong>gli</strong> antichi. Mentre<strong>per</strong> questi “metodo” significava ricerca, a<strong>per</strong>tura di un camm<strong>in</strong>onella foresta dell’es<strong>per</strong>ienza, <strong>in</strong> senso moderno esso è <strong>in</strong>vecequalcosa di astratto rispetto all’es<strong>per</strong>ienza concreta e ha <strong>il</strong> significatodi regola che bisogna seguire <strong>in</strong> qualsiasi <strong>in</strong>dag<strong>in</strong>e: non è piú20


l’es<strong>per</strong>ienza viva. Ma quel che piú conta, <strong>per</strong> <strong>il</strong> f<strong>il</strong>osofo tedesco, èche la scienza moderna, assolutizzando <strong>il</strong> metodo, ha preteso diestendere <strong>il</strong> suo dom<strong>in</strong>io anche al mondo dell’uomo, alla vitasociale e politica, sebbene essa non possa <strong>in</strong> alcun modo esaurire<strong>in</strong> sé quell’<strong>in</strong>f<strong>in</strong>ita ricchezza dell’es<strong>per</strong>ienza umana che chiamiamocultura. Di fronte al “totalitarismo” della scienza, Gadamer ribadiscedunque anche <strong>in</strong> questo scritto che <strong>il</strong> compito attuale dellaf<strong>il</strong>osofia è quello di tornare a considerare <strong>il</strong> mondo spirituale nellasua autonomia, senza con ciò escludere delle forme di collaborazionecon <strong>il</strong> mondo della scienza che valgano a fermare l’abusodella potenza conferito all’uomo dal progresso scientifico. Sta quitutta l’attualità dei greci: sono essi a mostrarci, secondo l’<strong>in</strong>segnamentodi Gadamer, che i problemi dell’agire non possono essereaffrontati dalla tecnica, ma solo da uom<strong>in</strong>i che siano educati all’eserciziodella phronesis, quella saggezza che <strong>in</strong> ultima istanza deveguidare nella scelta.Klaus Held, La fenomenologia del mondo e i greci, 1995, CollanaSaggi n. 22, 133 pp.Un giorno, all’epoca di Platone e dei suoi predecessori, la f<strong>il</strong>osofiascoprí se stessa, quando si differenziò e si dist<strong>in</strong>se, come episteme,come sa<strong>per</strong>e <strong>in</strong> senso priv<strong>il</strong>egiato, dalla doxa, dall’op<strong>in</strong>ione.Questa autodifferenziazione apparve all’ultimo Husserl comel’atto costitutivo della f<strong>il</strong>osofia, la sua Urstiftung. Da allora e<strong>gli</strong>rivendicò alla sua fenomenologia trascendentale la pretesa di rappresentare<strong>il</strong> r<strong>in</strong>novamento, proiettato verso <strong>il</strong> futuro, del sensoorig<strong>in</strong>ario di quella primigenia fondazione.È questo <strong>il</strong> punto di partenza della proposta teoretica e storiograficadi Klaus Held, sv<strong>il</strong>uppata nel <strong>testo</strong> delle lezioni che l’autoreha tenuto a Napoli dal 2 al 6 novembre 1992, nel quadro della21


icerca promossa dall’<strong>Istituto</strong> <strong>Italiano</strong> de<strong>gli</strong> <strong>Studi</strong> F<strong>il</strong>osofici relativaal confronto fra le pr<strong>in</strong>cipali configurazioni f<strong>il</strong>osofiche dell’etàcontemporanea e <strong>il</strong> mondo greco.Mentre Gadamer r<strong>il</strong>egge l’apporto della metafisica aristotelicaalla luce dell’ermeneutica, <strong>per</strong> Held si tratta di riesam<strong>in</strong>are attraversoun approccio fenomenologico l’esordio stesso della f<strong>il</strong>osofia.Nel dist<strong>in</strong>guersi dell’episteme dalla doxa Husserl riscoprivaquella differenza che costituiva <strong>il</strong> fondamento dell’<strong>in</strong>tera sistematicadella sua fenomenologia trascendentale: la dist<strong>in</strong>zione fral’atteggiamento “fenomenologico”, identificato con l’atteggiamentof<strong>il</strong>osofico <strong>in</strong> quanto tale, dall’atteggiamento “naturale”.La lente fornita da Husserl consente al fenomenologo Held d<strong>il</strong>eggere la critica alla doxa come a<strong>per</strong>tura al mondo <strong>in</strong> quantotale, cioè, <strong>in</strong> greco, al kosmos. Quest’a<strong>per</strong>tura, anche secondol’<strong>in</strong>tegrazione da Heidegger apportata al punto di vista husserliano,viene attivata da una tonalità emotiva, lo stupore (<strong>il</strong> thaumaze<strong>in</strong>),posto all’orig<strong>in</strong>e della f<strong>il</strong>osofia e della scienza. Heldritrova cosí quell’idea di una realtà che si regge e si organizza dase stessa la quale esprime, come abbiamo visto nella lettura gadamerianadella Fisica di Aristotele, <strong>il</strong> problema che era al centrodelle ricerche dei presocratici.Ma se la fenomenologia, secondo Held, è <strong>in</strong> primo luogo fenomenologiadel mondo, se essa si fonda sulla conv<strong>in</strong>zione chel’uomo possa trascendere quella fam<strong>il</strong>iarità con <strong>il</strong> mondo cheocculta <strong>il</strong> suo carattere di orizzonte universale, accade allora chequando da tale punto di vista si guarda al mondo greco esso riveliproprio quel carattere di a<strong>per</strong>tura al mondo che altre ottiche <strong>in</strong>vecetrascurano completamente. La fenomenologia fornisce cioè unanuova lente <strong>per</strong> osservare due processi fondamentali: l’avvio, attraversolo stupore, della scienza del kosmos, e la sco<strong>per</strong>ta, attraversola democratizzazione della polis, del mondo politico. Se, <strong>in</strong>fatti, l’epistemetravalica i limiti di uno sguardo rivolto alle cose semplice-22


mente <strong>in</strong> ragione del loro valore strumentale, la convivenza e <strong>il</strong>confronto fra <strong>gli</strong> uom<strong>in</strong>i <strong>in</strong>ducono a riflettere sull’agire <strong>in</strong> quantopossib<strong>il</strong>ità, sottraendolo all’un<strong>il</strong>ateralità di punti di vista esclusivi.È proprio la nascita del mondo politico ad o<strong>per</strong>a dei greci adelaborare un elemento che la stessa fenomenologia, nelle figuredei suoi grandi esponenti – Husserl e Heidegger – e con l’unicaeccezione di Hannah Arendt, non ha saputo, secondo Held,co<strong>gli</strong>ere e sv<strong>il</strong>uppare. La polis, <strong>in</strong> quanto democrazia, si def<strong>in</strong>isce<strong>in</strong> ragione del fatto che <strong>il</strong> conflitto fra le op<strong>in</strong>ioni dei cittad<strong>in</strong><strong>in</strong>on solo viene accettato, ma forma la sostanza della vita pubblicacomune. Quella stessa doxa, la cui critica segnava la rottura conl’atteggiamento naturale, si ripropone qui <strong>in</strong> positivo come pluralitàdelle op<strong>in</strong>ioni dei cittad<strong>in</strong>i da accettare e rispettare cometali. Ma se la stessa doxa ha potuto subire tale trasformazione è<strong>per</strong>ché è divenuta capace di render conto di se stessa, congiuntamenteall’assunzione da parte dell’uomo della responsab<strong>il</strong>ità delproprio dest<strong>in</strong>o.Di fronte a tale a<strong>per</strong>tura della doxa fu tuttavia Platone <strong>il</strong> primoa dimostrare totale cecità, assumendo una posizione che non èstata a tutt’oggi su<strong>per</strong>ata. Secondo Held, <strong>in</strong>vece, la riflessione f<strong>il</strong>osofiacontemporanea può e deve collegarsi proprio all’es<strong>per</strong>ienzadel rendiconto politico nella democrazia. L’orrore di fronte ai <strong>per</strong>icolidel totalitarismo e l’angoscia provocata dalla m<strong>in</strong>accia ecologicacostituiscono quelle tonalità emotive che lasciano presagire lapossib<strong>il</strong>ità di sottrarsi all’oblío dell’essere, dell’a<strong>per</strong>tura delmondo, che caratterizza <strong>per</strong> l’autore la nostra epoca. Ciò è reso<strong>per</strong>ò al tempo stesso possib<strong>il</strong>e da un’analisi fenomenologica che<strong>in</strong>tegri la prospettiva husserliana e heideggeriana con una ricercadei prodromi di quell’oblío nella stessa f<strong>il</strong>osofia greca. Essi già siannunciano nella dottr<strong>in</strong>a de<strong>gli</strong> elementi, e <strong>in</strong> particolare nelmomento <strong>in</strong> cui <strong>il</strong> fuoco non viene piú es<strong>per</strong>ito come un emergeredella vita, della luce e del calore, ma come massa di materia dalla23


quale <strong>il</strong> cosmo si costruisce <strong>in</strong> quanto gigantesco deposito di tuttol’essere. Se <strong>il</strong> cosmo, <strong>in</strong> quanto totalità oggettuale dell’essente, èuna sorta di deposito, allora non è nemmeno troppo distante l’ideache l’uomo possa disporne a suo piacimento.Otto Pöggeler, Europa come dest<strong>in</strong>o e come compito. Correzion<strong>in</strong>ella f<strong>il</strong>osofia ermeneutica, a cura e con una postfazione diAntonello Giu<strong>gli</strong>ano, traduzione italiana di Agost<strong>in</strong>o Cera,2005, Collana Saggi n. 43.Il libro presenta <strong>il</strong> <strong>testo</strong> di quattro lezioni tenute <strong>in</strong> PalazzoSerra di Cassano dal 3 al 6 giugno 2003 e dedicate rispettivamentea Rosenzweig, Heidegger, Gadamer e ai coniugi Celan. L’autoreri<strong>per</strong>corre, attraverso alcuni momenti particolarmente r<strong>il</strong>evantidelle rispettive biografie <strong>in</strong>tellettuali, i loro legami reciproci, e ne<strong>in</strong>daga la relazione con una problematica comune e ancora attuale,quella del dest<strong>in</strong>o e del compito dell’Europa: <strong>il</strong> suo dest<strong>in</strong>o – condurre<strong>il</strong> mondo nell’abisso delle due guerre mondiali e dell’Olocausto– e <strong>il</strong> suo compito – dar vita all’unità dell’Europa, fondataanche sul valore della memoria.Con riferimento al convegno su Rosenzweig tenutosi a Kasselnel 2004 con <strong>il</strong> sostegno dell’<strong>Istituto</strong> <strong>Italiano</strong> <strong>per</strong> <strong>gli</strong> <strong>Studi</strong> F<strong>il</strong>osofici,<strong>in</strong> occasione del settantac<strong>in</strong>quesimo anniversario della morte,Pöggeler prende le mosse da Hegel und der Staat (1920) – la dissertazioneche Rosenzweig scrisse come allievo di Friedrich Me<strong>in</strong>ecke–, accenna a Der Stern der Erlösung (1921) – considerato <strong>il</strong>capolavoro dell’autore –, <strong>per</strong> giungere all’o<strong>per</strong>a, redatta nel 1917e rimasta <strong>in</strong>edita f<strong>in</strong>o alla sua pubblicazione nei GesammelteSchriften (1983), dal titolo Globus. <strong>Studi</strong>en zur WeltgeschichtlichenRaumlehre. In questo scritto Rosenzweig considera la primaguerra mondiale come <strong>il</strong> passaggio ad una “epoca planetaria” chedecreterà <strong>il</strong> su<strong>per</strong>amento di tutti i conf<strong>in</strong>i e renderà visib<strong>il</strong>e l’unità24


della storia mondiale. All’idea spengleriana delle culture chiuse –che ritroviamo nelle tesi attuali di un Samuel Hunt<strong>in</strong>gton, relativeallo scontro fra le civ<strong>il</strong>tà – Rosenzweig oppone quella di un mondounico, <strong>in</strong> cui tutto è connesso: un’idea, r<strong>il</strong>eva Pöggeler, che puòcostituire un punto di partenza anche <strong>per</strong> la nostra riflessione.Di Heidegger, nella seconda lezione della raccolta, Pöggeleranalizza <strong>gli</strong> epistolari, chiedendosi se le lettere del f<strong>il</strong>osofo possano“scard<strong>in</strong>are” le sue o<strong>per</strong>e e offrirci delle <strong>in</strong>dicazioni sulle direzioniprese dalla sua riflessione. La corrispondenza di Heidegger mostra<strong>in</strong>nanzitutto un <strong>per</strong>corso estremamente ricco di trasformazioni –dal punto di vista religioso, cosí come dal punto di vista politico –,al punto tale che fac<strong>il</strong>mente quelli che erano stati suoi amici potevanodivenire suoi avversari. Pöggeler porta diversi esempi. Quellodi Karl Jas<strong>per</strong>s, che con Heidegger, nei primi anni Trenta, auspicavala costruzione, con l’aiuto del nazionalsocialismo, di un’universitàaristocratica che sapesse tenere a distanza la mediocrità, mache <strong>in</strong> seguito, m<strong>in</strong>acciato <strong>per</strong> l’orig<strong>in</strong>e ebraica di sua mo<strong>gli</strong>e, mutòle sue idee e si allontanò da Heidegger. Un altro esempio è fornitodall’<strong>in</strong>contro con Rudolf Bultmann nell’autunno del 1923 a Marburgoe dalla loro successiva separazione, o ancora dalla relazionecon Hannah Arendt, che nonostante abbia dispensato giudizi sarcasticie contraddittori su Heidegger dopo la seconda guerra mondiale,spianò la strada <strong>per</strong> la traduzione delle sue o<strong>per</strong>e <strong>in</strong>America.L’evolversi della f<strong>il</strong>osofia heideggeriana si mostra cosí, attraversouno spaccato del suo epistolario, fortemente condizionatadall’adesione, prima, al nazionalsocialismo, qu<strong>in</strong>di dal processo didenazificazione e dall’allontanamento da Hitler <strong>in</strong> una fase <strong>in</strong> cui<strong>il</strong> f<strong>il</strong>osofo confidava, <strong>in</strong> maniera piú o meno fondata, di aver esercitatouna “resistenza” attraverso lo smascheramento del totalitarismoquale momento conclusivo della metafisica. In un carteggiocon <strong>il</strong> giapponese Takehiko Kojima, tuttavia, Heidegger giungeva25


a prospettare la sparizione delle culture nazionali a favore di unaciv<strong>il</strong>izzazione mondiale <strong>in</strong>tesa come “europeizzazione delmondo”, a partire dal dom<strong>in</strong>io della scienza e della tecnica.La lezione su Gadamer <strong>in</strong>daga <strong>il</strong> complesso rapporto che legal’autore di Wahrheit und Methode all’<strong>in</strong>segnamento di Heidegger,sul terreno dell’<strong>in</strong>terpretazione di Platone e delle conseguenze chene derivano <strong>per</strong> la valutazione del dest<strong>in</strong>o e del compito dell’Occidenteeuropeo. Per quanto Gadamer non abbia mai redatto quellibro su Platone che Heidegger lo <strong>in</strong>citava a scrivere, rimane <strong>per</strong>Pöggeler che i suoi saggi sul f<strong>il</strong>osofo greco costituiscono unsecondo capolavoro accanto a Wahrheit und Methode. In un <strong>testo</strong>del 1991 dal titolo Europa und die Oikoumene (contributo al convegnodella Heidegger-Gesellschaft dedicato al tema Europa unddie Ph<strong>il</strong>osophie), Gadamer vedeva l’oikoumene – la parola greca<strong>per</strong> designare <strong>il</strong> mondo abitato, che oggi <strong>per</strong> noi abbraccia l’<strong>in</strong>teropianeta – m<strong>in</strong>acciata nella sua <strong>in</strong>tera esistenza, sia dalla corsa a<strong>gli</strong>armamenti, sia dalla crisi ecologica. E<strong>gli</strong> prevedeva <strong>in</strong>oltre un acutizzarsidel contrasto fra <strong>il</strong> mondo occidentale e l’Islam, e <strong>il</strong> del<strong>in</strong>earsidi una situazione che costituisce una sfida diretta all’ermeneutica,la quale <strong>per</strong> sua natura s’<strong>in</strong>terroga sulla molteplicità deipopoli e delle l<strong>in</strong>gue, e sulle possib<strong>il</strong>ità del loro dialogo.Seppur Gadamer conveniva con Heidegger sul fatto che capitalismo,colonialismo e crisi ecologica avessero le loro radici nelmondo greco, e<strong>gli</strong> tuttavia riteneva – contro Heidegger e la sua<strong>in</strong>terpretazione negativa di Platone –, che nei suoi dialoghi, <strong>in</strong> particolarenel Politico, sia presente una doppia concezione dellamisura. Essa viene <strong>in</strong>tesa da Platone non solo come “padroneggiamento”,sulla strada che conduce la scienza moderna ad una tecnicadi dom<strong>in</strong>io, ma anche come “misura necessaria <strong>per</strong> uno statodi benessere e salute e <strong>per</strong> <strong>il</strong> bello”. Ciò consente a Gadamer diaffermare che già <strong>in</strong> Platone e nella tradizione – secondo la vocazionedella f<strong>il</strong>osofia ermeneutica come a<strong>per</strong>tura alla storia passata26


e futura – è presente ciò che si presume dimenticato. La metafisicaha <strong>in</strong> se stessa <strong>il</strong> suo antidoto.Nella quarta ed ultima lezione Pöggeler presenta la collaborazionefra Paul Celan e sua mo<strong>gli</strong>e, Gisèle de Lestrange. Innanzituttoe<strong>gli</strong> mette <strong>in</strong> parallelo due o<strong>per</strong>e grafiche del 1958, cherecano i titoli Heute, e Heute, wieder, con una poesia di Celandatata 30/31 agosto dello stesso anno, e <strong>in</strong>titolata Holzstern; (lepoesie citate e le o<strong>per</strong>e grafiche sono riprodotte <strong>in</strong> appendice alvolume). In essa, attraverso <strong>il</strong> gioco di un bamb<strong>in</strong>o, Celan evoca lanotte che calò con <strong>il</strong> dom<strong>in</strong>io di Hitler sulla Germania e l’Europae che condusse a Buchenwald e ad Auschwitz. Qu<strong>in</strong>di prende <strong>in</strong>esame l’o<strong>per</strong>a grafica Er<strong>in</strong>nerung an Holland – che rievoca un viaggioad Amsterdam del 1964, quando i coniugi Celan videro chenella foga della ricostruzione veniva abbattuta anche la casa di Sp<strong>in</strong>oza<strong>in</strong> Waterloople<strong>in</strong> –, <strong>in</strong> parallelo con la poesia Pau, später, e<strong>in</strong>f<strong>in</strong>e <strong>il</strong> comune <strong>in</strong>teresse dei due artisti <strong>per</strong> l’o<strong>per</strong>a di Giacometti.Dalla loro o<strong>per</strong>a comune Pöggeler trae spunto <strong>per</strong> riconoscere <strong>il</strong>dest<strong>in</strong>o e <strong>il</strong> compito dell’Europa: al suo dest<strong>in</strong>o – vale a dire allasua <strong>in</strong>capacità di sottrarsi ai <strong>per</strong>icoli che la sovrastavano, dalleguerre ai campi di sterm<strong>in</strong>io – si accompagna <strong>il</strong> suo compito, chenon è solo quello di una possib<strong>il</strong>e unità, ma che è <strong>in</strong> primo luogoquello della memoria, dell’<strong>in</strong>teriorizzazione del ricordo, quale trapeladalle poesie di Celan e dalle o<strong>per</strong>e grafiche di Gisèle deLestrange.27


2.LA RIABILITAZIONE DELLA FILOSOFIA PRATICA29


Il richiamo gadameriano alla phronesis, alla saggezza che deveguidarci nelle scelte relative a<strong>gli</strong> scopi e alle f<strong>in</strong>alità dell’agire, èalla base di quel recu<strong>per</strong>o della nozione di prassi su basi neoaristotelicheche ha segnato correnti importanti del pensiero contemporaneo.All’attenzione verso quella “prudenza” che si pone ametà strada “tra <strong>il</strong> sa<strong>per</strong>e assoluto che renderebbe <strong>in</strong>ut<strong>il</strong>e l’azione,e una <strong>per</strong>cezione caotica che la renderebbe impossib<strong>il</strong>e” (Aubenque)si accompagna la <strong>per</strong>cezione dell’attualità dell’idea di “benecomune” come correttivo rispetto al priv<strong>il</strong>egio esclusivo accordatoal soggetto autoreferenziale.Wolfgang Kullmann, Il pensiero politico di Aristotele, traduzionedi Agost<strong>in</strong>o Marsoner, 1992, Collana saggi n. 11, 171 pp.Ad una r<strong>il</strong>ettura del pensiero politico di Aristotele, alla luce, <strong>in</strong>questo caso, della sua f<strong>il</strong>osofia della natura, è dedicato <strong>il</strong> saggio diWolfgang Kullmann, risultato di un corso di lezioni tenuto a Napoli,<strong>in</strong> Palazzo Serra di Cassano, dal 25 al 29 marzo 1988. In esso l’autoremira non solo a ricollocare <strong>il</strong> pensiero di Aristotele nel suo con<strong>testo</strong>storico e teoretico, liberandolo cosí da forzature di diversa orig<strong>in</strong>e,ma anche a riportare l’attenzione sull’attualità dell’ideaaristotelica di “bene comune”.31


Nella prima lezione Kullmann affronta lo sp<strong>in</strong>oso problemadella relazione fra l’<strong>in</strong>dividuo e lo Stato alla luce della lettura diHegel. Nel passo commentato dal f<strong>il</strong>osofo tedesco (Politica, I,1253a 18 sgg.), <strong>in</strong> cui si afferma che lo Stato è <strong>per</strong> essenza su<strong>per</strong>ioreall’<strong>in</strong>dividuo, Aristotele vuole semplicemente mettere <strong>in</strong> lucela mancanza di autarchia del s<strong>in</strong>golo, la sua <strong>in</strong>capacità “biologica”di sopravvivere al di fuori della comunità. Contrariamente aquanto affermato da alcuni studiosi, Aristotele non fa dunquedella polis una sostanza, né le attribuisce <strong>il</strong> carattere di “organismo”,se non nei limiti di un semplice paragone: solo grazie a questeprecisazioni è possib<strong>il</strong>e <strong>per</strong> l’autore co<strong>gli</strong>ere <strong>il</strong> significatoattuale della posizione aristotelica. Kullmann si richiama <strong>in</strong> questosenso alle letture di studiosi come Günther Bien e Manfred Riedel,e <strong>in</strong> particolare al tentativo di W<strong>il</strong>helm Hennis di far rivivere <strong>il</strong>concetto aristotelico di “bene comune”, bandito dalle dottr<strong>in</strong>epolitiche ad o<strong>per</strong>a di pensatori come Machiavelli, Hobbes e Cartesio,e all’orig<strong>in</strong>e della crescente cecità verso <strong>il</strong> fenomeno dellatirannia.La seconda lezione è dedicata all’analisi dell’affermazione aristotelica,che l’uomo è <strong>per</strong> natura un animale politico. L’argomentazionesi costruisce <strong>in</strong> primo luogo mostrando la base biologicache sorregge questa tesi e la consonanza delle teorie aristotelichecon i risultati delle moderne scienze antropologiche ed etnologiche.D’altra parte, secondo Kullmann, se l’<strong>in</strong>sistenza sulla componentebiologica è usata da Aristotele <strong>per</strong> contrastare le tesi contrattualistiche<strong>in</strong>torno all’orig<strong>in</strong>e dello Stato, di quelle stesse tesie<strong>gli</strong> f<strong>in</strong>irebbe <strong>per</strong> accettare qualche tratto attraverso la considerazionedell’elemento razionale: lo Stato, <strong>in</strong>fatti, non è <strong>per</strong> Aristoteleun semplice prodotto della ragione, ma non è neppure un meroaggregato d’api. Esso partecipa piuttosto di entrambi i fattori.Nella terza lezione, dedicata al concetto di egua<strong>gli</strong>anza, l’autoreaffronta la teoria aristotelica dell’esistenza di “schiavi <strong>per</strong> natura”.32


Kullmann resp<strong>in</strong>ge l’ipotesi che Aristotele si sia limitato a condividereun pregiudizio conservatore della sua epoca. La sua dottr<strong>in</strong>asarebbe piuttosto <strong>il</strong> risultato di un’<strong>in</strong>adeguata generalizzazione diun fatto biologico. In questa prospettiva Kullmann analizza la tesiaristotelica cercando di attenuarne la portata: vale a dire escludendoche vi sia <strong>in</strong> Aristotele una qualsivo<strong>gli</strong>a specificazione etnologicao geografica di essa, e considerando quei passi <strong>in</strong> cui <strong>il</strong> f<strong>il</strong>osofonon sembra escludere la possib<strong>il</strong>ità di una emancipazione<strong>in</strong>tellettuale de<strong>gli</strong> schiavi. Rimane tuttavia che <strong>per</strong> Aristotele è proprio<strong>il</strong> logos a costituire <strong>il</strong> maggior fattore di differenziazione fra <strong>gli</strong>uom<strong>in</strong>i: se esso può condurre tutti <strong>gli</strong> <strong>in</strong>dividui, anche <strong>gli</strong> schiavi,all’areté, esso può anche traviare verso una vita dom<strong>in</strong>ata dallepassioni.Nella quarta lezione si chiarisce come <strong>il</strong> logos costituisca unacaratteristica dist<strong>in</strong>tiva della specie umana, <strong>in</strong> virtú della qualel’uomo non aspira solo alla sopravvivenza, ma anche al ben vivere,alla felicità. La disposizione al bene è <strong>per</strong> Aristotele presente <strong>in</strong>natura <strong>in</strong> un gran numero di uom<strong>in</strong>i ed è proprio questo elementodiv<strong>in</strong>o – def<strong>in</strong>ito anche nous, <strong>in</strong>telletto – a <strong>in</strong>trodurre un momentotrascendente, metafisico, nell’etica e nella dottr<strong>in</strong>a politica di Aristotele.Recu<strong>per</strong>ando <strong>il</strong> fondamento biologico dell’attitud<strong>in</strong>e politicadell’uomo, Aristotele, secondo Kullmann, è cosí <strong>in</strong> grado disottrarre lo Stato ad una concezione che ne faccia <strong>il</strong> risultato di unsemplice accordo, <strong>in</strong>capace di rendere i cittad<strong>in</strong>i virtuosi e giusti,evitando di attribuire a<strong>gli</strong> uom<strong>in</strong>i quel comportamento “autistico”caratterizzante tutte le teorie contrattualistiche, da quella di Hobbesa quella di Rawls, e sottraendosi ad una visione secondo laquale ogni pacifica aggregazione sarebbe necessariamente <strong>il</strong> fruttodi una costrizione dello Stato.Nella qu<strong>in</strong>ta lezione l’autore mostra come la stessa teoria dellapulsione aggressiva, che ha trovato largo spazio <strong>in</strong> epoca moderna<strong>in</strong> ambito antropologico e psicoanalitico, non sia altro che un’<strong>in</strong>-33


debita contam<strong>in</strong>azione della teoria aristotelica della catarsi conl’idea tradizionale dell’Occidente cristiano, <strong>per</strong> la quale tutti <strong>gli</strong>uom<strong>in</strong>i, segnati dal peccato orig<strong>in</strong>ale, sono malvagi. Rispetto aquest’ultima posizione risulta dunque di estremo <strong>in</strong>teresse rivolgersiad una teoria come quella aristotelica che riconduce l’aggressivitàad un uso sba<strong>gli</strong>ato della ragione, quella ragione chel’uomo, <strong>in</strong> l<strong>in</strong>ea di pr<strong>in</strong>cipio, ha la facoltà di ado<strong>per</strong>are correttamente.Yves Charles Zarka, L’altra via della soggettività. La questione delsoggetto e <strong>il</strong> diritto naturale nel XVII secolo, traduzione di FrancescoPaolo Adorno, 2002, Collana Saggi n. 40, 82 pp.I quattro saggi riuniti <strong>in</strong> questo volume – oggetto di un sem<strong>in</strong>ariotenuto a Napoli dal 2 al 6 novembre 1998 – si propongono distudiare la questione della soggettività nel campo della teoria deldiritto e, piú <strong>in</strong> particolare nel giusnaturalismo da Grozio a Leibniz.Viene <strong>in</strong> questo modo focalizzata “un’altra via” rispetto al priv<strong>il</strong>egioesclusivo accordato alla svolta cartesiana, <strong>in</strong>centrata sulladeterm<strong>in</strong>azione dell’ego come soggetto e dunque sulla corrispondentesovranità del soggetto autoreferenziale. Tale via culm<strong>in</strong>a,secondo l’autore, nell’<strong>in</strong>venzione del “soggetto del diritto”, laquale presuppone al tempo stesso un recu<strong>per</strong>o del punto di vistaantico, e <strong>in</strong> particolare di Aristotele e del concetto di vita buona,ma anche dell’idea agost<strong>in</strong>iana di “giustizia universale”.La soggettivazione del diritto è analizzata nel primo saggio <strong>in</strong>relazione alla riflessione di Grozio. Un’attenzione particolare èdedicata ai risvolti teoretici del rapporto di Grozio con i giuristidella seconda scolastica. Attraverso un esame delle fonti e unaricollocazione delle teorie groziane (e <strong>in</strong> particolare dell’ipotesi“poniamo che Dio non esista”) sullo sfondo delle controversie sco-34


lastiche, l’autore <strong>in</strong>dica <strong>in</strong> Grozio, piuttosto che una laicizzazionedel diritto, un’opzione decisa a favore di una teologia razionalefondata sull’univocità fra <strong>in</strong>telletto div<strong>in</strong>o e <strong>in</strong>telletto umano. Se lastessa idea di “sistematicità” del diritto non è <strong>in</strong> sé nuova, ciò checaratterizza Grozio è l’aver posto <strong>il</strong> diritto soggettivo alla base delsistema stesso. Sul diritto soggettivo si basa <strong>in</strong> effetti <strong>per</strong> Grozio <strong>il</strong>diritto naturale e di conseguenza la stessa teoria del diritto civ<strong>il</strong>e,cioè <strong>il</strong> fondamento dell’obbligazione politica. Dunque, benchéGrozio non fondi la sua dottr<strong>in</strong>a del diritto su un’antropologia elaboratae benché la socievolezza naturale sia <strong>per</strong> lui <strong>il</strong> fondamentodella def<strong>in</strong>izione dei pr<strong>in</strong>cípi del diritto propriamente detto, nondimenoè a partire dall’<strong>in</strong>dividuo umano che tutto l’<strong>in</strong>sieme è pensato.L’<strong>in</strong>dividuo è fonte della società che e<strong>gli</strong> fonda contrattualmentee all’<strong>in</strong>terno della quale viene riconosciuto, benché nonnom<strong>in</strong>ato, come soggetto di diritto.Il secondo saggio ha <strong>per</strong> oggetto la critica dei f<strong>il</strong>osofi di Cambridge– e <strong>in</strong> particolare di Cudworth – al sistema di Hobbes, consideratocome la forma moderna del materialismo ateo. ControHobbes, Cudworth cerca di riab<strong>il</strong>itare i fondamenti dell’azionemorale. È <strong>in</strong> effetti evidente, <strong>per</strong> Zarka, che Hobbes non è riuscitoad elaborare una dottr<strong>in</strong>a dell’identità del sé da porre a fondamentodell’essere morale. Tuttavia, secondo l’autore, c’è fra Cudworthe Hobbes una relazione paradossale di prossimità e didistanza. Questa doppia relazione si esprimerebbe nel modo piúmanifesto nel fatto che, <strong>per</strong> l’uno come <strong>per</strong> l’altro, l’uomo è unessere che si fa o si costruisce da solo. Ma questa formula avrebbenei due f<strong>il</strong>osofi un senso molto differente: all’uomo prometeico diHobbes che si costruisce da solo e costruisce lo Stato strappandosia una natura deserta e ridotta a materia <strong>in</strong> movimento <strong>per</strong>costruire <strong>il</strong> mondo artificiale, Cudworth opporrebbe una figurad’uomo che si autocostituisce solo riconoscendo <strong>il</strong> suo posto nellascala de<strong>gli</strong> esseri e nella gerarchia dei valori naturali.35


Il fatto che la questione dell’ipseità, cosí come della <strong>per</strong>sona,non trovi posto nella dottr<strong>in</strong>a hobbesiana viene analizzato dall’autoreanche nel terzo saggio; qui viene mostrato come l’elaborazionedi questa nozione abbia offerto a Hobbes la possib<strong>il</strong>ità didef<strong>in</strong>ire un’identità del sé dist<strong>in</strong>ta dall’identità dell’<strong>in</strong>dividuofisico e direttamente collegata alle questioni dell’impegno volontarioe della promessa che fanno da sfondo alla sua dottr<strong>in</strong>a dellaconvenzione, cioè a tutta la sua teoria politica. Tale tentativo dipensare l’ipseità tramite una dissociazione tra identità dellasostanza e identità della coscienza è <strong>in</strong>vece portato avanti daLocke, <strong>il</strong> quale riesce nell’<strong>in</strong>tento di mostrare che l’identità del sépuò def<strong>in</strong>irsi al di fuori di qualsiasi decisione ontologica.Il quarto saggio descrive e analizza <strong>in</strong>vece l’<strong>in</strong>contro <strong>in</strong> Leibnizdi molteplici tradizioni di pensiero: quella del diritto naturalemoderno, soggettivo, storicamente legato ad un’ontologia <strong>in</strong>dividualista,quella del diritto naturale antico (Aristotele), quella religiosadella città di Dio di Agost<strong>in</strong>o. Queste diverse tradizioni nonsolo s’<strong>in</strong>contrano <strong>in</strong> Leibniz, ma trovano anche una conc<strong>il</strong>iazioneche sembra appunto offrire una paradigma del soggetto (e del suoruolo nella società) alternativo rispetto al modello autoreferenzialedell’impostazione cartesiana.Tale conc<strong>il</strong>iazione avviene concependo tre diversi gradi deldiritto naturale: <strong>il</strong> primo riprende l’idea groziana del diritto comequalità morale della <strong>per</strong>sona, con riferimento cioè all’ambito deidiritti <strong>in</strong>dividuali. Questo diritto soggettivo non viene assolutizzato,ma considerato come <strong>il</strong> grado piú basso del diritto naturale.Il secondo grado del diritto è <strong>in</strong>vece legato alla riab<strong>il</strong>itazione delconcetto aristotelico di giustizia, <strong>in</strong> quanto visione di uno Statoben formato. A partire dalla def<strong>in</strong>izione del diritto naturale comeequità è <strong>in</strong> effetti possib<strong>il</strong>e elaborare una teoria politica che abbiacome f<strong>in</strong>e la virtú e la felicità. Il terzo grado del diritto naturaledel<strong>in</strong>eato da Leibniz, <strong>in</strong>f<strong>in</strong>e, ritrovando con Agost<strong>in</strong>o l’idea di una36


giustizia universale, mostra come <strong>il</strong> diritto soggettivo non possaassicurare f<strong>in</strong>o alla f<strong>in</strong>e la sua consistenza se non viene restituitoall’orizzonte teologico ultimo del diritto naturale.Victoria Camps, Per una f<strong>il</strong>osofia modesta. Dalla f<strong>il</strong>osofia praticaall’etica applicata, traduzione di Luigi Giuliani, 2000, CollanaSaggi n. 35, 119 pp.La riflessione dell’autrice, oggetto di un ciclo di conferenzetenute a Napoli presso l’<strong>Istituto</strong> <strong>Italiano</strong> <strong>per</strong> <strong>gli</strong> <strong>Studi</strong> F<strong>il</strong>osofici,muove dalla constatazione del mutamento d’<strong>in</strong>dirizzo verificatos<strong>in</strong>ella seconda metà del XX secolo <strong>in</strong> direzione della f<strong>il</strong>osofia pratica.L’etica e la politica, marg<strong>in</strong>alizzate dall’aspirazione oggettivistae positivista delle scienze, sono cosí diventate <strong>per</strong> la prima voltal’oggetto priv<strong>il</strong>egiato della f<strong>il</strong>osofia. Tale svolta costituisce altempo stesso l’uscita dalla fase postmoderna, consistente nel recu<strong>per</strong>odi alcune delle istanze universaliste che sembravano vanificateda una posizione di “dis<strong>in</strong>canto” di fronte alle grandi narrazionif<strong>il</strong>osofiche, e <strong>in</strong>sieme nell’attenzione rivolta al “particolare”,nella modestia che <strong>in</strong>duce l’etica ad accontentarsi di aver qualcosada dire su un qualche aspetto m<strong>in</strong>ore o limitato della realtà piúimmediata e a noi piú fam<strong>il</strong>iare. Questo punto di vista è esemplificatonella maniera mi<strong>gli</strong>ore, secondo l’autrice, già da Aristotele,che apre <strong>il</strong> camm<strong>in</strong>o del relativismo senza tuttavia rimanervi<strong>in</strong>trappolato: l’essere e <strong>il</strong> bene, <strong>per</strong> f<strong>il</strong>osofo greco, si dicono <strong>in</strong>molti modi.La prudentia aristotelica rappresenta <strong>per</strong> Victoria Camps lapossib<strong>il</strong>ità di trovare una via d’uscita dall’assolutizzazione del relativismo– un rischio al quale <strong>il</strong> postmodernismo diffic<strong>il</strong>mente sisottrae – e da questo punto di vista essa viene fatta convergere conla difesa propugnata da Isaiah Berl<strong>in</strong> della pluralità e <strong>in</strong>compatibi-37


lità dei valori: l’accettazione del fatto che <strong>gli</strong> uom<strong>in</strong>i possono <strong>per</strong>seguiref<strong>in</strong>i differenti ed essere nondimeno razionali e capaci dicomprendersi <strong>gli</strong> uni con <strong>gli</strong> altri, trovando de<strong>gli</strong> stati di equ<strong>il</strong>ibrioche, se non corrispondono ad una totale e def<strong>in</strong>itiva armonia, <strong>per</strong>mettonotuttavia di evitare le situazioni piú dis<strong>per</strong>ate.Per giungere a questa s<strong>in</strong>tesi – o giusto mezzo – fra universalismoe particolarismo occorre tuttavia passare attraverso la criticae <strong>il</strong> su<strong>per</strong>amento del trascendentalismo, nei confronti del qualeviene espressa una “radicale avversione”. Il motivo di tale avversioneè <strong>il</strong> fatto che <strong>il</strong> prezzo pagato da ogni f<strong>il</strong>osofia trascendentale<strong>per</strong> affermare l’universalità dei valori etici è l’estrema astrazione el’irrimediab<strong>il</strong>e distanza dalla pratica. Ciò è vero <strong>per</strong> Kant, cuipure, secondo Camps, dobbiamo la formulazione piú compiutadell’universalismo <strong>in</strong> campo morale: solo l’universalizzab<strong>il</strong>e è <strong>per</strong>Kant moralmente obbligatorio, ed esso non può essere r<strong>in</strong>venutoche dalla ragione stessa, di cui ogni uomo è dotato <strong>per</strong> natura. Lalegge morale tuttavia, a differenza delle leggi naturali, scientifiche,è subord<strong>in</strong>ata, nel suo compiersi, alla volontà del soggetto, e questavolontà non è solo ragion pura, ma anche desiderio, sensib<strong>il</strong>ità,<strong>in</strong>teresse. È proprio quest’elemento kantiano della volontà – piuttostoche l’accento posto sull’universalità della massima – a costituireun elemento senza dubbio recu<strong>per</strong>ab<strong>il</strong>e, al di là delle criticheche nell’Ottocento sono state rivolte (con Hegel, Marx, Nietzschee poi ancora con Wittgenste<strong>in</strong>) all’ipotesi trascendentalista e allasua “vacuità”. Questa batta<strong>gli</strong>a tuttavia, a<strong>gli</strong> occhi dell’autrice, nonè term<strong>in</strong>ata, visto che, nonostante la debolezza dimostrata dall’universalismoastratto, <strong>gli</strong> ultimi decenni del XX secolo hanno vistouna r<strong>in</strong>ascita della f<strong>il</strong>osofia morale e politica che nei suoi pr<strong>in</strong>cipalireferenti – vale a dire Rawls e Habermas – costituisce proprio unaripresa del trascendentalismo.Camps esam<strong>in</strong>a le teorie dell’autore della Teoria della giustizia,divenuta l’ideologia della socialdemocrazia o del liberalismo38


sociale, attraverso le critiche di Habermas, che ad esse oppone lapropria “etica del discorso”: nonostante la correttezza di questecritiche, l’autrice giunge tuttavia a decretare, <strong>per</strong> entrambi <strong>gli</strong>autori, e proprio <strong>in</strong> ragione del loro mancato su<strong>per</strong>amento di unoschema di tipo trascendentale, un eguale fallimento, mostrandosientrambe le posizioni ancora una volta <strong>in</strong>efficaci dal punto di vistade<strong>gli</strong> effetti pratici. La soluzione andrebbe allora piuttosto cercatasul piano di una pratica, capace – modestamente – di attestarsisullo sforzo di consentire un maggiore sv<strong>il</strong>uppo della <strong>per</strong>sona comecittad<strong>in</strong>o. Quando i diritti essenziali <strong>in</strong> teoria sono accettati equando le istituzioni sono democratiche i cambiamenti e <strong>il</strong> progressoriguardano soprattutto la cultura e devono essere cambiamentivolti a trasformare <strong>il</strong> comportamento, <strong>gli</strong> atteggiamenti delle<strong>per</strong>sone e a destare <strong>in</strong> esse <strong>il</strong> senso della cittad<strong>in</strong>anza. Da questopunto di vista <strong>il</strong> nuovo repubblicanesimo dei nostri giorni non soloreclama l’attenzione ai cosiddetti diritti di terza generazione (queidiritti tendenti a proteggere <strong>il</strong> cittad<strong>in</strong>o da possib<strong>il</strong>i m<strong>in</strong>acce derivantida uno sv<strong>il</strong>uppo tecnologico <strong>in</strong>controllato), ma sottol<strong>in</strong>ea<strong>in</strong>oltre la necessità di non legare l’idea di cittad<strong>in</strong>anza esclusivamentea quella dei diritti <strong>in</strong>dividuali e di comprendere piuttosto <strong>in</strong>essa anche quei v<strong>in</strong>coli capaci di unire i cittad<strong>in</strong>i alla comunità.L’accettazione passiva della cittad<strong>in</strong>anza andrebbe <strong>in</strong> questo sensocomb<strong>in</strong>ata con l’impegno attivo proiettato su doveri e responsab<strong>il</strong>ità.La proposta dell’autrice ruota dunque <strong>in</strong>torno all’idea di unr<strong>in</strong>novato civismo, consistente proprio nel coltivare – attraversol’educazione – alcune forme di civ<strong>il</strong>tà, di partecipazione e convivenzache siano non solo adeguate all’idea della democrazia comeun <strong>in</strong>sieme di regole del gioco cui sa<strong>per</strong>si attenere, ma anchecapaci di promuovere un modo di essere e di agire fondato sulrispetto dell’altro come “uguale”.Tale concezione del civismo e dell’accento che esso comportasull’educazione <strong>in</strong> senso lato – comprendente non solo la fami<strong>gli</strong>a39


o la scuola, ma la società nel suo complesso, e <strong>in</strong> primo luogo imass media – ha certamente <strong>il</strong> merito di porre al centro dell’attenzione,anche f<strong>il</strong>osofica, un tema che troppo è stato trascurato,come giustamente annota l’autrice. Il nostro tempo ci sp<strong>in</strong>ge aguardare con piú <strong>in</strong>teresse che <strong>in</strong> altre epoche al ruolo dell’educazione,e ciò <strong>per</strong> due motivi: <strong>il</strong> primo è <strong>il</strong> senso d’<strong>in</strong>certezza e di disorientamentoche regna ai nostri giorni; <strong>il</strong> secondo è l’attuale consapevolezzache la soluzione dei problemi richiede unatrasformazione delle <strong>per</strong>sone. Educare è cercare di far affiorarealla su<strong>per</strong>ficie <strong>il</strong> me<strong>gli</strong>o di ognuno, non uccidere le <strong>in</strong>dividualità néle differenze e, tuttavia, <strong>per</strong>mettere che queste differenze non soloconvivano <strong>in</strong> pace, ma che siano disposte ad accettare i pr<strong>in</strong>cípisociali che <strong>per</strong>mettano a tutte le <strong>in</strong>dividualità di esprimersi. È questal’idea di <strong>per</strong>sona emancipata e autonoma di cui la democraziaha bisogno. L’opzione decisiva è dunque <strong>per</strong> l’autrice quella diDwork<strong>in</strong>: una comunità liberale, un liberalismo passato attraversole critiche del comunitarismo, e che ha compreso che <strong>per</strong> difenderei propri valori occorre che essi siano apprezzati da coloro chedevono assumerli come propri e aderire ad essi. A ciò deve contribuireun’educazione liberale, partecipe dell’idea che fu alla basedella morale kantiana: formare una volontà buona.40


3.LA RIVALUTAZIONE DELLA RETORICA41


La difficoltà, <strong>per</strong> <strong>il</strong> l<strong>in</strong>guaggio dimostrativo, di render conto deipropri pr<strong>in</strong>cípi e fondamenti primi, <strong>in</strong>duce la riflessione contemporaneaa riproporre <strong>il</strong> problema del potere dell’immag<strong>in</strong>e e dell<strong>in</strong>guaggio semantico. La liberazione dell’essenza e della funzionedell’<strong>in</strong>genium contro <strong>il</strong> primato della logica <strong>in</strong>vita a riconsiderare<strong>il</strong> valore euristico della stessa retorica e a rivalutare <strong>il</strong> significatof<strong>il</strong>osofico dell’Umanesimo, cui si guarda non piú come ad un fenomenoesclusivamente letterario.Ernesto Grassi, Potenza dell’immag<strong>in</strong>e. Rivalutazione della retorica,traduzione di L<strong>il</strong>iana Croce e Massimo Marassi, 1989, CollanaSaggi n. 2, 267 pp.Il libro di Ernesto Grassi si apre con una rievocazione de<strong>gli</strong>anni di Friburgo, segnati dall’<strong>in</strong>contro con Heidegger, ed è dedicatoalla memoria di W<strong>il</strong>ly Sz<strong>il</strong>asi, lo studioso di orig<strong>in</strong>e ebraicacon cui lo stesso Heidegger ruppe bruscamente con l’avvento delnazismo e delle leggi razziali. Grassi ricorda la “comunione<strong>in</strong>franta”, le ferite mai rimarg<strong>in</strong>ate, ponendo <strong>in</strong> tal modo la suariflessione sotto <strong>il</strong> segno di Heidegger e della sua ricerca dell’orig<strong>in</strong>ario,e al tempo stesso ad una certa distanza da quest’ultimo,43


<strong>per</strong> la sua <strong>in</strong>comprensione del significato f<strong>il</strong>osofico dell’Umanesimo.Intento del lavoro, scrive Grassi nella Prefazione, è “renderegiustizia al potere dell’immag<strong>in</strong>e” e riproporre <strong>il</strong> problema delrapporto fra f<strong>il</strong>osofia e retorica. Lo spirito con cui è avviata l’<strong>in</strong>dag<strong>in</strong>e,tuttavia, non è quello di ridare vita ad antiche discipl<strong>in</strong>e eforme di sa<strong>per</strong>e, ma piuttosto di riscoprire e riaffermare <strong>in</strong> questomodo qualcosa di orig<strong>in</strong>ario. Di esso non si offre una def<strong>in</strong>izioneprelim<strong>in</strong>are, ma se ne costruisce una progressiva descrizione. Laricerca si apre <strong>in</strong> questo senso con un rimando alla riflessione deipoeti. Come Luciano Ancesch, anche Grassi s’<strong>in</strong>terroga sul legamefra <strong>il</strong> loro “fare” e <strong>il</strong> loro “dire”. Il punto di partenza è T. S. Eliot,<strong>il</strong> quale nega che l’<strong>in</strong>terpretazione razionale consenta un accessoalla poesia. Tale accesso avviene piuttosto grazie alla forza delleimmag<strong>in</strong>i, come mostra l’esempio della Div<strong>in</strong>a Commedia diDante. Sulla scorta della teoria dell’effetto artistico <strong>in</strong> E. A. Poe,del concetto di noia e del rifiuto del naturale <strong>in</strong> Baudelaire, cosícome del su<strong>per</strong>amento del l<strong>in</strong>guaggio razionale, funzionalistico, <strong>in</strong>Mallarmé, Grassi richiama l’attenzione sulla tesi secondo la qualel’arte tenta di aprirsi un varco attraverso <strong>il</strong> mondo fenomeniconaturale, empirico, quotidiano, <strong>per</strong> scoprire l’orig<strong>in</strong>ario che sitrova “dietro” ad esso, che si prospetta qui come l’a<strong>per</strong>tura dell’uomoalle diverse possib<strong>il</strong>ità della sua esistenza.Il passo successivo della riflessione consiste <strong>in</strong> un’<strong>in</strong>terrogazione<strong>in</strong>torno a ciò che nella condizione umana rende possib<strong>il</strong>eun fenomeno come quello dell’arte. Grassi abbandona a questopunto l’ambito dell’estetica <strong>per</strong> avventurarsi <strong>in</strong> quello della biologiae dell’antropologia. Fondamentale si rivela a questo proposito<strong>il</strong> concetto di “mondo <strong>in</strong>dividuale” sv<strong>il</strong>uppato da J. v. Uexküll,e <strong>il</strong> confronto fra animale e uomo: <strong>per</strong> un essere vivente,dimostra Uexküll, esistono di volta <strong>in</strong> volta solo que<strong>gli</strong> oggetti aiquali, grazie ai suoi schemi <strong>in</strong>nati, esso reagisce con <strong>in</strong>fallib<strong>il</strong>e44


sicurezza non appena da essi partano de<strong>gli</strong> stimoli. Le antennepreposte a questo scopo sono già progettate e vengono sv<strong>il</strong>uppatesecondo un piano preciso durante <strong>il</strong> processo di crescita.L’<strong>in</strong>terpretazione del mondo <strong>in</strong>dividuale, <strong>per</strong> l’animale, è dunquegià presente nel genere, ancor prima della nascita del s<strong>in</strong>golo; è“<strong>in</strong>castonata” <strong>in</strong> una serie di funzioni parziali stab<strong>il</strong>ite e vi si realizza.L’uomo, al contrario, non possiede alcuno schema fisso <strong>per</strong>riconoscere <strong>il</strong> suo mondo, ma deve costruirlo, e <strong>per</strong> farlo ha bisognodi entrare <strong>in</strong> correlazione con <strong>il</strong> mondo esterno tramite i suoiorgani sensoriali.Ora, <strong>il</strong> presupposto <strong>per</strong> la formazione necessaria all’uomo <strong>per</strong>crearsi <strong>il</strong> suo mondo, non è tanto la mediazione delle conoscenze,secondo Grassi, quanto lo sv<strong>il</strong>uppo della capacità <strong>in</strong>terpretativa,che l’autore legge attraverso <strong>il</strong> processo unitario costituito da teoria,metodo ed es<strong>per</strong>imento. In questo senso l’esistenza dell’uomopuò essere letta come un processo <strong>in</strong>terpretativo sempre <strong>in</strong> via dicompimento. Con toni fortemente esistenzialisti, Grassi affermache formarsi significa uscire dall’anonimato dell’<strong>in</strong>decisione, <strong>per</strong>giungere, nella consapevolezza del costante <strong>per</strong>icolo della propriaesistenza, a decisioni sempre piú chiare. Tuttavia, <strong>in</strong> un riavvic<strong>in</strong>amentoa Heidegger, Grassi aggiunge che l’autenticità dell’esistenzanon si ottiene impegnandosi <strong>in</strong> qualunque azione rischiosa, masolo nel rischio di riconoscere “ciò che ci <strong>in</strong>calza e guida con unachiamata <strong>in</strong>contrastab<strong>il</strong>e (arché)”. Compito della trattazione chesegue sarà appunto <strong>per</strong> Grassi chiarire <strong>in</strong> che cosa consista talefondamento arcaico.Per farlo, l’autore si rivolge <strong>in</strong>nanzitutto ad Aristotele, secondouna prospettiva che avvic<strong>in</strong>a molto <strong>il</strong> suo discorso alla letturagadameriana della Metafisica e de<strong>gli</strong> Analitici secondi. Anche <strong>per</strong>Grassi i pr<strong>in</strong>cípi sui quali si basa ogni discorso apodittico, dimostrativo,non possono essere a loro volta dimostrati. La loro <strong>in</strong>deducib<strong>il</strong>eorig<strong>in</strong>arietà, scrive Grassi, si manifesta nel fatto che senza45


di essi non possiamo né discorrere né comportarci, <strong>per</strong>ché ess<strong>in</strong>e sono <strong>per</strong> eccellenza <strong>il</strong> presupposto. Grassi richiama <strong>in</strong>oltre ladist<strong>in</strong>zione aristotelica fra due momenti determ<strong>in</strong>ati del l<strong>in</strong>guaggioumano: esso, secondo <strong>il</strong> f<strong>il</strong>osofo greco, <strong>in</strong>terpreta e <strong>in</strong>dicaqualcosa. Il procedimento <strong>in</strong>terpretativo consiste appunto nellarivelazione del fondamento attraverso <strong>il</strong> quale i fenomeni vengonodeterm<strong>in</strong>ati. Se <strong>per</strong>ò le cause prime, i pr<strong>in</strong>cípi, non possonoessere raggiunti con alcun procedimento argomentativo, allora <strong>in</strong>essi l’<strong>in</strong>dicazione precede l’<strong>in</strong>terpretazione. L’assioma non èdimostrativo <strong>in</strong> sé, nella sua necessità e validità universale, ma<strong>in</strong>dicativo. Da questa dist<strong>in</strong>zione fra l’argomentare dimostrativoda un lato e i pr<strong>in</strong>cípi primi dall’altro deriva <strong>per</strong> Grassi la separazionefra <strong>il</strong> l<strong>in</strong>guaggio razionale, che è dialettico, agisce damediatore e dimostra, cioè è apodittico, e <strong>il</strong> l<strong>in</strong>guaggio semantico,che è immediato, <strong>in</strong>dimostrab<strong>il</strong>e, chiarificatore, puramente<strong>in</strong>dicativo. La parola semantica, orig<strong>in</strong>aria, immediata, astorica,è <strong>per</strong> Grassi la parola del mito, mentre la parola che media, chedimostra, corrisponde al logos. Tuttavia non è semplicemente ladist<strong>in</strong>zione fra i due l<strong>in</strong>guaggi a venire qui affermata. SecondoGrassi <strong>il</strong> ragionamento cosí svolto porta alla conclusione che è <strong>il</strong>mito a fondare <strong>il</strong> logos, che è <strong>il</strong> l<strong>in</strong>guaggio <strong>in</strong>dicativo a fondarequello dimostrativo, <strong>il</strong> quale non può che manifestare una costitutiva“<strong>in</strong>adeguatezza”.Il l<strong>in</strong>guaggio <strong>in</strong>dicativo, <strong>il</strong> quale crea “att<strong>in</strong>gendo direttamentealla fonte dei segni arcaici”, è la caratteristica dom<strong>in</strong>ante del l<strong>in</strong>guaggioprofetico. Di quest’ultimo l’autore analizza due esemplificazioni.Quello della Sib<strong>il</strong>la Cumana, <strong>in</strong> primo luogo: <strong>il</strong> suo l<strong>in</strong>guaggiosemantico è <strong>in</strong>tessuto di metafore che sostituiscono lachiarificazione razionale e rendono possib<strong>il</strong>e <strong>il</strong> rapporto immediatofra le cose piú lontane; qu<strong>in</strong>di quello della figura di Cassandra,tratta dall’Agamennone di Esch<strong>il</strong>o, la quale ci mostra l’assolutaimpossib<strong>il</strong>ità del passaggio dal l<strong>in</strong>guaggio <strong>in</strong>dicativo al46


l<strong>in</strong>guaggio razionale e <strong>il</strong> primato assoluto del “vedere” nel l<strong>in</strong>guaggiosemantico.Posta la dist<strong>in</strong>zione fra l<strong>in</strong>guaggio dimostrativo e l<strong>in</strong>guaggiosemantico, affermato <strong>il</strong> carattere di fondamento del secondorispetto al primo, si prospetta <strong>per</strong> l’autore <strong>il</strong> problema del rapportofra pathos e logos, della loro separazione e della loro possib<strong>il</strong>ericonc<strong>il</strong>iazione. Grassi r<strong>in</strong>viene nell’Elogio di Elena del sofistaGorgia la sco<strong>per</strong>ta e l’elaborazione della potenza del pathos e dell’abissoesistente fra ciò che rivela la ragione e ciò che ci viene trasmessodalle immag<strong>in</strong>i patetiche. È <strong>per</strong>ò nel Fedro di Platone cheviene <strong>in</strong>dividuato <strong>il</strong> su<strong>per</strong>amento di tale dualismo. Contrariamentealla lettura tradizionale, che vede nel dialogo una critica radicaledella retorica, Grassi concentra la sua attenzione sul fatto che l’essenzadella f<strong>il</strong>osofia non si esaurisce <strong>per</strong> Platone nell’episteme.Quando <strong>in</strong>fatti, nella seconda parte del dialogo, Platone affermache l’oratore dovrebbe possedere dianoia di ciò su cui si parla, fa<strong>in</strong> effetti riferimento non all’episteme, ma al nous. Dianoia –secondo l’<strong>in</strong>terpretazione di Grassi – è quella capacità che ci <strong>per</strong>mettedi dist<strong>in</strong>guere <strong>in</strong> un modo fondato con <strong>il</strong> nous, cioè <strong>in</strong> basealla visione delle archai. Nous non è allora identico a episteme, mane costituisce piuttosto la premessa: la ratio può trarre delle conclusioniscientifiche solo grazie alla diretta <strong>il</strong>lum<strong>in</strong>azione da partedel nous. La fonte della vera retorica non è dunque l’episteme, mala visione noetica, non razionale, che la fonda. Da questo punto divista risulta risolto, secondo l’autore, <strong>il</strong> dualismo di pathos e logos,che si rivela <strong>in</strong>su<strong>per</strong>ab<strong>il</strong>e solo ed unicamente nella prospettiva diun discorso puramente razionale, e non <strong>in</strong> quella di un discorsoche <strong>in</strong>cluda i fondamenti del nostro sa<strong>per</strong>e.Contro <strong>il</strong> razionalismo, che crede di riconoscere nell’accentuazionedella potenza dell’immag<strong>in</strong>e dei fattori irrazionali e mira abandire l’immag<strong>in</strong>e dall’ambito della f<strong>il</strong>osofia, Grassi tenta di“liberare l’essenza e la funzione dell’<strong>in</strong>genium” e di attestare la47


presenza di una tradizione ad esso relativa (Juan Huarte e i cosiddettiteorici del manierismo, Matteo Pellegr<strong>in</strong>i ed EmmanueleTesauro), mostrando la necessità di un totale r<strong>in</strong>novamento <strong>per</strong>quando concerne l’analisi della f<strong>il</strong>osofia italiana dell’umanesimo.Com’è noto, è Vico, secondo Grassi, a rappresentare l’ultimaattualizzazione della tradizione umanistica, grazie alle riserve avanzate<strong>in</strong>torno al metodo “critico” di Cartesio e alla valorizzazionedella “topica”, e a fornire al tempo stesso una nuova chiave diaccesso a quell’umanesimo che ha ricollocato la parola dell’uomoe la sua storicità al centro della f<strong>il</strong>osofia.Ernesto Grassi, Vico e l’umanesimo, <strong>in</strong>troduzione all’edizione italianadi Antonio Verri, prefazione di Donald Ph<strong>il</strong>ip Verene,1990, Collana Saggi n. 10, 244 pp.Il volume racco<strong>gli</strong>e una serie di scritti redatti e pubblicati ne<strong>gli</strong>anni Settanta e Ottanta, che ri<strong>per</strong>corrono i temi centrali dellariflessione dell’autore. Rispetto alla rivalutazione della retorica delvolume precedente, due sono i temi che qui s’impongono all’attenzione.In primo luogo <strong>il</strong> parallelo istituito fra la concezionemarxiana e la concezione vichiana della storia, e <strong>in</strong> secondo luogoquello fra <strong>il</strong> pensiero di Heidegger e la tradizione umanistica, chetrova <strong>in</strong> Vico la sua massima espressione.L’importanza della riflessione marxista emerge da due diversipunti di vista: <strong>in</strong>nanzi tutto, secondo Grassi, con la sua critica dell’idealismoe <strong>il</strong> suo attacco alla dialettica delle idee, <strong>il</strong> marxismo hafavorito <strong>il</strong> riconoscimento del primato e della priorità di un l<strong>in</strong>guaggionon razionale, di un l<strong>in</strong>guaggio comune che scaturisce dalconcreto processo storico del lavoro. L’affermazione della realtàstorica, la vera realizzazione di un nuovo “umanesimo” che hal’avversario piú fiero nell’idealismo speculativo, è o<strong>per</strong>a di Marx.48


In questo senso <strong>il</strong> marxismo, con la sua rivolta contro l’a prior<strong>il</strong>ogico dell’idealismo tedesco, avrebbe svolto una funzione analogaa quella dell’umanesimo nella sua polemica liberatrice contro <strong>il</strong>logicismo.Da un secondo punto di vista l’elemento di convergenza framarxismo e umanesimo (e con Vico <strong>in</strong> particolare) è costituitodal significato e dal ruolo attribuiti al lavoro dell’uomo. Cosícome Marx ha fatto del lavoro umano la fonte della storia, cosíanche <strong>per</strong> Vico <strong>il</strong> mondo storico sorge dall’<strong>in</strong>terdipendenza delleesigenze umane, da<strong>gli</strong> elementi di cui abbisogna l’uomo. Da essideriva la necessità di <strong>in</strong>tervenire sulla natura umanizzandola eanche la necessità di stab<strong>il</strong>ire istituzioni umane. Vico def<strong>in</strong>iscechiaramente lavoro la funzione mediante cui i bisogni umani vengonosoddisfatti. Grassi ricorda a piú riprese a questo proposito<strong>il</strong> mito di Ercole, posto da Vico alla base della storia. Tuttavia <strong>il</strong>lavoro, <strong>in</strong> quanto attività di trasformazione legata ai bisogni dell’uomo,viene concepito da Vico come la funzione di conferire unsignificato e di far uso del medesimo, e mai come un’attivitàpuramente meccanica o una trasformazione puramente tecnicadella natura. Il parallelismo fra <strong>il</strong> punto di vista marxista e la tradizioneumanistica culm<strong>in</strong>ante <strong>in</strong> Vico non può dunque trascurareun elemento fondamentale di differenziazione. Gli umanisti,scrive Grassi, proprio <strong>in</strong> virtú dell’importanza attribuita alla fantasia,negano che l’essenza dell’uomo, e di conseguenza <strong>il</strong> suoessere storico, possa essere determ<strong>in</strong>ata soltanto <strong>in</strong>dicando <strong>il</strong>lavoro come adattamento della natura. Lo scopo del lavoro nonsi può derivare dal concetto di lavoro stesso, poiché qualsiasiadattamento può essere compiuto solo <strong>in</strong> vista di uno scopo altrimentideterm<strong>in</strong>ato. Da questo punto di vista Grassi <strong>in</strong>dica quelloche e<strong>gli</strong> considera <strong>il</strong> compito primario della riflessione f<strong>il</strong>osofica,che nasce proprio dalla reazione nei confronti di un approcciorazionalista capace di discutere solo dei mezzi e non dei f<strong>in</strong>i del-49


l’uomo. Qualsiasi società che non riesca a sollevare la questionedel significato dell’<strong>in</strong>tervento dell’uomo sulla natura e a rispondervi,deve degenerare <strong>in</strong> una forma estranea di comunità, concludeGrassi. Di qui l’attualità, a<strong>gli</strong> occhi dell’autore, dell’umanesimoitaliano nella sua polemica contro una scienza ciecarispetto ai suoi scopi.Il secondo grande nucleo problematico del libro è costituitodal pensiero di Heidegger e dal suo rapporto con l’umanesimo.Scrive Grassi che l’unico pensatore <strong>in</strong> grado di aprire la comprensionedi Vico <strong>in</strong> un panorama f<strong>il</strong>osofico ampiamente dom<strong>in</strong>atodal razionalismo e dal formalismo poteva essere Heidegger.Ma questi, accecato dall’<strong>in</strong>terpretazione tradizionale dell’umanesimoerroneamente <strong>in</strong>teso come platonismo o neoplatonismo, haassunto una posizione polemica senza aver mai né <strong>in</strong>terpretatoné conosciuto autori umanistici e tanto meno Vico. Sussiste nondi meno <strong>per</strong> Grassi un’<strong>in</strong>dubbia convergenza fra le tesi di Vico equelle di Heidegger. Rispetto alla metafisica tradizionale, che ha<strong>in</strong>izio dalla questione del vero, Heidegger riformula <strong>in</strong>fatti <strong>il</strong> problemadella f<strong>il</strong>osofia nel primato attribuito al “disvelamento”, alprocesso orig<strong>in</strong>ario del come e del dove l’essere di ciò che èdiviene “a<strong>per</strong>to”, si rivela o appare. La tesi decisiva di Heidegger<strong>in</strong> tale con<strong>testo</strong> è che non la parola razionale può pretendere quial primato, bensí la parola poetica o metaforica, che ha <strong>il</strong> potereorig<strong>in</strong>ario di rischiarare (lichten) un sentiero. Ora, contrariamentea quanto troppo a lungo si è creduto, la questione centrale<strong>per</strong> l’umanesimo non è l’uomo; i suoi problemi fondamentalisono piuttosto <strong>il</strong> con<strong>testo</strong> orig<strong>in</strong>ario, l’orizzonte o l’a<strong>per</strong>tura <strong>in</strong>cui appaiono l’uomo e <strong>il</strong> suo mondo, problemi che non sono trattat<strong>in</strong>ell’umanesimo <strong>per</strong> mezzo di un confronto logico speculativocon la metafisica tradizionale, ma <strong>in</strong> term<strong>in</strong>i di analisi e d’<strong>in</strong>terpretazionedel l<strong>in</strong>guaggio, e specialmente del l<strong>in</strong>guaggiopoetico.50


In particolare Vico nella Scienza nuova riflette proprio sul problemadel disvelamento orig<strong>in</strong>ario <strong>in</strong> cui appare l’uomo, <strong>in</strong> unaduplice prospettiva: quella delle “luci” che fondano l’appariredella storia umana – evidente qui <strong>il</strong> parallelismo con la teoria heideggerianadella Lichtung – e quella del primato della parola poetica.Se Heidegger, di fronte alla metafisica tradizionale e alla prem<strong>in</strong>enzadel problema della verità logica, pone <strong>il</strong> problema piúorig<strong>in</strong>ario del disvelamento (Unverborgenheit), dell’a<strong>per</strong>tura(Offenheit), della schiarita (Lichtung) come <strong>il</strong> campo <strong>in</strong> cui orig<strong>in</strong>ariamenteappaiono <strong>gli</strong> esseri, Vico, analogamente, parla dellaluce che l’uomo realizza nel to<strong>gli</strong>ere <strong>gli</strong> alberi dalla foresta,creando cosí <strong>il</strong> campo <strong>in</strong> cui <strong>gli</strong> esseri, la città, <strong>il</strong> tempio e l’uomonella sua umanità possono apparire.Em<strong>il</strong>io Hidalgo-Serna, L<strong>in</strong>guaggio e pensiero orig<strong>in</strong>ario. L’umanesimodi J. L. Vives, traduzione di Luigi Reitani, 1990, CollanaSaggi n. 12, 168 pp.Alla rivalutazione della retorica tentata da Ernesto Grassi s’ispirala monografia di Em<strong>il</strong>io Hidalgo-Serna, suo discepolo e collaboratore,dedicata all’umanista spagnolo Juan Luis Vives 1 . Natoa Valencia, da genitori ebrei convertiti, nel 1492 – l’anno stesso <strong>in</strong>cui l’Inquisizione decretò la cacciata de<strong>gli</strong> ebrei –, dopo aver compiutoi suoi primi studi alla Sorbona di Parigi, Vives si trasferí aBruges, che divenne la sua seconda patria, compiendo tuttavianumerosi viaggi, sia come precettore, sia <strong>in</strong>segnando all’Università(a Lovanio, e <strong>in</strong> seguito al Corpus Christi College di Oxford, sotto1Lo stesso autore ha curato <strong>per</strong> l’<strong>Istituto</strong> <strong>Italiano</strong> <strong>per</strong> <strong>gli</strong> <strong>Studi</strong> F<strong>il</strong>osofici la pubblicazionedi un’o<strong>per</strong>a di Vives, De ratione dicendi. La Retorica, (traduzione italiana di Em<strong>il</strong>io Mattioli),La Città del Sole, Napoli 2002.51


la protezione di Enrico VIII e di Cater<strong>in</strong>a d’Aragona). Amico eprotetto di Erasmo e di Tommaso Moro, Vives fu uno dei rappresentantipiú em<strong>in</strong>enti della generazione umanista. I suoi scritti<strong>in</strong>cludono, oltre ad una critica del pensiero scolastico che costituiscel’oggetto pr<strong>in</strong>cipale del presente studio, anche numerose o<strong>per</strong>epedagogiche, fra l’altro a sostegno dell’educazione delle donne. Fuautore all’epoca molto noto e le sue o<strong>per</strong>e conobbero numerosissimeedizioni.In reazione alla lunga tradizione di sottovalutazione del significatof<strong>il</strong>osofico dell’Umanesimo, Hidalgo-Serna valorizza <strong>in</strong> questo<strong>testo</strong> la f<strong>il</strong>osofia del l<strong>in</strong>guaggio di Juan Luis Vives, la cui o<strong>per</strong>a consideratroppo un<strong>il</strong>ateralmente conf<strong>in</strong>ata, da parte dei commentatori,ai suoi contributi di carattere pedagogico. Partendo dall’analisidello scritto Sulle orig<strong>in</strong>i della decadenza delle arti (1531)l’autore mostra come la visione dell’umanista spagnolo appaiacaratterizzata dal significato orig<strong>in</strong>ario attribuito al verbum e dallafunzione cognitiva che si riconosce al sermo communis. In polemicacon la f<strong>il</strong>osofia scolastica, cui attribuisce la decadenza dellescienze e delle arti, la critica alla concezione aristotelica de<strong>gli</strong> universalisi mostra <strong>in</strong> Vives basata su una concezione della natura –o, <strong>in</strong> senso lato, del reale – fondata sulla struttura rigorosamentes<strong>in</strong>gola della “res”, sulle dissimi<strong>gli</strong>anze legate alla sua collocazionenello spazio e nel tempo.Di qui l’urgenza di un l<strong>in</strong>guaggio capace di recepire le particolarisignificazioni e la storicità della natura: la logica aristotelica,secondo Vives, chiude la strada dell’<strong>in</strong>venzione, mentre la concezioneumanistica della parola e del sa<strong>per</strong>e risponde proprio allanecessità di scoprire mediante l’<strong>in</strong>ventio l’occasionalità delle cosee di esprimere <strong>il</strong> loro irripetib<strong>il</strong>e modo di connettersi nel mondo.Il l<strong>in</strong>guaggio <strong>in</strong>oltre, argomenta Hidalgo-Serna, non ha <strong>per</strong> Vivesun’orig<strong>in</strong>e naturale o convenzionale. Esso costituisce piuttosto,come <strong>in</strong> Vico, la prima risposta dell’uomo alla necessitas – <strong>il</strong> biso-52


gno, l’<strong>in</strong>dispensab<strong>il</strong>e, tutto ciò che giova funzionalmente alla vitaumana – ed è frutto dell’<strong>in</strong>venzione, strumento creato ad arte.Centrale <strong>in</strong> questo senso <strong>il</strong> ruolo della metafora, che ha appuntouna funzione <strong>in</strong>ventiva e <strong>in</strong>terviene nel momento <strong>in</strong> cui manca laparola <strong>per</strong> def<strong>in</strong>ire un determ<strong>in</strong>ato oggetto.Agisce nello scrittore spagnolo, come suggerisce l’autore, unareazione antispeculativa che lo <strong>in</strong>duce a sottol<strong>in</strong>eare la necessità<strong>per</strong> <strong>il</strong> sa<strong>per</strong>e f<strong>il</strong>osofico di rispondere anche ad un’esigenza di caratterepratico, sia <strong>per</strong> riavvic<strong>in</strong>are <strong>il</strong> l<strong>in</strong>guaggio ai bisogni piú urgentidell’uomo, a ciò che veramente tocca e concerne l’esistenzaumana, sia <strong>per</strong> essere <strong>in</strong> grado di richiamare l’attenzione sul disagiosociale. Da questo punto di vista risulta essenziale lo spostamentod’accento dal concetto di ragione a quello di <strong>in</strong>gegno, chesenza abdicare di fronte alla ricerca della verità, si specifica come“acume” capace di co<strong>gli</strong>ere la “res” nella sua concretezza e nel suosignificato pratico, oltre che nella molteplicità delle relazioni edelle somi<strong>gli</strong>anze che la legano alle altre cose. È l’<strong>in</strong>gegno ad essereposto all’orig<strong>in</strong>e del l<strong>in</strong>guaggio e della rappresentazione delmondo <strong>per</strong> mezzo delle immag<strong>in</strong>i.Centrale, nella polemica contro la Scolastica e l’aristotelismo,la priorità attribuita da Juan Luis Vives all’uso comune del l<strong>in</strong>guaggio,scaturente dalle necessitates della vita quotidiana e dunqueco<strong>in</strong>cidente con <strong>il</strong> l<strong>in</strong>guaggio ut<strong>il</strong>izzato dal popolo, rispettoal suo uso logico e astratto, che allontana irrimediab<strong>il</strong>mente laspeculazione dalla realtà viva e mob<strong>il</strong>e. Di pari passo con <strong>il</strong> priv<strong>il</strong>egiarel’uso quotidiano del l<strong>in</strong>guaggio va <strong>il</strong> ruolo assegnato alsenso comune rispetto alla ratio, <strong>il</strong> giudizio astratto che mira soloall’universale. Ad esso si connettono le funzioni dell’immag<strong>in</strong>azione,della fantasia e della memoria, ed è ancora esso a fornire <strong>il</strong>quadro cui le scienze e le arti si devono conformare nelle lororegole e nei loro discorsi se non vo<strong>gli</strong>ono tornare a <strong>per</strong>dere <strong>il</strong>contatto con la realtà dell’uomo, con la sua storicità essenziale.53


Di qui la posizione prem<strong>in</strong>ente della grammatica, strettamentelegata all’uso l<strong>in</strong>guistico e alla storicità della parole vivente. Sulsermo communis si basano tuttavia <strong>per</strong> Vives non solo la grammatica,ma anche la dialettica e la retorica, le tre discipl<strong>in</strong>e chel’umanista spagnolo <strong>in</strong>tende riab<strong>il</strong>itare nel loro fondamentalesignificato f<strong>il</strong>osofico.54


4.LETTURE VICHIANE55


Il r<strong>in</strong>novato <strong>in</strong>teresse <strong>per</strong> la f<strong>il</strong>osofia di Vico ne<strong>gli</strong> studi novecentesch<strong>in</strong>on nasce esclusivamente dalla prospettiva della rivalutazionedella retorica, ma anche dalla liberazione rispetto a schemistoriografici desueti che ne hanno a lungo condizionato la lettura.Vico si trova cosí ad essere di nuovo <strong>in</strong>serito nel con<strong>testo</strong> culturaledel suo tempo e si riconsidera la questione dei suoi rapporti con lacultura d’oltralpe, sfatando quella che si vuole ormai una leggenda– del resto alimentata dallo stesso autore – <strong>in</strong>torno al suo presuntoisolamento. Ma a Vico si guarda anche con l’<strong>in</strong>tento teoretico diritrovare fra le sue pag<strong>in</strong>e una teoria razionale dei fondamenti irrazionalidell’agire umano.Andrea Battist<strong>in</strong>i, La sapienza retorica di Giambattista Vico, 1995,Collana Saggi n. 21, 138 pp.Il libro di Andrea Battist<strong>in</strong>i, che riporta i testi di un sem<strong>in</strong>ariotenuto a Napoli dal 6 al 10 giugno 1994, pone anch’esso la retoricaal centro dell’<strong>in</strong>terpretazione del pensiero di Giambattista Vico.Tuttavia <strong>il</strong> suo approccio si dist<strong>in</strong>gue nettamente da quello di ErnestoGrassi o del suo allievo Hidalgo-Serna. Lo studio di Battist<strong>in</strong>i sipresenta come una br<strong>il</strong>lante <strong>in</strong>dag<strong>in</strong>e relativa alla profonda corri-57


spondenza fra l’uso della retorica da parte di Vico e i presuppostiepistemologici del suo pensiero, nell’<strong>in</strong>tento di mostrare <strong>il</strong> “ruoloparadossalmente <strong>in</strong>novatore che può svolgere un <strong>in</strong>sieme di convenzioni,quelle <strong>in</strong> apparenza stantíe e obsolete della retorica, <strong>in</strong> unamente pensante ricca dell’orig<strong>in</strong>alità di cui fu dotato Vico”.La ricerca esordisce con un’analisi delle concrete vicende storicoculturalidella Napoli del primo Settecento. Contro la visione crociana,che <strong>per</strong> me<strong>gli</strong>o far risaltare l’orig<strong>in</strong>alità dell’autore <strong>in</strong>sistettetroppo sul suo isolamento, Battist<strong>in</strong>i r<strong>il</strong>eva come ogni o<strong>per</strong>a scrittada Vico sia non già <strong>il</strong> frutto di un genio romanticamente ispirato, mauna risposta a precisi e concreti problemi culturali dibattuti aNapoli. Vico mostra cosí di conoscere molto bene la querelle fra <strong>gli</strong>antichi e i moderni, che nella sua riflessione <strong>per</strong>de la ristrettezza diuna contesa <strong>in</strong> cui si doveva <strong>per</strong> forza assegnare un primato ediventa un sistema pedagogico complessivo. Battist<strong>in</strong>i sottol<strong>in</strong>eacome <strong>in</strong> Vico non ci sia stata l’<strong>in</strong>tenzione di combattere la scienza,della quale riconosceva i progressi, ma piuttosto la volontà diopporsi al paradigma proprio di quei cartesiani “saturi di mentalismo”che pretendevano di trascendere <strong>il</strong> mondo fenomenico <strong>per</strong>approdare ad un’astratta metafisica. Di qui l’esigenza di rifarsiall’empirismo di Bacone e alle risorse <strong>in</strong>ventive dell’<strong>in</strong>gegno, capacedi trovare rapporti <strong>in</strong>editi fra le cose e di rivitalizzare i processideduttivi della ragione. Ne discendeva l’estensione delle possib<strong>il</strong>itàconoscitive dal vero <strong>in</strong>dubitab<strong>il</strong>e, troppo ristretto, al verisim<strong>il</strong>e, avvic<strong>in</strong>atocon la retorica, che dimetteva la veste ornamentale <strong>per</strong> <strong>in</strong>dossarequella speculativa, alleata e non subord<strong>in</strong>ata alla logica.Il ruolo della retorica nella prosa vichiana è <strong>in</strong>dagato <strong>in</strong>nanzitutto nell’Autobiografia: qui essa fornisce, secondo l’autore, la gri<strong>gli</strong>anarrativa e gnoseologica <strong>per</strong> l’ontogenesi, <strong>per</strong> la storia <strong>per</strong>sonale,<strong>in</strong> vista della conoscenza di un passato <strong>in</strong>dividuale che risaltanella sua unicità proprio grazie ai topoi che suggeriscono i motivida priv<strong>il</strong>egiare e <strong>il</strong> modo mi<strong>gli</strong>ore <strong>per</strong> presentarli. Se lo stimolo58


esterno <strong>per</strong> la sua redazione fu la sollecitazione del conte Giovanarticodi Porcia, <strong>per</strong> Vico, tuttavia, scrivere un’autobiografia eraanche un’esigenza <strong>in</strong>tima, dettata dai suoi stessi canoni gnoseologici,formulati ne<strong>gli</strong> stessi anni nella Scienza nuova: qui e<strong>gli</strong> sostenevache la conoscenza, compresa quella della storia e dell’umanitàdelle nazioni, deve avvenire a livello, <strong>per</strong> cosí dire, <strong>per</strong>sonale,seguendo “le modificazioni della nostra medesima mente umana”.Per risalire alle condizioni dei primordi dell’umanità si dovevadunque procedere <strong>per</strong> vie <strong>in</strong>terne, ossia ripensare a come si erastati fanciulli, dal momento che l’<strong>in</strong>fanzia dell’umanità era statasim<strong>il</strong>e all’<strong>in</strong>fanzia dei s<strong>in</strong>goli uom<strong>in</strong>i. In altre parole, l’ontogenesipoteva aiutare a conoscere la f<strong>il</strong>ogenesi.Interessante è anche <strong>il</strong> confronto con <strong>il</strong> modello cartesiano delDiscours de la méthode. Cartesio – afferma Battist<strong>in</strong>i – è una speciedi Rousseau razionalista che scrive l’autobiografia <strong>per</strong> tornareal momento edenico <strong>in</strong> cui la ragione, depurata dalle scorie deipregiudizi, o<strong>per</strong>a <strong>in</strong> modo <strong>per</strong>fettamente uguale <strong>in</strong> tutti <strong>gli</strong> uom<strong>in</strong>i,<strong>in</strong> vista di una verità senza storia. La ricostruzione del passato hadunque <strong>in</strong> Cartesio come f<strong>in</strong>e ultimo <strong>il</strong> suo annullamento. Vico<strong>in</strong>vece – ricorda l’autore – non r<strong>in</strong>nega nulla, nemmeno <strong>gli</strong> errori,con un atteggiamento molto piú <strong>in</strong>clusivo rispetto al passato, cheassume cosí la dimensione di una predest<strong>in</strong>azione, di un’evoluzione<strong>in</strong>eluttab<strong>il</strong>e. L’<strong>in</strong>tera autobiografia appare <strong>per</strong>corsa da undeciso teleologismo <strong>in</strong> cui anche <strong>gli</strong> ostacoli (forse secondo <strong>il</strong>modello offerto da Sant’Agost<strong>in</strong>o nelle Confessioni) f<strong>in</strong>iscono <strong>per</strong>rafforzare l’idea di un aiuto provvidenziale. Nonostante <strong>gli</strong> episodiche sembrano echeggiare vicende delle vite dei santi o situazionievangeliche, <strong>in</strong> effetti l’escatologia, attraverso i sacrifici e la sopportazionefeconda delle avversità, non culm<strong>in</strong>a con <strong>il</strong> possessodella grazia div<strong>in</strong>a e con la beatitud<strong>in</strong>e celeste, ma con la Scienzanuova, con una teleologia, dunque, di tipo laico e con la celebrazione“trasonica” di se stesso.59


Tuttavia è nell’analisi del ruolo della retorica nella Scienza nuovache emergono con decisione quei tratti che ne fanno qualcosa diben diverso da un semplice espediente ornamentale e decorativo.Battist<strong>in</strong>i ne dist<strong>in</strong>gue quattro diversi usi: tassonomico, gnoseologico,ermeneutico, espositivo. Parlando di ruolo tassonomico(descrittivo) l’autore <strong>in</strong>tende sottol<strong>in</strong>eare come essa non abbia uncontenuto specifico, ma, secondo quanto già sostiene Aristotele,sia una tecnica che si può applicare a qualunque discipl<strong>in</strong>a e a qualunquetipo di discorso. La sua funzione è quella di tenere unito <strong>il</strong>sa<strong>per</strong>e, molto piú esteso del campo di applicazione della logica checonsidera di sua <strong>per</strong>t<strong>in</strong>enza soltanto <strong>il</strong> vero. La retorica ha dunqueda un lato l’effetto di estendere <strong>il</strong> suo campo anche al verisim<strong>il</strong>e eal probab<strong>il</strong>e, al pensare e al sentire, dall’altro quello di favorireun’organizzazione del sistema dell’istruzione universitaria, m<strong>in</strong>acciatasecondo Vico da una preparazione troppo settoriale.Per quanto riguarda lo studio antropologico del mondo primitivo,è noto che <strong>per</strong> Vico la civ<strong>il</strong>tà non si formò con la ragione, macon la fantasia. Di conseguenza <strong>il</strong> moderno Vico – scrive Battist<strong>in</strong>i– <strong>per</strong> giungere alla conoscenza di quel mondo primitivo devecompiere un coraggioso rito catartico, purificandosi, con una sortadi barbaresca regressione, dalle sotti<strong>gli</strong>ezze analitiche del presente,e immergendosi con un atto d’immedesimazione nella mente deiprimitivi. Ma se la civ<strong>il</strong>tà si formò con la fantasia e con <strong>gli</strong> atti analogicie connotativi che nelle età piú recenti hanno costituito i codicidella mitologia e della retorica, la conseguenza è che mito e figureretoriche sono i piú adeguati e funzionali mezzi ermeneutici <strong>per</strong>un’antropologia delle orig<strong>in</strong>i. Al significato gnoseologico della retorica,si affianca cosí <strong>per</strong> Battist<strong>in</strong>i <strong>il</strong> suo valore ermeneutico: <strong>per</strong> reagirealla vecchiaia di oggi, prodotta da un uso eccessivo dellaragione, Vico chiede aiuto alla retorica allo scopo di fare sulla nostramente un’o<strong>per</strong>a di r<strong>in</strong>giovanimento, attraverso un ritorno alle <strong>in</strong>venzionifantastiche dell’<strong>in</strong>fanzia dell’umanità. Per poter leggere la60


grammatica del mito e della poesia, <strong>per</strong> sua natura polisemica econnotativa, non vi è altro metodo che la retorica, abituata ad un’<strong>in</strong>terpretazionemai letterale, ma sempre allegorica. La retorica ha<strong>in</strong>f<strong>in</strong>e un ruolo espositivo: Vico – scrive Battist<strong>in</strong>i – aveva un graveproblema di “traduzione”, cioè la difficoltà di raccontare con <strong>il</strong> l<strong>in</strong>guaggiodell’età de<strong>gli</strong> uom<strong>in</strong>i la storia dell’età de<strong>gli</strong> dei e de<strong>gli</strong> eroi.Questa “traduzione” è realizzata proprio dalla retorica, le cui regolesono seguite <strong>per</strong> creare una prosa omogenea al contenuto della suao<strong>per</strong>a, che riguarda un mondo di passioni. La scrittura espressiva,energica, ricca di pathos, piena di su<strong>per</strong>lativi e di i<strong>per</strong>boli, non hadunque un valore ornamentale, ma è una scelta <strong>in</strong>tr<strong>in</strong>seca e coerentecon la materia trattata, un’opzione meno st<strong>il</strong>istica che euristica, funzionalead un’epistemologia genetica.Il libro di Battist<strong>in</strong>i si chiude con un’analisi della struttura anaforicadella Scienza nuova, entro cui <strong>il</strong> sa<strong>per</strong>e si organizza secondoun <strong>in</strong>cessante processo ripetitivo che ripropone la stessa materiaantropologica ora nel moto contratto di una s<strong>in</strong>tesi, ora nel gestoopposto dell’analisi d<strong>il</strong>atata, a formare un organismo che pulsa,una sorta di cuore narrativo che alla sistole alterna una diastole. Aquesto volto irenico della retorica, a questa sua propensione aigrandi abbracci <strong>in</strong>terdiscipl<strong>in</strong>ari, fa seguito l’analisi dell’aspettoeristico della retorica, l’assunzione pugnace del contenzioso, attraversocui Vico fa risaltare, secondo l’autore, la sua forte orig<strong>in</strong>alità.Vittorio Hösle, Introduzione a Vico. La scienza del mondo <strong>in</strong>tersoggettivo,traduzione italiana di Claudia e Giovanni Stelli, a curadi Giovanni Stelli, 1997, Saggi n. 28, 252 pp.Autore, con Christoph Jermann, della prima traduzione tedesca<strong>in</strong>tegrale della Scienza nuova, promossa dall’<strong>Istituto</strong> <strong>Italiano</strong> <strong>per</strong><strong>gli</strong> <strong>Studi</strong> F<strong>il</strong>osofici (Pr<strong>in</strong>zipien e<strong>in</strong>er neuen Wissenschaft über die61


geme<strong>in</strong>same Natur der Völker, 2 voll., F. Me<strong>in</strong>er, Hamburg, 1990),Vittorio Hösle si propone <strong>in</strong> questo volume non solo di <strong>in</strong>trodurreal pensiero di Vico, ma anche di offrirne una nuova <strong>in</strong>terpretazioneteoreticamente stimolante nell’ambito della riflessione contemporanea.Essa <strong>in</strong>fatti <strong>per</strong>metterebbe di <strong>in</strong>serire la f<strong>il</strong>osofia diVico <strong>in</strong> maniera storicamente piú corretta all’<strong>in</strong>terno della tradizionedel platonismo cristiano e di riconoscere i suoi profond<strong>in</strong>essi col razionalismo che sta alla base della nuova fondazionedelle scienze nel Seicento. È dunque evidente la distanza che cosísi propone fra la lettura di Hösle e l’impostazione o<strong>per</strong>ante <strong>in</strong><strong>in</strong>dag<strong>in</strong>i come quella di Ernesto Grassi, tendenti a fare dell’o<strong>per</strong>adi Vico <strong>il</strong> culm<strong>in</strong>e della tradizione dell’umanesimo, <strong>in</strong>centrata sullavalorizzazione dell’<strong>in</strong>gegno e della retorica proprio <strong>in</strong> funzioneant<strong>il</strong>ogicista e antirazionalista. In realtà Hösle è conv<strong>in</strong>to non solodell’<strong>in</strong>adeguatezza dello storicismo e dell’ermeneutica contemporanearispetto alla comprensione della f<strong>il</strong>osofia di Vico, ma anchedella su<strong>per</strong>iorità della visione offerta da quest’ultimo rispetto allamaggior parte delle concezioni posteriori: la sfida del saggio consisteproprio nel riproporre la teoria vichiana come alternativasistematica allo storicismo attuale.Innanzitutto Hösle <strong>in</strong>siste sul valore di scienza dell’o<strong>per</strong>avichiana, che l’autore <strong>in</strong>terpreta <strong>in</strong> senso hegeliano, come sistema<strong>in</strong> cui le parti ricevono <strong>il</strong> loro senso soltanto dall’<strong>in</strong>tero. Rigettaqu<strong>in</strong>di sia la lettura cattolica tradizionale, che m<strong>in</strong>imizza la forzaesplosiva delle nuove vedute di Vico, sia quell’<strong>in</strong>terpretazione chefa di Vico un precursore delle tendenze materialistiche o irrazionalistichedel XIX e del XX secolo. Per Vittorio Hösle la grandezza el’orig<strong>in</strong>alità di Vico stanno proprio nell’aver del<strong>in</strong>eato una teoriarazionale dei fondamenti irrazionali della civ<strong>il</strong>tà umana. Ed è qui altempo stesso la sua profonda attualità f<strong>il</strong>osofica: se <strong>in</strong>fatti l’o<strong>per</strong>a diVico contiene <strong>in</strong> sé, <strong>in</strong> nuce, molteplici temi che le scienze storichee sociali sv<strong>il</strong>up<strong>per</strong>anno nei secoli XIX e XX, essa è anche la dimo-62


strazione della possib<strong>il</strong>ità di conc<strong>il</strong>iare tali sv<strong>il</strong>uppi con l’idealismooggettivo che caratterizza, secondo Hösle, la posizione di Vico.Attraverso questa chiave <strong>in</strong>terpretativa l’autore <strong>in</strong>tende guidare<strong>il</strong> lettore nella lettura di un’o<strong>per</strong>a tanto affasc<strong>in</strong>ante quanto enigmaticae diffic<strong>il</strong>mente accessib<strong>il</strong>e, grazie alla ricostruzione detta<strong>gli</strong>ataed erudita non solo dei dibattiti al cui <strong>in</strong>terno la tematica diVico prendeva forma, ma anche de<strong>gli</strong> sv<strong>il</strong>uppi che essa avrà neisecoli successivi.Gustavo Costa, Vico e l’Europa. Contro la “boria delle nazioni”,1996, Collana Saggi n. 25, 183 pp.La riflessione dell’autore – che riproduce <strong>il</strong> contenuto dellelezioni tenute all’<strong>Istituto</strong> nel 1984 – muove dalla conv<strong>in</strong>zione dellacongenialità che la cultura contemporanea sta scoprendo con Vico,del ruolo che a questi spetta nel processo di rifondazione della cultura.Il riconoscimento dell’attualità del pensiero di Vico passa<strong>per</strong>ò <strong>per</strong> l’autore attraverso una ricollocazione dello studioso nelsuo tempo, capace di restituire al suo pensiero quel respiro europeoche <strong>gli</strong> appartiene e che è stato a lungo misconosciuto. Vengono<strong>in</strong>dagate cosí le fonti del pensiero vichiano, che si mostracapace di assim<strong>il</strong>are tutte le possib<strong>il</strong>ità offerte dalla storia passata epresente del pensiero occidentale e di conferire ad esse un significatocompletamente nuovo; mentre <strong>per</strong> un altro verso si ricostruiscela storia della fortuna di Vico fuori d’Italia, mostrando comeessa non sia stata poi cosí limitata quanto si crede comunemente.La ricostruzione del clima culturale dell’Italia del primo Settecentoconduce a constatare <strong>in</strong>nanzi tutto quanto <strong>gli</strong> <strong>in</strong>tellettualifossero dom<strong>in</strong>ati da un diffuso vittimismo nei confronti del restodell’Europa, dalla sensazione di essere sempre piú emarg<strong>in</strong>ati, dauna mentalità da “stato d’assedio”. Se a ciò si sommano le condi-63


zioni proibitive della censura, ancora piú notevole appare la capacitàdi alcuni fra <strong>gli</strong> <strong>in</strong>tellettuali italiani – Vico <strong>in</strong> primis – di riuscirecomunque a <strong>in</strong>trattenere un dialogo con i piú fortunati colleghi d’oltralpe.Si tratta allora evidentemente di una cultura f<strong>il</strong>osofica cherimane <strong>in</strong> larga misura sommersa, e che detta la necessità di risalireal pensiero autentico di un autore su<strong>per</strong>ando la facciata di comodoelaborata <strong>per</strong> sottrarsi alla censura. Costa richiama a questo propositola pratica della “dissimulazione”, codificata da TorquatoAccetto e sostenuta da Paolo Mattia Doria, che costituirebbe unasorta di forma mentis <strong>per</strong> <strong>gli</strong> <strong>in</strong>tellettuali dell’epoca.Anche <strong>il</strong> pensiero di Vico viene letto <strong>in</strong> questa prospettiva. Con<strong>per</strong>izia avvocatesca – scrive Costa – e<strong>gli</strong> maschera dietro una concezioneortodossa, fondata sul pensiero di Malebranche, l’essenzaautentica del suo pensiero, che si nutre proprio de<strong>gli</strong> autori piú<strong>in</strong>visi alla censura. Contro l’ipotesi di un Vico che ha <strong>per</strong>so i contatticon <strong>il</strong> piú recente pensiero europeo (Paolo Rossi), Costa proponel’immag<strong>in</strong>e di un f<strong>il</strong>osofo che s’ispira al pensiero di Locke edi Sp<strong>in</strong>oza proprio <strong>per</strong> dar corpo al “primitivismo” al centro delsuo pensiero.Il primo <strong>gli</strong> offrirebbe una teoria psicologica complessa, che hasorprendenti analogie con l’epicureismo e con <strong>il</strong> gassendismo, cioèuna spiegazione della struttura della psiche e del meccanismo psicologicodelle idee, che è parsa rivoluzionaria <strong>per</strong> <strong>il</strong> suo tempo.Nel pensiero di Locke Vico troverebbe ulteriore conferma diquella concezione empiristica della conoscenza (sostenuta ancheda Bacone e Hobbes), <strong>in</strong> cui doveva ravvisare una delle caratteristichepr<strong>in</strong>cipali della mentalità primitiva. Quest’ultima era caratterizzatanon solo dal sensismo, ma anche dall’animismo. Questaidea era suggerita a Vico non tanto da Sp<strong>in</strong>oza, quanto dal modo<strong>in</strong> cui Sp<strong>in</strong>oza veniva <strong>in</strong>terpretato allora. La voce dedicata a Sp<strong>in</strong>ozanel Dictionnaire di Bayle considerava lo sp<strong>in</strong>ozismo come <strong>il</strong>vertice del panpsichismo antico, medievale e r<strong>in</strong>ascimentale. Spi-64


noza costituirebbe qu<strong>in</strong>di <strong>per</strong> Vico una sopravvivenza modernadell’animismo dei primitivi. Questa <strong>in</strong>terpretazione dello sp<strong>in</strong>ozismosarebbe a sua volta strettamente connessa con la magia, che<strong>per</strong> Vico è l’essenza della poesia sublime: la poesia e <strong>il</strong> panteismonascono dalla stessa matrice.Proprio sull’<strong>in</strong>terpretazione della magia si sofferma Costa <strong>per</strong>mettere <strong>in</strong> evidenza la prospettiva <strong>il</strong>lum<strong>in</strong>ista <strong>in</strong> cui si <strong>in</strong>scrive <strong>il</strong>pensiero di Vico. L’autore <strong>in</strong>siste sull’atteggiamento anti-occultisticodel f<strong>il</strong>osofo, sul suo rigetto della teoria di un universo armonicamenteord<strong>in</strong>ato all’<strong>in</strong>segna della simpatia. Vico riconoscevacertamente <strong>il</strong> valore storico della concezione magica della naturaelaborata dai poeti-teologi primitivi. Ma non era disposto ad attribuireun significato positivo alle sopravvivenze di quella mentalitànel mondo moderno. Uomo del suo tempo, Vico era profondamenteconsapevole dell’importanza delle conquiste tecnico-scientifiche,<strong>in</strong> cui additava, nello spirito della disputa de<strong>gli</strong> antichi edei moderni, la su<strong>per</strong>iorità dei moderni su<strong>gli</strong> antichi.Vediamo cosí del<strong>in</strong>earsi un netto cambiamento di prospettivarispetto all’ipotesi <strong>in</strong>terpretativa di Ernesto Grassi e della suascuola. Mentre Grassi sottol<strong>in</strong>ea la peculiarità dell’umanesimo italiano– e con esso di Vico – <strong>per</strong> marcare la distanza di quest’ultimorispetto alla tradizione razionalistica dell’Occidente, GustavoCosta mira <strong>in</strong>vece a <strong>in</strong>tegrare Vico nel panorama f<strong>il</strong>osofico europeo<strong>per</strong> sottol<strong>in</strong>earne la dimensione “<strong>il</strong>lum<strong>in</strong>istica”. Vico e l’umanesimos’<strong>in</strong>contrano nel culto che essi hanno della forma orig<strong>in</strong>ariae primigenia dell’esprimersi: ma quello che <strong>in</strong> Grassi rimandaappunto all’orig<strong>in</strong>ario, nel quadro heideggeriano della parolacome “dimora dell’Essere”, diventa <strong>in</strong> Costa quel “primitivismo”che testimonia dell’assim<strong>il</strong>azione, da parte di Vico, della f<strong>il</strong>osofiadi pensatori come Locke o Sp<strong>in</strong>oza. Ciò che nell’uno segna ladistanza dal razionalismo <strong>in</strong> senso lato, costituisce dunque <strong>per</strong> l’altro<strong>il</strong> tratto rivelatore dell’adesione di Vico al pensiero europeo.65


5.PROSPETTIVE NOVECENTESCHESULLA FILOSOFIA MODERNA67


Una verifica della fecondità dei diversi approcci teoretici allostudio di grandi autori dell’epoca moderna, come Descartes oSp<strong>in</strong>oza, è offerta dalla lettura di questi saggi, diversamente ispiratia prospettive scettiche, heideggeriane o trascendentaliste,ma accomunati dalla conv<strong>in</strong>zione dell’attualità di f<strong>il</strong>osofieancora <strong>in</strong> grado d’<strong>in</strong>dicare al pensiero contemporaneo prospettivenon pienamente esplorate. Al forte impegno sul versanteteoretico si accompagna dal punto di vista piú propriamen<strong>testo</strong>riografico, nell’<strong>in</strong>dag<strong>in</strong>e di grandi temi come la rivoluzionecosmologica del C<strong>in</strong>quecento o la ricostruzione del rapporto diVenezia con <strong>il</strong> mare, un aff<strong>in</strong>amento de<strong>gli</strong> strumenti d’<strong>in</strong>dag<strong>in</strong>e,un’attenzione r<strong>in</strong>novata al con<strong>testo</strong>, capace di sfuggire allegrandi generalizzazioni e di restituire l’oggetto della ricercanella sua specificità.Giuseppe Rensi, Sp<strong>in</strong>oza, a cura di Aniello Montano, con unabibliografia di Renato Chiarenza, 1993, Collana Saggi, n. 13,138 pp.Proprio alla lettura di Sp<strong>in</strong>oza, considerato da Vico – secondol’<strong>in</strong>terpretazione di Costa – come <strong>il</strong> vertice del panpsichismo, è69


dedicato <strong>il</strong> bellissimo saggio su Sp<strong>in</strong>oza di Giuseppe Rensi, <strong>il</strong> f<strong>il</strong>osofotic<strong>in</strong>ese che dopo aver goduto alla f<strong>in</strong>e de<strong>gli</strong> anni Trenta difama europea, ha conosciuto un lungo oblio, <strong>in</strong>terrotto solo ne<strong>gli</strong>ultimi due decenni da una r<strong>in</strong>novata “sco<strong>per</strong>ta”. Nato nel 1871 aV<strong>il</strong>lafranca di Verona, Giuseppe Rensi svolse studi giuridici, mapresto fu costretto <strong>per</strong> motivi politici – era di decisa fede socialista– a riparare nel Canton Tic<strong>in</strong>o, dove rimase dal 1898 al 1908. Rientrato<strong>in</strong> Italia si dedicò alla studio della f<strong>il</strong>osofia, che era divenutala sua grande passione. Insegnò <strong>in</strong> diverse sedi (Bologna, Ferrara,Firenze, Mess<strong>in</strong>a), qu<strong>in</strong>di stab<strong>il</strong>mente a Genova, dove tenne la cattedradi f<strong>il</strong>osofia morale dal 1918 al 1930. Nel decennio successivo,come ricorda Montano nella Premessa, e f<strong>in</strong>o al 1941, annodella sua morte, fu relegato al ruolo di bibliotecario <strong>per</strong> la sua irriducib<strong>il</strong>eopposizione al regime di Mussol<strong>in</strong>i.Si è soliti articolare la speculazione rensiana <strong>in</strong> una prima fasesegnata da un misticismo ancora idealistico, una seconda di profondoscetticismo e una terza <strong>in</strong> cui affiora la ricerca mistica del“div<strong>in</strong>o <strong>in</strong> me”. Recenti studi, come quelli di studiosi qualiNicola Emery, hanno tuttavia mostrato la coerenza <strong>in</strong>terna dell’o<strong>per</strong>adi Rensi, considerata come “controcanto notturno” alternativorispetto alle f<strong>il</strong>osofie dom<strong>in</strong>anti di Croce e Gent<strong>il</strong>e, esegnata dalla convergenza con Giacomo Leopardi, che Rensiriconosce come <strong>il</strong> “sommo f<strong>il</strong>osofo italiano”, e con <strong>il</strong> pessimismodi Schopenhauer.Alla “risco<strong>per</strong>ta” di Rensi contribuisce dunque la pubblicazionedi questo saggio, di bellissima prosa, pubblicato la primavolta nel 1929. Le limpide pag<strong>in</strong>e dedicate a Sp<strong>in</strong>oza si mostranodense nella loro articolazione teoretica, ma sempre sostenute dauna forte partecipazione. Come afferma Montano, Rensi non èsemplice storico della f<strong>il</strong>osofia, ma è al tempo stesso teoreta, disponecioè di una sua propria visione della realtà che si riverberacoscientemente sulla f<strong>il</strong>osofia presa <strong>in</strong> esame. Rensi lo riconosce70


a<strong>per</strong>tamente: “Non importa (e non è spiritualmente fruttuoso)– e<strong>gli</strong> scrive – esporre Sp<strong>in</strong>oza storicamente. Importa esporlosecondo lo sentirebbe oggi colui nel quale <strong>il</strong> motivo sp<strong>in</strong>oziano,motivo immortale, rivivesse di vita profonda e ardente”. E cosíprosegue: “Il grandioso sforzo di Sp<strong>in</strong>oza è quello di guardare larealtà non con occhi umani, ma con quelli stessi della realtà seessa ne possedesse. Un realismo, la cui <strong>in</strong>trepidità non è mai stataoltrepassata; un <strong>per</strong>fetto ateismo, “merum Atheismus”, comebene avevano visto i contemporanei, se ci si rappresenta Diosecondo <strong>il</strong> concetto comune delle religioni (…); una qualche<strong>in</strong>cl<strong>in</strong>azione materialistica, e (nonostante l’abituale op<strong>in</strong>ione) unradicale irrazionalismo e un’ampia venatura di scetticismo: questisono i tratti caratteristici dell’eroico pensiero sp<strong>in</strong>oziano”.A del<strong>in</strong>eare questi tratti nel detta<strong>gli</strong>o è dedicata l’esposizionedi Rensi, che <strong>per</strong>corre l’immanentismo sp<strong>in</strong>oziano <strong>per</strong> giungeread una conclusione che, all’apparenza paradossale, chiarisceanche la profonda attrazione che <strong>il</strong> f<strong>il</strong>osofo olandese esercita sulnostro autore: quella di congiungere <strong>in</strong> una medesima visione l’ideadi un’assoluta necessità che sovrasta l’uomo – una necessitàche si t<strong>in</strong>ge appunto di caratteri irrazionalisti e volontaristi – conquella della sua altrettanto impresc<strong>in</strong>dib<strong>il</strong>e libertà. Una libertàche è al tempo stesso libertà <strong>in</strong> term<strong>in</strong>i politici – dall’equazionediritto/forza deriva allo Stato, contrariamente a quanto pensavaHobbes, <strong>il</strong> dovere di non comandare cose che urt<strong>in</strong>o le leggi dell’umananatura – e libertà <strong>in</strong> term<strong>in</strong>i etici, <strong>in</strong> quanto ricerca diquelle forme di vita, che sottraendo l’uomo all’assoluta transitorietàdella sua esistenza, lo mettano <strong>in</strong> comunicazione con l’universale.Uno scetticismo, dunque, scevro da ogni tratto nich<strong>il</strong>ista,ma che riscatta se stesso nell’eroica consapevolezza del tutto checi sovrasta e <strong>in</strong>sieme nella coscienza che anche l’uomo, “benchépiccola parte, è pur sempre parte dell’Essere totale e della sua viscreatrice: e anch’e<strong>gli</strong> dunque contribuisce a creare”.71


Jean-Luc Marion, Il prisma metafisico di Descartes. Costituz<strong>in</strong>e elimiti dell’onto-teo-logia nel pensiero cartesiano, traduzione diFelice Ciro Papparo, 1998, Collana Saggi n. 32, 362 pp.Al pensiero di Descartes sono dedicati due saggi, rispettivamentedello studioso francese Jean-Luc Marion e del tedescoRe<strong>in</strong>hard Lauth. Essi rispecchiano due dist<strong>in</strong>te correnti dellaf<strong>il</strong>osofia contemporanea: si tratta nel primo caso di una r<strong>il</strong>etturadel pensiero cartesiano attraverso la lente <strong>in</strong>terpretativa fornitada Heidegger, nel secondo di una netta presa di posizione “antirealista”nella lettura del f<strong>il</strong>osofo, alla luce di un fermo trascendentalismo.“Il pensiero cartesiano appartiene alla metafisica?” si chiedeMarion. Per quanto paradossale – scrive l’autore –, la domandanon può essere evitata. In effetti, una cosa è studiare la dottr<strong>in</strong>adelle Meditationes de prima Ph<strong>il</strong>osophia (1641), un’altra, stab<strong>il</strong>ireche essa porta a compimento ciò che la tradizione antecedente aDescartes <strong>in</strong>tendeva con <strong>il</strong> nome di metafisica. Se <strong>il</strong> primo aspettoè stato oggetto delle piú grandi premure, <strong>il</strong> secondo, <strong>per</strong> una parteessenziale, rimane <strong>per</strong> l’autore ancora da <strong>in</strong>traprendere. Non sitratta dunque <strong>in</strong> questo saggio di esporre semplicemente la dottr<strong>in</strong>adelle Meditationes, ma di valutare, <strong>in</strong> base ai criteri che primadi Descartes e della sua epoca la def<strong>in</strong>ivano, se e f<strong>in</strong>o a che puntoessa costituisca una metafisica.Da un punto di vista storico – argomenta Marion – quandoDescartes entra <strong>in</strong> scena, la f<strong>il</strong>osofia ha ormai acquisito, al term<strong>in</strong>edi un lavoro che risale ai primi commentatori di Aristotelee attraverso l’<strong>in</strong>tero pensiero medioevale, un concetto piú omeno consolidato di metafisica, secondo <strong>il</strong> quale essa concernel’ente, sia esso comune e appreso <strong>in</strong> quanto tale, o primo eastratto dalla materia. Orbene, quando Kant riprende la tradizionedella tarda scolastica, e<strong>gli</strong> si trova di fronte ad un concetto72


di metafisica, che, ad esempio con Baumgarten, sta ad <strong>in</strong>dicarequella scienza che contiene “i pr<strong>in</strong>cípi primi della conoscenzaumana”. La metafisica non concerne piú l’ente nei suoi modi diessere, ma la conoscenza, considerata anch’essa a partire dall’<strong>in</strong>tellettoumano. Nel rovesciamento co<strong>per</strong>nicano del concetto dimetafisica che cosí si è compiuto – scrive Marion riprendendo <strong>il</strong>modulo <strong>in</strong>terpretativo <strong>in</strong>augurato da Hegel – è Descartes chedecide <strong>in</strong> maniera fondamentale, trasferendo appunto <strong>il</strong> primatodall’essere alla conoscenza.Ma se Descartes ha ricusato <strong>il</strong> concetto elaborato dai suoi predecessori,è ancora possib<strong>il</strong>e rivendicare <strong>per</strong> la sua ricerca <strong>il</strong> term<strong>in</strong>e“metafisica”? Per rispondere a questa domanda Marionricorre appunto al modello heideggeriano di una sua costituzioneonto-teo-logica, allo scopo, <strong>per</strong> un verso, di verificare f<strong>in</strong>o a chepunto <strong>il</strong> tentativo di Descartes abbia successo, e <strong>per</strong> l’altro divalutare la stessa validità del modello proposto da Heidegger.Attraverso un <strong>per</strong>corso analitico complesso – già oggetto di unciclo di conferenze tenute a Napoli presso l’<strong>Istituto</strong> nell’apr<strong>il</strong>e1996 –, l’autore giunge ad enunciare quattro pr<strong>in</strong>cipali conclusioni,che richiamano i risultati già ottenuti nei suoi studi precedenti:Sur l’ontologie grise de Descartes (Paris, 1975) e Sur l’ontologieblanche de Descartes (Paris, 1981). Alla domandaprelim<strong>in</strong>are – Descartes appartiene alla metafisica? – Marionrisponde affermando che <strong>il</strong> f<strong>il</strong>osofo riprende <strong>il</strong> titolo di Metaphysica,ma ne modifica radicalmente le articolazioni concettuali: <strong>in</strong>particolare sostituisce alla metaphysica generalis <strong>il</strong> primato, f<strong>in</strong>o aquel momento <strong>in</strong>audito, di tutte le cose che possono essere conosciute<strong>per</strong> prime, dunque <strong>il</strong> primato dell’ego. In tal modo laprima Ph<strong>il</strong>osophia delle Meditationes non riguarda piú <strong>in</strong>nanzituttoDio e l’anima, ma raddoppia questa parte classica dellaMetaphysica con un altro primato. Il nuovo primato (ancora<strong>in</strong>certo nello Regulae ad directionem <strong>in</strong>genii (1628), e pienamente73


dispiegato nelle Meditationes) non istituisce, secondo Marion,solo un ord<strong>in</strong>e delle ragioni epistemologiche, e neppure unnuovo ente <strong>per</strong> eccellenza, ma universalmente un’ontologia dell’ens<strong>in</strong> generale come cogitatum. In breve, realizza un’onto-teologiacompiuta, secondo <strong>il</strong> modello proposto da Heidegger.Qu<strong>in</strong>di (I conclusione), la difficoltà di assegnare uno statutometafisico al pensiero cartesiano, lungi dal provenire da unascomparsa della dottr<strong>in</strong>a dell’ens <strong>in</strong> generale, dipende dall’ambivalenzadi un’onto-teo-logia raddoppiata.Ciò costituisce <strong>per</strong>ò, secondo Marion, anche un passo avantirispetto allo schema heideggeriano: Descartes, <strong>in</strong>fatti, (II conclusione)si lascerebbe <strong>in</strong>terpretare dalla costituzione onto-teo-logicasolo nei limiti <strong>in</strong> cui la confermerebbe raddoppiandola, <strong>in</strong> mododa r<strong>il</strong>anciarla come ipotesi ermeneutica: al prisma dell’onto-teologiaraddoppiata di Descartes si rivelerebbe <strong>in</strong>fatti la vera posteritàmetafisica del cartesianesimo. Tuttavia, nell’ipotesi <strong>in</strong>terpretativadi Marion, Descartes fa <strong>in</strong>tervenire l’onto-teo-logia solo <strong>per</strong>trasgredirla. L’<strong>in</strong>f<strong>in</strong>ito rimane <strong>in</strong> effetti fuori dal gioco della metafisica.Alla determ<strong>in</strong>azione di Dio come <strong>in</strong>f<strong>in</strong>ito si accompagnaanche l’<strong>in</strong>comprensib<strong>il</strong>ità del Dio creatore di verità eterne.Descartes, dunque (III conclusione), appartiene tanto piú propriamentealla metafisica, quanto piú ne stab<strong>il</strong>isce i limiti esatti e<strong>per</strong>viene a volte a trasgredirli. A tale proposito Marion richiama,<strong>in</strong> un ruolo essenziale, la “destituzione” della metafisica tentata daPascal, che la vede e la considera da un punto di vista piú potente,quello della carità. In questo senso (IV conclusione) Descartes raddoppierebbel’onto-teo-logia <strong>in</strong> modo da offrire a Pascal una <strong>per</strong>fettametafisica da su<strong>per</strong>are. E<strong>gli</strong> appare cosí all’<strong>in</strong>terprete comeuno dei nostri contemporanei piú prossimi: e<strong>gli</strong> ci <strong>in</strong>segnerebbe sí<strong>il</strong> gioco della costituzione onto-teo-logica di ogni metafisica, ma altempo stesso ne riconoscerebbe i limiti al punto da esporla alla suaeventuale destituzione.74


Re<strong>in</strong>hard Lauth, Descartes. La concezione del sistema della f<strong>il</strong>osofia,a cura di Marco Ivaldo, 2000, Collana Saggi n. 38, 393 pp.L’<strong>in</strong>terrogazione rivolta da Jean-Luc Marion al pensiero diDescartes concerne <strong>il</strong> suo statuto metafisico, la trasformazionerispetto al modello ereditato dalla tradizione e la sua attualità,misurata su quell’a<strong>per</strong>tura alla sua “destituzione” che viene proposta<strong>in</strong> ragione del carattere assolutamente trascendente dell’<strong>in</strong>f<strong>in</strong>ito.Se è l’ontoteologia heideggeriana a def<strong>in</strong>ire l’orizzonte concettuale<strong>in</strong> cui si <strong>in</strong>scrive <strong>il</strong> saggio di Marion, la prospettiva che<strong>in</strong>vece determ<strong>in</strong>a <strong>il</strong> punto di partenza della riflessione di Lauth suDescartes è legata alla def<strong>in</strong>izione fichtiana di sistema f<strong>il</strong>osofico:l’idea che la f<strong>il</strong>osofia abbia a che fare con i pr<strong>in</strong>cípi della totalitàdella realtà e che essa debba scoprire e mettere <strong>in</strong> luce “quell’unoe immutab<strong>il</strong>e che risiede a fondamento” di questi molteplici pr<strong>in</strong>cípi,allo scopo poi di “sv<strong>il</strong>uppare esaustivamente questo molteplicemuovendo dall’uno con una deduzione completa”. In questosenso, <strong>in</strong>tento del saggio di Lauth è ricostruire <strong>il</strong> concetto disistema di f<strong>il</strong>osofia <strong>in</strong> Descartes, sulla base di una duplice ipotesi:la prima è che Descartes abbia raggiunto la conoscenza trascendentale– trascendentale ante litteram – e l’abbia dischiusa allamodernità f<strong>il</strong>osofica. La seconda, strettamente connessa allaprima, è che <strong>il</strong> camm<strong>in</strong>o di pensiero <strong>per</strong>corso da Descartes nellasua prima ph<strong>il</strong>osophia non vada compreso come un it<strong>in</strong>erario semplicementebiografico, ma come <strong>il</strong> <strong>per</strong>corso sistematico del cogitostesso. In questo con<strong>testo</strong> compito di Lauth sarà dimostrare che,nonostante l’ammissione di molteplici pr<strong>in</strong>cípi supremi, sussiste <strong>in</strong>Descartes almeno l’ideale di un sistema f<strong>il</strong>osofico fondato su unpr<strong>in</strong>cipio unico, conformemente alla def<strong>in</strong>izione che ne daràFichte.Il carattere trascendentale dell’approccio cartesiano e la suanatura tendenzialmente sistematica si rende evidente nell’articola-75


zione delle nozioni orig<strong>in</strong>arie, considerate come le determ<strong>in</strong>azioniprime del nostro rappresentare. Tra quelle che l’<strong>in</strong>terprete def<strong>in</strong>iscenozioni formali, importanza fondamentale ricopre <strong>il</strong> pr<strong>in</strong>cipiodi ragion sufficiente e <strong>il</strong> rapporto di questo con <strong>il</strong> pr<strong>in</strong>cipio d’identitàe di non contraddizione; tra le nozioni metafisiche, quelladella cogitatio e quella di Dio, verum-<strong>per</strong>fectum.Con <strong>il</strong> vocabolo cogitare – scrive Lauth – Descartes non esprimesolo <strong>il</strong> pensiero <strong>in</strong> quanto contrapposto all’estensione, ma anchel’idea che questo pensiero sia un’azione che <strong>in</strong>izia da una fondamentale<strong>in</strong>sicurezza. Il cogito emerge <strong>in</strong> condizioni di <strong>in</strong>certezza <strong>in</strong>un desiderare la verità, affidato alla disposizione della libertà. Frala verità come verità, cui <strong>il</strong> cogito tende, e l’autodeterm<strong>in</strong>arsi delcogito stesso ad una modalità determ<strong>in</strong>ata dell’asserzione, sussisteun nesso di compito e risposta. Il cogito, nella sua <strong>in</strong>fermitas, conduceal tentativo di acquisire certezze. Tuttavia <strong>il</strong> giudizio è libero,e questo significa che la domanda che si solleva strappa certamenteuna risposta, ma non costr<strong>in</strong>ge a dare una determ<strong>in</strong>atarisposta. In questo senso la f<strong>il</strong>osofia di Descartes si mostra <strong>per</strong>Lauth radicalmente antideterm<strong>in</strong>ista.Dunque, secondo Descartes, la volontà con-costituisce <strong>il</strong> giudiziocome tale. Tuttavia la volontà nel cogito, nonostante la sua <strong>il</strong>limitatezza,non rende questo uguale a Dio. Il punto centrale delragionamento è <strong>il</strong> seguente: se <strong>in</strong> un es<strong>per</strong>imento mentale elim<strong>in</strong>assimol’idea dell’assoluta <strong>per</strong>fezione dal pensiero, non potremmomai derivare dal f<strong>in</strong>ito come sua ragione sufficiente l’idea del <strong>per</strong>fettocome suo pr<strong>in</strong>cipio. Secondo <strong>il</strong> commento di Lauth, è questoun punto che Fichte pose <strong>in</strong> luce nella dottr<strong>in</strong>a della scienza: l’ideadell’assoluto ha una funzione costitutiva. Di fronte alla pretesa diporre <strong>il</strong> cogito come assoluto, misconoscendo i limiti della nostraconoscenza – la ragione assoluta di Schell<strong>in</strong>g nella fase della f<strong>il</strong>osofiadell’identità, o la f<strong>il</strong>osofia di Hegel – la funzione dell’assolutorimane ferma, <strong>in</strong> Descartes, come <strong>in</strong> Fichte: sappiamo che Dio è <strong>il</strong>76


pr<strong>in</strong>cipio supremo di tutte le essenze e di tutto l’esistente, qu<strong>in</strong>dianche delle leggi del nostro pensiero. Tuttavia come Dio pr<strong>in</strong>cípiqueste leggi non possiamo comprenderlo <strong>in</strong> modo adeguato.Ma se le cose stanno <strong>in</strong> questi term<strong>in</strong>i è impossib<strong>il</strong>e fare delcogito, cosí come di Dio, quel pr<strong>in</strong>cipio supremo da cui si devepoter derivare <strong>il</strong> sistema f<strong>il</strong>osofico e sembra fallire <strong>il</strong> tentativo direalizzare una f<strong>il</strong>osofia a partire da un unico pr<strong>in</strong>cipio. È a causadi questa limitatezza che Descartes designa quella sapienza che è anoi unicamente possib<strong>il</strong>e come “sagesse huma<strong>in</strong>e”. Tuttavia,secondo Lauth, ci sono de<strong>gli</strong> elementi nel pensiero di Descartes,che seppure non completamente sv<strong>il</strong>uppati, lasciano <strong>in</strong>travedere lapossib<strong>il</strong>ità di concepire proprio questa sapienza f<strong>in</strong>ita – nella suaarticolazione – come sistematica, tale da poter essere compresa ededotta da un unico pr<strong>in</strong>cipio. L’accento ritorna ad essere postosull’idea del cogito, <strong>il</strong> quale designa <strong>per</strong> Descartes “un atto pr<strong>in</strong>cipialedell’io che fonda ogni sa<strong>per</strong>e”. Decisivo è <strong>il</strong> fatto che tale attoabbia anche un carattere esistenziale. È questa <strong>in</strong>fatti l’unicagaranzia del suo nesso con l’essere ricercato. Da questo punto divista <strong>il</strong> cogito, nell’attuazione di sé e di ciò che è dato con esso(Deus est), ci pone sulla so<strong>gli</strong>a della conoscenza del fatto che l’io,nell’atto del suo esistere, è <strong>il</strong> punto di partenza del sistema delsa<strong>per</strong>e e del figurare.Il secondo punto importante è <strong>il</strong> fatto che Descartes non concepisce<strong>il</strong> cogito come una sostanza spirituale <strong>in</strong> senso scolastico,ma come un atto, un procedere dall’<strong>in</strong>sicurezza a un fermo giudizio,concepito come un atto di libertà. Quando Fichte, andandooltre Kant, dedurrà dall’unità della coscienza come io non solo lacostituzione delle rappresentazioni fattuali e dei loro oggetti, maanche la costituzione delle posizioni pratico-doxiche, non faràaltro che riallacciarsi, pur senza esserne consapevole, al pr<strong>in</strong>cipiosco<strong>per</strong>to da Descartes. La riflessione di Lauth <strong>in</strong>torno al pr<strong>in</strong>cipiofondamentale del cogito – l’idea del giudizio come risposta ad77


un’istanza orig<strong>in</strong>aria della verità che richiede decisione e che presuppone<strong>in</strong> maniera <strong>in</strong>dispensab<strong>il</strong>e la libertà del giudizio stesso –<strong>in</strong>duce a mostrare come esso sia non semplicemente un cognosco,ma sia compreso nello sforzo della soluzione di un compito praticodotato di una fondamentale r<strong>il</strong>evanza di senso, <strong>il</strong> compito di configurarela realtà <strong>in</strong> modo corrispondente al pr<strong>in</strong>cipio etico. Perchéciò sia possib<strong>il</strong>e anche la realtà deve poter essere afferratasecondo uno specifico ord<strong>in</strong>e universale, e questo può <strong>per</strong> partesua o<strong>per</strong>arlo soltanto la conoscenza. Non è allora qui <strong>in</strong> gioco semplicemente<strong>il</strong> nostro <strong>in</strong>teresse vitale – conclude Lauth – ma piuttostoe addirittura l’<strong>in</strong>teresse della ragione stessa, che costituisce <strong>in</strong>maniera fondante ogni cosa.Miguel A. Granada, Sfere solide e cielo fluido. Momenti del dibattitocosmologico nella seconda metà del C<strong>in</strong>quecento, 2002, CollanaSaggi n. 41, 312 pp.La discussione <strong>in</strong>torno alla materia celeste e al suo carattere solidoo fluido, e conseguentemente l’affermazione o la negazione dell’esistenzadi sfere contigue che sosterrebbero i pianeti, costituisce unodei tratti piú r<strong>il</strong>evanti del dibattito cosmologico svoltosi <strong>in</strong> Europa tra<strong>il</strong> 1580 e <strong>il</strong> 1590, nel vivo di quella rivoluzione cosmologica chedoveva def<strong>in</strong>itivamente oscurare l’immag<strong>in</strong>e tradizionale dell’universo.Di tale dibattito l’autore ricostruisce <strong>in</strong> questa ricerca – giàoggetto di un corso tenuto presso l’<strong>Istituto</strong> – alcuni dei momenti fondamentali.Fornisce <strong>in</strong>oltre <strong>in</strong> appendice una serie di testi <strong>in</strong>editi deisuoi protagonisti, o di scritti mai piú apparsi dopo la loro prima pubblicazione.Ne risulta un quadro di grande <strong>in</strong>teresse, nel quale levicende biografiche, le rivalità <strong>per</strong>sonali, le diverse situazioniambientali si <strong>in</strong>trecciano con le riflessioni teoriche di autori comeJean Pena, Tycho Brahe, Christoph Rothmann o Haeliseus Rösl<strong>in</strong>.78


Granada segue questo dibattito dalle sue prime manifestazioni.L’ipotesi che la materia celeste, vale a dire l’elemento <strong>in</strong> cui si muovonoi pianeti, non fosse altro che l’aria che respiriamo sulla Terraera stata già avanzata nel 1557 da Jean Pena, collaboratore dell’umanistaPietro Ramo, nel prologo alla sua traduzione dell’Optica diEuclide: e proprio all’ottica l’autore ricorreva <strong>per</strong> negare l’esistenzadi “orbi” sostenenti i pianeti, vale a dire di una materia solida che<strong>per</strong> le leggi di rifrazione avrebbe necessariamente fatto apparire ifenomeni celesti molto diversi da come essi erano e da come sierano osservati nei secoli. Ma se la materia del cielo non potevaessere diversa dal mezzo terrestre, era la stessa struttura eterogeneadell’universo e <strong>il</strong> complesso della sua gerarchia cosmologica, tramandatidalla tradizione, ad essere messi <strong>in</strong> discussione. Dunque,secondo Granada, sebbene Pena non aderisse all’ipotesi co<strong>per</strong>nicana,la sua sco<strong>per</strong>ta s’<strong>in</strong>scriveva senza dubbio nella prospetticamoderna dell’omogeneizzazione almeno del sistema planetario.L’apice del dibattito ri<strong>per</strong>corso dall’autore si raggiunge <strong>in</strong>tornoa<strong>gli</strong> anni Ottanta. Granada ricorda come venga <strong>in</strong> genere attribuitaa Tycho Brahe l’elim<strong>in</strong>azione delle sfere solide tradizionali, affermatanell’o<strong>per</strong>a De mundi aetherei recentioribus phaenomenis,edita nel 1587 <strong>in</strong> poche copie e distribuita a<strong>gli</strong> astronomi piú prestigiosidell’epoca a partire dalla primavera del 1588. A questorisultato Brahe era giunto grazie all’osservazione delle cometeapparse tra <strong>il</strong> 1577 e <strong>il</strong> 1585, e <strong>in</strong> particolare dell’ultima di esse,osservab<strong>il</strong>e con esattezza solo ove si disponesse di strumenti moltosofisticati, come quelli che Brahe aveva fatto erigere a Uraniborg,nell’isola di Hven ceduta<strong>gli</strong> a questo scopo dal re di Danimarca, ocome quelli esistenti <strong>in</strong> Germania, nell’osservatorio costruito aKassel dal langravio Gu<strong>gli</strong>elmo IV. Ed era stato proprio <strong>il</strong> matematicodi corte di quest’ultimo – Christoph Rothmann – <strong>il</strong> primoad affermare esplicitamente che <strong>gli</strong> orbi solidi non esistevano e che<strong>il</strong> cielo era un mezzo fluido; pur accordando largo spazio all’argo-79


mento ottico della rifrazione già avanzato da Pena (senza tuttaviariconoscere <strong>il</strong> suo debito nei confronti del francese), Rothmann<strong>in</strong>seriva <strong>il</strong> suo rifiuto nella cornice dell’osservazione della cometadel 1585 e nell’elaborazione teorica di tale es<strong>per</strong>ienza, come siregistra nella Descriptio accurata cometae anni 1585, redatta nel1585-86 e <strong>in</strong>viata a Brahe nell’apr<strong>il</strong>e 1586. Nella sua risposta Braheconfermava la propria ammirazione <strong>per</strong> <strong>il</strong> trattato di Rothmann eaderiva all’elim<strong>in</strong>azione delle sfere e alla concezione del cielofluido, precisando tuttavia che anch’e<strong>gli</strong> sosteneva quella tesi “daalcuni anni”. Nella ricostruzione dell’<strong>in</strong>tera vicenda Granadadimostra <strong>per</strong>ò che non c’è alcuna evidenza <strong>in</strong> questo senso eafferma che la documentazione fa piuttosto propendere, contrariamentea quanto si è soliti affermare, <strong>per</strong> la priorità dell’astronomodi Kassel.Del rapporto fra i due, Granada <strong>in</strong>daga anche altri momentiestremamente problematici, come le circostanze oscure della visitacompiuta da Rothmann a Uraniborg nel 1590, con <strong>il</strong> duplice scopodi esam<strong>in</strong>are le <strong>in</strong>stallazioni di Brahe (una vera e propria azione dispionaggio a favore del langravio di Hessen-Kassel) e al tempostesso trovare una cura <strong>per</strong> la propria grave malattia, grazie alparacelsismo di Tycho Brahe e al suo laboratorio sparigico. Nél’autore trascura la disputa sv<strong>il</strong>uppatasi tra Tycho Brahe e NicolausRaymarus Ursus rispetto alla primogenitura del sistema geoeliocentricoda essi elaborato, e la posizione <strong>in</strong>termedia assunta <strong>in</strong>questo con<strong>testo</strong> da Helisaeus Rösl<strong>in</strong>, o ancora <strong>il</strong> dibattito sv<strong>il</strong>uppatosi<strong>in</strong>torno all’apparente <strong>in</strong>compatib<strong>il</strong>ità fra i pr<strong>in</strong>cípi co<strong>per</strong>nicanie la lettera delle Sacre Scritture.Alberto Tenenti, Venezia e <strong>il</strong> senso del mare. Storia di un prisma culturaledal XIII al XVIII secolo, 1999, Collana Saggi n. 34, 653pp.80


Alberto Tenenti ha consacrato <strong>per</strong> decenni la sua attività di studiosoalla storia di Venezia. Il volume qui presentato racco<strong>gli</strong>e unaserie di saggi, pubblicati <strong>in</strong> sedi e <strong>in</strong> tempi diversi, che affrontano<strong>il</strong> tema <strong>in</strong> un arco temporale che va dal Trecento al Seicento. L’esposizionesi articola nell’<strong>in</strong>dag<strong>in</strong>e <strong>in</strong>torno all’organizzazionesociale e politica alla base della grandezza della Serenissima e alsuo <strong>in</strong>tenso ed essenziale rapporto con <strong>il</strong> mare, e nella presentazionepoliedrica dell’immag<strong>in</strong>e che la città ebbe di se stessa e della<strong>per</strong>cezione che ne ebbero <strong>gli</strong> altri.La ricerca prende avvio dalla constatazione del “dest<strong>in</strong>obifronte” di Venezia, che “né si poteva estraniare dalle sue fortunemarittime, né poteva trascurare i suoi legami terrestri”. Tutta lastoria della città si tradusse <strong>in</strong> uno sv<strong>il</strong>uppo <strong>in</strong>sieme coerente eabbastanza equ<strong>il</strong>ibrato, costantemente volto alla propria affermazionesu ambedue i fronti. Di tale affermazione Tenenti ricerca lebasi nei comportamenti del ceto patrizio, colonna portante dellasocietà veneziana, riferendosi all’alternanza e alla rotazione deiruoli attuate e praticate dai membri di quell’aristocrazia. Emblematicadella poliedricità di impegni e di impieghi che caratterizzògran parte dei patrizi veneziani, appare all’autore la figura di FrancescoMoros<strong>in</strong>i, che pur consacrando gran parte della sua attivitàalla carriera navale, ricoprí cariche terrestri importanti e occupòalte funzioni politico-amm<strong>in</strong>istrative. Come ricorda Tenenti, <strong>per</strong>oltre due secoli, dalla prima metà del Trecento alla seconda metàdel C<strong>in</strong>quecento, Venezia organizzò e fece navigare piccole squadrecostituite da unità armate a uso mercant<strong>il</strong>e: le cosiddette galereda mercato, nelle quali <strong>gli</strong> impieghi economici e le <strong>in</strong>combenzem<strong>il</strong>itari erano strettamente <strong>in</strong>trecciate. Quest’organizzazione, e <strong>il</strong>comportamento che ne seguí, fu particolare e proprio dei veneziani,segnando quello che Tenenti def<strong>in</strong>isce un deciso senso delloStato di quel patriziato, f<strong>in</strong> nell’attività commerciale stessa: allaspedizione marittima si affidavano le sorti dell’<strong>in</strong>tera comunità e81


<strong>per</strong> questo ad essa si consentiva di venir capeggiata dal piú altoesponente dello Stato.Tali comportamenti possono essere considerati significativi erivelatori della profondità del legame che Venezia sentí sempreradicalmente con i suoi dest<strong>in</strong>i sul mare. Proprio <strong>per</strong> imporre <strong>il</strong>suo ruolo di <strong>per</strong>no <strong>in</strong>eludib<strong>il</strong>e fra Adriatico e Levante da un latoed Europa dall’altro, Venezia dovette affermarsi <strong>in</strong>nanzitutto dallaparte del mare, situata com’era <strong>in</strong> capo ad un golfo molto profondo,sui collegamenti del quale occorreva assicurarsi <strong>il</strong> predom<strong>in</strong>io.Mentre <strong>il</strong> suo fronte terrestre rimase cosí immob<strong>il</strong>e <strong>per</strong> secoli,i conf<strong>in</strong>i marittimi non cessarono mai di essere agitati, soggetti atensioni e sovente a terrib<strong>il</strong>i conflitti. Da questo punto di vista <strong>il</strong>decisivo impegno collettivo di tutta la comunità e di tutte le energiedi cui essa era capace nell’assolvimento dei compiti marittimirappresenterebbe un caso veramente unico nel Mediterraneo enella stessa Europa.Come abbiamo detto, l’<strong>in</strong>dag<strong>in</strong>e prende le mosse dal Trecento,epoca che costituisce secondo l’autore uno “snodo” i cui elementifondamentali sono sul versante <strong>in</strong>terno <strong>il</strong> progressivo accentramentogovernativo e l’assestamento dell’aristocrazia, su quelloesterno i rapporti con i turchi e i genovesi e l’organizzazione deitraffici marittimi. È l’epoca <strong>in</strong> cui Venezia fece le sue scelte def<strong>in</strong>itivetanto sullo scacchiere della terraferma, quanto su quello marittimo.Tenenti conferma <strong>il</strong> ruolo fondamentale svolto dalla saldaturache si realizzò fra la libertà d’<strong>in</strong>iziativa e l’accettazione di undiscipl<strong>in</strong>amento non privo di restrizioni, analizza sul piano politicola cogestione del potere da parte di un numero def<strong>in</strong>ito – sebbeneassai vasto – di fami<strong>gli</strong>e, mostrando come la tensione fra <strong>il</strong>ceto aristocratico e <strong>gli</strong> altri ceti risultasse smorzata da diversi elementi,fra i quali la pros<strong>per</strong>ità economica, che faceva <strong>in</strong> largamisura convergere <strong>gli</strong> <strong>in</strong>teressi di patrizi e popolani, e <strong>il</strong> legame frala produzione dei mestieri organizzati nelle Arti e i traffici <strong>in</strong>ter-82


nazionali. L’autore non manca di considerare altri aspetti del complessorapporto fra i ceti della città, come <strong>il</strong> ruolo delle feste, deitornei, delle processioni e delle piú varie cerimonie, volte a cementare<strong>il</strong> sentimento di appartenenza e d’identità con la città anche<strong>per</strong> <strong>gli</strong> strati popolari.Accanto all’<strong>in</strong>dag<strong>in</strong>e relativa a quella che è stata a lungo consideratal’esemplarità del modello politico veneziano, Tenenti s’<strong>in</strong>terrogasu diversi aspetti dell’immag<strong>in</strong>ario collettivo – dal sensodel mare, sentito come “l<strong>in</strong>fa vitale della comunità” e dai miti chelo accompagnavano, alla <strong>per</strong>cezione del tempo e dello spazio, f<strong>in</strong>oall’uso scenografico de<strong>gli</strong> spazi pubblici e alle rappresentazioniartistiche del trentennio giorgionesco – e si sofferma ad analizzare<strong>il</strong> comportamento delle autorità veneziane, nelle piú diverse circostanze.Ad esempio, di fronte alle “temporali calamità”, vale a diredi fronte all’ondata quasi <strong>in</strong><strong>in</strong>terrotta di pest<strong>il</strong>enze che afflissero <strong>il</strong>Trecento, l’autore r<strong>il</strong>eva l’<strong>in</strong>domita energia che sostenne l’azionedel governo. Oppure, rispetto all’ut<strong>il</strong>izzo delle navi corsare comemezzo legale <strong>per</strong> ristab<strong>il</strong>ire <strong>il</strong> diritto, e<strong>gli</strong> pone l’accento sulla particolaritàdi Venezia, che, unica fra <strong>gli</strong> Stati cristiani del Mediterraneo,non <strong>per</strong>mette ai suoi sudditi l’allestimento di tali navi. Oancora, fa notare la presunzione favorevole che, attraverso i suo<strong>in</strong>avigatori, essa mostra rispetto alle genti piú diverse “osservate daun lato con l’attento distacco necessario <strong>per</strong> scoprirne le qualità,ma comprese dall’altro <strong>in</strong> una comunità solidale di uguali creature”.Ne risulta un affresco di grandi proporzioni, di grande precisionenei particolari, che restituisce con vivacità le sorti di una cittàche seppe <strong>per</strong> secoli conservare la sua autonomia e la sua precisaidentità e che rimane ancora oggi, a fronte delle piú accortemetodologie storiografiche, un caso unico nella storia del Mediterraneo.83


6.IL PRIMATO DELL’ETICA85


Seppur da prospettive diverse, <strong>il</strong> pensiero del Novecento si èvariamente scontrato con l’impossib<strong>il</strong>ità, <strong>per</strong> <strong>gli</strong> strumenti logici,di costr<strong>in</strong>gere l’<strong>in</strong>terlocutore all’<strong>in</strong>tesa, mettendo <strong>in</strong> r<strong>il</strong>ievo i limitidella logica dimostrativa nel caso <strong>in</strong> cui essa sia riferita al pensieronella sua funzione comunicativa. Rispetto ad un “razionalismodella verità” che non sarebbe <strong>in</strong> grado di fornire la base etica esociale <strong>per</strong> un accordo ragionevole delle molteplici volontà, siripropone un primato della dimensione etica dell’uomo che<strong>in</strong>duce a ripensare l’<strong>in</strong>tero sv<strong>il</strong>uppo della civ<strong>il</strong>tà europea. L’urgenzadei problemi etici emergenti <strong>in</strong> diversi settori scientifici enelle varie pratiche sociali stimola <strong>in</strong>oltre una riflessione “applicata”ai diversi ambiti discipl<strong>in</strong>ari della medic<strong>in</strong>a, ad esempio, oalla prassi della ricerca e dell’<strong>in</strong>segnamento f<strong>il</strong>osofico.Emmanuel Lev<strong>in</strong>as, Adriaan Pe<strong>per</strong>zak, Etica come f<strong>il</strong>osofia prima,a cura di Fabio Ciaramelli, 1989, Collana Saggi n. 6, 185pp.Concepito <strong>in</strong> occasione del sem<strong>in</strong>ario sul tema Il pensiero diEmmanuel Lev<strong>in</strong>as, organizzato dall’<strong>Istituto</strong> <strong>Italiano</strong> <strong>per</strong> <strong>gli</strong> <strong>Studi</strong>F<strong>il</strong>osofici nei giorni 20-23 maggio 1985, <strong>il</strong> volume propone un <strong>per</strong>corsodi lettura dell’o<strong>per</strong>a dell’autore attraverso quattro impor-87


tanti saggi, tre dei quali <strong>in</strong>editi <strong>in</strong> italiano. I primi due, risalenti a<strong>gli</strong>anni ’50, ne ricostruiscono <strong>in</strong> qualche modo la genesi attraverso unconfronto con <strong>il</strong> l<strong>in</strong>guaggio hegeliano che costituiva all’epoca lako<strong>in</strong>é dom<strong>in</strong>ante ne<strong>gli</strong> ambienti <strong>in</strong>tellettuali di Parigi. Gli ultimidue, segnati da una sublimazione del l<strong>in</strong>guaggio, “da un parlaresu<strong>per</strong>lativo e i<strong>per</strong>bolico la cui enfasi tenta di esprimere l’eccelleredella trascendenza” (Pe<strong>per</strong>zak), ne mostrano i piú recenti esiti speculativie le appassionate implicazioni culturali e civ<strong>il</strong>i. Gli scrittidi Lev<strong>in</strong>as sono seguiti dal magistrale commento di Pe<strong>per</strong>zak e dauna Post<strong>il</strong>la del curatore.Il primo saggio, dal titolo Libertà e comando (1953), dà avvio aduna meditazione f<strong>il</strong>osofica sulle condizioni della libertà <strong>in</strong> cui l’accentoè posto sulla strategia di salvaguardia della libertà stessaattraverso la sua necessaria istituzionalizzazione. Di fronte al paradosso<strong>per</strong> cui “la vera eteronomia com<strong>in</strong>cia quando l’obbedienzasmette di essere obbedienza cosciente e diventa <strong>in</strong>cl<strong>in</strong>azione spontanea”– atteggiamento <strong>in</strong> cui si può ravvisare l’orig<strong>in</strong>e di tutti itotalitarismi – Lev<strong>in</strong>as ricorda che “ciò che resta comunque liberoè <strong>il</strong> potere di prevedere <strong>il</strong> proprio cedimento e di premunirsi controdi esso”. La libertà consiste allora “nell’istituire fuori di sé unord<strong>in</strong>e della ragione: nell’affidare <strong>il</strong> ragionevole allo scritto, nelricorrere ad una istituzione”.Si tratta tuttavia di una soluzione solo provvisoria, <strong>in</strong> quanto“l’istituzione di una legge ragionevole come condizione dellalibertà” suppone già “una possib<strong>il</strong>ità d’<strong>in</strong>tesa tra s<strong>in</strong>goli <strong>in</strong> vistadell’istituzione di quella legge”. È cosí che Lev<strong>in</strong>as <strong>in</strong>troduce all’ideadi un “discorso prima del discorso”, di un rapporto da s<strong>in</strong>goloa s<strong>in</strong>golo prima dell’istituzione della legge razionale, di un tentativo“di far entrare qualcuno nel nostro discorso senza farveloentrare violentemente”. Come scrive Ciaramelli, viene rappresentataqui l’aporia della “circolarità dell’orig<strong>in</strong>e”, alludendo all’impossib<strong>il</strong>itàdi fondare razionalmente attraverso argomentazioni88


<strong>per</strong>suasive l’accesso all’ord<strong>in</strong>e etico che si oppone al puro e semplicerapporto di forze. Questo “ord<strong>in</strong>e ragionevole <strong>in</strong> cui i rapportifra volontà separate vengano riportati alla partecipazionecomune ad una ragione che non è esterna alle volontà” esige un<strong>in</strong>contro fra uomo e uomo: <strong>il</strong> disporsi all’ascolto, l’entrare nel dialogo,<strong>il</strong> decidersi <strong>per</strong> la ragionevolezza, accettando quella ragioneim<strong>per</strong>sonale che è oggettivata nelle istituzioni storico-politiche,non possono derivare da una ragione im<strong>per</strong>sonale già data e istituita,ma debbono essere <strong>il</strong> risultato di una sorta di <strong>per</strong>suasione“preorig<strong>in</strong>aria” che istituisce quella ragione comune senza essernel’<strong>in</strong>izio temporale o empirico. La relazione da s<strong>in</strong>golo a s<strong>in</strong>golo facosí emergere l’etica nella sua significatività assoluta, come ciò cheprecede l’orig<strong>in</strong>e stessa delle istituzioni.Nel secondo saggio, dal titolo La f<strong>il</strong>osofia e l’idea di <strong>in</strong>f<strong>in</strong>ito(1957), Lev<strong>in</strong>as parte dall’analisi di due categorie fondamentali,autonomia ed eteronomia. Come esemplifica Pe<strong>per</strong>zak nel suocommento, l’idea di verità, nell’analisi di Lev<strong>in</strong>as, si presenta comeun’idea bifronte: da un lato la verità viene cercata e sco<strong>per</strong>ta comeuna realtà che <strong>il</strong> pensatore non conosceva ancora, dall’altra essa sidà solo a chi se ne appropria e la fa sua <strong>per</strong> diventare una sola cosacon essa – come se essa fosse sempre stata presente nel fondo dellasua anima. È questo <strong>il</strong> senso della verità che è divenuto prevalentenel pensiero occidentale: riduzione di ogni alterità all’Identico (oMedesimo) ed esclusione del trascendente. L’essenza della veritànon consiste, dunque, nel rapporto eteronomo con un Dio ignoto,ma nel già-conosciuto che è ancora da scoprire o da re<strong>in</strong>ventareliberamente <strong>in</strong> sé e <strong>in</strong> cui confluisce ogni cosa conosciuta.Il rifiuto di qualunque eteronomia non esclude <strong>per</strong>ò soltantol’alterità di Dio, ma anche ogni alterità <strong>in</strong>dividuale. La conoscenzaconsiste allora nel co<strong>gli</strong>ere l’<strong>in</strong>dividuo non nella sua s<strong>in</strong>golarità chenon conta, ma nella sua generalità, di cui solamente si dà scienza:ciò che potrebbe agevolmente esemplificare la posizione aristote-89


lica, ripresa da Hegel nel primo capitolo della Fenomenologia dellospirito sulla certezza sensib<strong>il</strong>e. Ma questo approccio non soloannienta l’<strong>in</strong>dividualità annegandola nell’universale; esso <strong>in</strong>oltreha nei confronti dei suoi “oggetti” un atteggiamento dom<strong>in</strong>ato dalpossesso e dall’uso. “La resa delle cose esteriori alla libertà umanamediante la loro generalità non significa solo <strong>in</strong>nocentementecomprenderle, ma anche ut<strong>il</strong>izzarle, addomesticarle e possederle.Soltanto nel possesso l’io porta a compimento l’identificazione deldiverso”. Come scrive Pe<strong>per</strong>zak, secondo la prospettiva di Lev<strong>in</strong>asl’egocentrismo della civ<strong>il</strong>tà occidentale si realizza anche <strong>in</strong> un benpreciso tipo di vita pratica di cui la f<strong>il</strong>osofia è la contropartita teorica.In una civ<strong>il</strong>tà che si riflette nella f<strong>il</strong>osofia dell’Identico, scrive<strong>in</strong>fatti Lev<strong>in</strong>as, la libertà si realizza nella ricchezza. La ragione cheriduce l’altro è appropriazione e potere.Da questa supremazia dell’Identico non sfuggirebbe neppure laf<strong>il</strong>osofia di Heidegger, che pretende di su<strong>per</strong>are la concezione tradizionaledell’essere come “totalità de<strong>gli</strong> essenti”. Anche <strong>in</strong> Heideggersi tratta di giungere alla luce abba<strong>gli</strong>ante dell’essere che s’<strong>il</strong>lum<strong>in</strong>aattraverso la comprensione dell’essere costitutiva delDase<strong>in</strong> umano. Anche quella di Heidegger f<strong>in</strong>isce cosí <strong>per</strong> essereun’egologia, espressione di un universo centrato <strong>in</strong>torno ad unEgo che non solo funge da soggetto del cogito, ma è anche centroe f<strong>in</strong>e del mondo, nonché fonte di ogni senso.Si tratta allora <strong>per</strong> Lev<strong>in</strong>as di capovolgere i term<strong>in</strong>i della questione,rifacendosi ad una “tradizione dell’Altro”, di carattere f<strong>il</strong>osoficoe non religioso, che trova <strong>in</strong> Platone e <strong>in</strong> Cartesio due puntidi riferimento fondamentali. Quando Platone dice del Bene cheesso è al di sopra dell’essere, o, nel Fedro, def<strong>in</strong>isce <strong>il</strong> discorso verocome discorso con <strong>gli</strong> dei, <strong>il</strong> vero non è solo altro da colui che nefa es<strong>per</strong>ienza ed esterno alla natura <strong>in</strong> cui <strong>il</strong> soggetto umano si è<strong>in</strong>stallato, ma è piú che esterno: <strong>il</strong> vero si trova “lassú”. L’assolutamentealtro mi raggiunge o mi sopraggiunge dall’alto.90


Quanto al Cartesio della terza Meditazione, nella sua analisi dell’ideadi <strong>in</strong>f<strong>in</strong>ito, e<strong>gli</strong> del<strong>in</strong>ea una struttura di cui – dice Lev<strong>in</strong>as –dobbiamo conservare <strong>il</strong> disegno formale. L’idea dell’<strong>in</strong>f<strong>in</strong>ito haquesto d’eccezionale: l’ideatum su<strong>per</strong>a l’idea. L’<strong>in</strong>tenzionalità cheanima l’idea di <strong>in</strong>f<strong>in</strong>ito non è paragonab<strong>il</strong>e a nessun’altra: essatende a quanto non può contenere e, <strong>in</strong> questo senso appunto,all’Inf<strong>in</strong>ito. L’alterità di quest’ultimo non si annulla né si est<strong>in</strong>guenel pensiero che lo pensa. L’idea dell’<strong>in</strong>f<strong>in</strong>ito è dunque la sola che<strong>per</strong>mette di conoscere quel che s’ignora. L’<strong>in</strong>f<strong>in</strong>ito è <strong>il</strong> radicalmente,l’assolutamente altro. Esso è l’unica vera “es<strong>per</strong>ienza” chepossiamo compiere.Ora, l’<strong>in</strong>f<strong>in</strong>ito ha nel pensiero di Lev<strong>in</strong>as una duplice accezione.Da un lato s’identifica con Dio (alterità dell’Altissimo), dall’altronon è che <strong>il</strong> rapporto con Autrui, con l’altro. L’idea dell’<strong>in</strong>f<strong>in</strong>ito è<strong>in</strong> questo senso <strong>il</strong> rapporto sociale, <strong>il</strong> quale consiste nell’avvic<strong>in</strong>areun essere assolutamente esteriore. “L’<strong>in</strong>f<strong>in</strong>ito di questo essere, cheproprio <strong>per</strong>ciò nessuno può contenere, ne garantisce e costituiscel’esteriorità”. Come scrive Ciaramelli, è la sproporzione fra <strong>il</strong> presentedell’uno e <strong>il</strong> passato dell’altro che è espressione dell’idea di<strong>in</strong>f<strong>in</strong>ito.Ma l’altro non solo è assolutamente esteriore, <strong>in</strong>sondab<strong>il</strong>e nellasua <strong>in</strong>f<strong>in</strong>ità; esso mi oppone <strong>in</strong>oltre una resistenza che Lev<strong>in</strong>asdef<strong>in</strong>isce “etica”, e che proviene da quel “no” da sempre lanciatocontro la volontà egemonica dell’io, contro i suoi poteri, vale a dire<strong>il</strong> comandamento: “Non uccidere”. Da questo punto di vista l’<strong>in</strong>f<strong>in</strong>ito<strong>in</strong> quanto rapporto con l’Altro e l’<strong>in</strong>f<strong>in</strong>ito <strong>in</strong> quanto Dio vengonoa convergere. Il punto decisivo, l’approdo di questo discorsotendente appunto a stab<strong>il</strong>ire “l’etica come f<strong>il</strong>osofia prima”, è chequesta epifania del volto, <strong>in</strong> cui faccio es<strong>per</strong>ienza dell’assoluta alterità,questo rapporto con Autrui che è <strong>in</strong>tr<strong>in</strong>secamente etico <strong>per</strong>chéfondato sul comandamento primordiale “Non uccidere”, nonsi <strong>in</strong>nesta su un prelim<strong>in</strong>are rapporto di conoscenza, ma ne è piut-91


tosto fondamento. L’etica – commenta Pe<strong>per</strong>zak – non potrà piúessere considerata come una discipl<strong>in</strong>a fondata su una f<strong>il</strong>osofiateoretica – ontologia o epistemologia – che precederebbe ognicomandamento. Il rapporto etico non è sovrastruttura, ma fondamentodi ogni conoscenza, e l’analisi di questo rapporto costituiscela f<strong>il</strong>osofia prima.Il terzo saggio, Etica come f<strong>il</strong>osofia prima (1982), e <strong>il</strong> quartoDeterm<strong>in</strong>azione f<strong>il</strong>osofica dell’idea di cultura (1986) riprendono <strong>il</strong>tema dell’identificazione di essere e sa<strong>per</strong>e nella f<strong>il</strong>osofia occidentale,la “dedizione all’ideale neoplatonico dell’Uno”, e si soffermano<strong>in</strong> maniera ancora piú approfondita sulla nozione di “volto”mettendola <strong>in</strong> connessione con <strong>il</strong> problema della responsab<strong>il</strong>ità econ quello del “terzo”, sv<strong>il</strong>uppato <strong>in</strong> particolare nel <strong>testo</strong> Altrimentiche essere e commentato ampiamente sia da Pe<strong>per</strong>zak, sia daCiaramelli. Si trova <strong>in</strong> Lev<strong>in</strong>as <strong>il</strong> richiamo ad una “cultura etica” <strong>in</strong>cui <strong>il</strong> volto di altri “risve<strong>gli</strong>a nell’identità dell’io la responsab<strong>il</strong>ità<strong>in</strong>alienab<strong>il</strong>e <strong>per</strong> l’altro uomo e la dignità dell’eletto”. Proprio nellaresponsab<strong>il</strong>ità etica e nell’obbligo verso <strong>gli</strong> altri che essa decreta, lacultura si mostra come rapporto alla trascendenza <strong>in</strong> quanto trascendenza,come “sporgenza dell’umano nella barbarie dell’essere”,nonostante – conclude Lev<strong>in</strong>as – nessuna f<strong>il</strong>osofia della storiapossa offrire garanzie contro <strong>il</strong> ritorno della barbarie stessa.Gwendol<strong>in</strong>e Jarczyk, Pierre-Jean Labarrière, L’impronta deldeserto. L’a-teismo mistico di Meister Eckhart, traduzione italianadi Domenico Carosso e Maria Pia Donat-Catt<strong>in</strong>, 2000,Collana Saggi n. 39, 271 pp.Il saggio dedicato al mistico renano Meister Eckhart dai dueautori, già noti <strong>per</strong> i loro studi su Hegel, è ispirato dalla ricercadella “posterità dialettica” che ne contrassegna <strong>il</strong> lascito piú signi-92


ficativo. Pierre-Jean Labarrière e Gwendol<strong>in</strong>e Jarczyk <strong>in</strong>traprendonoquesta ricerca non con f<strong>in</strong>i esclusivamente esegetici, ma conlo scopo di attualizzare la prospettiva speculativa e mistica eckhartiana.Secondo <strong>gli</strong> autori, <strong>in</strong>fatti, speculazione e <strong>in</strong>tuizione misticasi trovano a co<strong>in</strong>cidere nell’a-teismo del teologo, che su<strong>per</strong>erebbe<strong>in</strong> tal modo l’idea puramente rappresentativa della religione. È unponte gettato verso la lettura dello stesso Hegel <strong>in</strong> term<strong>in</strong>i mistici,come esplicitamente chiarito da<strong>gli</strong> autori.Il libro si apre con una prima lettura dell’unico Poema cheEckhart abbia lasciato, dal quale è tratto <strong>il</strong> riferimento al desertoche dà <strong>il</strong> titolo al volume: un’immag<strong>in</strong>e che è la negazione di ogniimmag<strong>in</strong>e, un deserto che non è altro che Dio stesso nell’eternitàdel suo essere. La sua impronta nella figura del tempo è <strong>il</strong> luogodove e<strong>gli</strong> convoca e <strong>in</strong>contra l’uomo. Ma se tutto Eckhart è racchiuso<strong>in</strong> questo poema, come sostengono <strong>gli</strong> autori, ad essooccorrerà ritornare dopo una “deviazione” che ricollochi Eckhartnel suo tempo e nel suo con<strong>testo</strong>.La prima parte del saggio ricostruisce dunque le vicende biografichee la fortuna attraverso i secoli di Eckhart. Nato verosim<strong>il</strong>mentenel 1260 <strong>in</strong> un v<strong>il</strong>laggio della Tur<strong>in</strong>gia denom<strong>in</strong>ato Hochheim,<strong>in</strong> un’epoca segnata dalle lotte fra Papato e Im<strong>per</strong>o e dalleCrociate, <strong>il</strong> primo dato accertato della sua vita è l’<strong>in</strong>gresso nell’ord<strong>in</strong>edomenicano (un ord<strong>in</strong>e “mendicante” come quello francescano,che conobbe un’espansione assai rapida, f<strong>in</strong>o a ricevere daRoma la responsab<strong>il</strong>ità dell’Inquisizione e dei suoi tribunali) e l’avviodei suoi studi al convento di Erfurt. In seguito, <strong>per</strong> le sue eccezionaliqualità, Eckhart fu chiamato a completare <strong>il</strong> suo programmadi studi a Colonia, presso lo <strong>Studi</strong>um generale. Ora, laScuola di Colonia, da cui Eckhart ricevette l’<strong>in</strong>fluenza decisiva, erasegnata dall’ampiezza della s<strong>in</strong>tesi tentata non solo fra <strong>il</strong> pensierodi Agost<strong>in</strong>o e quello di Dionigi (al primo dei quali si deve l’idea diuna conversione verso l’uomo <strong>in</strong>teriore, al secondo quella di un’e-93


stasi che proietta l’uomo verso Dio), ma anche dall’<strong>in</strong>tegrazionedell’apporto di Avicenna e di Averroè, nonché di Maimonide, alcrocevia delle tre grandi religioni rivelate. Da Colonia Eckhartpartí poi alla volta di Parigi, che era allora la capitale <strong>in</strong>tellettualedell’Occidente, e dove piú forte si fece sentire l’<strong>in</strong>fluenza di Tommasod’Aqu<strong>in</strong>o. De<strong>gli</strong> anni successivi al primo soggiorno parig<strong>in</strong>o,passati a Erfurt come maestro di novizi e priore del convento, <strong>gli</strong>autori sottol<strong>in</strong>eano l’unità della dimensione <strong>in</strong>tellettuale e diquella spirituale. Già <strong>in</strong> que<strong>gli</strong> anni <strong>il</strong> “dottore metafisico-mistico”sarebbe stato impegnato a “trasformare <strong>in</strong> forza vitale ciò che sirivela alla comprensione” e ad <strong>in</strong>citare <strong>gli</strong> altri ad <strong>in</strong>traprendere lavia dell’unità. La chiave di lettura è chiaramente esplicitata: “Suquesto punto centrale come su altri, Eckhart anticipava ciò cheavrebbe espresso <strong>per</strong> parte sua la f<strong>il</strong>osofia dialettica resa <strong>il</strong>lustrecirca sei secoli piú tardi dall’idealismo tedesco, vale a dire che l’effettuazionedell’idea, la sua realizzazione storica, è parte <strong>in</strong>tegrantedell’<strong>in</strong>telligenza stessa di questa idea”. È nel secondo soggiornoparig<strong>in</strong>o, nel 1302, che Eckhart ottenne <strong>il</strong> titolo di “maestro <strong>in</strong> teologiasacra”, <strong>il</strong> piú alto riconoscimento che un religioso domenicanopotesse ricevere. La sua vita cont<strong>in</strong>uò ad alternare momentidedicati allo studio e all’<strong>in</strong>segnamento (come <strong>in</strong> un terzo soggiornoparig<strong>in</strong>o, dal 1311 al 1313, oppure nella fase <strong>in</strong> cui, a partiredal 1322, fu chiamato a dirigere lo <strong>Studi</strong>um generale di Colonia)a momenti di attività <strong>in</strong>tensa, legata a gravosi <strong>in</strong>carichiistituzionali. Alla f<strong>in</strong>e del terzo soggiorno parig<strong>in</strong>o, Eckhart ricevettel’<strong>in</strong>carico di amm<strong>in</strong>istrare i conventi delle monache domenicanenella prov<strong>in</strong>cia teutonica. Ciò consentí forse <strong>per</strong> la primavolta a Eckhart di esercitare <strong>in</strong>tensamente la sua attività di predicatore.È dunque a questa fase che verosim<strong>il</strong>mente si riferiscono itesti raccolti nei Sermoni tedeschi, che solo di recente, grazie all’o<strong>per</strong>adi Josef Qu<strong>in</strong>t, sono stati pubblicati <strong>in</strong> edizione critica. Gliautori si soffermano <strong>in</strong>nanzitutto sullo st<strong>il</strong>e, che testimonia un94


co<strong>in</strong>volgimento <strong>per</strong>sonale del loro autore e al tempo stesso mostrala forte tensione di Eckhart verso <strong>il</strong> conseguimento della verità. Lasezione biografica si chiude con una ricostruzione delle vicendepolitiche che condussero alla sua condanna da parte dei teologiavignonesi, e delle circostanze oscure della sua morte, sopravvenutaprima che <strong>il</strong> verdetto fosse reso noto.Per <strong>gli</strong> autori è evidente che Eckhart ha pagato <strong>il</strong> suo essere <strong>in</strong>anticipo rispetto ai tempi – essi sottol<strong>in</strong>eano fra l’altro che ancoraoggi si attende una sua riab<strong>il</strong>itazione istituzionale – come mostral’“ascolto dei secoli”, che ha restituito con evidenza sempre maggiorel’<strong>in</strong>fluenza esercitata dal magistero di Eckhart. Non solo neisuoi diretti discepoli (come Enrico Suso o Giovanni Taulero), maanche <strong>in</strong> figure come quella di Nicola Cusano, le cui ricerche logichesulla “co<strong>in</strong>cidenza dei term<strong>in</strong>i opposti” costituirebbero un“anello nella catena <strong>in</strong><strong>in</strong>terrotta che, da Meister Eckhart allagrande dialettica dei primi del XIX secolo, apre l’universo dellariflessione all’efficienza del terzo term<strong>in</strong>e, compreso nella suastessa <strong>in</strong>esistenza e nella forza negativa del suo potere di mediazione”.Tuttavia, nonostante l’aff<strong>in</strong>ità spirituale che lega Eckhart afigure come Giovanni della Croce o Jacob Böhme, “è nella f<strong>il</strong>osofiadi Hegel che la disposizione formale de<strong>gli</strong> elementi strutturalidel pensiero di Eckhart trova <strong>il</strong> punto di riferimento e di acco<strong>gli</strong>enzapiú forte: l’<strong>in</strong>contro reciprocamente <strong>il</strong>lum<strong>in</strong>ante tra le duevisioni del mondo e la loro articolazione discorsiva ne è una conseguenzaessenziale”.La seconda parte del volume si propone come esplorazionesistematica dei grandi temi della sua visione del mondo, attraversola lettura dei Sermoni e dei Trattati tedeschi, nei quali Eckhart <strong>per</strong>seguelo scopo unitario di formazione dell’<strong>in</strong>telligenza e di risve<strong>gli</strong>odel volere, o ancora, di annuncio del vero e sua traduzione nelconcreto dell’es<strong>per</strong>ienza. Si mostrerà cosí come alla base della suavisione si trovi quell’<strong>in</strong>tuizione dell’unità espressa dall’immag<strong>in</strong>e95


dell’occhio che tanto avrebbe colpito Hegel: “L’occhio che <strong>in</strong>teriormentevede Dio – scrive Eckhart – è lo stesso occhio col qualeDio mi vede <strong>in</strong>teriormente”. Un’asserzione che sp<strong>in</strong>ge la relazionesoggetto-oggetto, <strong>in</strong> seno all’atto di conoscere, f<strong>in</strong>o al punto <strong>in</strong> cu<strong>il</strong>’oggetto si rivela essere un soggetto e i due soggetti si riconoscononella loro identità d’orig<strong>in</strong>e. A colpo sicuro – secondo Pierre-JeanLabarrière e Gwendol<strong>in</strong>e Jarczyk – l’o<strong>per</strong>a di Eckhart è un <strong>in</strong>noall’unità, all’unità di Dio, all’unità dell’uomo con Dio, all’unità ditutte le cose <strong>in</strong> Dio. La fecondità di questo pr<strong>in</strong>cipio metafisicomisticoè <strong>per</strong> <strong>gli</strong> autori senza limiti. Esso <strong>per</strong>mette di comprenderela parte che all’uomo tocca di assumere nell’emergenza del suoessere e nella gestione del suo dest<strong>in</strong>o spirituale di co-creatore dise stesso e co-generatore di Dio.La generazione è <strong>per</strong> Eckhart unica. Dio, uscendo da se stessonell’atto della sua nascita, s’identifica con questa esteriorità totaleche <strong>per</strong>mane <strong>in</strong> lui stesso. Il far-nascere di Dio è identicamentenascita di Dio, nascita dell’uomo e del mondo. Ciò significa rivestiretutte le creature di grande dignità e far sí che esse trov<strong>in</strong>oposto <strong>in</strong> seno al movimento che è espressione dello spirito totale.La generazione di Dio si compie nella produzione dell’uomo e delmondo, che sono posti “fuori” di Dio e devono far ritorno a lui. Iltema dell’uomo-nascita si dischiude proprio nell’articolazione diquest’uscita e di questo ritorno. Il concetto di nascita assume quiuna duplice accezione: una, di passività, mostra come l’uomoappare quando Dio lo fa nascere, lo genera; l’altra <strong>in</strong>siste <strong>in</strong>vecesul fatto che Dio produce l’uomo comunicando<strong>gli</strong> ciò che è, facendone<strong>in</strong>somma un creatore. Nell’istante stesso <strong>in</strong> cui si riceve,l’uomo genera se stesso, e non solo se stesso, ma anche Dio e lacreatura. Tuttavia quest’identità fra la nascita di Dio e la nascitadell’uomo <strong>in</strong> Dio non va <strong>in</strong> alcun modo <strong>in</strong>tesa, secondo <strong>gli</strong> autori,come un monismo che riduca l’uomo e <strong>il</strong> mondo ad un’escrescenzadell’assoluto, senza riconoscere loro una reale autonomia.96


La differenza sarebbe <strong>in</strong>scritta <strong>in</strong>fatti nel cuore dell’assoluto stessodal gioco d’una “negazione della negazione” che fa sí che l’assolutonon sia se stesso che come altro da sé. Né ci sarebbe <strong>in</strong> tuttoquesto “la m<strong>in</strong>ima ombra di panteismo”, ma la considerazionechiara del fatto che Dio è uno, e che, <strong>per</strong>ciò, non c’è niente che siaradicalmente fuori di lui.Gli autori tentano <strong>in</strong> def<strong>in</strong>itiva di riscattare l’o<strong>per</strong>a di Eckhartdalla lettura che ne ha portato alla condanna da parte dei giudicidi Avignone, vale a dire dal sospetto che la suddetta unità <strong>in</strong>dichiun’identità di natura che annullerebbe ogni possib<strong>il</strong>ità di pensareuna differenza fra Dio e l’uomo. Ma allora occorre domandarsi,con <strong>gli</strong> autori, se la franca accettazione da parte di Eckhart dellafede cristiana e delle sue esigenze limiti <strong>il</strong> suo messaggio a questasfera di appartenenza, o se <strong>in</strong>vece la sua dottr<strong>in</strong>a att<strong>in</strong>ga ad unauniversalità di spirito che su<strong>per</strong>a le frontiere delle confessioni edelle credenze. È evidentemente quest’ultima l’ipotesi accreditatadai due studiosi, che la fanno ruotare <strong>in</strong>torno all’attribuzione adEckhart di un “a-tesimo mistico”, con <strong>il</strong> quale si vuole <strong>in</strong>dicare <strong>il</strong>su<strong>per</strong>amento del piano rappresentativo orientato al Dio delle creature,quello stesso su<strong>per</strong>amento “speculativo” che contrassegnerebbe<strong>in</strong> Hegel <strong>il</strong> passaggio dal piano della religione a quello dellaf<strong>il</strong>osofia.Franco Chieregh<strong>in</strong>, Dall’antropologia all’etica. All’orig<strong>in</strong>e delladomanda sull’uomo, 1997, Collana Saggi n. 27, 141 pp.Come una meditazione sulla f<strong>il</strong>osofia nel suo rapporto con l’esistenza,<strong>per</strong>vasa da quella “mal<strong>in</strong>conia” che l’autore ritiene, conHeidegger, prerogativa di ogni fare creativo, si presenta questolibro di Franco Chieregh<strong>in</strong>, che riporta <strong>il</strong> <strong>testo</strong> delle lezioni tenutea Napoli, nella sede dell’<strong>Istituto</strong>, dal 29 maggio al 1° giugno 1995.97


Si tratta di un lavoro di scavo <strong>in</strong>torno alle domande fondamentalidell’<strong>in</strong>terrogazione <strong>in</strong>torno all’uomo, tendente a mostrare <strong>il</strong>necessario confluire dell’antropologia f<strong>il</strong>osofica nell’etica. Lastessa f<strong>il</strong>osofia, punto di partenza della riflessione, viene messa <strong>in</strong>questione nella sua relazione con la vita: è nella f<strong>il</strong>osofia che quest’ultima<strong>per</strong>viene alla comprensione di sé ed essa è qu<strong>in</strong>di uno deimodi <strong>in</strong> cui la vita, <strong>in</strong>terpretandosi, raggiunge e modifica se stessa.Tuttavia, secondo Chieregh<strong>in</strong>, ciò che dist<strong>in</strong>gue <strong>il</strong> movimento diautocomprensione della vita che si attua nella f<strong>il</strong>osofia da altreforme aff<strong>in</strong>i è <strong>il</strong> suo configurarsi come un “no” radicale.La lettura del Fedone platonico, nel quale Socrate si prepara allamorte facendo ricorso alla musica, ci riporta <strong>per</strong> Chieregh<strong>in</strong> ad unsegno – quello musicale appunto – <strong>in</strong> cui si dissolve l’alterità costitutivadel segno stesso: nella musica <strong>il</strong> segno non è segno di qualcos’altro,ma co<strong>in</strong>cide con la cosa stessa. Di fronte a questo dissolversidel segno nell’alterità, quale si dà nella musica, la f<strong>il</strong>osofia avverteche proprio lí sta <strong>il</strong> term<strong>in</strong>e verso <strong>il</strong> quale essa tende e che tuttavianon potrà mai raggiungere f<strong>in</strong>ché resta f<strong>il</strong>osofia. Questa piena co<strong>in</strong>cidenzadel segno che dice la cosa con la cosa stessa, e qu<strong>in</strong>di delfare e del dire, eccede <strong>il</strong> l<strong>in</strong>guaggio che <strong>in</strong>forma e che comunica.Cosí una f<strong>il</strong>osofia che sia consapevole del suo dest<strong>in</strong>o “musicale”riconosce che al term<strong>in</strong>e di ogni sentiero, <strong>per</strong>corso con tutte le energiedi cui dispone <strong>il</strong> logos, vi è qualcosa che oltrepassa la parola e cheproprio questo, che non è esprimib<strong>il</strong>e dal logos, è quanto vi è nellecose di piú importante. I momenti propriamente “musicali” dellaf<strong>il</strong>osofia sono quelli <strong>in</strong> cui essa dà testimonianza di questa essenzialef<strong>in</strong>itezza, nella quale <strong>il</strong> logos, <strong>in</strong> virtú di se stesso, <strong>per</strong>viene a riconoscereciò che è piú potente di esso e che lo oltrepassa.La riflessione di Schell<strong>in</strong>g, consegnata alle Conferenze di Erlangen(1821), tematizza <strong>il</strong> problema del pr<strong>in</strong>cipio della f<strong>il</strong>osofia emostra che la via negativa, attraverso cui <strong>per</strong> la prima volta, opponendosialle tendenze fondamentali della vita, l’uomo si imbatte98


nella totalità, è quella stessa che lo porta al cospetto della libertà.Nel movimento con cui la f<strong>il</strong>osofia muove all’attacco della vita, siconfiguri esso come preparazione alla morte (Platone), solitud<strong>in</strong>ee abbandono da tutto e di tutto (Schell<strong>in</strong>g), nostalgia della totalitàdell’essere (Heidegger), o possesso e godimento di questa totalitàmedesima (Hegel), ciò che è <strong>in</strong> questione è sempre l’essenza dellalibertà e ciò che l’uomo può compiere agendo grazie ad essa. Sedunque libertà e agire sono concetti che richiamano alla f<strong>il</strong>osofia<strong>in</strong> quanto tale, sono cioè concetti fondamentali della f<strong>il</strong>osofiastessa, allora un primo passo <strong>per</strong> <strong>in</strong>tenderli è <strong>in</strong>dicato da Kant,quando riconosce che <strong>per</strong> trovare l’esercizio vero e proprio dellalibertà occorre guardare all’uomo non quando è solo sensib<strong>il</strong>ità, néquando è solo ragione, ma unicamente là dove e<strong>gli</strong> sussiste come<strong>per</strong>sonalità, vale a dire come un essere razionale, responsab<strong>il</strong>e delleproprie azioni.Il rimando a Kant si articola nella riflessione dell’autore <strong>in</strong> unadisam<strong>in</strong>a dei concetti complementari di “<strong>per</strong>sona” e di “im<strong>per</strong>sonale”.Il term<strong>in</strong>e “<strong>per</strong>sona” è <strong>per</strong>corso dall’ambiguità sotto qualunqueaspetto lo si consideri. Con riferimento al significato lat<strong>in</strong>odi “maschera” esso <strong>in</strong>dica da una parte la coerente attuazione diun ruolo, attraverso la cui mediazione un determ<strong>in</strong>ato contenuto oaddirittura la giustizia e <strong>il</strong> bene si rendono manifesti, dall’altra loschermo dietro cui nascondere la propria identità <strong>per</strong> manipolaresecondo <strong>il</strong> proprio arbitrio <strong>il</strong> campo dell’apparire. La <strong>per</strong>sona <strong>in</strong>quanto maschera si trova cosí a condividere <strong>il</strong> medesimo caratteresimbolico che è <strong>in</strong>tr<strong>in</strong>seco ad ogni modo di comunicare. Qui <strong>il</strong>riferimento è al significato greco orig<strong>in</strong>ario del term<strong>in</strong>e “simbolo”:la <strong>per</strong>sona, <strong>in</strong> quanto maschera, è ciò che sym-ballei, che congiungee <strong>in</strong>sieme dist<strong>in</strong>gue quello che l’uomo propone di sé nell’apparire,e <strong>il</strong> pr<strong>in</strong>cipio dell’apparire che rimane nascosto e si sottraealla manifestazione. La <strong>per</strong>sona sta cosí sul limite tra ciò chenell’uomo è manifestazione e <strong>in</strong>sieme sottrazione di sé.99


D’altra parte l’“im<strong>per</strong>sonale” dentro di noi configura quell’energiaimpulsiva senza la quale anche la rappresentazione piú <strong>per</strong>suasivae <strong>per</strong>entoria di un im<strong>per</strong>ativo rimarrebbe praticamente<strong>in</strong>erte e <strong>in</strong>efficace. L’im<strong>per</strong>sonale fuori di noi, <strong>in</strong>teso come natura,se da un lato acco<strong>gli</strong>e, entro limiti determ<strong>in</strong>ati, l’o<strong>per</strong>a <strong>per</strong>sonalizzatricedell’uomo, manifesta dall’altro la radicale dipendenza dellafisicità della <strong>per</strong>sona dal cosmo e ribadisce cosí i conf<strong>in</strong>i non valicab<strong>il</strong>idella sua f<strong>in</strong>itezza. Inf<strong>in</strong>e, l’im<strong>per</strong>sonale dopo e sopra di noidischiude alla <strong>per</strong>sona un’es<strong>per</strong>ienza della libertà, nella quale propriociò che appare come totale alienazione di sé si risolve <strong>in</strong> unanuova e piú radicale attestazione di libertà. In ciascuno di questimomenti <strong>il</strong> modo d’essere dell’im<strong>per</strong>sonale costituisce un term<strong>in</strong>edi confronto essenziale <strong>per</strong> l’attuazione delle possib<strong>il</strong>ità di esistenzacui è consegnata la <strong>per</strong>sona.L’analisi del concetto di “<strong>per</strong>sona” e di “im<strong>per</strong>sonale” ha procuratolo sfondo sul quale è possib<strong>il</strong>e <strong>per</strong> l’autore riproporre ledomande elementari da cui può prendere orig<strong>in</strong>e un’antropologiaf<strong>il</strong>osofica, <strong>il</strong> cui compito è quello di avvic<strong>in</strong>arci sempre piú a ciòche noi stessi siamo. L’atto con cui l’uomo può com<strong>in</strong>ciare a determ<strong>in</strong>areresponsab<strong>il</strong>mente la propria vita consiste nel mettere <strong>in</strong>questione questa sua stessa esistenza nella sua totalità. L’orig<strong>in</strong>estessa del male va <strong>in</strong>dividuata nella trascuratezza dell’attenzioneverso <strong>il</strong> nostro essere piú proprio, nel disto<strong>gli</strong>ere lo sguardo dallanecessità di impegnarsi <strong>in</strong> una scelta prelim<strong>in</strong>are. L’atto con cui cisi risolve <strong>per</strong> la scelta orig<strong>in</strong>aria è <strong>per</strong> ciascuno qualcosa di unico edi irripetib<strong>il</strong>e. A differenza dalla prima nascita, accaduta <strong>in</strong> mododel tutto <strong>in</strong>dipendente dalla sua volontà, l’uomo si trova ad essere,<strong>in</strong> questa seconda nascita, <strong>il</strong> solo responsab<strong>il</strong>e del distacco dall’esistenzanaturale e della decisione di legarsi a se stesso. La libertàpone l’uomo come un compito a se stesso: qui l’antropologia, <strong>in</strong>quanto “f<strong>il</strong>osofica”, è costretta a oltrepassare se stessa come discipl<strong>in</strong>aparticolare <strong>in</strong> direzione dell’etica. L’uomo – conclude Chie-100


egh<strong>in</strong> – è cosí nella sua essenza un duplice uso della proprialibertà: dapprima <strong>per</strong> legarsi o rifiutarsi nell’esistenza; poi, unavolta che si sia accolto, <strong>per</strong> essere o una brama che calcola sotto <strong>il</strong>dom<strong>in</strong>io dell’amore di sé o un’<strong>in</strong>telligenza che ama sotto <strong>il</strong>governo della libertà.Sergio Landucci, Sull’etica di Kant, 1994, Collana Saggi n. 19, 413pp.Nella storia del pensiero occidentale Kant è <strong>il</strong> primo f<strong>il</strong>osofoche abbia avuto coscienza di quella differenza tra due livelli deldiscorso morale che è divenuta corrente nel nostro secolo: <strong>il</strong> livellonormativo e <strong>il</strong> livello metanormativo (di discorso sulla morale).Quest’idea di un’<strong>in</strong>dag<strong>in</strong>e critica come <strong>in</strong>dag<strong>in</strong>e di secondo livellorappresenta <strong>il</strong> lato piú moderno della concezione di Kant. Ma <strong>il</strong>pensiero kantiano si mostra sempre coerente con questa sua conquista?È con questa domanda che Sergio Landucci si volge all’o<strong>per</strong>adel f<strong>il</strong>osofo, <strong>per</strong> mostrare le <strong>per</strong>ipezie che contrassegnano lariflessione di Kant sull’etica nel <strong>per</strong>iodo “critico”. La contestualizzazionedel discorso – sia rispetto alla tradizione precedente, siarispetto al dibattito <strong>in</strong> cui Kant era immerso –, largamente presente,non va tuttavia <strong>in</strong> questa lettura mai a discapito di “quel cherimane pur specifico d’ogni discorso che si sia preteso f<strong>il</strong>osofico, ecioè l’apparato argomentativo e i contenuti teorici”.Rispetto al punto di vista critico da Kant elaborato nei confrontidell’etica, un primo motivo di riflessione deriva al Landuccidalla necessità di rigettare l’ipotesi di una sua presunta neutralità.Nel campo della morale <strong>in</strong>fatti Kant avrebbe compiuto la medesimao<strong>per</strong>azione realizzata <strong>in</strong> sede di f<strong>il</strong>osofia della conoscenza:come <strong>in</strong> quest’ultima, e<strong>gli</strong> ha assolutizzati, riportandoli a pretesestrutture naturali della mente umana, i pr<strong>in</strong>cípi della matematica e101


della fisica allora vigenti (rispettivamente la geometria euclidea e lameccanica newtoniana), cosí <strong>in</strong> sede etica ha assolutizzato i pr<strong>in</strong>cípidella morale ch’e<strong>gli</strong> condivideva pacificamente – una sorta dimorale cristiano-borghese – riportandoli alla “ragion praticapura”. L’elemento di maggior <strong>in</strong>teresse dell’analisi di Landucci ètuttavia costituito non tanto dalla diagnosi <strong>in</strong> se stessa, di <strong>per</strong> sénon nuova, quanto dalla ricostruzione del <strong>per</strong>corso che avrebbe<strong>in</strong>dotto Kant a tale dogmatismo, <strong>per</strong> quanto ammantato di criticismo,e dell’articolazione teorica ad esso soggiacente.L’ipotesi è che Kant abbia sí tentato, con la Fondazione dellametafisica dei costumi, una “deduzione trascendentale” della leggemorale, ma che le difficoltà cui è andato <strong>in</strong>contro e le contraddizioni<strong>in</strong> cui è <strong>in</strong>corso <strong>in</strong> quest’o<strong>per</strong>a lo abbiano <strong>in</strong>dotto ad unmutamento radicale nella concezione della legge morale, che apartire dalla Critica della ragion pratica viene ad essere concepitacome un “fatto della ragione”. Si tratta di una tesi gravida di conseguenze,argomenta l’autore. Innanzitutto essa implica la negazionedella possib<strong>il</strong>ità di etiche reciprocamente alternative. Inoltre,da un punto di vista epistemico, essa comporta l’<strong>in</strong>troduzionedi un unicum nell’universo kantiano. Nella Critica della ragionpura, <strong>in</strong>fatti, la ragione teoretica negava la conoscenza de<strong>gli</strong> oggettisovrasensib<strong>il</strong>i. Ora, <strong>in</strong>vece, la ragion pratica ci mette di fronte adun “fatto”, del tutto irriducib<strong>il</strong>e al mondo sensib<strong>il</strong>e, <strong>il</strong> quale non s<strong>il</strong>imita a darci un <strong>in</strong>dizio di quest’ultimo, ma anzi lo delimita positivamente.Ma una conoscenza rivolta ad un “fatto” di questogenere, una conoscenza orig<strong>in</strong>aria, autosufficiente e <strong>in</strong>fallib<strong>il</strong>e,d’un fatto puro, non può equivalere ad altro che ad una conoscenza<strong>in</strong>tuitiva, o <strong>per</strong> me<strong>gli</strong>o dire, ad una <strong>in</strong>tuizione <strong>in</strong>tellettuale(<strong>per</strong> quanto essa sia rivolta non ad un essere, ma ad un dover essere,come Fichte aiuta a precisare).Con la Critica della ragion pratica Kant entrerebbe dunquealmeno <strong>in</strong> una certa misura <strong>in</strong> contraddizione con <strong>il</strong> criticismo pro-102


clamato <strong>in</strong> sede teoretica, adottando un dualismo correlativo a<strong>gli</strong>ambiti <strong>in</strong> gioco: la conoscenza e la morale. Un mutamento cheviene fatto co<strong>in</strong>cidere dall’autore con l’ipotesi di un r<strong>in</strong>novato platonismokantiano, i cui segni premonitori possono essere r<strong>in</strong>tracciatigià nella Critica della ragion pura. In quest’o<strong>per</strong>a <strong>in</strong> effetti,allorché elaborava tematicamente la nozione di “idea” <strong>per</strong> caratterizzare<strong>gli</strong> oggetti della ragione, Kant usciva <strong>in</strong> un grande elogio delmedesimo Platone, cui attribuiva <strong>il</strong> merito di aver colto felicementelo statuto della moralità, sottraendola <strong>per</strong> sempre all’empirismo.(Mentre l’errore di Platone, secondo Kant, sarebbe stato quello diaver esteso la nozione di “idea” a tutto <strong>il</strong> campo della conoscenza).Per Landucci dunque la teoria kantiana della morale <strong>in</strong> quanto“fatto della ragione” non può essere <strong>in</strong>tesa, come vo<strong>gli</strong>ono la maggiorparte de<strong>gli</strong> <strong>in</strong>terpreti, quale creazione della ragione stessa, maè <strong>il</strong> frutto di una posizione dogmatica (di ascendenza platonica),risultato di un abbandono del criticismo, e al tempo stesso dell’adesionea quella fiducia nell’affidab<strong>il</strong>ità della ragione naturale cheaveva improntato di sé tutta l’era cartesiana e che sarà def<strong>in</strong>itivamentespezzata solo da Hegel: è quest’ultimo che, nel 1807, con laPrefazione alla Fenomenologia dello spirito, “seppellisce” al tempostesso l’<strong>in</strong>tuizione <strong>in</strong>tellettuale e la pretesa <strong>in</strong>nocenza della“coscienza naturale”.Sulla base cosí tracciata, Landucci prosegue l’analisi delle osc<strong>il</strong>lazioni,o <strong>per</strong> me<strong>gli</strong>o dire, delle “alternanze radicali” che contrassegnano<strong>il</strong> pensiero kantiano <strong>in</strong> relazione al tema della motivazione,alla dist<strong>in</strong>zione fra moralità e legalità, al passaggio dallanozione di libero arbitrio a quella di “autonomia della volontà”,anche alla luce del dibattito morale postkantiano, nelle figure diA.H. Ulrich, L. Creuzer, C.C.E. Schmid, f<strong>in</strong>o a Re<strong>in</strong>hold e aFichte, che con <strong>il</strong> Sistema della dottr<strong>in</strong>a morale elabora una dottr<strong>in</strong>adella libertà del volere che può considerarsi <strong>il</strong> punto culm<strong>in</strong>antedi tale discussione.103


Etica e medic<strong>in</strong>a. Problemi e scelte della pratica quotidiana, a curadi Dietrich von Engelhardt, 1994, Collana Saggi n. 18, 364 pp.L’ampio volume qui presentato, <strong>per</strong> la cura di Dietrich vonEngelhardt, racco<strong>gli</strong>e i contributi di un ciclo di lezioni tenute nel1989 alla Mediz<strong>in</strong>ische Universität di Lubecca, nella prospettivadell’<strong>in</strong>troduzione organica della riflessione etica nella pratica dellamedic<strong>in</strong>a. La peculiarità di tali contributi sta nel loro riferire letematiche elaborate <strong>in</strong> sede teorica – con particolare accento postosul “pr<strong>in</strong>cipio di responsab<strong>il</strong>ità” di Hans Jonas – alla specificitàdelle diverse discipl<strong>in</strong>e mediche. Una riflessione, a detta de<strong>gli</strong>stessi autori, importante sia <strong>per</strong> la comprensione fra medici e nonmedici,sia <strong>per</strong> l’autocomprensione dei medici stessi.Fritz Hartmann (Situazioni di tensione etica nell’esercizio dellaprofessione medica) discute <strong>il</strong> giuramento di Ippocrate nellediverse dimensioni del rapporto fra <strong>il</strong> bene del s<strong>in</strong>golo malato edella comunità, del rapporto fra giovare e nuocere, dell’arte dell’astensionee <strong>in</strong>f<strong>in</strong>e dell’obbligo del segreto professionale. L’autoreafferma la necessità <strong>per</strong> la formazione dei medici di un <strong>in</strong>segnamentodi etica che li renda consapevoli che <strong>il</strong> loro o<strong>per</strong>are deve<strong>in</strong>evitab<strong>il</strong>mente riferirsi a valori morali e propugna un’etica deldiscorso a<strong>per</strong>to – con <strong>il</strong> malato, con i parenti, con i colleghi, conse stesso – come l’unico metodo adeguato <strong>per</strong> accertarsi dellesituazioni di tensione morale e rispondervi <strong>in</strong> maniera consona.Christoph Weiss (Gli es<strong>per</strong>imenti su<strong>gli</strong> animali nella ricercamedica) richiama al lungo processo di civ<strong>il</strong>izzazione che abbiamoalle spalle e che ha <strong>per</strong>messo – almeno <strong>per</strong> chi vive nel mondooccidentale – di sconfiggere la fame e di com<strong>in</strong>ciare a nutrire“scrupoli morali” nei confronti de<strong>gli</strong> animali. A ciò si è affiancata,scrive l’autore, la coscienza sempre piú sv<strong>il</strong>uppata della strettaparentela dell’uomo con <strong>gli</strong> animali e la sempre maggiore disponib<strong>il</strong>itàad accordare anche a questi ultimi molte delle proprietà e104


delle facoltà dapprima attribuite solo all’uomo. Tuttavia a tale consapevolezzasi accompagna la constatazione che dobbiamo proprioa<strong>gli</strong> es<strong>per</strong>imenti su<strong>gli</strong> animali i piú importanti progressi delleattuali possib<strong>il</strong>ità terapeutiche e curative. È un dato che non puòessere eluso, <strong>per</strong> quanto occorra mettere sempre <strong>il</strong> massimo impegnonella ricerca di metodi alternativi rispetto alla s<strong>per</strong>imentazionesu<strong>gli</strong> animali, e che pone ciascuno di noi di fronte alla questione:la salute e la maggior durata della vita umana sono un bene cosígrande da compensare la sofferenza e la morte di un altro esserevivente?Udo Löhrs (Pensieri sull’etica della patologia) affronta la specificitàdella posizione del patologo, che si trova ad avere un rapportosoltanto mediato con <strong>il</strong> paziente ed una relazione diretta con<strong>il</strong> medico curante. Se questi si aspetta da lui responsi chiari e nonambigui, le difficoltà nascono da situazioni complesse, <strong>in</strong> cui subentranocomplicate valutazioni dei rischi e dei benefici legati a diagnosie terapie alternative. L’esigenza etica avanzata dall’autore èquella di un’assunzione di responsab<strong>il</strong>ità da parte del patologo,che è sí collega del medico curante, ma che deve considerarsi altempo stesso medico del paziente.Eberhard Schw<strong>in</strong>ger (Questioni etiche particolari nella geneticaumana) sottol<strong>in</strong>ea le fondamentali differenze sussistenti fra <strong>il</strong>movimento eugenetico della prima metà del XX secolo e l’attualegenetica umana. Mette <strong>in</strong>oltre <strong>in</strong> evidenza <strong>il</strong> rischio connesso allapromulgazione di leggi che viet<strong>in</strong>o <strong>in</strong> l<strong>in</strong>ea di pr<strong>in</strong>cipio qualsivo<strong>gli</strong>a<strong>in</strong>fluenza su cellule germ<strong>in</strong>ali, elim<strong>in</strong>ando <strong>in</strong> tal modo l’auspicab<strong>il</strong>epossib<strong>il</strong>ità di agire contro malattie causate a livello monogenetico.Hubert Feiereis (Parlare e scrivere nella prassi medica quotidiana:un contributo sul rapporto con la verità nella medic<strong>in</strong>a<strong>in</strong>terna e nella psicoterapia) richiama l’attenzione sull’importanzadel dialogo nel rapporto medico-paziente, dall’anamnesi f<strong>in</strong>o105


all’<strong>in</strong>formazione relativa alla malattia, alla terapia e ai suoi esiti.Decisiva è <strong>per</strong> l’autore la capacità del medico di immedesimarsi ela consapevolezza dei processi che una diagnosi affrettata, parziale,su<strong>per</strong>ficiale o addirittura errata può <strong>in</strong>nescare, con conseguenzenegative di ogni tipo a livello psicologico.G. Müller-Esch (L’etica nella medic<strong>in</strong>a <strong>in</strong>tensiva) discute i pr<strong>in</strong>cípietici connessi alla medic<strong>in</strong>a <strong>in</strong>tensiva, quali <strong>il</strong> pr<strong>in</strong>cipio di salvageab<strong>il</strong>ity,o possib<strong>il</strong>ità di salvezza del paziente, che può <strong>in</strong>durreanche all’impiego di mezzi <strong>in</strong>vasivi e aggressivi, o <strong>il</strong> pr<strong>in</strong>cipio delnih<strong>il</strong> nocere de<strong>gli</strong> antichi, <strong>in</strong> base al quale quando la salvezza o laguarigione sono fuori discussione lo sforzo del medico sarà caratterizzatodalla dedizione e dal tentativo di alleviare <strong>il</strong> dolore oancora dal rispetto dell’autonomia decisionale dell’<strong>in</strong>dividuo.Axel Fenner (Pensieri e riflessioni sulla medic<strong>in</strong>a <strong>in</strong>tensiva <strong>in</strong>pediatria) pone l’accento sulla necessità di una preparazione eticaspecifica del <strong>per</strong>sonale medico, spesso esso stesso impreparato adaffrontare la morte di giovani pazienti e <strong>il</strong> complesso rapporto coni genitori.Ulrich Knölker (Sulla responsab<strong>il</strong>ità dello psichiatra dell’età evolutiva)si riallaccia al pr<strong>in</strong>cipio di Hans Jonas – “la responsab<strong>il</strong>ità èla preoccupazione <strong>per</strong> un altro essere, riconosciuta come dovere” –allo scopo di affrontare i problemi non solo diagnostici, ma anchele complesse conseguenze che questi comportano, nei confronti digiovani con cui lo psichiatra dell’età evolutiva si trova ad agire.Horst D<strong>il</strong>l<strong>in</strong>g (Riflessioni etiche <strong>in</strong> psichiatria) considera l’<strong>in</strong>evitab<strong>il</strong>etensione sussistente fra <strong>il</strong> rispetto del diritto di libertà <strong>per</strong> imalati psichici e <strong>il</strong> loro diritto di essere curati anche contro <strong>il</strong> lorovolere. Ingeborg Retzlaff (L’o<strong>per</strong>are responsab<strong>il</strong>e del medico nellag<strong>in</strong>ecologia. Sono cambiate le nostre concezioni morali e <strong>il</strong> loro fondamentoetico?) s’<strong>in</strong>terroga sulle trasformazioni <strong>in</strong>tervenute nellag<strong>in</strong>ecologia <strong>in</strong> relazione ai cambiamenti nella società, al diversoruolo assunto dalla donna, alla presa di coscienza della necessità di106


considerare l’<strong>in</strong>sieme dei problemi della sessualità, alla consapevolezzadella dist<strong>in</strong>zione fra sessualità e riproduzione.Friedrich W. Sch<strong>il</strong>dberg (Aspetti etici nella chirurgia) prende <strong>in</strong>considerazione tre aspetti dell’etica della chirurgia, <strong>in</strong>tesa comeagire morale della medic<strong>in</strong>a o<strong>per</strong>ativa: quello della spiegazionepreo<strong>per</strong>atoria, quello delle <strong>in</strong>dicazioni <strong>per</strong> l’opportunità di un’o<strong>per</strong>azione,quello della scelta di metodi anche <strong>in</strong>vasivi nel casodelle terapie <strong>in</strong>tensive. In tutti questi casi viene <strong>in</strong> primo piano lanecessità di tener conto dell’<strong>in</strong>dividualità del paziente <strong>per</strong> mezzodi un attento esame della sua volontà e anche della sua capacità diessere <strong>in</strong>formato: comunicare al malato ciò che <strong>in</strong> ogni caso devesa<strong>per</strong>e e quello che riesce a sopportare.Hans Arnold (Problemi etici nella neurochirurgia) offre unapanoramica di alcuni dei problemi etici che la neurochirurgia sitrova ad affrontare a partire dalla morte celebrale (e del conseguenteconsenso <strong>per</strong> <strong>il</strong> prelievo di organi), f<strong>in</strong>o a<strong>gli</strong> <strong>in</strong>terventi su<strong>per</strong>sone comunque dest<strong>in</strong>ate a convivere con gravissime malformazionio a<strong>gli</strong> <strong>in</strong>terventi chirurgici su malattie del comportamentosessuale, come alternativa alla detenzione. Alla base c’è l’idea che<strong>in</strong> questo campo tanto meno viene accettata la manipolazione, <strong>in</strong>quanto nella chirurgia celebrale <strong>il</strong> paziente mette a repenta<strong>gli</strong>o lastruttura della propria <strong>per</strong>sonalità.Günter M. Losch (Sistematica ed etica nella chirurgia plastica)ri<strong>per</strong>corre lo sv<strong>il</strong>uppo di questa discipl<strong>in</strong>a, già a partire dalle testimonianzede<strong>gli</strong> antichi, <strong>in</strong> relazione al concetto di “<strong>per</strong>cezionedella forma” e ne esam<strong>in</strong>a i pr<strong>in</strong>cipali ambiti. L’autore afferma lanecessità <strong>per</strong> <strong>il</strong> chirurgo plastico di avere sensib<strong>il</strong>ità <strong>per</strong> i presuppostipsichici e sociali di colui che cerca aiuto e di conservare altempo stesso la sua autonomia <strong>per</strong> non dover soddisfare <strong>in</strong>condizionatamentele richieste del paziente.Rudolf-M. Schütz (Salute e malattia nella <strong>per</strong>sona anziana. Problemietici?) esam<strong>in</strong>a i problemi etici legati ad un’ottica gerontolo-107


gica partendo dal rifiuto di una concezione deficitaria della vecchiaiae da una riflessione sul mutamento che dovrebbe subentrarenell’immag<strong>in</strong>e dell’anziano, che andrebbe concepito come una<strong>per</strong>sona ancora <strong>in</strong> grado di dare contributi significativi alla società.Viene poi affrontata la necessità di accompagnare <strong>il</strong> paziente nelmorire, partendo dal pr<strong>in</strong>cipio <strong>per</strong> cui ad ogni dim<strong>in</strong>uzione di curemediche o ad ogni r<strong>in</strong>uncia a combattere la malattia con la scienzamedica deve corrispondere un aumento di assistenza e attenzioneumana.Otto Prib<strong>il</strong>la (Il medico tra <strong>il</strong> diritto e l’etica), muovendo dall’impossib<strong>il</strong>itàattuale di tracciare una netta separazione fra dirittoed etica, r<strong>il</strong>eva <strong>in</strong> una serie di casi limite fra ciò che è tecnicamentepossib<strong>il</strong>e e quanto è eticamente o giuridicamente <strong>per</strong>messo, lanecessità di non presc<strong>in</strong>dere mai dalla coscienza del medico e dallavalutazione del caso concreto. La dottr<strong>in</strong>a giuridica può solo porrecondizioni quadro e non può fornire alcun pr<strong>in</strong>cipio v<strong>in</strong>colante <strong>in</strong>tali situazioni limite.Dietrich von Engelhardt (Sulla sistematica e sulla storia dell’eticamedica) ricostruisce la “struttura” dell’etica medica e ne ri<strong>per</strong>correstoricamente le pr<strong>in</strong>cipali tappe, già a partire dall’antichità edal giuramento ippocratico, <strong>per</strong> giungere a stab<strong>il</strong>ire la necessità diuna fondazione dell’etica e <strong>in</strong>sieme conservare l’accortezza di nonconfondere tale fondazione con la prassi: occorre <strong>per</strong> l’autoreaccettare <strong>il</strong> divario fra la norma e la realtà e porre la massima attenzioneall’applicazione pratica dell’etica nella medic<strong>in</strong>a.Il resistib<strong>il</strong>e decl<strong>in</strong>o decl<strong>in</strong>o dell’università, a cura di GerardoMarotta e Livio Sichirollo, 1999, Collana Saggi n. 33, 401 pp.In un’epoca <strong>in</strong> cui l’istituto universitario, oltre a quello dellascuola piú <strong>in</strong> generale, è oggetto d’<strong>in</strong>f<strong>in</strong>ite discussioni e di diversi108


progetti di riforma, si sente <strong>il</strong> bisogno – scrive Livio Sichirollo nell’Introduzioneal volume – di riaprire <strong>il</strong> dibattito, portandolo sulpiano alto del suo significato culturale e sociale, con l’aiuto di chi,<strong>in</strong> tempi e <strong>in</strong> campi diversi, ha offerto a questa materia seri motividi riflessione.Apre la s<strong>il</strong>loge lo scritto di Federico Cesi, dedicato all’istituzionedell’Accademia dei L<strong>in</strong>cei (1603), cui si affida <strong>il</strong> compito direalizzare le condizioni ut<strong>il</strong>i al progresso scientifico, elim<strong>in</strong>ando <strong>gli</strong>ostacoli, anche materiali, che ad esso si oppongono, “i difetti egl’impedimenti che sí rara rendono tra gl’huom<strong>in</strong>i la <strong>per</strong>fettionedel sa<strong>per</strong>e, ancorché bramata naturalmente da tutti”. Seguono duescritti di Ernest Renan, rispettivamente del 1864 e del 1875, <strong>il</strong> cu<strong>il</strong>o storico del cristianesimo analizza lo stato dell’istruzione su<strong>per</strong>iore<strong>in</strong> Francia, dalle sue orig<strong>in</strong>i medioevali f<strong>in</strong>o alla svolta dellaRivoluzione francese: l’autore prende qui le distanze con occhiocritico dall’esprit che caratterizzerebbe <strong>il</strong> suo popolo, piú attentoalla forma che alla sostanza, mentre si rivolge <strong>in</strong>vece con grandeammirazione al modello dell’Università tedesca.Anche Pasquale V<strong>il</strong>lari, nello scritto del 1866 dal titolo L’<strong>in</strong>segnamentouniversitario e le riforme, guarda alla Germania come al paesedella vita e della libertà universitaria e constata l’<strong>in</strong>capacità, anchedopo l’unificazione del paese, “di far nascere nel seno delle nostreuniversità una vera vita scientifica”. Lo studioso focalizza la sua critica,come faranno poi altri autori presentati <strong>in</strong> questo stesso volume,sul sistema stesso de<strong>gli</strong> esami: <strong>in</strong> primo luogo dichiara la necessità diseparare <strong>il</strong> corpo esam<strong>in</strong>ante dal corpo <strong>in</strong>segnante, <strong>per</strong> far sí che nonsussista un potere che debba ve<strong>gli</strong>are su se stesso. In secondo luogo,affrontandone la natura stessa – <strong>in</strong> particolare nella forma da essoassunta nel nostro ord<strong>in</strong>amento – mette <strong>in</strong> luce <strong>il</strong> meccanismo <strong>per</strong>versoche f<strong>in</strong>isce <strong>per</strong> fare della lezione semplicemente un “apparecchioall’esame” e di quest’ultimo una semplice ripetizione mnemonicadi ciò che <strong>il</strong> professore ha ripetuto nella lezione.109


Francesco De Sanctis, nel <strong>testo</strong> di una famosa prolusione pronunciataa Napoli nel 1872, s’<strong>in</strong>terroga, hegelianamente, sul nessofra la scienza e la vita <strong>in</strong> diverse epoche storiche, ricordando che“la scienza non può germo<strong>gli</strong>are senza una patria, che le dà la suafisionomia e la sua orig<strong>in</strong>alità. E là dove cresce bastarda e presa adimprestito, non ha fisionomia, e rimane fuori di noi, non o<strong>per</strong>a <strong>in</strong>noi, non riscalda <strong>il</strong> cervello”.Di S<strong>il</strong>vio Spaventa vengono riportati i discorsi pronunciati allaCamera dei deputati nel 1884 <strong>in</strong>torno al disegno di legge Baccellisull’istruzione su<strong>per</strong>iore e <strong>in</strong> particolare sul problema molto dibattutodell’autonomia universitaria. Un’autonomia che, <strong>per</strong> unverso, si vede monca e im<strong>per</strong>fetta nella mancanza di una vera epropria <strong>in</strong>dipendenza sia f<strong>in</strong>anziaria, sia statutaria, e che <strong>per</strong> l’altrosi ritiene concettualmente erronea nella sua volontà di scio<strong>gli</strong>erele Università dall’organismo dello Stato, senza tener contodel necessario legame che deve unire l’alta cultura alla massimaeducazione scientifica delle “speciali professioni sociali”.Antonio Labriola, nel discorso <strong>in</strong>augurale tenuto presso lafacoltà di Lettere e F<strong>il</strong>osofia dell’Università di Roma nel 1896,prende ad oggetto <strong>il</strong> tema della libertà dell’<strong>in</strong>segnamento, affermandol’impossib<strong>il</strong>ità di stab<strong>il</strong>ire limiti preconcetti allo sv<strong>il</strong>uppodell’attività scientifica: “Nessun regolamento segnerà limiti maiall’es<strong>per</strong>imentazione naturalistica, alla comb<strong>in</strong>azione f<strong>il</strong>ologica,alla escogitazione f<strong>il</strong>osofica, alla <strong>il</strong>lazione giuridica, alla costruzionestorica, alla critica, o etica, o politica o economica, dei fattie delle condizioni sociali”. D’altro canto sottol<strong>in</strong>ea come <strong>gli</strong> stessiprofessori, <strong>gli</strong> stessi scienziati, siano “vissuti dalla storia”, “la solae reale signora di noi uom<strong>in</strong>i tutti”, e come dunque occorra arrendersialla <strong>per</strong>suasione “che i professori non dispongono di alcunaleva <strong>per</strong> muovere a posta loro la società”.Sempre profonda fu la conv<strong>in</strong>zione di Benedetto Croce – di cuiqui vengono riproposti tre scritti composti fra <strong>il</strong> 1906 e <strong>il</strong> 1921 –110


che <strong>il</strong> risve<strong>gli</strong>o f<strong>il</strong>osofico dovesse essere, <strong>in</strong> Italia, o<strong>per</strong>a soprattuttodi “laici”, cioè di non universitari, e di universitari solo <strong>in</strong> quantosi sentano anch’essi laici, <strong>in</strong>tatti dalle mesch<strong>in</strong>e passioni delmestiere e della clientela. Naturalmente non si tratta, <strong>per</strong> Croce, dicombattere l’università, <strong>per</strong>ché, contro i mali propri di quest’ultima,“bisogna <strong>in</strong>vocare e cercare <strong>il</strong> rimedio, non già nella distruzionedi un istituto, ma nel sentimento della dignità, nella libertà<strong>in</strong>teriore, nello scrupolo morale, nella forza del volere”.Ancora contro <strong>il</strong> sistema de<strong>gli</strong> esami, proprio di una vecchia tradizioneitaliana, consistenti nel ripetere, a richiesta del professore,ciò che questi è andato esponendo nel suo corso, si rivolge <strong>il</strong> grecistaGiorgio Pasquali, <strong>in</strong> due saggi del 1920 e del 1922. Un cattivomodello che si vuole fi<strong>gli</strong>o della Controriforma, della scuoladei preti quale fu nel Seicento e nel Settecento, cui Pasquali contrapponel’idea della lezione come di un “libro <strong>in</strong> fieri”, <strong>in</strong> cui “<strong>il</strong>discente scorge come nella mente del maestro un pensiero rampollida un altro e ne produca, organicamente, un terzo, come questo,<strong>in</strong>trecciandosi a un altro, dia orig<strong>in</strong>e a tutta una nuova seriecausale”.In una serie di scritti del 1922 Piero Calamandrei s’<strong>in</strong>terroga suiproblemi didattici che si prospettano ne<strong>gli</strong> studi giuridici, neiquali da un lato bisognerebbe offrire a<strong>gli</strong> studenti dei corsi propedeuticiche li <strong>in</strong>troducano alla stessa term<strong>in</strong>ologia del diritto, adessi <strong>in</strong> genere completamente sconosciuta, dall’altro sostituire allalezione-monologo del professore, una lezione-dialogo che verta <strong>in</strong>primo luogo sulla discussione di casi pratici. Ma <strong>il</strong> giurista, oltrealla grande attenzione mostrata <strong>per</strong> la didattica, discute anche deisistemi di cooptazione dei docenti universitari e <strong>in</strong> particolarede<strong>gli</strong> svantaggi del “sistema della chiamata” rispetto a quello deiconcorsi: esso appare “non solo di fatto, ma anche di diritto, congegnato<strong>in</strong> modo da far prevalere non <strong>il</strong> mi<strong>gli</strong>ore, ma <strong>il</strong> piú gradito,non <strong>il</strong> piú alto nella scala dei valori <strong>in</strong>tellettuali, ma <strong>il</strong> piú simpa-111


tico ai membri della facoltà; non <strong>il</strong> piú degno maestro <strong>per</strong> <strong>gli</strong> studenti,ma <strong>il</strong> piú comodo collega <strong>per</strong> i professori”.In pag<strong>in</strong>e <strong>per</strong>vase da una grande passione civ<strong>il</strong>e Adolfo Omodeoricostruisce, rivolgendosi nel 1944 al pubblico americano, la situazionedella gioventú italiana dopo l’es<strong>per</strong>ienza del ventennio fascistae della guerra, e quella della vita universitaria. Fiducioso nellaripresa della giovane generazione, che ha saputo reagire all’istupidimentodi una tirannide ventennale e di forme di educazione m<strong>il</strong>itaristica,Omodeo <strong>in</strong>dica la necessità di ricreare un costume d<strong>il</strong>ibertà, di avvezzare i giovani ad un libero dibattito, all’associazione,all’<strong>in</strong>iziativa. Affronta <strong>in</strong>oltre <strong>il</strong> problema, già manifestodurante <strong>il</strong> fascismo, della crisi di sovrapproduzione di laureati, cu<strong>il</strong>’autore replica con <strong>il</strong> richiamo alla libera circolazione e al liberoimpiego <strong>in</strong> tutte le parti del mondo di uom<strong>in</strong>i, capitali e merci, nell’orientamentoche si vuole proprio de<strong>gli</strong> spiriti su<strong>per</strong>iori <strong>in</strong> Italia,verso una collaborazione <strong>in</strong>ternazionale, e <strong>in</strong> particolare “un piústretto legame fra i popoli europei; una federazione che garantiscauna lunga pace allo sventurato cont<strong>in</strong>ente e faccia <strong>il</strong> possib<strong>il</strong>e <strong>per</strong>riassorbire al consorzio dell’umana civ<strong>il</strong>tà anche <strong>il</strong> popolo tedesco”.La morte dell’Università – che può addolorare, ma non meravi<strong>gli</strong>are– è decretata da Pietro Piovani nel suo lungo saggio del1979, <strong>in</strong> cui viene ricostruita la storia di questa istituzione, nellesue diverse configurazioni attraverso i secoli. In particolare l’autore<strong>in</strong>siste sul fatto che l’Università che noi vediamo oggi soccombereè <strong>il</strong> modello affermatosi nel corso dell’Ottocento (giàseparato, con netta soluzione di cont<strong>in</strong>uità, dalla tradizione universitariamedievale), che doveva la sua riuscita alla “omogeneitàsostanziale dei costumi, delle abitud<strong>in</strong>i, delle provenienze, delleaspirazioni, conviventi, nella generalità, pur sotto la divisionede<strong>gli</strong> ideali, delle dottr<strong>in</strong>e, delle passioni, de<strong>gli</strong> <strong>in</strong>teressi”. Un’omogeneitàche la scolaresca “delocalizzata” dell’Università novecentescanon possiede piú.112


In un saggio del 1973 Eric We<strong>il</strong> <strong>in</strong>siste sul valore delle discipl<strong>in</strong>eumanistiche <strong>per</strong> l’Università, <strong>in</strong> quanto sono esse sole a dare“legittimità a tutto <strong>il</strong> resto; <strong>in</strong>fatti, è solo qui che <strong>il</strong> senso e <strong>il</strong> valoredelle azioni umane possono essere discussi e stab<strong>il</strong>iti”. Se <strong>il</strong> valoredella scienza e dell’obiettività costituiscono <strong>il</strong> nostro valore fondamentale,non di meno va considerato che nessun sistema è <strong>in</strong> gradodi provare la validità dei propri assiomi: è qui che <strong>in</strong>terviene <strong>il</strong>lavoro della f<strong>il</strong>osofia e della storia, quelle discipl<strong>in</strong>e <strong>in</strong> cui l’uomonon è piú o non è solo oggetto di ricerca, ma anche soggetto didecisione e di riflessione.In una prospettiva del tutto orig<strong>in</strong>ale si pone <strong>il</strong> saggio dell’urbanistaGiancarlo De Carlo (1973), che s’<strong>in</strong>terroga sull’opportunitàdi ripensare completamente l’idea di università, visto che nessunpaese appare oggi <strong>in</strong> grado di re<strong>per</strong>ire le risorse necessarie <strong>per</strong>una d<strong>il</strong>atazione abnorme del modello tradizionale, capace di assorbirel’enorme numero di studenti che aspirano all’istruzione su<strong>per</strong>iore.L’autore ne propone dunque la trasformazione <strong>in</strong> un organismoa<strong>per</strong>to e diffuso (anche urbanisticamente), capace di favorireun processo sensib<strong>il</strong>e alle variazioni dell’evoluzione scientifica edella dialettica politica.Chiudono la raccolta due saggi, di Hans-Georg Gadamer e diGiovanni Pu<strong>gli</strong>ese Carratelli, entrambi del 1987, scritti <strong>in</strong> occasionedel decennale della fondazione dell’<strong>Istituto</strong> <strong>Italiano</strong> <strong>per</strong> <strong>gli</strong><strong>Studi</strong> F<strong>il</strong>osofici. Gadamer <strong>in</strong>dividua due diversi <strong>per</strong>icoli <strong>per</strong> laf<strong>il</strong>osofia – <strong>il</strong> vedersi assorbita dai grandi impegni dell’<strong>in</strong>segnamentorichiesti dall’università di massa, e <strong>il</strong> chiudersi ermeticamente<strong>in</strong> un ambito specialistico – e saluta nell’es<strong>per</strong>ienza dell’<strong>Istituto</strong>un’opportunità preziosa di risve<strong>gli</strong>are la nostra “coscienzaermeneutica”.Dal canto suo Pu<strong>gli</strong>ese Carratelli mette <strong>in</strong> guardia da que<strong>gli</strong>idola fori che <strong>in</strong>ducono a ravvisare ne<strong>gli</strong> istituti universitari e accademicie <strong>in</strong> altri pubblici “organi di ricerca” le sedi naturali e pri-113


marie dell’<strong>in</strong>dag<strong>in</strong>e scientifica e le forze promotrici di progressodel sa<strong>per</strong>e. L’università è certo <strong>in</strong>sostituib<strong>il</strong>e <strong>per</strong> quel che concernel’attribuzione di titoli accademici aventi valore legale, ma non puòtrascurare <strong>il</strong> fatto che storicamente sco<strong>per</strong>te e <strong>in</strong>novazioni sonoavvenute anche al di fuori dell’università, nella sfera della liberaricerca. D’altra parte l’autore ricorda che quella del libero <strong>in</strong>segnamentoè una tradizione molto antica e radicata a Napoli, rivitalizzatadallo stesso Croce, con la creazione dell’<strong>Istituto</strong> <strong>Italiano</strong><strong>per</strong> <strong>gli</strong> <strong>Studi</strong> Storici. È <strong>in</strong> questa tradizione, <strong>in</strong> una “<strong>in</strong>tima adesionea<strong>gli</strong> ideali civ<strong>il</strong>i della Napoli europea de<strong>gli</strong> ultimi anni delSettecento”, che si pone l’<strong>in</strong>iziativa di Gerardo Marotta, nella conv<strong>in</strong>zioneche la promozione della ricerca scientifica non possanascere che dal confronto, e – secondo un’immag<strong>in</strong>e della Settimalettera di Platone cara anche a Gadamer – dall’attrito delle teorie,delle def<strong>in</strong>izioni, delle <strong>in</strong>terpretazioni.114


7.FILOSOFIA E LINGUAGGIO115


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Di fronte al progresso delle scienze l<strong>in</strong>guistiche e all’ipotesi diun sistema di segni che f<strong>in</strong>isce <strong>per</strong> serrarsi su se stesso, si fa pressantenella riflessione contemporanea l’esigenza di riaprire <strong>il</strong> camm<strong>in</strong>odel l<strong>in</strong>guaggio verso la realtà, verso <strong>il</strong> soggetto vivente, versola comunità umana. L’attenzione al <strong>testo</strong>, <strong>in</strong> particolare quello letterario,avvalora l’ipotesi di un <strong>in</strong>cremento di senso realizzato dallascrittura rispetto al discorso orale e apre all’analisi dell’<strong>in</strong>tersezionefra <strong>il</strong> mondo del <strong>testo</strong> e quello del lettore. In maniera ancorapiú radicale, nel saggio di Riedel dedicato a Nietzsche l’es<strong>per</strong>ienzapoetica diviene la via priv<strong>il</strong>egiata attraverso cui <strong>il</strong> f<strong>il</strong>osofo arriva aco<strong>gli</strong>ere <strong>il</strong> proprio pensiero.Paul Ricoeur, F<strong>il</strong>osofia e l<strong>in</strong>guaggio, a cura di Domenico Jervol<strong>in</strong>o,1994, Collana Saggi n. 16, 232 pp.Nella prospettiva piú propriamente l<strong>in</strong>guistica della comunicazionee delle sue aporie s’<strong>in</strong>serisce la ricerca di Paul Ricoeur, dellacui preziosa collaborazione l’<strong>Istituto</strong> si è avvalso con cont<strong>in</strong>uità f<strong>in</strong>dal 1984. Nell’Introduzione di Domenico Jervol<strong>in</strong>o l’ermeneuticafenomenologica dell’autore viene ricostruita nelle sue diverse fasi,a partire dalla svolta compiuta a cavallo de<strong>gli</strong> anni Sessanta f<strong>in</strong>o117


alla ricerca piú propriamente ontologica dell’ultimo Ricoeur: dauna prima fase che assume come oggetto priv<strong>il</strong>egiato <strong>il</strong> simbolo,f<strong>in</strong>o all’elaborazione di una teoria generale del <strong>testo</strong>, l’it<strong>in</strong>erario diRicoeur resta <strong>per</strong> Jervol<strong>in</strong>o un camm<strong>in</strong>o “nel e attraverso <strong>il</strong> l<strong>in</strong>guaggio”,nei suoi molteplici aspetti, ivi <strong>in</strong>cluso un serrato confrontocon la f<strong>il</strong>osofia analitica, che fa di Ricoeur uno dei pochipensatori capaci di compiere un <strong>in</strong>nesto fra f<strong>il</strong>osofia anglosassonee f<strong>il</strong>osofia cont<strong>in</strong>entale. Ne sono testimonianza, <strong>in</strong> questa raccolta,<strong>il</strong> saggio Husserl e Wittgenste<strong>in</strong> sul l<strong>in</strong>guaggio (1967), o <strong>il</strong> saggiodel 1971, dal titolo Fenomenologia del volere e approccio mediante<strong>il</strong> l<strong>in</strong>guaggio ord<strong>in</strong>ario.Di questo complesso it<strong>in</strong>erario la presente raccolta <strong>il</strong>lustraalcuni dei momenti pr<strong>in</strong>cipali. Fondamentale <strong>il</strong> primo saggio, del1978, che dà <strong>il</strong> titolo alla raccolta. In esso l’autore affronta i presuppostimetodologici della l<strong>in</strong>guistica strutturale. L’idea che lal<strong>in</strong>gua, <strong>in</strong> quanto sistema di segni, vada considerata come unsistema chiuso, al cui <strong>in</strong>terno sussistono solo relazioni di dipendenzareciproca, implica evidentemente la tendenza ad allentare,se non addirittura ad abbattere, <strong>il</strong> legame fra <strong>il</strong> segno e la cosa. Difronte a tale prospettiva Ricoeur attribuisce alla f<strong>il</strong>osofia <strong>il</strong> compitodi “riaprire <strong>il</strong> camm<strong>in</strong>o” al tempo stesso verso la realtà, verso <strong>il</strong>soggetto vivente e <strong>in</strong>f<strong>in</strong>e verso la comunità umana. Il postulato delsistema proprio della l<strong>in</strong>guistica strutturale, implica <strong>in</strong>fatti,secondo Ricoeur, anche un’elusione della questione del soggetto:relegato sul versante della parole, vale a dire su quel versante cont<strong>in</strong>gentedel l<strong>in</strong>guaggio che esula dal campo della l<strong>in</strong>guistica, essof<strong>in</strong>isce <strong>per</strong> divenire oggetto esclusivo della psicologia. Al tempostesso <strong>il</strong> venir meno della relazione fra <strong>il</strong> l<strong>in</strong>guaggio e <strong>il</strong> soggetto hacome complemento <strong>il</strong> venir meno della relazione con l’altro, consideratocome seconda <strong>per</strong>sona cui la parole viene <strong>in</strong>dirizzata.Rispetto a questa chiusura va ritrovata, secondo Ricoeur, quellache cont<strong>in</strong>ua ad essere la funzione essenziale del l<strong>in</strong>guaggio, <strong>il</strong> suo118


costituire, <strong>per</strong> noi che parliamo, la mediazione dell’uomo con <strong>il</strong>mondo, la mediazione fra uomo e uomo, la mediazione dell’uomocon se stesso.Il recu<strong>per</strong>o dell’<strong>in</strong>telligenza di questa triplice mediazione puòavvenire, secondo l’autore, a partire dal tentativo compiuto dalgrande sanscritista francese Ém<strong>il</strong>e Benveniste di sottrarre <strong>il</strong> concettosaussuriano di parole alla sua natura semplicemente residualee di dist<strong>in</strong>guere fra una l<strong>in</strong>guistica della langue e una l<strong>in</strong>guisticadella parole, appunto, o come dice Benveniste, deldiscorso. Tale dist<strong>in</strong>zione fa riferimento a due differenti livellidel l<strong>in</strong>guaggio, fondati su due tipi di unità: da una parte i segni,dall’altra le frasi o enunciati (corrispondenti allo sdoppiamentodella l<strong>in</strong>guistica <strong>in</strong> semantica e semiologia o semiotica). A differenzadel segno, che ha un carattere dist<strong>in</strong>tivo, la frase possiedeuna funzione di s<strong>in</strong>tesi e <strong>il</strong> suo carattere specifico è di essere unpredicato. Nella proprietà della frase di costituire un atto troviamo– secondo Ricoeur – <strong>il</strong> punto d’appoggio <strong>per</strong> tornare aconsiderare <strong>il</strong> carattere <strong>in</strong>tenzionale del discorso e la sua funzionecomunicativa.Tuttavia la stessa dist<strong>in</strong>zione fra semiotica e semantica non vaoltre la frase, che resta <strong>per</strong> entrambe l’entità l<strong>in</strong>guistica di livellopiú alto. Per recu<strong>per</strong>are <strong>il</strong> senso pieno del l<strong>in</strong>guaggio occorreallora secondo Ricoeur compiere un passo ulteriore: <strong>il</strong> l<strong>in</strong>guaggioconcreto, <strong>in</strong>fatti, si effettua all’<strong>in</strong>terno di <strong>in</strong>siemi piú vasti, vale adire i testi o le o<strong>per</strong>e. È a questo livello che va riconsiderata la triplicemediazione summenzionata. Quanto al primo punto, quellodella mediazione fra uomo e mondo, la tesi sostenuta da Ricoeur èche <strong>il</strong> potere di referenza non rappresenta un carattere esclusivodel discorso descrittivo, e che anche le o<strong>per</strong>e poetiche designanoun mondo. L’o<strong>per</strong>a poetica, scrive Ricoeur contro la tesi correntesecondo cui <strong>il</strong> l<strong>in</strong>guaggio della poesia non ha rapporto che con sestesso, dispiega essa stessa un mondo, a condizione, tuttavia, che119


sia sospesa la referenza del discorso descrittivo. In senso fenomenologico,l’epoché della realtà quotidiana, fatta di oggetti dist<strong>in</strong>ti emanipolab<strong>il</strong>i, rappresenta la condizione necessaria aff<strong>in</strong>ché la poesiasv<strong>il</strong>uppi un mondo a partire dallo stato d’animo che <strong>il</strong> poetaarticola con le sue parole. Sulla funzione creativa del l<strong>in</strong>guaggiopoetico s’<strong>in</strong>nesta <strong>in</strong>oltre l’<strong>in</strong>terpretazione della metafora, su cu<strong>il</strong>’autore si sofferma ampiamente anche nel saggio del 1975, Parolae simbolo. Qui Ricoeur analizza <strong>il</strong> concetto di simbolo alla luce diquello di metafora, a partire da una profonda revisione della concezionericevuta dalla tradizione antica, vale a dire spostando <strong>il</strong>problema della metafora da una semantica della parola ad unasemantica del discorso. A differenza della lettura tradizionale, lametafora <strong>per</strong> Ricoeur è un fenomeno di predicazione e come taleprocede dalla tensione fra tutti i term<strong>in</strong>i di un enunciato. La metaforanon è allora “deviazione dal senso letterale delle parole”, maprocede dal prodursi di un conflitto fra due <strong>in</strong>terpretazioni dellostesso enunciato. La metafora è riduzione dello scarto fra due idee<strong>in</strong>compatib<strong>il</strong>i, e da questo punto di vista la metafora viva è creazionedi senso, arricchimento della polisemia delle parole. È allorapossib<strong>il</strong>e ridef<strong>in</strong>ire <strong>il</strong> rapporto fra metafora e simbolo: la prima èla “predicazione bizzarra”, la libera <strong>in</strong>venzione del discorso, mentre<strong>il</strong> secondo è e rimane sempre legato alle “configurazioni delcosmo”. Nel simbolo l’aspetto semantico rimane sempre connessoall’aspetto non semantico. La metafora è allora “soltanto la su<strong>per</strong>ficiel<strong>in</strong>guistica che deve alla bi-dimensionalità <strong>il</strong> potere di collegare<strong>il</strong> semantico al pre-semantico nel profondo dell’es<strong>per</strong>ienzaumana”.A questo fondo dell’es<strong>per</strong>ienza umana già si richiamava Ricoeur<strong>in</strong> un importante saggio del 1971, Discorso e comunicazione. Considerandola specificità del punto di vista f<strong>il</strong>osofico sul l<strong>in</strong>guaggio,Ricoeur scrive che la comunicazione viene problematizzata <strong>in</strong>maniera radicale solo quando, rompendo con ogni rappresenta-120


zione quasi fisica del messaggio, ci formiamo con Leibniz e Husserll’idea di due monadi, ossia di due serie di eventi psichici, taliche nessun evento dell’una possa appartenere anche all’altra. Soloallora la comunicazione diviene problema, enigma, meravi<strong>gli</strong>a. Sitratta dunque di comprendere <strong>il</strong> discorso come trasgressione dell’<strong>in</strong>comunicab<strong>il</strong>itàmonadica, come su<strong>per</strong>amento di un limite, diuna distanza <strong>in</strong> un certo senso <strong>in</strong>su<strong>per</strong>ab<strong>il</strong>e. Attraverso un complessoit<strong>in</strong>erario che parte dalla l<strong>in</strong>guistica del discorso di Benveniste,passando <strong>per</strong> Frege e Husserl, Ricoeur arriva alla conclusioneche ciò che è essenzialmente comunicab<strong>il</strong>e con <strong>il</strong> discorso è<strong>il</strong> noetico, la parte <strong>in</strong>tenzionale della vita che è articolab<strong>il</strong>e <strong>in</strong> unlogos. D’altra parte l’<strong>in</strong>comunicab<strong>il</strong>e è lo psichico <strong>in</strong> quanto tale,vale a dire la parte non <strong>in</strong>tenzionale della vita, <strong>il</strong> modo del vissutodi <strong>in</strong>trecciarsi con se stesso. “Lo psichico, <strong>in</strong> breve, è la solitud<strong>in</strong>edella vita, che, a <strong>in</strong>termittenza, viene soccorso dal miracolo del discorso”.Avendo cosí portato ad evidenza quella che e<strong>gli</strong> def<strong>in</strong>isce “lamira ontologica” del l<strong>in</strong>guaggio, Ricoeur aggiunge che è proprioda questo punto di vista che si prospetta la possib<strong>il</strong>ità di una riconquistadel soggetto, cosí come dell’<strong>in</strong>tersoggettività. Qui non sitratta piú del soggetto rifiutato dallo strutturalismo, un soggettotrascendentale che si erige come orig<strong>in</strong>e del senso e padrone deldiscorso. Ciò che va compreso nel discorso, <strong>in</strong> un <strong>testo</strong>, <strong>in</strong> un’o<strong>per</strong>a,non è <strong>per</strong> prima cosa <strong>il</strong> soggetto che vi si esprime, ma piuttosto<strong>il</strong> mondo che <strong>il</strong> <strong>testo</strong> dispiega davanti a sé. Mettendo l’accentosul mondo del <strong>testo</strong> come rivelazione di un nuovo essere almondo, noi prepariamo un ritorno al soggetto misurato precisamentedal riconoscimento della funzione ermeneutica primaria,quella di dire <strong>il</strong> mondo, prima di dire <strong>il</strong> suo soggetto.A questi temi sono dedicati <strong>gli</strong> ultimi saggi della raccolta. Lavita: un racconto <strong>in</strong> cerca di un narratore (1984) propone di ripensare<strong>il</strong> legame <strong>in</strong>genuo da sempre stab<strong>il</strong>ito fra vita e narrazione <strong>in</strong>121


modo da ridef<strong>in</strong>ire la f<strong>in</strong>zione come ciò che contribuisce a faredella vita, <strong>in</strong> senso biologico, una vita umana. Il punto di partenzaè <strong>il</strong> concetto di costruzione dell’<strong>in</strong>treccio, tratto dalla Poetica di Aristotelee considerato non come una struttura statica, ma comeun’o<strong>per</strong>azione, un processo <strong>in</strong>tegratore che trova compimentosolo nel lettore o nello spettatore. La tesi cui Ricoeur approda èche <strong>il</strong> senso o <strong>il</strong> significato di un racconto scaturisce dall’<strong>in</strong>tersezionedel mondo del <strong>testo</strong> e di quello del lettore.Il saggio Mimesis, referenza e rifigurazione <strong>in</strong> “Tempo e racconto”(1990) affronta <strong>il</strong> tema della transizione dalla “configurazione narrativa”(l’organizzazione <strong>in</strong>terna di un <strong>testo</strong> narrativo sulla base dicodici identificab<strong>il</strong>i mediante l’analisi strutturale) alla “rifigurazionenarrativa” (<strong>il</strong> potere che ha <strong>il</strong> racconto di riorganizzare lanostra es<strong>per</strong>ienza temporale, nel duplice senso di mettere allo sco<strong>per</strong>tole profondità di questa es<strong>per</strong>ienza e di trasformarne l’orientamento).Il saggio Retorica, poetica, ermeneutica (1986) mette l’accentosui caratteri dist<strong>in</strong>tivi delle tre discipl<strong>in</strong>e. Partendodall’impossib<strong>il</strong>ità di un punto di vista totalizzante che le assim<strong>il</strong><strong>il</strong>’una all’altra, ne considera <strong>per</strong>ò le possib<strong>il</strong>ità molteplici d’<strong>in</strong>tersezione.Nell’ultimo saggio, Elogio della lettura e della scrittura(1989), <strong>in</strong> risposta all’attacco che Platone conduce nel Fedro controla scrittura, Ricoeur argomenta che essa rappresenta <strong>in</strong> uncerto senso <strong>il</strong> dest<strong>in</strong>o <strong>in</strong>eluttab<strong>il</strong>e del discorso. F<strong>in</strong> da quandoqualcuno parla, <strong>il</strong> senso di ciò che ha detto è già <strong>in</strong>iziato a sfuggireall’evento evanescente di parole; è questa esteriorità virtuale deldetto rispetto al dire che annuncia <strong>il</strong> racco<strong>gli</strong>ersi del detto nelloscritto. La scrittura non è allora alienazione, ma <strong>per</strong> molti versi<strong>in</strong>cremento rispetto al discorso. Se lo scritto, poi, come diceva Platone,è orfano e non ha nessuno che possa soccorrerlo, ebbene,secondo Ricoeur questo soccorso può giunger<strong>gli</strong> proprio dal lettore,che a sua volta aggiunge qualcosa alla scrittura, cosí comequesta ha <strong>in</strong>crementato la potenza del dire.122


Luciano Anceschi, C<strong>in</strong>que lezioni sulle istituzioni letterarie. Breveproposta di dialogo fenomenologico, 1989, Collana Saggi n.1, 77pp.Considerato come una delle maggiori <strong>per</strong>sonalità dell’estetica edella letteratura del Novecento italiano, Luciano Anceschi è statoanimatore di un <strong>in</strong>dirizzo di pensiero neofenomenologico,modello di a<strong>per</strong>tura <strong>in</strong>terdiscipl<strong>in</strong>are e di sensib<strong>il</strong>ità ai fermentivitali della poesia e delle arti <strong>in</strong> genere. Illum<strong>in</strong>ante esempio di taleapproccio sono le lezioni qui pubblicate, tenute a Napoli pressol’<strong>Istituto</strong> dal 5 al 10 ottobre 1987: fenomenologia delle istituzion<strong>il</strong>etterarie nel loro duplice senso di “pr<strong>in</strong>cipio” – com<strong>in</strong>ciamento ofondazione – e di “complesso di norme”, <strong>in</strong>dagate a partire dallariflessione stessa dei poeti sul loro o<strong>per</strong>are, nella conv<strong>in</strong>zione dellastrettissima connessione esistente fra <strong>il</strong> loro “dire” e <strong>il</strong> loro “fare”.Proposte che nascono dunque, secondo <strong>il</strong> proposito dell’autore,non da un’elaborazione astrattamente logica, ma da un’attenzionecont<strong>in</strong>ua al movimento e alle variazioni <strong>in</strong>f<strong>in</strong>ite della vita reale, vissutadella poesia, <strong>in</strong> primo luogo attraverso la riflessione che lapoesia esercita cont<strong>in</strong>uamente su se stessa.Si tratta <strong>per</strong> Anceschi di trovare un orizzonte di significazioneche ci consenta di recu<strong>per</strong>are tutto lo svolgimento di una cospicuariflessione (quella dei poeti sul loro o<strong>per</strong>are, appunto) che f<strong>in</strong>orasembra essere rimasta <strong>in</strong> larga misura nascosta. Una lettura chenon può dunque identificarsi con quella che troppo spesso ha prevalsonell’ambito dell’estetica, caratterizzata – nelle sue configurazioniclassiciste e <strong>in</strong> quelle romantiche, <strong>in</strong> quelle idealiste e <strong>in</strong>quelle strutturaliste – da un approccio un<strong>il</strong>aterale, univoco, universalizzantee <strong>in</strong> qualche modo dogmatico.Il primo passo da compiere è dunque una epoché neofenomenologica,che metta tra parentesi tutti quei significati relativi alleistituzioni letterarie che si presentano come assoluti, e consenta di123


optare <strong>per</strong> “r<strong>il</strong>ievi circostanziati e molto precisi, colti sul fare concretoquale si dà nell’es<strong>per</strong>ienza cont<strong>in</strong>ua che ne fanno i poeti eche ne facciamo noi lettori nel gioco delle <strong>in</strong>terpretazioni”. La diffidenza<strong>per</strong> ogni sistema chiuso e <strong>il</strong> priv<strong>il</strong>egio accordato alla paroladel poeta non significano <strong>per</strong>ò esclusione dello spirito di sistema,che anzi l’autore si propone di recu<strong>per</strong>are. Nell’idea di sistematicità,che si sostituisce cosí a quella di sistema impositivo, dogmatico,Anceschi vede prof<strong>il</strong>arsi un ord<strong>in</strong>e a<strong>per</strong>to, senza valori pregiudicati,ma una verità “che sa di costruirsi giorno <strong>per</strong> giorno, chesa anche ogni momento esser corretta o riveduta, trasformata oarricchita”. Né la diffidenza verso una normativa astrattamente fissataed estranea all’o<strong>per</strong>are dell’artista si traduce nell’ipotesi diuna mancanza di regole: certe regole, scrive l’autore, o<strong>per</strong>anoanche nelle scelte che si vo<strong>gli</strong>ono piú libere, esistono regole anchenel lavoro di chi si dichiara piú anarchico e contrario alle istituzioni.Tale approccio, segnato dalla volontà di non applicare alla poesiaschemi concettuali ad essa esteriori, <strong>per</strong>mette di giungere ad unrisultato fondamentale, vale a dire alla constatazione che la genesidei pr<strong>in</strong>cípi e delle istituzioni è all’<strong>in</strong>terno dell’o<strong>per</strong>are, dell’o<strong>per</strong>astessa nel suo impegno <strong>per</strong> determ<strong>in</strong>arsi e caratterizzarsi entro <strong>il</strong>tessuto <strong>in</strong> cui si è trovata a nascere. Ma se <strong>il</strong> discorso sulle istituzion<strong>in</strong>asce all’<strong>in</strong>terno stesso della poesia, <strong>in</strong> una corrispondenzastrettissima fra l’istituzione progettante e <strong>il</strong> <strong>testo</strong> verbale, la letteraturasi prospetta come una realtà non statica, ma anzi sempre <strong>in</strong>movimento nelle sue strutture, e mutevole, “meravi<strong>gli</strong>osa non nelsenso della pura sorpresa contenta di sé, ma nel senso di un’<strong>in</strong>venzionecont<strong>in</strong>ua, <strong>in</strong>aspettata”.Erroneamente tuttavia si trarrebbe da questa visione d<strong>in</strong>amicadella letteratura l’ipotesi di uno sv<strong>in</strong>colamento astorico del “fare”poetico da qualsivo<strong>gli</strong>a tradizione o condizionamento. In realtà leistituzioni, secondo Anceschi, mostrano di vivere <strong>in</strong> un gioco com-124


plesso di cont<strong>in</strong>uità e di variazioni. I poeti non figurano affattocome vaghe api che passano di fiore <strong>in</strong> fiore <strong>in</strong> un delirio d’<strong>in</strong>consapevolezza.I poeti riflettono sul loro fare: <strong>in</strong> questo senso si puòdire che ogni poeta segua una sua legislazione. Essi stab<strong>il</strong>isconoalcuni precetti con cui o<strong>per</strong>are, precetti che nascono “direttamentedalla mano”. Ben presto tuttavia da tali precetti nasce un’esigenzadi unità e la norma com<strong>in</strong>cia a organizzare quei precettiparticolari. Ma anche le norme formano una costellazione non unificatae rivelano a loro volta un’esigenza ulteriore di unità. Si producea questo punto – scrive Anceschi – un salto di qualità: <strong>il</strong>piano precettistico e quello normativo diventano di secondaistanza, mentre prevale l’esigenza ideale, che designa un’<strong>in</strong>dicazionegenerale di struttura, la quale suggerisce certe condizioni emodalità generalissime del fare. C’è dunque un’<strong>in</strong>quietud<strong>in</strong>e delleistituzioni, che non emerge solo nel passaggio da poeta a poeta, maè un’<strong>in</strong>quietud<strong>in</strong>e che si mostra all’<strong>in</strong>terno dello sv<strong>il</strong>uppo artisticodi uno stesso letterato.Ma se le istituzioni sono dom<strong>in</strong>ate dall’<strong>in</strong>quietud<strong>in</strong>e – <strong>in</strong> quantoprodotti di una creazione cont<strong>in</strong>ua e orig<strong>in</strong>ale del poeta – esse sonotuttavia <strong>in</strong>trecciate fra loro da <strong>in</strong>f<strong>in</strong>ite connessioni. Le istituzionihanno una loro storicità, <strong>per</strong> cui nascono, vivono, si trasformano,muoiono, r<strong>in</strong>ascono secondo legittime manipolazioni, e contribuisconoa costruire <strong>in</strong> questo modo la fitta trama che porta a ordire <strong>il</strong>tessuto delle grandi tradizioni <strong>in</strong> cui vive la vita della poesia.Sono questi i tratti generali del tentativo di riscattare la nozionedi poetica nella sua autonomia: le istituzioni letterarie non richiedonoaffatto di essere fondate; esse si determ<strong>in</strong>ano <strong>per</strong> costituzioneautonoma e trovano la loro verifica nella poesia che contribuisconoa far nascere. In questo modo la poetica viene sottratta aquell’oblío <strong>in</strong> cui l’aveva gettata una visione dom<strong>in</strong>ata dal disprezzo“speculativo” esercitato sulla riflessione dei poeti; e proprioa questo gesto “dogmatico” Anceschi contrappone la propria125


visione, che e<strong>gli</strong> def<strong>in</strong>isce un “umanesimo dis<strong>il</strong>luso”, che ha r<strong>in</strong>unciatoa ogni trionfalismo e a ogni visione antropocentrica, ma chesa di non potersi <strong>in</strong>teressare ad altro che all’uomo nella sua relazionecon le cose.Giuseppe Dolei, Tra mal<strong>in</strong>conia e utopia. La letteratura tedescade<strong>gli</strong> anni Settanta, 1995, Collana Saggi n. 24, 102 pp.L’esigenza di verificare l’impatto del movimento studentesco edella sua traumatica f<strong>in</strong>e sulla letteratura tedesca de<strong>gli</strong> anni Settantasi traduce <strong>in</strong> questo <strong>testo</strong> <strong>in</strong> un’ampia disam<strong>in</strong>a dei testi letterariprodotti nella Germania Occidentale e <strong>in</strong> quella Orientale,f<strong>in</strong>endo poi <strong>per</strong> trasformarsi nello specchio di una crisi generale:quella del rapporto fra politica e letteratura.Nella Germania Ovest la generazione matura de<strong>gli</strong> scrittorisembra all’autore reagire nel complesso a tale impatto e all’ascesadella socialdemocrazia con la riforma dei modelli ideologici e conuna decisa sp<strong>in</strong>ta verso una letteratura “documentaria”. In questaluce vengono analizzati l’Aus dem Tagebuch e<strong>in</strong>er Schnecke (Daldiario di una lumaca, Tor<strong>in</strong>o 1974) di Günter Grass, che mostra losforzo dello scrittore di confrontarsi a carte sco<strong>per</strong>te con la realtàdel momento politico; Das Verhör von Havana (Interrogatorioall’Avana, M<strong>il</strong>ano 1971) e Der kurze Sommer der Anarchie (Labreve estate dell’anarchia, M<strong>il</strong>ano 1973) di Hans Magnus Enzensberger,che aderisce pienamente all’idea della su<strong>per</strong>iorità dell’eroecome figura della f<strong>in</strong>zione collettiva sull’eroe frutto dell’<strong>in</strong>venzionedell’autore; Gruppenb<strong>il</strong>d mit Dame (Foto di gruppo consignora, Tor<strong>in</strong>o 1972) di He<strong>in</strong>rich Böll, <strong>in</strong> cui tuttavia <strong>il</strong> ricorso atecniche della letteratura documentaria serve allo scrittore <strong>per</strong>dare espressione corale e polifonica all’odissea di gente semplice elo sp<strong>in</strong>ge a liberarsi della visione manichea che dom<strong>in</strong>ava nei126


omanzi precedenti; e <strong>in</strong>f<strong>in</strong>e Die Gallistl’sche Krankheit (1972) diMart<strong>in</strong> Walzer, che sembra anticipare esigenze che emergerannonella successiva fase letteraria, come la nostalgia <strong>per</strong> una vitaautentica e <strong>per</strong> un’armonia garantita dal ripudio di schemi concorrenziali.A<strong>gli</strong> <strong>in</strong>izi de<strong>gli</strong> anni Settanta, nella letteratura della RepubblicaDemocratica Tedesca, Giuseppe Dolei vede annunciarsi movenzest<strong>il</strong>istiche e tematiche consonanti con la sensib<strong>il</strong>ità della nuova“soggettività” emergente nella Germania occidentale. Un esempio<strong>in</strong> questo senso sarebbe rappresentato da Die neuen Leiden desjungen W. (I (nuovi) dolori del giovane W., M<strong>il</strong>ano 1973) di UlrichPlenzdorf. Completamente diverse rimangono tuttavia, secondol’autore, le condizioni nella Germania Federale e <strong>in</strong> quella Democratica:mentre a Occidente <strong>il</strong> documento storico o l’autenticità diun fatto costituiscono un punto d’arrivo ideale <strong>per</strong> la letteraturade<strong>gli</strong> anni Settanta, nella Repubblica Democratica la teoria estetica,che prescrive all’arte l’obbligo di rispecchiare la realtà, costituisceun pesante fardello dottr<strong>in</strong>ario. Da questo punto di vista lasvolta fondamentale cadrebbe proprio nel 1968, con Christa Wolf:<strong>il</strong> suo Nachdenken über Christa T. (Riflessioni su Crista T., M<strong>il</strong>ano1973) con cui l’autrice rompe non solo con l’ortodossia realista,ma anche con la sua precedente produzione letteraria, pone al centroappunto la difficoltà <strong>per</strong> l’uomo moderno di conservare la propriaautenticità. Con <strong>il</strong> Lenz (1973) di Peter Schneider si riconosce<strong>il</strong> fallimento del movimento studentesco, ma ad esso si guardaancora con un certo rammarico.Di lí a qualche anno, tuttavia, <strong>il</strong> paesaggio letterario subiscesecondo Dolei rapide modificazioni. Lasciando a<strong>gli</strong> specialisti <strong>il</strong>campo <strong>in</strong>fido della politica e dell’organizzazione sociale, quasiun’<strong>in</strong>tera generazione si riverserebbe ormai senza remore nellascrittura del mondo privato, esibito con tanto accanimento e compiacimentoda giustificare <strong>in</strong> parte la def<strong>in</strong>izione di “nuova sog-127


gettività” creata <strong>per</strong> la produzione letteraria nata sotto quellastella. Figura emblematica di questo brusco passaggio dalla posarivoluzionaria al culto di un soggettivismo esas<strong>per</strong>ato appare PeterHandke, di cui viene ricostruito <strong>il</strong> <strong>per</strong>corso che parte dalle riflessionisul l<strong>in</strong>guaggio, attraverso la proclamazione del narcisismo,f<strong>in</strong>o all’approdo – forse non <strong>in</strong>tenzionale – ad una sorta di nuovorealismo con <strong>il</strong> Wunschloses Unglück del 1972. Come <strong>per</strong> Handke,anche <strong>per</strong> Botho Strauss centro dell’<strong>in</strong>teresse letterario è <strong>il</strong> soggetto;Strauss tuttavia, <strong>in</strong>dagando l’oscuro <strong>in</strong>treccio fra fatti erealtà psichica, non escluderebbe del tutto le stesse istanze sociali.La f<strong>in</strong>e del movimento studentesco e le aporie politiche e socialiad esso sopravvissute sembrano all’autore lasciare una eco piúprolungata nella scrittura femm<strong>in</strong><strong>il</strong>e, piú sensib<strong>il</strong>e alla funzionepedagogica della letteratura. Kar<strong>in</strong> Struck (Klassenliebe, Amore diclasse, M<strong>il</strong>ano 1975) ed Elisabeth Plessen (Mitte<strong>il</strong>ung an den Adel,1976) offrono <strong>in</strong> questa prospettiva esempi speculari dei problem<strong>il</strong>egati al passaggio da una classe sociale all’altra. Un altro esempiodi transizione sociale, anomalo tuttavia nel suo str<strong>in</strong>gersi <strong>in</strong>tornoalla figura dell’esule è Die Ästhetik des Widerstands (1975) di PeterWeiss, che rappresenta secondo l’autore <strong>il</strong> punto piú alto raggiuntodalla narrativa tedesca de<strong>gli</strong> anni Settanta. Con PeterWeiss, e ancora con Uwe Johnson, la letteratura, sia pur nelmutato con<strong>testo</strong> politico, si vedrebbe restituita la sua funzione dicoscienza critica del proprio tempo.Manfred Riedel, Pensieri all’aria a<strong>per</strong>ta. L’es<strong>per</strong>ienza poetica delmondo di Nietzsche, traduzione di Steffen Wagner e NicolaRusso, 2005, Collana Saggi n. 42, 321 pp.Già oggetto di due serie di conferenze presso l’<strong>Istituto</strong> <strong>Italiano</strong><strong>per</strong> <strong>gli</strong> <strong>Studi</strong> F<strong>il</strong>osofici (fra <strong>il</strong> 1998 e <strong>il</strong> 2000), <strong>il</strong> libro di Manfred128


Riedel è rivolto all’es<strong>per</strong>ienza poetica del mondo di Nietzsche, nellaconv<strong>in</strong>zione che sia proprio essa a guidarci alla comprensione piúprofonda del pensiero del f<strong>il</strong>osofo. Il libro è dedicato alla memoriadi Hans Leisegang (1890-1951), <strong>il</strong> primo ad aver riconosciuto ladignità della lirica del pensatore tedesco. Il <strong>testo</strong>, egregiamente tradotto,è diviso <strong>in</strong> tre parti. Nella prima confluiscono i risultati de<strong>gli</strong>studi su Nietzsche e i Greci. Il fenomeno di fondo della lirica grecaè <strong>per</strong> Nietzsche l’unità orig<strong>in</strong>aria di logos e di musiké, l’unità dipensiero e musica. Nonostante la reverenza <strong>per</strong> Goethe, è appuntoa<strong>gli</strong> orig<strong>in</strong>ali antichi della poesia elegiaco-epigrammatica che bisognarifarsi <strong>per</strong> <strong>in</strong>tendere quali fossero i suoi modelli. Il suo stessocreare poetico e f<strong>il</strong>osofico è improntato al tentativo di raggiungere,tanto <strong>per</strong> <strong>il</strong> pensiero contenuto nella poesia, quanto <strong>per</strong> <strong>il</strong> pensarestesso, “quel tratto di fondo di concisione ieraticamente raccolta edi dignità dell’es<strong>per</strong>ienza l<strong>in</strong>guistica, caratteristico de<strong>gli</strong> epigrammidell’età arcaica greca”. Come f<strong>il</strong>ologo, e<strong>gli</strong> lottò <strong>per</strong> la determ<strong>in</strong>azionedel luogo orig<strong>in</strong>ario dello st<strong>il</strong>e epigrammatico, derivato <strong>in</strong>parte dai “preludi sporadici e sentenziosi della f<strong>il</strong>osofia greca” e <strong>in</strong>parte dalla poesia conviviale, nell’<strong>in</strong>sieme della poesia elegiaca.Contro lo sforzo prevalente <strong>in</strong> Germania di fondazione scientificadi una discipl<strong>in</strong>a storica dell’antichità, Nietzsche <strong>in</strong>dividuava <strong>il</strong>compito autentico della f<strong>il</strong>ologia nella preparazione al “godimentodell’antichità”. Ed è nello specchio della vita antica che <strong>il</strong> f<strong>il</strong>osofoosservava le proprie poliedriche disposizioni naturali. Emerge daquesto sfondo l’ideale del saggio che unisce <strong>in</strong> sé i tratti sv<strong>il</strong>uppatiseparatamente nel f<strong>il</strong>osofo, nell’artista e nel santo. In esso Nietzsche<strong>in</strong>dica non solo i grandi temi della sua f<strong>il</strong>osofia, ma anche la<strong>per</strong>cezione del suo <strong>per</strong>corso come “grande <strong>il</strong>lum<strong>in</strong>ismo dell’esistenza”.E<strong>gli</strong> r<strong>in</strong>uncia al suo status di dotto <strong>per</strong> divenire f<strong>il</strong>osofo epoeta, nel tentativo di animare lo spirito astratto della cultura scientificaeuropea attraverso un r<strong>in</strong>novamento del vivente fondo naturaledella cultura greca.129


Fra <strong>gli</strong> <strong>in</strong>numerevoli temi affrontati dall’autore, pronunciata èl’<strong>in</strong>sistenza sull’antiplatonismo di Nietzsche. Particolarmenteemblematica è <strong>per</strong> Riedel la re<strong>in</strong>terpretazione del mito dellacaverna attraverso <strong>il</strong> quale <strong>il</strong> f<strong>il</strong>osofo – rovesciando i term<strong>in</strong>i dellasoluzione platonica – <strong>in</strong>dividua la libertà dell’abitante dellacaverna proprio nella sua dedizione alla parvenza. Di qui la lottadel pensiero f<strong>il</strong>osofico <strong>per</strong> un ritorno del conoscere a ciò che ècondizionato, prossimo, al naturale della vita, e la liberazione dell’artecome “rifiuto della conoscenza assoluta”. L’unione viventefra pensare e poetare <strong>in</strong>duce a riconoscere nella facoltà poeticadell’immag<strong>in</strong>azione la forza capace di attivare nell’uomo potenzedi orig<strong>in</strong>e opposta, l’amore <strong>per</strong> l’arte e lo spirito della scienza. Ilpoetare si rivela <strong>il</strong> processo fondamentale del creare <strong>in</strong> quanto uniscela chiarezza plastica con <strong>il</strong> carattere musicale del l<strong>in</strong>guaggiopoetico e <strong>per</strong>corre, dal punto di vista focale della fantasia <strong>in</strong>teriore,l’<strong>in</strong>tero ambito di ciò che è reale e necessario <strong>in</strong> una cultura.La seconda parte del libro è <strong>in</strong>centrata sull’<strong>in</strong>terpretazione delladoppia versione dell’epigramma lirico S<strong>il</strong>s-Maria – artisticamente<strong>per</strong>fetto, secondo Riedel –, preceduto nella sua evoluzione da unepigramma <strong>in</strong>titolato Portof<strong>in</strong>o. L’autore procede alla comparazionefra queste liriche e l’idea nietzschiana dell’eterno ritorno dell’uguale,resa possib<strong>il</strong>e dal distacco dall’idealismo della naturadella Weimarer Klassik. Il titolo di questa parte – Paesaggi di pensiero– riflette <strong>il</strong> nuovo accesso alla natura offerto da Nietzsche allaf<strong>il</strong>osofia, <strong>il</strong> tentativo “cont<strong>in</strong>uo di <strong>in</strong>terpretare <strong>il</strong> volto del paesaggio<strong>in</strong> volti del pensiero e di fondare, con <strong>il</strong> dialogo, una relazioneumana profonda con la natura”, alla luce della sua re<strong>in</strong>terpretazionedell’es<strong>per</strong>ienza umana della mortalità. Nella terza parteRiedel descrive l’orrore di fronte alla possib<strong>il</strong>ità di un’eterna ripetizionedell’esistenza umana con tutto <strong>il</strong> suo dolore, a propositodelle s<strong>per</strong>anze e della sofferenza provocate a Nietzsche dall’<strong>in</strong>controcon Lou von Salomé e He<strong>in</strong>rich von Ste<strong>in</strong>. La div<strong>in</strong>izzazione130


dell’amicizia riempie <strong>in</strong> un primo tempo <strong>il</strong> f<strong>il</strong>osofo di aspettativecosí elevate che la sorgente poetica <strong>in</strong>izia a scorrere impetuosa,sp<strong>in</strong>gendo verso sempre nuovi abbozzi dell’<strong>in</strong>no a Colombo:“Verso nuovi mari”, e <strong>in</strong> seguito, del Da alti monti. Epodo (dapprimastampata <strong>in</strong> appendice ad Al di là del bene e del male, 1885).Fu questa poesia a sp<strong>in</strong>gere Friedrich Gundorf a scrivere che è <strong>il</strong>dest<strong>in</strong>o dello stesso Nietzsche ad emergere da essa “<strong>in</strong> unamaniera cosí sconvolgente che tutte le chiacchiere biografiche epsicologiche sul suo conto diventano del tutto <strong>in</strong>sopportab<strong>il</strong>i.Qualunque cosa si possa obiettare (…) e<strong>gli</strong> era semplicemente unagrande anima e aveva un dest<strong>in</strong>o <strong>in</strong>teriore sublime”. Diviso fradesiderio di solitud<strong>in</strong>e e culto dell’amicizia, Nietzsche vorrebbecondividere con altri <strong>il</strong> suo eremitaggio e creare una “lega diuom<strong>in</strong>i su<strong>per</strong>iori” sulla base dell’adesione alla dottr<strong>in</strong>a dell’eternoritorno, riempita di vita proprio grazie al sodalizio amicale. Unadottr<strong>in</strong>a, che non solo non si lascia fondare sistematicamente, mache può solo essere vissuta, ravvivata dal suo essere “vera poesia”,<strong>in</strong> grado di spiritualizzare <strong>il</strong> pensiero, aff<strong>in</strong>ché esso, come spirito,possa poi afferrare <strong>il</strong> vivente e <strong>in</strong>cidere sulla vita stessa.131


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8.ESTETICA E STORIA NELL’IDEALISMO TEDESCO133


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Il significato f<strong>il</strong>osofico dell’estetica s’impone def<strong>in</strong>itivamente nell’epocadi Goethe e trova la sua espressione sistematica nelle o<strong>per</strong>edi Schell<strong>in</strong>g e <strong>in</strong> quelle di Hegel. Il su<strong>per</strong>amento del classicismo distampo <strong>il</strong>lum<strong>in</strong>ista si verifica all’<strong>in</strong>terno di una r<strong>in</strong>novata querelle desanciens et des moderns che dall’ambito estetico trapassa anche al discorsopolitico e al confronto con la Rivoluzione francese, al dibattitofra la libertà de<strong>gli</strong> antichi e quella dei moderni.Peter Szondi, Antico e moderno nell’estetica dell’età di Goethe, traduzionedi Pietro Kobau, <strong>in</strong>troduzione di Remo Bodei, 1995,Collana Saggi n. 20, 270 pp.In queste bellissime lezioni, risalenti nella loro prima versione al1964, lo studioso ungherese affronta <strong>il</strong> passaggio, nel <strong>per</strong>iodo fraW<strong>in</strong>ckelmann e Hegel, dai precetti classici di produzione dell’o<strong>per</strong>ad’arte ad una poetica f<strong>il</strong>osofica, che non va piú alla ricerca diregole da applicare nella prassi, né di dist<strong>in</strong>zioni da rispettare nelloscrivere, ma “<strong>per</strong>segue un sa<strong>per</strong>e che basti a se stesso”.In quest’età <strong>il</strong> teorico, scrive Szondi, s’<strong>in</strong>terroga sull’essenza delbello <strong>in</strong> maniera diversa dai suoi predecessori delle età del r<strong>in</strong>ascimento,del barocco, dell’<strong>il</strong>lum<strong>in</strong>ismo. Nelle o<strong>per</strong>e de<strong>gli</strong> antichi135


non trova piú la suprema realizzazione del bello, assoluta e raggiuntauna volta <strong>per</strong> tutte, e da allora, valida <strong>per</strong> sempre comemodello: la sua teoria del bello non si pone piú <strong>il</strong> compito di giustificare<strong>il</strong> pr<strong>in</strong>cipio dell’imitazione de<strong>gli</strong> antichi. Anzi, al fondo diessa vi è lo sconvolgimento del gusto classicistico. La questione delbello è diventata tutt’altra questione: se si diano diverse specie delbello, se <strong>il</strong> bello si trasformi. Le risposte che vengono fornite aquesto quesito sono tutt’altro che concordi, ma le divergenze nonsono <strong>per</strong> l’autore sufficienti a dimostrare una fondamentale disomogeneitànell’estetica dell’epoca. Discutendo s<strong>in</strong>goli testi rappresentatividella poetica a partire dal 1770, Peter Szondi dimostracome l’impulso riflessivo da cui essi hanno orig<strong>in</strong>e derivi dallarivolta contro <strong>il</strong> classicismo antistorico dell’età <strong>il</strong>lum<strong>in</strong>istica. L’autorechiarisce tuttavia che abbandonare <strong>il</strong> pr<strong>in</strong>cipio dell’imitazionenon significa r<strong>in</strong>unciare alla classicità. Nessuno de<strong>gli</strong> estetologi quiconsiderati ha sconfessato la sua venerazione <strong>per</strong> l’antichità. Piúche da una rivolta contro <strong>il</strong> classicismo, i nuovi progetti estetic<strong>in</strong>ascerebbero piuttosto dallo sforzo dis<strong>per</strong>ato di affermare <strong>il</strong>moderno senza r<strong>in</strong>negare l’antico.Peter Szondi presenta dunque l’età di Goethe come caratterizzatada un duplice paradosso. Secondo <strong>il</strong> primo paradosso, ciò chenella cultura artistica dell’epoca guida lo sv<strong>il</strong>uppo del senso <strong>per</strong> <strong>il</strong>fattore <strong>in</strong>dividuale e qu<strong>in</strong>di storico, non è tanto un’attenzionerivolta alle o<strong>per</strong>e postclassiche o alla poesia popolare, quanto,piuttosto, proprio uno studio piú <strong>in</strong>tenso dell’arte greca, e pr<strong>in</strong>cipalmentedi quella figurativa. Il secondo paradosso sta nel fattoche la comprensione dei greci non dim<strong>in</strong>uisce affatto, anzi cresce.Il classicismo torna cosí ad imporsi piú forte che mai <strong>in</strong> Hegel, adispetto del suo sistema storico: proprio mentre la trasformazionestorica del bello si consolida <strong>in</strong> un sistema l’ideale antico ritorna adoccupare <strong>il</strong> luogo supremo che è <strong>in</strong>cluso ora <strong>in</strong> uno sv<strong>il</strong>uppo di cuiesso costituisce <strong>il</strong> culm<strong>in</strong>e.136


Nella frase di a<strong>per</strong>tura dello scritto di W<strong>in</strong>ckelmann Pensierisull’imitazione delle o<strong>per</strong>e greche – “Il buon gusto, che si diffondesempre piú nel mondo, ha com<strong>in</strong>ciato a formarsi sotto <strong>il</strong> cielogreco” – si segnala <strong>per</strong> Szondi non solo la collocazione dello studiosonella storia dell’estetica (la sua posizione di conf<strong>in</strong>e tra esteticanormativa ed estetica storico-comprendente), ma anche l’aporia<strong>in</strong>sita nella sua concezione artistica, vale a dire l’<strong>in</strong>compatib<strong>il</strong>itàfra la sua visione dell’unicità e condizionatezza storico-geograficadell’arte greca e la sua richiesta che l’arte moderna imiti l’antica.Contrariamente a quanto si ritiene di solito, W<strong>in</strong>ckelmann non<strong>in</strong>carna dunque <strong>per</strong> Szondi <strong>il</strong> fautore del primato assoluto delmodello greco. In realtà l’elevazione della plastica greca ad utopiaestetica, a <strong>per</strong>fezione irraggiungib<strong>il</strong>e, significa l’accettazione tacitadell’impossib<strong>il</strong>ità dell’imitazione. Del resto, secondo Szondi, èproprio partendo da W<strong>in</strong>ckelmann che Herder ha ulteriormenteaccentuato ed esplicitato <strong>il</strong> tema della storicità delle o<strong>per</strong>e d’arte,proiettandone <strong>il</strong> compimento nel futuro dei s<strong>in</strong>goli popoli, <strong>in</strong> particolaredei tedeschi. In W<strong>in</strong>ckelmann Herder vede <strong>in</strong>oltre l’avvocatodel sentimento che si oppone al razionalismo delle estetichebasate sulle regole e sui modelli: viene <strong>in</strong>trodotto cosí quel cultodel sentimento stesso e del genio, dal quale riceverà impulso determ<strong>in</strong>ante<strong>il</strong> movimento dello Sturm und Drang. In Herder l’estetica<strong>il</strong>lum<strong>in</strong>istica verrebbe dunque scossa alle fondamenta dal risaltodato a ciò che è <strong>in</strong>dividuale e unico: <strong>il</strong> buon gusto, la communisop<strong>in</strong>io non può piú essere avanzata come criterio. Tuttavia, riferendol’o<strong>per</strong>a a<strong>gli</strong> effetti, ossia alla ricezione sensib<strong>il</strong>e dell’o<strong>per</strong>a daparte dell’uomo, Herder rimarrebbe <strong>per</strong> Szondi ancora legatoall’<strong>il</strong>lum<strong>in</strong>ismo. L’abbandono della normatività non raggiungeancora <strong>in</strong> lui la coerenza che caratterizzerà l’estetica dell’idealismotedesco.Diverse sono le tappe di questo <strong>per</strong>corso analizzate da Szondi:sulla strada del su<strong>per</strong>amento dell’estetica <strong>il</strong>lum<strong>in</strong>ista dell’effetto e137


<strong>per</strong> l’affermazione dell’autonomia dell’arte si propongono adesempio i saggi pionieristici di Karl Ph<strong>il</strong>ipp Moritz, uno dei poetie teorici dell’età di Goethe solitamente meno considerati. Unmomento decisivo è <strong>in</strong>dividuato <strong>in</strong>oltre nello scritto del 1795 diFriedrich Schlegel, <strong>il</strong> Saggio sullo studio della poesia greca, <strong>in</strong> cuigià si o<strong>per</strong>erebbe <strong>il</strong> capovolgimento della critica del moderno nellasua apologia, parallelamente alla metamorfosi del classicismo <strong>in</strong>protoromanticismo, e ancora nel trattato sch<strong>il</strong>leriano Sulla poesia<strong>in</strong>genua e sentimentale, che sposta l’asse dell’<strong>in</strong>dag<strong>in</strong>e da<strong>gli</strong> antichiai sentimenti che noi moderni proviamo nei loro confronti.Grande r<strong>il</strong>ievo è attribuito alla riflessione di Hölderl<strong>in</strong>, consideratonon solo uno dei massimi lirici dell’età di Goethe, ma ancheuno dei pensatori ed estetologi piú orig<strong>in</strong>ali e significativi dell’idealismotedesco. Secondo Szondi è a Hölderl<strong>in</strong> che si può farrisalire <strong>il</strong> primo tentativo di protestare contro la tesi <strong>per</strong> cui l’imitazionede<strong>gli</strong> antichi sarebbe “l’unica via attraverso la quale possiamodiventare grandi e addirittura, se possib<strong>il</strong>e, <strong>in</strong>imitab<strong>il</strong>i”. Taleprotesta riproduce <strong>in</strong> ambito artistico quell’obiezione che Hölderl<strong>in</strong>aveva già sollevato <strong>per</strong> l’ambito della fede <strong>in</strong>sieme al suo amicodi gioventú Hegel. In entrambi i casi, nella religione e nella poesia,la “vita” viene difesa contro la schiacciante potenza del “positivo”delle istituzioni e delle leggi. Dei greci allora, <strong>per</strong> Hölderl<strong>in</strong>, nonvanno imitate le o<strong>per</strong>e, bensí <strong>il</strong> modo di creare queste o<strong>per</strong>e – non<strong>il</strong> prodotto f<strong>in</strong>ito (Geb<strong>il</strong>de), bensí l’attività formatrice (B<strong>il</strong>dung).È nelle lezioni di Schell<strong>in</strong>g dedicate alla f<strong>il</strong>osofia dell’arte che unsistema dell’estetica appare <strong>per</strong> la prima volta come un sistema f<strong>il</strong>osofico.La f<strong>il</strong>osofia dell’arte assume qui una posizione assolutamentecentrale: nella fase del pensiero schell<strong>in</strong>ghiano contrassegnata dalla“f<strong>il</strong>osofia dell’identità” è proprio essa a concretare, <strong>in</strong> maniera em<strong>in</strong>ente,la ricercata <strong>in</strong>differenza fra soggetto e oggetto, fra spirito enatura, fra libertà e necessità. Ma Schell<strong>in</strong>g imposta anche <strong>in</strong>maniera nuova <strong>il</strong> rapporto fra antico e moderno, grazie all’<strong>in</strong>trodu-138


zione di un nuovo protagonista storico, l’Oriente, la cui rivalutazionediventerà decisiva <strong>per</strong> <strong>il</strong> maturo Friedrich Schlegel. La ricostruzionedi Szondi si arresta dunque alle so<strong>gli</strong>e del sistema f<strong>il</strong>osoficohegeliano, <strong>in</strong> cui culm<strong>in</strong>a <strong>per</strong> l’autore la parabola che porta allasco<strong>per</strong>ta della storicità del bello. Al pensiero di Hegel tuttavia l’autore<strong>in</strong>troduce attraverso una riflessione <strong>in</strong>torno all’o<strong>per</strong>a di JeanPaul, che rappresenterebbe <strong>il</strong> ponte che conduce <strong>in</strong> modo ironico edis<strong>in</strong>cantato alla relativizzazione dei concetti di classico e di romanticoe alla loro completa riformulazione nel f<strong>il</strong>osofo tedesco.Livio Sichirollo, F<strong>il</strong>osofia, storia, istituzioni. Saggi e conferenze,1990, Collana Saggi n. 8, 387 pp.La f<strong>il</strong>osofia – scrive Sichirollo –, quella buona, cerca di rispondereai problemi del proprio tempo, e non ne è condizionata. Essanon è allora semplicemente specchio o riflesso della propria epoca,ma ha una funzione critica, pone domande alla propria situazionestorica, ne promuove la trasformazione, e <strong>in</strong>sieme svolge una funzionedi orientamento.La capacità della f<strong>il</strong>osofia di aiutare <strong>gli</strong> uom<strong>in</strong>i ad “orientars<strong>in</strong>el mondo” rappresenta <strong>per</strong> Kant, ma anche <strong>per</strong> l’autore, la possib<strong>il</strong>ità<strong>per</strong> ciascuno di esercitare <strong>il</strong> proprio impegno morale, co<strong>in</strong>cidentenella fiducia della ragione dell’uomo nel corso del mondoe nel suo f<strong>in</strong>e verso <strong>il</strong> me<strong>gli</strong>o. Da questo punto di vista non c’è <strong>per</strong>Sichirollo contrasto fra l’approccio di Kant e quello di Hegel. SeKant co<strong>gli</strong>e l’orientamento dell’uomo nel mondo come impegnomorale – come un ideale –, non trascura <strong>per</strong>ò di collocarlo nellastoria, offrendo <strong>in</strong> tal modo a Hegel <strong>il</strong> punto di vista da cui prenderele mosse. In questo senso, commentando un passo di EricWe<strong>il</strong> – uno dei pensatori piú presenti <strong>in</strong> questa raccolta di saggi ecostante punto di riferimento <strong>per</strong> l’autore – Sichirollo può scrivere139


che “se al posto di uomo e <strong>in</strong>dividuo mettiamo società civ<strong>il</strong>e eStati, se al posto di libertà morale mettiamo libertà politica nellasua realizzazione nella storia e nel conflitto de<strong>gli</strong> Stati, abbiamotutta la dialettica hegeliana”. Alla storia come farsi della moraleHegel opporrebbe dunque la storia come divenire e farsi dellaragione, <strong>il</strong> suo realizzarsi <strong>in</strong> istituzioni ragionevoli: ma che <strong>il</strong> camm<strong>in</strong>odella storia sia orientato, ebbene su questo Hegel, secondoSichirollo, è rimasto d’accordo con Kant.Ancora attraverso Eric We<strong>il</strong> e la sua Logique de la ph<strong>il</strong>osophie– considerata come una delle o<strong>per</strong>e fondamentali del secolo –emerge tuttavia non solo la cont<strong>in</strong>uità fra Kant e Hegel, ma anchela grandezza f<strong>il</strong>osofica di Marx: l’aver capito come una libertà formalmentericonosciuta (dalla Rivoluzione francese) e f<strong>il</strong>osoficamentecompresa (nel sistema hegeliano) potesse e dovesse essererealizzata universalmente. Da questa affermazione Sichirollo traediverse conseguenze: se “l’uomo subisce la legge delle cose, e tuttaviaquesta legge è o<strong>per</strong>a sua”, come scrive We<strong>il</strong>, ciò significa chené l’approccio hegeliano né quello marxiano vanificano, a<strong>gli</strong> occhidell’autore, <strong>il</strong> ruolo della ragion pratica, che sola può render conto“dell’uso che l’uomo farà o non farà, nel regno della libertà, dellasua stessa libertà”.C’è un punto su cui Sichirollo <strong>in</strong>siste a piú riprese: la conv<strong>in</strong>zione,già chiaramente espressa da Kant, secondo cui la ragione èsolo una possib<strong>il</strong>ità <strong>per</strong> l’uomo, una scelta che non è compiuta unavolta <strong>per</strong> sempre, e al tempo stesso <strong>il</strong> fatto che tale possib<strong>il</strong>ità nonsi è ancora realizzata nelle nostre istituzioni. In questo senso si puòsenza dubbio affermare, <strong>per</strong> Sichirollo, che “Kant e Hegel cont<strong>in</strong>uanoad essere immediatamente alle nostre spalle come quei f<strong>il</strong>osofiche si lasciarono <strong>in</strong>vestire dall’<strong>in</strong>tera realtà del loro tempo –che è ancora <strong>il</strong> nostro”. Già Hegel, <strong>in</strong>fatti, prima ancora di Marx,<strong>in</strong>dicava la necessità di tradurre i pr<strong>in</strong>cípi dell’egua<strong>gli</strong>anza e dellagiustizia sociale nelle istituzioni, traduzione che tuttavia ne<strong>gli</strong>140


ultimi due secoli ancora non è avvenuta: secondo <strong>il</strong> concetto, loStato appare come <strong>il</strong> luogo del riconoscimento di tutti e di ciascuno,ma <strong>il</strong> suo essere realtà morale ed effettuale della società èun’es<strong>per</strong>ienza che non abbiamo ancora fatto e che siamo ben lungidal poter fare. Il progetto moderno avanzato da Hegel – <strong>per</strong> cu<strong>il</strong>ibertà ed egua<strong>gli</strong>anza devono potersi realizzare <strong>in</strong>sieme – non haancora trovato compimento: non abbiamo saputo, o non abbiamovoluto, realizzare società e Stati <strong>in</strong> relazione al pr<strong>in</strong>cipio dellalibertà <strong>in</strong>f<strong>in</strong>ita dell’essere ragionevole.È questo <strong>il</strong> progetto, l’idea guida che lega l’<strong>in</strong>terpretazione chel’autore elabora dei tre grandi f<strong>il</strong>osofi, Kant, Hegel e Marx(accanto ad altre grandi figure, come Petrarca o Max Weber). Essasi dipana attraverso i saggi qui raccolti, dedicati fra l’altro al concettokantiano di “praxis”, alla pedagogia <strong>in</strong> Hegel, al rapporto diquest’ultimo con la Rivoluzione francese, f<strong>in</strong>o alla ricostruzionedelle vicende dell’hegelismo <strong>in</strong> Italia. Ma è anche <strong>il</strong> legame cheunisce la lettura dei classici dell’idealismo tedesco con l’<strong>in</strong>teresse e<strong>gli</strong> studi dedicati dall’autore al mondo antico: un mondo nel qualenasce <strong>in</strong>sieme la libertà e <strong>il</strong> suo opposto. Un miracolo, scrive Sichirollo,che non fu soltanto greco: nascita e ut<strong>il</strong>izzazione del logos edella sua universalità, fondazione delle città-Stato, qu<strong>in</strong>di dellalegge, che tuttavia si manifesta e si <strong>per</strong>feziona grazie all’istituzionedella forma piú violenta di schiavitú. Qui la lettura di autori comeMoses F<strong>in</strong>ley e Arnaldo Momi<strong>gli</strong>ano converge con le ricerche sull’agonismocome componente dell’etica greca, sul concetto di stasis,f<strong>in</strong>o a<strong>gli</strong> studi dedicati appunto a Eric We<strong>il</strong>, punto di congiunzionefra dialettica de<strong>gli</strong> antichi e dialettica dei moderni.Roberto Rac<strong>in</strong>aro, Rivoluzione come riforma. F<strong>il</strong>osofia classicatedesca e Rivoluzione francese, 1995, Collana Saggi n. 23, 194pp.141


L’analisi del rapporto fra Rivoluzione francese e f<strong>il</strong>osofia classicatedesca non è solo un topos della letteratura f<strong>il</strong>osofica contemporanea,ma anche un f<strong>il</strong>one di ricerca costantemente coltivatodall’<strong>Istituto</strong> <strong>Italiano</strong> <strong>per</strong> <strong>gli</strong> <strong>Studi</strong> F<strong>il</strong>osofici. Di fronte alla sterm<strong>in</strong>ataquantità di studi dedicati alla ricezione de<strong>gli</strong> eventi di Francianella cultura tedesca ad essi contemporanea, Roberto Rac<strong>in</strong>arosi <strong>in</strong>carica di affrontare alcuni dei problemi che rimangono a tutt’oggia<strong>per</strong>ti nell’<strong>in</strong>terpretazione che tre grandi figure dell’idealismo– Kant, Fichte e Hegel – dettero della Rivoluzione. Come siconc<strong>il</strong>ia l’atteggiamento favorevole di Kant nei confronti dellaRivoluzione con la sua negazione del diritto di resistenza da partedel popolo? Non vi è contrasto stridente fra l’<strong>in</strong>iziale repubblicanesimoe democratismo di Fichte e le sue posizioni anti<strong>il</strong>lum<strong>in</strong>istee nazionaliste piú tarde? E come <strong>in</strong>tendere l’apparente contraddizionefra <strong>il</strong> significato epocale attribuito da Hegel alla Rivoluzionefrancese e l’<strong>in</strong>equivocab<strong>il</strong>e condanna del Terrore contenuta nellaFenomenologia dello spirito?Rac<strong>in</strong>ato non dubita che Kant fosse <strong>per</strong>sonalmente contrario aqualsiasi sollevazione rivoluzionaria e favorevole <strong>in</strong>vece a mutamentigraduali, attuab<strong>il</strong>i attraverso <strong>il</strong> <strong>per</strong>fezionamento morale deicittad<strong>in</strong>i. L’entusiasmo che Kant r<strong>il</strong>eva di fronte dell’evento rivoluzionario– entusiasmo cui e<strong>gli</strong> stesso sembra partecipare – non precludela possib<strong>il</strong>ità di un certo distacco: la sua partecipazione co<strong>in</strong>ciderebbe,<strong>in</strong>fatti, con l’<strong>in</strong>teresse del f<strong>il</strong>osofo cosmopolita cheassiste all’es<strong>per</strong>imento storico di attuazione dell’idea propostadalla ragione con lo stesso piacere del naturalista teso a confermareun’importante ipotesi.Tuttavia l’apparente <strong>in</strong>conc<strong>il</strong>iab<strong>il</strong>ità fra l’atteggiamento positivodi Kant nei confronti della Rivoluzione e la sua <strong>per</strong>sistente negazionedel diritto di resistenza si scio<strong>gli</strong>e <strong>per</strong> motivi teorici piú profondi,e f<strong>in</strong>isce <strong>per</strong> condurre ad un risultato addirittura paradossale.In primo luogo Rac<strong>in</strong>aro r<strong>il</strong>eva <strong>in</strong> Kant una dist<strong>in</strong>zione fra142


diritto e giustizia. Non ogni diritto è conforme a giustizia. Tuttavia,nel caso <strong>in</strong> cui vi sia tale conformità – ed è <strong>il</strong> contratto orig<strong>in</strong>ario,concepito come norma ideale, che funge da criterio <strong>per</strong> giudicaredella legittimità o meno della legge esistente – allora aquesta legge non ci si può opporre: la negazione del diritto di resistenzava concepita <strong>in</strong> un quadro teorico che muove dal presuppostodi un contratto orig<strong>in</strong>ario cui abbia acconsentito tutto <strong>il</strong>popolo, vale a dire nell’ambito di uno Stato di diritto compiutamenterealizzato.Ma Kant f<strong>in</strong>isce <strong>per</strong> ammettere la legittimità della rivoluzione (edunque del diritto di resistenza) anche da un secondo punto divista. In effetti essa <strong>per</strong> Kant non è deducib<strong>il</strong>e teoricamente, ma èun dato di fatto e come tale può essere riconosciuta e accettata soloquando abbia dato buon esito. La rivoluzione, commenta Rac<strong>in</strong>aro,<strong>in</strong>troduce una rottura nel diritto pre-esistente e non puòallora trovare <strong>in</strong> quello la sua legittimazione. Il suo “diritto” nonviene dal passato, ma dal futuro, vale a dire da ciò che essa è <strong>in</strong>grado di istituire, dal nuovo ord<strong>in</strong>amento cui dà vita. Da questopunto di vista la negazione del diritto di resistenza <strong>in</strong> Kant nonriguarderebbe la legittimità o meno della rivoluzione, ma la “resistenza”della vecchia aristocrazia dell’ancien régime contro <strong>il</strong>nuovo ord<strong>in</strong>amento.L’evoluzione di Fichte sembra apparentemente andare <strong>in</strong> sensocontrario. Rac<strong>in</strong>aro mette a confronto da un lato i Contributi <strong>per</strong>rettificare i giudizi del pubblico sulla Rivoluzione francese (1793),dove Fichte muove dal presupposto che <strong>il</strong> suddito sia titolare deldiritto <strong>in</strong>alienab<strong>il</strong>e di cambiare la costituzione, e dall’altro i Discorsialla nazione tedesca (1807), letti generalmente come anticipazionedel nascente pangermanesimo. La tesi dell’autore è che l’analogiastrutturale fra i due testi lasci trasparire non una svolta ouna rottura nell’evoluzione del pensiero del f<strong>il</strong>osofo, ma piuttostouna sua radicalizzazione. Nel primo <strong>testo</strong> la legittimità della prassi143


ivoluzionaria viene garantita dal sottoporre lo Stato e la costituzioneciv<strong>il</strong>e ad una istanza su<strong>per</strong>iore: la società, che è <strong>il</strong> vero puntodi sostegno dei diritti <strong>in</strong>alienab<strong>il</strong>i dell’uomo e che comprende epresuppone un fondamento <strong>in</strong>telligib<strong>il</strong>e, la legge morale. Nel <strong>testo</strong>dei Discorsi, <strong>in</strong>vece, l’antistatalismo fichtiano trova una nuova baseteorica <strong>in</strong> una f<strong>il</strong>osofia della vita alla luce della quale lo Statoappare come “limite”, e, <strong>in</strong> quanto tale, <strong>in</strong> cont<strong>in</strong>ua tensione conla libertà, come l’elemento f<strong>in</strong>ito rispetto all’<strong>in</strong>f<strong>in</strong>ito. Ma se la veravita appare essere quella dei momenti di crisi, di transizione, dipassaggio, non è piú la rivoluzione a dover essere legittimata, ma <strong>il</strong>suo contrario, vale a dire i momenti di stasi, di rout<strong>in</strong>e. La f<strong>il</strong>osofiadi Fichte verrebbe allora a configurarsi come una f<strong>il</strong>osofia dellarivoluzione <strong>per</strong>manente.È tuttavia Hegel, dal punto di vista di Rac<strong>in</strong>aro, <strong>il</strong> pensatore checi consegna una serie di categorie e di mediazioni che palesanoancora oggi la loro attualità. Rac<strong>in</strong>aro mette a confronto duediverse prospettive teoriche, entrambe presenti nella fase prefenomenologicadel pensiero di Hegel. L’una emerge dalla Costituzionedella Germania, dove <strong>il</strong> punto di vista prevalente è che le idee e ipr<strong>in</strong>cípi non si facciano strada da soli, ma necessit<strong>in</strong>o dell’<strong>in</strong>terventodi un grande uomo (<strong>il</strong> Teseo), confermando la centralità, <strong>in</strong>questa fase del pensiero di Hegel, dei concetti di “forza” e di“potenza”. La seconda prospettiva è <strong>in</strong>vece presentata <strong>in</strong> un frammentogiovan<strong>il</strong>e cui Lasson ha dato <strong>il</strong> titolo Libertà e dest<strong>in</strong>o. QuiHegel affianca la “massa”, che soffre <strong>per</strong> un male oscuro, avendosí la potenza <strong>per</strong> elim<strong>in</strong>arlo, ma non la consapevolezza necessaria,a<strong>gli</strong> “<strong>il</strong>lum<strong>in</strong>ati”, <strong>gli</strong> <strong>in</strong>tellettuali, i quali, forniti di tale consapevolezza,non dispongono <strong>per</strong>ò di alcuna potenza. La soluzione prospettatada Hegel è evidentemente quella di una potenza che siaguidata da un pensiero capace di tradursi nella proposizione,rispetto a ciò che si vuole distruggere, di un nuovo ord<strong>in</strong>e. È ciòche segna la differenza fra una vera rivoluzione e una semplice144


ivolta: <strong>per</strong>ché una rivoluzione abbia luogo è necessario che lanegazione dell’esistente sia non una negazione <strong>in</strong>determ<strong>in</strong>ata, magià “riempita” dell’idea di quelle altre istituzioni, che, se non sonopresenti nell’esistente, lo sono nel concetto autocosciente.A questo primo contributo di Hegel, <strong>il</strong> cui significato politico èchiaramente <strong>per</strong>cepib<strong>il</strong>e, se ne aggiunge un secondo, che scaturiscedalla critica hegeliana del Terrore rivoluzionario. Che questacritica non sia <strong>in</strong> contraddizione con l’esaltazione hegeliana delsignificato epocale della Rivoluzione, espressa nelle lezioni berl<strong>in</strong>esidi F<strong>il</strong>osofia della storia, lo si ev<strong>in</strong>ce <strong>in</strong> primo luogo dal fattoche essa riguarda solo un momento specifico e determ<strong>in</strong>ato dellevicende rivoluzionarie, e dalla conv<strong>in</strong>zione del f<strong>il</strong>osofo che le conquisterelative ai diritti dell’uomo non siano state <strong>in</strong>ficiate dall’es<strong>per</strong>ienzadella Convenzione. Tuttavia l’apporto piú notevole diHegel, secondo l’autore, sta <strong>in</strong> un’analisi del Terrore rivoluzionarioche fa di quest’ultimo, paradossalmente, non un segno di decadenzamorale o di barbarie, ma piuttosto <strong>il</strong> risultato di un atteggiamentomorale di estremo rigore, di esaltazione della virtú edella purezza delle <strong>in</strong>tenzioni. La libertà assoluta di un soggetto lacui coscienza non necessita che della certezza di sé sfocia necessariamente,secondo l’analisi hegeliana, <strong>in</strong> una furia del d<strong>il</strong>eguare, <strong>in</strong>una distruzione f<strong>in</strong>e a se stessa, la quale, <strong>in</strong>siste Rac<strong>in</strong>aro, è <strong>in</strong>capacedi dar vita a qualsivo<strong>gli</strong>a nuovo ord<strong>in</strong>e. Ed è questo <strong>il</strong>secondo, fondamentale monito che ci viene dalla riflessione hegeliana.Albert Mathiez, Danton e la pace, prefazione di Michel Vovelle,traduzione di Ner<strong>in</strong>a Rod<strong>in</strong>ò, 1989, Collana Saggi n. 3, 205 pp.Il saggio qui presentato, pubblicato dall’autore nel 1919, costituisceuna tappa decisiva nel “processo che <strong>il</strong> fondatore della145


Société d’Etudes Robespierristes aveva istruito da piú di dieci annicontro Danton”. Nella sua o<strong>per</strong>a di riab<strong>il</strong>itazione della figura diRobespierre – <strong>in</strong>torno alla quale si del<strong>in</strong>ea la posizione orig<strong>in</strong>aledello studioso nel dibattito storiografico dell’epoca – un passo <strong>in</strong>eludib<strong>il</strong>eera <strong>in</strong>fatti proprio la demolizione dell’immag<strong>in</strong>e che tantastoriografia aveva dato del suo avversario Danton, visto come“rappresentativo di una rivoluzione liberale, patriottica, piena divita”, come l’avversario del Terrore.A partire dal 1910 Mathiez pubblica una serie di articoli, di cui<strong>il</strong> saggio Danton et la paix sembra costituire <strong>il</strong> coronamento, la“stoccata f<strong>in</strong>ale delle denuncie dei tradimenti, delle corruzioni, deicircoli d’affari” <strong>in</strong> cui Danton sarebbe stato <strong>in</strong>vischiato: ma oltrealla dimostrazione della sua venalità, nel saggio del ’19 vieneaddotta la prova del suo tradimento a favore dei nemici dellaFrancia e del suo doppio gioco fra <strong>il</strong> 1792 e <strong>il</strong> 1793. L’accusa cheMathiez muove a Danton è dunque duplice: da un lato <strong>gli</strong> rimproveradi non aver creduto veramente nella Rivoluzione, dall’altrodi aver <strong>per</strong>seguito solo i propri <strong>per</strong>sonali <strong>in</strong>teressi. Abbandonandol’iconografia di un “generoso Danton assass<strong>in</strong>ato atradimento dall’ambizioso Robespierre”, Mathiez ricostruisce levicende di que<strong>gli</strong> anni, f<strong>in</strong>endo <strong>per</strong> conv<strong>in</strong>cersi che le gravi accusesulla sua onestà formulate da tanti suoi contemporanei – e riproposte<strong>in</strong>f<strong>in</strong>e dal Tribunale rivoluzionario – erano senz’altro fondatee che “<strong>il</strong> Mirabeau della pleba<strong>gli</strong>a era stato, come l’altro, unuomo venale che vide nella Rivoluzione solo un’eccellente occasione<strong>per</strong> arricchirsi”, molto lontano dal servire unicamente l’<strong>in</strong>teressefrancese.L’idea-guida della ricerca è quella dell’esistenza di un doppioDanton: quello della leggenda che e<strong>gli</strong> stesso ha contribuito a forgiare,del patriota, dell’oratore generoso e vic<strong>in</strong>o al popolo; equello del vero Danton, ambiguo e <strong>in</strong>costante, “che soffia sulfuoco quando ha <strong>in</strong>teresse a mantenere la pace nel 1792, che nego-146


zia nell’ombra le condizioni di una pace equivoca e, di seguito,<strong>per</strong>f<strong>in</strong>o <strong>in</strong>degna”. In realtà, <strong>per</strong> Albert Mathiez, questo falsopatriota è un disfattista, è un repubblicano solo di facciata prontoad affrontare tutti i compromessi <strong>in</strong> term<strong>in</strong>i di restaurazione.La doppiezza di Danton è ricostruita dall’autore sulla base diun impressionante apparato di documenti storici e grazie al confrontodelle diverse fonti, dalle dichiarazioni ufficiali alla tribuna,alla corrispondenza privata, f<strong>in</strong>o alle memorie de<strong>gli</strong> altri attori diquesto dramma. Michel Vovelle, nella Prefazione, parla a questoproposito di “<strong>in</strong>chiesta poliziesca”, traendone l’impressione diun’<strong>in</strong>contestab<strong>il</strong>e solidità dell’o<strong>per</strong>a, ma sottol<strong>in</strong>eando al tempostesso <strong>il</strong> suo carattere <strong>in</strong> un certo senso datato, <strong>in</strong> ragione dell’atteggiamentomoralista assunto da Mathiez <strong>in</strong> queste pag<strong>in</strong>e. “Laconsiderazione rigida di un eroe, positivo o negativo che sia, <strong>il</strong>deciso giudizio morale, def<strong>in</strong>iscono uno st<strong>il</strong>e, un’epoca, oltre cheun tem<strong>per</strong>amento di storico. Ma nel prendere cosí una certadistanza da questo <strong>testo</strong> noi vi scopriamo un <strong>in</strong>teresse nuovo. ÈMathiez stesso, l’uomo e l’<strong>in</strong>tellettuale, che si scopre, nel suotempo, nelle sue conv<strong>in</strong>zioni e nelle sue passioni”.Giovanni Mastroianni, La f<strong>il</strong>osofia <strong>in</strong> Russia prima della Rivoluzione.I “Voprosy f<strong>il</strong>osofii i psichologii” (1890-1917), 1989, CollanaSaggi n. 4, 138 pp.Giovanni Mastroianni fornisce <strong>in</strong> questo saggio uno spo<strong>gli</strong>odella rivista russa “Problemi di f<strong>il</strong>osofia e di psicologia”, <strong>il</strong> primoe <strong>il</strong> piú importante dei <strong>per</strong>iodici del settore nel <strong>per</strong>iodo zarista.Dopo le note prelim<strong>in</strong>ari, <strong>il</strong> <strong>testo</strong> presenta un elenco dei collaboratorie de<strong>gli</strong> articoli, con i chiarimenti <strong>in</strong>dispensab<strong>il</strong>i alla determ<strong>in</strong>azionedel contenuto, una rassegna analitica de<strong>gli</strong> <strong>in</strong>terventi diargomento italiano, un <strong>in</strong>dice dei riferimenti, vale a dire de<strong>gli</strong>147


autori trattati ne<strong>gli</strong> articoli, dei libri recensiti e dei <strong>per</strong>iodici schedati,nonché due tavole dei dati di distribuzione, forniti anno <strong>per</strong>anno dall’amm<strong>in</strong>istrazione.In questo modo è possib<strong>il</strong>e <strong>per</strong> l’autore risalire alle dichiarazioniprogrammatiche del fondatore della rivista, Nikolaj Grot, edei suoi cont<strong>in</strong>uatori, ritrovando <strong>in</strong>oltre all’o<strong>per</strong>a pensatori e specialistiormai presenti solo nei re<strong>per</strong>tori. Dallo spo<strong>gli</strong>o risultaun’<strong>in</strong>tensa partecipazione al dibattito <strong>in</strong>ternazionale, legami particolarianche con la cultura italiana (Lombroso e Bruno, Leopardi,Valla, Campanella, Vico, Petrarca, Machiavelli, Rosm<strong>in</strong>i, Gioberti).Soprattutto emerge, nel programma del suo fondatore, l’ideadella psicologia come terreno comune su cui potevano <strong>in</strong>contrarsipensatori di scuole molto differenti, senza la presunzione digiungere ad una soluzione def<strong>in</strong>itiva delle questioni dibattute, manell’<strong>in</strong>tento di sondare “i conf<strong>in</strong>i del sa<strong>per</strong>e e della potenza dell’uomo”e di promuovere quella maieutica che sola può portarealla nascita “<strong>in</strong>dipendente” del pensiero. Guidava la rivista la conv<strong>in</strong>zionedi andare <strong>in</strong>contro ad esigenze <strong>in</strong>tellettuali e moralimature nella società russa e legate alla necessità dello sv<strong>il</strong>uppo diuno spirito critico fondato sull’idea della tolleranza e sulla “liberafederazione” dei diversi <strong>in</strong>dirizzi f<strong>il</strong>osofici.Tuttavia, proprio mentre si schierava <strong>in</strong> modo autonomo, trasversalema <strong>in</strong>equivocab<strong>il</strong>e, contro l’ortodossia piú chiusa, contro<strong>il</strong> nazionalismo e l’<strong>in</strong>dividualismo, la rivista doveva essere bollatada Plechanov come espressione e strumento della “reazione trionfante”,e trasc<strong>in</strong>are <strong>il</strong> peso di questo giudizio <strong>per</strong> tutto <strong>il</strong> Novecento:un giudizio e una condanna che <strong>il</strong> contributo diMastroianni consente oggi di ponderare alla luce di una verificadel significato e delle prospettive dell’eclettismo proposto dallarivista russa.148


9.LA PROSPETTIVA DECOSTRUZIONISTA149


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La peculiare articolazione dell’ermeneutica nel pensiero di JacquesDerrida costituisce uno dei f<strong>il</strong>oni piú vivaci del dibattito f<strong>il</strong>osoficocontemporaneo. La prospettiva a<strong>per</strong>ta dall’affermazione delprimato della scrittura sulla voce – <strong>il</strong> <strong>testo</strong> su<strong>per</strong>a <strong>il</strong> voler dire delproprio autore e ne dispone a suo piacimento – <strong>in</strong>duce a mettere<strong>in</strong> r<strong>il</strong>ievo quello spossessamento del soggetto che riapre la riflessione<strong>in</strong>torno ai rapporti fra f<strong>il</strong>osofia e psicoanalisi.Jacques Derrida, Ritorno da Mosca. Omaggio a Jacques Derrida,con testi di Ferraris, Rovatti, S<strong>in</strong>i, Vattimo, Vitiello, a cura diV<strong>in</strong>cenzo Vitiello, 1993, Collana Saggi n. 15, 210 pp.Il volume contiene <strong>il</strong> <strong>testo</strong> di una conferenza tenuta da JacquesDerrida a Napoli, <strong>il</strong> 2 marzo 1991, al term<strong>in</strong>e del colloquio <strong>in</strong>ternazionaleorganizzato dall’<strong>Istituto</strong> <strong>Italiano</strong> <strong>per</strong> <strong>gli</strong> <strong>Studi</strong> F<strong>il</strong>osofici<strong>per</strong> festeggiarne <strong>il</strong> sessantesimo compleanno. Esso comprende<strong>in</strong>oltre <strong>gli</strong> atti del colloquio e <strong>il</strong> <strong>testo</strong> della conversazione su “Mart<strong>in</strong>Heidegger e i Beiträge zur Ph<strong>il</strong>osophie (Vom Ereignis)” svoltositra Derrida e alcuni partecipanti al convegno.Il <strong>testo</strong> di Jacques Derrida, Back from Moscow <strong>in</strong> the URSS, haun sottotitolo significativo: Storia politica di un genere letterario.151


Esso <strong>in</strong> realtà evita <strong>in</strong>tenzionalmente quello che <strong>il</strong> titolo lascerebbesupporre – cioè <strong>il</strong> racconto del breve soggiorno di Derrida aMosca nel 1990. Le sue riflessioni si sv<strong>il</strong>uppano <strong>in</strong>fatti attraversol’analisi di tre “diari di viaggio”, <strong>il</strong> Retour de l’URSS di Gide, Lemeurtre du petit père di Etiemble, <strong>il</strong> Moscow Diary di Benjam<strong>in</strong> edi una canzone dei Beatles, Back <strong>in</strong> USSR. Di questi testi e delcomplesso rapporto di adesione e di critica che lega i loro autoriall’es<strong>per</strong>ienza sovietica, Derrida enuclea alcune caratteristiche fondamentali.Innanzitutto la relazione essenziale con la s<strong>in</strong>golarità diun’es<strong>per</strong>ienza storica; <strong>in</strong> secondo luogo <strong>il</strong> loro essere non raccontidi viaggi “all’estero”, ma viaggi verso un modo a venire di “stare acasa”, verso una patria elettiva; <strong>in</strong> questo senso essi si prospettanonon come racconti di un viaggio verso una particolare contrada ouna particolare cultura, ma come ricerca dell’universale, della culturaumana assoluta. All’epoca presente, tuttavia, le condizioni cherendevano possib<strong>il</strong>i questi “diari di viaggio” non sussistono piú,secondo l’autore: ora l’atteggiamento dom<strong>in</strong>ante è quello di unapresunzione che pretende di giudicare se <strong>il</strong> processo di cambiamentoavviato dalla Russia con la <strong>per</strong>estroika sia <strong>in</strong> grado di forgiarela società sul modello delle democrazie parlamentari occidentali,liberali <strong>in</strong> senso politico ed economico. Una prospettivacui l’autore <strong>in</strong>tende ad ogni costo sottrarsi.Gli atti del colloquio propongono una serie di riflessioni<strong>in</strong>torno ad alcuni temi centrali del pensiero di Derrida. Primo fratutti <strong>il</strong> tema della scrittura. Carlo S<strong>in</strong>i (Pratica della voce e praticadella scrittura) analizza tre luoghi classici relativi al tema dellavoce: Platone che nel Teeteto considera la voce come riflesso, trascrizione,immag<strong>in</strong>e e <strong>in</strong>f<strong>in</strong>e strumento del pensiero; Heidegger,che nei Grundbegriffe der Metaphysik la ritiene <strong>per</strong> se stessa significativa;<strong>in</strong>f<strong>in</strong>e Derrida (La voce e <strong>il</strong> fenomeno) che ne fa <strong>il</strong> luogodel movimento della differenza di tutte le differenze. Tutt’e tre leformulazioni – argomenta S<strong>in</strong>i – presuppongono quella pratica152


della voce di cui “dicono” e allo stesso tempo la pratica della scritturaalfabetica, nel loro tentativo di stab<strong>il</strong>ire def<strong>in</strong>izioni concettualio di decretarne l’impossib<strong>il</strong>ità. A questo punto non avrebbe piúsenso chiedersi se la voce abbia una priorità sulla scrittura o viceversa.Questo domandare arriva sempre e comunque troppo tardi.In un senso non possiamo affermare una priorità della scritturasulla voce poiché la pratica della voce è certamente qualcosa di piúampio e di piú orig<strong>in</strong>ario; <strong>in</strong> un altro senso è solo <strong>in</strong> base alla scritturaalfabetica e alle sue conseguenze logiche che possiamo concepiree nom<strong>in</strong>are un oggetto come la voce. È <strong>il</strong> medesimo abba<strong>gli</strong>o<strong>in</strong> cui cade Heidegger quando pretende di sollevare la domandasulla “cosa del pensiero” <strong>in</strong> quanto a<strong>per</strong>tura che avrebbe reso possib<strong>il</strong>ela metafisica, come se la “cosa del pensiero” non fosse essastessa un oggetto della logica e della metafisica. La stessa parola“pratica”, con <strong>il</strong> suo orizzonte di senso che ha l’apparenza di unanuova a<strong>per</strong>tura, non è <strong>in</strong> realtà piú orig<strong>in</strong>aria della parola “voce”o “scrittura”. E tuttavia essa racchiude, secondo l’autore, <strong>il</strong> puntoestremo della nostra consapevolezza critica. Se la stessa pretesafenomenologica della sospensione è un’<strong>il</strong>lusione, tuttavia nellasospensione della pratica teorica ci troviamo comunque ad abitare.La nostra situazione è dunque quella di un’“etica della teoria”(etica come allusione al nostro abitare, aver dimora e trovarci <strong>in</strong>una situazione), <strong>per</strong> la quale non è essenziale tanto la questionedella voce e della scrittura, quanto l’esposizione alla nullità delladifferenza fra l’evento e <strong>il</strong> senso.Gianni Vattimo (Ricostruzione della razionalità) riformula <strong>in</strong>term<strong>in</strong>i gadameriani <strong>il</strong> d<strong>il</strong>emma presentato da S<strong>in</strong>i <strong>per</strong> cui qualunque“a<strong>per</strong>tura” presuppone già essa stessa ciò a cui si deve dareaccesso. Tuttavia <strong>in</strong> Vattimo <strong>il</strong> problema si pone come <strong>in</strong>terrogazione<strong>in</strong>torno alla possib<strong>il</strong>ità di evitare l’irrazionalismo che sembraimplicito nella fondazione dell’ermeneutica e nei suoi esiti “estetici”rappresentati da Rorty e da Derrida. Un rischio che corre-153


ebbe lo stesso Gadamer nella misura <strong>in</strong> cui non chiarisce <strong>il</strong> modo<strong>in</strong> cui l’ermeneutica “prova” la propria validità come teoria. Perchéuna tale chiarificazione sia possib<strong>il</strong>e – argomenta l’autore – ènecessario che l’ermeneutica cessi di pensarsi, piú o meno esplicitamente,come una teoria fondata su un’analisi fenomenologicaadeguata all’es<strong>per</strong>ienza. Ciò sarebbe <strong>in</strong>fatti <strong>in</strong> contraddizione conla polemica condotta da Verità e metodo contro ogni pretesa dellascienza e della f<strong>il</strong>osofia di dare una descrizione oggettiva dellarealtà. L’ermeneutica – dice Vattimo – è <strong>in</strong> effetti essa stessa “solo<strong>in</strong>terpretazione”. Non fonda le proprie pretese di validità su unpresunto accesso alle cose stesse, ma concepisce se stessa solocome la risposta ad un messaggio, come l’articolazione <strong>in</strong>terpretativadella propria appartenenza ad una tradizione. Questa tradizioned’altro canto non è semplicemente un susseguirsi di schemiconcettuali, come vorrebbe Rorty, <strong>per</strong> cui l’ermeneutica sarebbel’<strong>in</strong>contro – non argomentativo – con un nuovo sistema di metafore,con un nuovo paradigma, o come la <strong>in</strong>tende Derrida, che faprevalere nella sua pratica f<strong>il</strong>osofica l’archetipo del coup de désmallarméano. Se l’ermeneutica vuole evitare la propria ricadutanella metafisica, essa deve esplicitare <strong>il</strong> proprio fondo ontologico,ossia l’idea heideggeriana di un dest<strong>in</strong>o dell’essere che si articolacome <strong>il</strong> concatenamento delle a<strong>per</strong>ture che qualificano la nostraes<strong>per</strong>ienza del mondo. L’ermeneutica deve concepirsi come unmomento entro questo dest<strong>in</strong>o ed argomentare la propria validitàproponendo una ricostruzione della tradizione dalla quale proviene.Sarebbe dunque un errore – conclude Vattimo – pensare dipoter saltar fuori dal processo, co<strong>gli</strong>endo <strong>in</strong> qualche modo l’arché,<strong>il</strong> pr<strong>in</strong>cipio, l’essenza o la struttura ultima. Interessanti sono <strong>in</strong>oltrele conseguenze che Vattimo trae dall’appartenenza della stessaermeneutica ad una tradizione: <strong>in</strong> primo luogo la necessità di pensarela relazione a quest’ultima <strong>in</strong> term<strong>in</strong>i piú positivi, <strong>per</strong> cui <strong>il</strong>rapporto con lo scientismo moderno o con <strong>il</strong> mondo della razio-154


nalità tecnica non sia solo un rapporto di rifiuto polemico; <strong>in</strong>secondo luogo <strong>il</strong> proporsi dell’ermeneutica non come una teoriache opporrebbe un’autenticità dell’esistere all’alienazione dellasocietà razionalizzata, ma come una teoria che cerca di co<strong>gli</strong>ere <strong>il</strong>senso della trasformazione dell’essere che si è prodotta <strong>in</strong> conseguenzadella razionalizzazione tecnico-scientifica del mondo.Per Maurizio Ferraris (Fenomenologia come grammatologia) laquestione della genesi della fenomenologia husserliana, cosí comeessa è descritta da Derrida, <strong>il</strong>lustra retrospettivamente <strong>il</strong> chiasmo<strong>in</strong> cui si radica la fenomenologia hegeliana: da una parte la nozionedi genesi fa appello ad un com<strong>in</strong>ciamento assoluto; dall’altra,genesi è anche lo sv<strong>il</strong>uppo, <strong>il</strong> divenire cont<strong>in</strong>uo comportato daquesto com<strong>in</strong>ciamento <strong>in</strong> prima istanza assoluto. Ogni prodottogenetico è procurato da altro da sé, portato da un passato, chiamatoe orientato da un futuro; la genesi, proprio come genesi assoluta,è tale solo alla luce di un divenire, di una teleologia <strong>in</strong>f<strong>in</strong>itache retrospettivamente riconosce nella genesi <strong>il</strong> suo pr<strong>in</strong>cipio. Siavrebbe torto – scrive Ferraris – a ravvisare <strong>in</strong> questo <strong>in</strong>treccio traarcheologia e teleologia un discorso valido solo nell’ambito dellafondazione di una fenomenologia trascendentale. Il trascendentalismonon è chimerismo proprio nella misura <strong>in</strong> cui trova le proprietracce nell’empirico, non solo nelle es<strong>per</strong>ienze dell’entusiasmodei popoli di fronte alla promessa di una nuova moralità – <strong>il</strong>riferimento è a Kant e al suo celebre giudizio sulla Rivoluzionefrancese –, ma proprio nella piú domestica es<strong>per</strong>ienza, che è talesolo a partire da un arché e <strong>in</strong> vista di un telos. Il trascendentale è<strong>il</strong> doppio dell’empirico, è empirico differito secondo <strong>il</strong> gioco delfatto e del diritto <strong>per</strong> cui ciò che viene primo nell’ord<strong>in</strong>e dei fattiè ultimo <strong>in</strong> quello del diritto. In questo quadro concettuale s’<strong>in</strong>scriverebbela riab<strong>il</strong>itazione della scrittura come costituzione dell’<strong>in</strong>tersoggettivitàda parte di Derrida. Nel suo <strong>testo</strong> Della grammatologia– scrive Ferraris – Derrida avanza l’ipotesi di un155


archiscrittura che precede l’es<strong>per</strong>ienza proprio <strong>in</strong> quanto ne è <strong>il</strong>telos e dunque, nell’ord<strong>in</strong>e del diritto, l’arché. Non esistono oggettise non <strong>per</strong> un soggetto. Ma <strong>per</strong>ché l’oggetto <strong>in</strong>tenzionato restiqualcosa di piú che un’impressione transitoria, è necessario che <strong>il</strong>soggetto si costituisca come altro <strong>in</strong> sé, e costituisca l’oggetto comeidealità l<strong>in</strong>guistica che lo preservi dalla caducità e che ne consenta<strong>il</strong> mantenimento nel variare de<strong>gli</strong> stati della coscienza. Tuttavia,aff<strong>in</strong>ché l’impressione resa <strong>in</strong> tal modo duratura non segua <strong>il</strong>dest<strong>in</strong>o del proto<strong>in</strong>ventore, ovvero non scompaia con lui, è necessarioche venga comunicata, con una crescente l<strong>in</strong>guisticità, allacomunità storica entro cui l’<strong>in</strong>ventore vive, occorre che venga tradizionalizzataattraverso la scrittura, che si presenta allora comequel campo trascendentale <strong>in</strong> cui l’oggetto si conserva come puraidealità, e dunque come presenza <strong>in</strong> senso em<strong>in</strong>ente. Non è diffic<strong>il</strong>ericonoscere qui <strong>il</strong> movimento tramite <strong>il</strong> quale, <strong>in</strong> Hegel, lamorte del naturale è la condizione dello spirituale. Da questopunto di vista, secondo l’autore, vi è un parallelismo fra l’idea derridianadella scrittura come forma piú alta di tradizionalizzazionedella verità e l’idea husserliana della presenza <strong>in</strong>tesa come idealità.Tale parallelismo si traduce nell’ipotesi di un debito contratto dall’autoredell’o<strong>per</strong>a Della grammatologia nei confronti della fenomenologiahusserliana. È proprio attraverso la tematizzazionedella nozione di presenza <strong>in</strong> Husserl che Derrida sarebbe potutogiungere ad una f<strong>il</strong>osofia della differenza che si pone sulle traccedella riflessione platonica.Ancora alla scrittura è dedicato l’<strong>in</strong>tervento di Cater<strong>in</strong>a Resta(L’evento dell’altro): con Derrida la f<strong>il</strong>osofia diventa f<strong>in</strong>o <strong>in</strong> fondoconsapevole di dover attraversare la scrittura non come momentosecondario del pensiero, ma come luogo nel quale <strong>il</strong> pensierostesso si dà e ci dà da pensare. Accostarsi al pensiero di Derridasignifica dunque <strong>in</strong> primo luogo fare i conti con una pratica discrittura, prenderla sul serio, comprendere la necessità del suo156


logorante lavoro sulla l<strong>in</strong>gua. Pier Aldo Rovatti (Vedere e ascoltare.Post<strong>il</strong>la a “L’orecchio di Heidegger” di Jacques Derrida), affronta<strong>in</strong>vece l’enigma e la paradossalità dello sguardo fenomenologico <strong>il</strong>quale, <strong>per</strong> vedere, ha bisogno di spegnere l’<strong>in</strong>vadenza della luceattraverso ciò che possiamo descrivere come un ascolto s<strong>il</strong>enzioso.V<strong>in</strong>cenzo Vitiello (L’altro-<strong>il</strong> segno-la voce) ri<strong>per</strong>corre da parte sua itemi propri della riflessione di Derrida alla luce del confronto conHeidegger, Husserl, Lev<strong>in</strong>as, nonché Platone ed Hegel.Inf<strong>in</strong>e, nella Conversazione con Jacques Derrida, viene affrontato<strong>il</strong> problema posto nei Beiträge dell’ultimo Dio ancora a venirenell’<strong>in</strong>terpretazione che ne offre Derrida: quella del carattere enigmaticodel “violento” anticristianesimo di Heidegger, non <strong>in</strong>conc<strong>il</strong>iab<strong>il</strong>e,tuttavia, con una certa teologia cristiana.Fabio Ciaramelli, Bruno Moronc<strong>in</strong>i, Felice Ciro Papparo, Diffrazioni.La f<strong>il</strong>osofia alla prova della psicoanalisi, 1994, CollanaSaggi n. 17, 276 pp.Il libro nasce dalla rielaborazione dei materiali presentati nelcorso di un ciclo di sem<strong>in</strong>ari tenutosi a Napoli, <strong>per</strong> <strong>in</strong>iziativa dell’<strong>Istituto</strong>,fra novembre e dicembre 1993. L’<strong>in</strong>tento che sostiene idiversi saggi – come conferma Moronc<strong>in</strong>i nella Premessa – è quellodi una “chiamata <strong>in</strong> giudizio” della f<strong>il</strong>osofia da parte della psicoanalisi,una richiesta ad essa di “sp<strong>in</strong>gersi oltre <strong>il</strong> suo dire” e diaccettare di “patire l’impossib<strong>il</strong>e”. Ora, secondo Freud, l’impossib<strong>il</strong>edella f<strong>il</strong>osofia è l’affermazione che l’<strong>in</strong>conscio pensa, affermazioneche si oppone radicalmente alla riduzione del pensare all’ioe alla subord<strong>in</strong>azione programmatica della sfera del desiderio.Quanto al term<strong>in</strong>e “diffrazione” che dà <strong>il</strong> titolo al volume, esso fariferimento al modo <strong>in</strong> cui viene <strong>in</strong>teso da<strong>gli</strong> autori <strong>il</strong> rapporto frai sa<strong>per</strong>i: a<strong>gli</strong> antipodi di una concezione “<strong>in</strong>terdiscipl<strong>in</strong>are”, un157


sa<strong>per</strong>e si <strong>in</strong>contrerebbe con un altro sa<strong>per</strong>e, appunto, scomponendolo,sfrangiandolo, e lasciandosi al tempo stesso a sua voltadecomporre o decostruire. Ponendosi dunque nell’area semanticadel decostruzionismo derridiano, e seguendo una suggestionedello stesso autore, Fabio Ciaramelli (La nostalgia dell’orig<strong>in</strong>e el’eccesso del desiderio. Lo Unheimliche e l’angoscia <strong>in</strong> Freud e Heidegger)<strong>in</strong>daga nel suo saggio <strong>il</strong> concetto di “<strong>per</strong>turbante” o di“spaesante” (<strong>il</strong> lato oscuro e nascosto di ciò che crediamo a noi piúfam<strong>il</strong>iare) alla luce del <strong>testo</strong> freudiano – Das Unheimliche, appunto– pubblicato nel 1919, alla vig<strong>il</strong>ia della svolta speculativa che porterà<strong>il</strong> padre della psicoanalisi ad una revisione della teoria dell’angoscia.La tesi di Ciaramelli è che <strong>il</strong> <strong>testo</strong> <strong>in</strong> questione anticipitale evoluzione, mostrando già <strong>il</strong> carattere orig<strong>in</strong>ario dell’angoscia,concepita non piú come conseguenza, ma come causa della rimozione.La connessione fra Unheimlichkeit e angoscia – ricorda Ciaramelli– è del resto centrale anche <strong>in</strong> Heidegger e ne accompagnal’elaborazione da Se<strong>in</strong> und Zeit f<strong>in</strong>o alla meditazione de<strong>gli</strong> anniTrenta e Quaranta sull’essenza dell’uomo pensata alla luce dell’essenzadell’essere. L’analisi comparata dei testi di Freud e di quellidi Heidegger conduce l’autore a mostrare la diversità delle conclusionicui essi giungono: mentre <strong>per</strong> Heidegger lo spaesamentoè ciò che <strong>per</strong>mette di su<strong>per</strong>are l’assenza di patria e di scoprire ladiffic<strong>il</strong>e vic<strong>in</strong>anza dell’orig<strong>in</strong>e, <strong>per</strong> Freud esso <strong>in</strong>dica <strong>in</strong>vece una<strong>per</strong>dita orig<strong>in</strong>aria e irreparab<strong>il</strong>e, legata al carattere irrealizzab<strong>il</strong>edel desiderio umano, al suo eccesso costitutivo. In entrambi tuttaviasi allude, secondo Ciaramelli, ad una medesima “latenza” – <strong>per</strong>usare un’espressione di Merleau-Ponty –, ad una medesima“ambiguità del vissuto”, alla sua <strong>in</strong>sormontab<strong>il</strong>e problematicità,che <strong>in</strong> alcun caso può essere ridotta forzatamente nei limiti diun’<strong>in</strong>terpretazione.Bruno Moronc<strong>in</strong>i (La metafora dell’amore. Jacques Lacan commenta<strong>il</strong> Simposio di Platone) ri<strong>per</strong>corre la lettura del dialogo pla-158


tonico considerandola, al di là delle critiche rivolte da Derrida allapsicoanalisi lacaniana, “come una variante o una decl<strong>in</strong>azione, oaddirittura una forma di anticipazione, della strategia decostruttivadel <strong>testo</strong> f<strong>il</strong>osofico”. Nella sua lettura, <strong>in</strong>centrata sulla dimensioneretorica del <strong>testo</strong> e sull’uso <strong>in</strong> esso della metafora, Lacanattribuisce alla figura di Alcibiade – “l’uomo del desiderio” – unafunzione ben piú r<strong>il</strong>evante di quella che caratterizza <strong>il</strong> commentariotradizionale: <strong>in</strong> esso, secondo Lacan, <strong>il</strong> dialogo platonico saràsempre letto come iscrizione di una certa supremazia del sa<strong>per</strong>esul desiderio, dell’ideale sull’empirico, della ragione sulla sensib<strong>il</strong>ità.La tesi di Lacan è che nel Simposio (e non solo) Socrate sicomporti come un quasi analista e che la sua replica al discorso diAlcibiade assomi<strong>gli</strong> ad un’<strong>in</strong>terpretazione. L’<strong>in</strong>vestimento libidico– <strong>il</strong> transfert – che lega l’analizzante all’analista sarebbe <strong>in</strong>fattidovuto ad una passione di sa<strong>per</strong>e che sconf<strong>in</strong>a nella vo<strong>gli</strong>a di ignoranza:prima ancora che si varchi la so<strong>gli</strong>a dello studio, l’analista èproiettato nella posizione del soggetto della scienza, di colui che èsupposto sa<strong>per</strong>e ciò di cui l’altro soffre (cosí come Socrate èoggetto di attrazione <strong>per</strong> i giovani, <strong>in</strong> quanto ha <strong>il</strong> sa<strong>per</strong>e del desiderio,che <strong>in</strong> realtà consisterebbe proprio nella consapevolezzadell’assoluta <strong>in</strong>consistenza dell’oggetto della volontà). Ciò chesegue non sarebbe altro che <strong>il</strong> tentativo dell’analizzante di strappareall’analista quel sa<strong>per</strong>e. D’altra parte l’analista, come Socrate,sa di non sa<strong>per</strong>e nulla, ovvero sa che <strong>il</strong> sa<strong>per</strong>e giace rimosso nelfondo dell’analizzante. A questo parallelo fra l’analista e Socrate,Lacan affianca la dist<strong>in</strong>zione fra quest’ultimo e Platone (<strong>il</strong> cuipunto di vista sarebbe esposto dal discorso di Diotima). MentreSocrate <strong>in</strong>carna <strong>per</strong> Lacan <strong>il</strong> sa<strong>per</strong>e scientifico, che disarticola la“rivelazione dell’essere”, attribuendo la verità al registro del simbolicoe la f<strong>in</strong>zione a quella dell’immag<strong>in</strong>ario, Platone costituirebbeuna ricaduta nel teologico. La tesi di Lacan è che solo <strong>il</strong>sa<strong>per</strong>e della scienza possa farsi carico del carattere paradossale159


della verità: che la verità è questo e quello, verità e f<strong>in</strong>zione, archetipoideale e simulacro, orig<strong>in</strong>ale e copia, <strong>in</strong>decidib<strong>il</strong>mente. ÈSocrate che <strong>in</strong>carna questa scienza di fronte a Platone, che vuole<strong>in</strong>vece “padroneggiare l’impossib<strong>il</strong>e”, trovare l’idea <strong>in</strong> grado dimostrare <strong>il</strong> reale.Felice Ciro Papparo (Mitologia dell’<strong>in</strong>visib<strong>il</strong>e. Note su Genealogiadella psicoanalisi di M. Henry) muove dalla fenomenologiamateriale sv<strong>il</strong>uppata dall’autore francese ut<strong>il</strong>izzando spunti importantiderivati da alcune <strong>in</strong>tuizioni freudiane. Contro la riduzionerazionalista del fenomeno a ciò che è rappresentato, Henry recu<strong>per</strong>anell’affettività (la cui def<strong>in</strong>izione reca: “ciò che si sente senzache ciò avvenga <strong>per</strong> <strong>il</strong> tramite di un senso è nella sua essenza affettività”)la radice del vivere, che costituirebbe <strong>il</strong> fondamento <strong>in</strong>visib<strong>il</strong>eeluso dalla scienza moderna e dalla tecnica contemporanea.Lo stesso Freud – che pure ha prodotto una rivoluzione totale nelmodo di comprendere l’uomo – f<strong>in</strong>isce, secondo M. Henry, <strong>per</strong>ricondurre la sfera dell’affettività ad una “metafisica della rappresentazione”.Il lavoro freudiano di sco<strong>per</strong>ta dell’<strong>in</strong>conscio, e lastrumentazione messa <strong>in</strong> atto <strong>per</strong> r<strong>il</strong>evarlo, proprio <strong>per</strong>ché pretendonodi portare <strong>in</strong> su<strong>per</strong>ficie o <strong>in</strong> evidenza ciò che, <strong>in</strong>vece, sprofondando<strong>in</strong> noi ci fonda, mancherebbero cosí strutturalmente “<strong>il</strong>senso” stesso dell’Inconscio. A questa lettura l’autore del saggioobietta – non soltanto a M. Henry, ma al discorso f<strong>il</strong>osofico piú <strong>in</strong>generale – di aver semplificato e sf<strong>il</strong>acciato la complessa tessiturateorica del discorso freudiano. L’<strong>in</strong>terpretazione f<strong>il</strong>osofica si configurerebbe<strong>in</strong>fatti come una richiesta di giustificazione alla psicoanalisidel suo essere e del suo discorrere che non terrebbeconto del nuovo scenario di oggettività da essa disegnato a partiredalla nozione di es<strong>per</strong>ienza: l’elaborazione teorica dell’apparatoconcettuale psicoanalitico – scrive Papparo – non sopporta nessuna“conoscenza a priori” <strong>per</strong>ché <strong>il</strong> sa<strong>per</strong>e che ne deriva non puòtrovare altra radice se non nella cl<strong>in</strong>ica. L’oggetto vero dell’<strong>in</strong>da-160


g<strong>in</strong>e freudiana non è allora l’Inconscio miticamente isolato – e daquesto punto di vista fatto di nuovo oggetto di “rappresentazione”o di articolazione ontologica –, ma la sco<strong>per</strong>ta e la “cura” dellaprocessualità funzionale dell’apparato, allo scopo di comprendere,attraverso la via regia del mondo onirico e della follia, <strong>il</strong> Seelenleben,la vita dell’anima.161


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10.LA RAGIONE NEI RAPPORTI DI INTESA163


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La proposta di Jürgen Habermas – e <strong>il</strong> dibattito che ne è scaturito– di ricostruire <strong>il</strong> potenziale della ragione nei rapporti di <strong>in</strong>tesaa partire dal carattere <strong>in</strong>tersoggettivo dell’agire comunicativocostituisce uno dei contributi piú significativi alla riflessione f<strong>il</strong>osoficadel nostro tempo. Il tentativo di salvaguardare l’esigenza diuniversalità sottesa alle costruzioni del l<strong>in</strong>guaggio, dell’etica e deldiritto si attua tuttavia, <strong>in</strong> ragione del confronto con la prospettivapostmoderna di critica alla metafisica, al di fuori della ricerca diuna fondazione ultima di tipo trascendentale.Jürgen Habermas, Prof<strong>il</strong>i politico-f<strong>il</strong>osofici. Heidegger, Gehlen,Jas<strong>per</strong>s, Bloch, Adorno, Löwith, Arendt, Benjam<strong>in</strong>, Scholem,Gadamer, Horkheimer, Marcuse, a cura di Leonardo Ceppa,2000, Collana Saggi n. 37, 292 pp.Da<strong>gli</strong> scritti raccolti <strong>in</strong> questo volume, dedicati a figure centralidella f<strong>il</strong>osofia del Novecento, ma anche direttamente significativi<strong>per</strong> l’autore, trapela <strong>in</strong>nanzitutto una “straord<strong>in</strong>aria coerenza teorica”:“È come se la planimetria della cattedrale – scrive Ceppa –,<strong>il</strong> disegno dei suoi fondamenti, fosse già stata <strong>in</strong>tuita da Habermas– almeno <strong>in</strong> parte – all’<strong>in</strong>izio de<strong>gli</strong> anni Settanta”. Ma ad emergere165


è anche <strong>il</strong> carattere “assim<strong>il</strong>atorio-riformistico” dell’impostazionedi Habermas, la sua capacità di far propri punti di vista diversi dalsuo, pur <strong>per</strong>manendo <strong>in</strong>tatta la capacità di criticarli.Molto opportunamente <strong>il</strong> curatore dist<strong>in</strong>gue quattro grandiaree del discorso habermasiano: <strong>il</strong> tema dell’ebraismo f<strong>il</strong>osofico, lacritica delle antropologie antistoriche e naturalistiche, la presa didistanza dalla vecchia Scuola di Francoforte, la valorizzazioneantiheideggeriana del modello l<strong>in</strong>guistico-comunicativo di HannahArendt (e delle suggestioni ermeneutiche di Gadamer).Al tema dell’ebraismo f<strong>il</strong>osofico è dedicato <strong>il</strong> saggio L’idealismotedesco dei f<strong>il</strong>osofi ebrei (1961). Contro l’antisemitismo di autoricome Ernst Jünger, Mart<strong>in</strong> Heidegger e Carl Schmitt, Habermasri<strong>per</strong>corre alcuni dei piú significativi contributi f<strong>il</strong>osofici di autoridi orig<strong>in</strong>e ebraica, da Mart<strong>in</strong> Buber a Franz Rosenzweig, da HermannCohen a Ernst Cassirer, da Walter Benjam<strong>in</strong> a George Simmel,f<strong>in</strong>o a Ernst Bloch. Emerge <strong>in</strong>nanzitutto da tale ricostruzionel’impossib<strong>il</strong>ità di promuovere una contrapposizione fra spiritoebraico e spirito tedesco. Inoltre, pur nella r<strong>il</strong>uttanza dell’autore adist<strong>in</strong>guere fra ebrei e non ebrei, nel timore che ciò possa “attaccare<strong>il</strong> contrassegno della stella ebraica su tutti coloro che [sono]già stati cacciati e uccisi”, si richiama la necessità di <strong>in</strong>sistere suquesta tradizione ebraico-tedesca <strong>in</strong> quello che Habermas <strong>per</strong>cepiscecome un “clima di irresponsab<strong>il</strong>e disponib<strong>il</strong>ità a lasciare chetutto venga <strong>per</strong>donato e dimenticato”.Da questo punto di vista, nel saggio Mart<strong>in</strong> Heidegger a propositodella pubblicazione di una “Vorlesung” del 1935 (1953),Habermas discute <strong>il</strong> passo sulla “verità e grandezza” del nazionalsocialismo– <strong>in</strong>serito da Heidegger nella E<strong>in</strong>führung <strong>in</strong> dieMetaphysik del 1935 – mostrando come esso sia <strong>in</strong>timamente collegatoal con<strong>testo</strong> della Vorlesung. Nella situazione politica del1935, che del<strong>in</strong>ea un doppio fronte tedesco contro l’Est e l’Ovest,Heidegger – scrive Habermas – vede <strong>il</strong> riflesso di una situazione166


elativa alla “storia dell’essere”: una situazione che si stava preparandoda duem<strong>il</strong>a anni e che oggi prescriverebbe al popolo tedescouna missione storico-mondiale. La Vorlesung tradisce dunqueimpietosamente, secondo Habermas, la “tonalità fascista” di que<strong>gli</strong>anni e l’impostazione di chi vorrebbe, al posto di una chiarificazionemorale, una giustificazione <strong>in</strong> term<strong>in</strong>i di “storia dell’essere”non soltanto del proprio errore <strong>per</strong>sonale, ma anchedell’“errore” della direzione nazionalsocialista.Nel saggio Gershom Scholem. La torah travestita (1978), redatto<strong>in</strong> occasione dell’ottantesimo compleanno del grande studioso,Habermas ri<strong>per</strong>corre due dei motivi che hanno segnato la suariflessione <strong>in</strong>torno alla mistica ebraica. Il primo è <strong>il</strong> motivo gnoseologicolegato alla visione della Sacra Scrittura come di una casadalle molte stanze, davanti ad ognuna delle quali c’è una chiave,che tuttavia non è quella giusta. Da questo punto di vista Scholemsembra cercare la soluzione del problema di come conc<strong>il</strong>iare la fallib<strong>il</strong>itàdella conoscenza umana con la pretesa assoluta e universaledi raggiungere la verità. È alla luce della redenzione – questa larisposta di Scholem – che la molteplicità discordante delle <strong>in</strong>terpretazionirivelerà la sua nascosta unità. Il secondo motivo, <strong>in</strong>trecciatoal primo, è quello della f<strong>il</strong>osofia della storia, attraverso cuiScholem studia <strong>il</strong> nich<strong>il</strong>ismo religioso del XVIII secolo. SecondoHabermas l’assim<strong>il</strong>azione teoretica da parte dello studioso del contenutodelle tradizioni mistiche ricevette notevole impulso dalmovimento sionista. Da questo punto di vista <strong>il</strong> f<strong>il</strong>osofo tedescorichiama <strong>il</strong> discorso tenuto nel 1966, nel quale Scholem denunciaval’esistenza di una asimmetria profonda nei rapporti ebraicotedeschi.Il prezzo richiesto a<strong>gli</strong> ebrei <strong>per</strong> la loro emancipazioneera <strong>il</strong> completo r<strong>in</strong>negamento della nazionalità ebraica, mentresecondo Scholem un’autentica simmetria si poteva produrre soloattraverso un deciso ritorno dello spirito e della nazione ebraicaalla propria storia. È <strong>in</strong> questa prospettiva che va letto allora l’im-167


pegno di Scholem a far sí che <strong>il</strong> mondo della mistica ebraica sia“tolto all’oscurità ed esposto a<strong>gli</strong> occhi di tutti”.Ad altre due grandi figure del pensiero ebraico sono dedicatidue saggi della raccolta che recano rispettivamente <strong>il</strong> titolo ErnstBloch. Uno Schell<strong>in</strong>g marxista (1960) e Walter Benjam<strong>in</strong>. Criticache rende coscienti oppure critica salvifica? (1972). Nel primoHabermas r<strong>il</strong>eva come Il pr<strong>in</strong>cipio s<strong>per</strong>anza – l’o<strong>per</strong>a scritta daBloch ne<strong>gli</strong> Stati Uniti, rivista e completata nella Germania orientale,data <strong>per</strong> la prima volta <strong>in</strong>tegralmente alle stampe nella Germaniaoccidentale – rifletta bene nella sua storia esterna quella<strong>in</strong>teriore: “l’odissea di uno spirito che muove dallo spirito dell’esodo”.Alla f<strong>il</strong>osofia tradizionale Bloch non rimprovera tanto <strong>il</strong>suo impulso al trascendimento, quanto la “falsa coscienza” che lasp<strong>in</strong>ge a credere che ciò che si dischiude a tale trascendimentopossa essere una sostanza passata o già da sempre presente. Laconoscenza, che dall’anamnesi platonica f<strong>in</strong>o all’analisi freudianasembra seguire la direzione del ritorno rammemorante, <strong>in</strong> realtà siriferisce anche a qualcosa che è ancora “<strong>in</strong> arrivo” e oggettivamentepossib<strong>il</strong>e. Tuttavia l’immag<strong>in</strong>e che Bloch viene a del<strong>in</strong>earedel “regno della libertà” attraverso un’<strong>in</strong>terpretazione marxista diSchell<strong>in</strong>g e attivando una particolare sensib<strong>il</strong>ità di orig<strong>in</strong>e ebraicaverso tradizioni mistiche ed ermeneutiche, f<strong>in</strong>isce secondo Habermas<strong>per</strong> irrigidirsi <strong>in</strong> un “autoritarismo cattedratico”, forse <strong>per</strong> viadella maniera esorbitante con cui è stata <strong>in</strong>izialmente concepita.Nel secondo saggio, <strong>in</strong> un confronto con le tesi di Benjam<strong>in</strong>teso alla possib<strong>il</strong>ità di recu<strong>per</strong>arne le <strong>in</strong>tuizioni alla luce di una teoriacomplessiva della comunicazione l<strong>in</strong>guistica, Habermas esam<strong>in</strong>ala distanza che separa la concezione esposta nello scritto L’o<strong>per</strong>ad’arte nell’epoca della sua riproducib<strong>il</strong>ità tecnica da quella diMarcuse e di Adorno, che appaiono entrambe orientate verso unacritica dell’ideologia. In particolare, contro le s<strong>per</strong>anze di Benjam<strong>in</strong><strong>in</strong> una generalizzata <strong>il</strong>lum<strong>in</strong>azione profana – rispetto dunque168


alla sua “critica salvifica” – Habermas mostra come Adorno opti<strong>per</strong> un’arte <strong>in</strong>accessib<strong>il</strong>e alle masse, che sola sarebbe <strong>in</strong> grado diresistere alle pressioni del mercato e del conformismo. Marcata larottura che Benjam<strong>in</strong> volle compiere nei confronti dell’esoterismo,Habermas s’<strong>in</strong>terroga sulla concezione dell’arte come es<strong>per</strong>ienza ene <strong>in</strong>dica i fondamenti nella f<strong>il</strong>osofia del l<strong>in</strong>guaggio.Alla critica delle antropologie antistoriche e naturalistiche sonovolti i due saggi dedicati a Arnold Gehlen – La crisi delle istituzioni(1956); Sostanzialità contraffatta (1970) – e quello dedicato a KarlLöwith, dal titolo La r<strong>in</strong>uncia stoica alla coscienza storica (1963).Nel saggio del 1956 Habermas discute <strong>il</strong> libro di Gehlen dal titoloLe orig<strong>in</strong>i dell’uomo e la tarda cultura, <strong>in</strong> quello del 1970 <strong>il</strong> <strong>testo</strong>Moral und Hy<strong>per</strong>moral. Il loro autore viene def<strong>in</strong>ito come <strong>il</strong> rappresentantepiú coerente di un istituzionalismo anti<strong>il</strong>lum<strong>in</strong>istico,paragonab<strong>il</strong>e a quello di nomi come Carl Schmitt o KonradLorenz. La sua analisi delle radici biologiche del comportamentomorale appare ispirata da un odio verso l’umanitarismo, che <strong>per</strong>Gehlen spezzerebbe l’equ<strong>il</strong>ibrio metaetico e biologico dei coorig<strong>in</strong>arisistemi di valore, distruggendo la salute antropologica dellaspecie umana. A tale analisi Habermas contrappone l’affermazionedell’unità della coscienza morale: etica fam<strong>il</strong>iare (alla base<strong>per</strong> Gehlen della morale umanitaristica) ed etica statuale non r<strong>in</strong>viano<strong>per</strong> Habermas a radici diverse, ma sono pensab<strong>il</strong>i come duelivelli nello sv<strong>il</strong>uppo socioculturale della coscienza morale. Lamorale universalistica, screditata da Gehlen, si colloca al term<strong>in</strong>ed’un processo di universalizzazione e di <strong>in</strong>teriorizzazione cui nonvo<strong>gli</strong>amo certo r<strong>in</strong>unciare – ribadisce Habermas – <strong>per</strong> retrocedere,con Gehlen, all’ethos di istituzioni grandi e non trasparenti.Quanto a Löwith, di fronte al tentativo di “<strong>in</strong>vertire la rottadalla modernità alla classicità” <strong>per</strong> recu<strong>per</strong>are quell’atteggiamentoclassicamente teoretico verso <strong>il</strong> mondo che si vorrebbe su<strong>per</strong>iorealla storia <strong>per</strong>ché non ristretto allo storicismo della coscienza – <strong>il</strong>169


mondo, che prima esisteva <strong>per</strong> natura, si trasforma col cristianesimo<strong>in</strong> un evento salvifico, potenziandosi <strong>in</strong> una creazione effimeraavvenuta <strong>in</strong> funzione dell’uomo e non <strong>per</strong> se stessa – e<strong>gli</strong> f<strong>in</strong>iscesecondo Habermas <strong>per</strong> concordare con la critica dellareligione sv<strong>il</strong>uppata dai Giovani Hegeliani e condividere con lorol’idea che le epoche precristiane possano semplicemente “cancellare”<strong>il</strong> cristianesimo, quasi si potesse su<strong>per</strong>are <strong>per</strong> via di semplicenegazione la base ermeneutica della nostra autocomprensione.Dei saggi dedicati alla Scuola di Francoforte, due (Un <strong>in</strong>tellettualeprestato alla f<strong>il</strong>osofia, 1963; Preistoria della soggettività eautoaffermazione imbarbarita, 1969), mirano a ricostruire <strong>il</strong> <strong>per</strong>corso<strong>in</strong>tellettuale di Theodor Adorno dalla Dialettica dell’Illum<strong>in</strong>ismof<strong>in</strong>o alla Dialettica negativa, un <strong>testo</strong> considerato come <strong>il</strong>testamento f<strong>il</strong>osofico dell’autore. Un terzo saggio è rivolto all’o<strong>per</strong>adi Herbert Marcuse (I tempi diversi della politica e della f<strong>il</strong>osofia,1998), dove Habermas medita sul “caso” di un f<strong>il</strong>osofo la cuifigura di pensatore scientifico è f<strong>in</strong>ita <strong>per</strong> scomparire dietro <strong>il</strong>ruolo di maestro e ispiratore politico. Nel saggio dal titolo MaxHorkheimer. La Scuola di Francoforte a New York (1980), Habermasricostruisce i tratti fondamentali e le vicende della “teoria critica”della Scuola francofortese attraverso la presentazione dellaZeitschrift für Sozialforschung, che si conferma come <strong>il</strong> centro organizzativoe culturale di quel movimento di pensiero. La Zeitschriftcontiene <strong>in</strong>nanzitutto i testi classici dei collaboratori di quell’“<strong>Istituto</strong><strong>per</strong> la ricerca sociale” che nel 1933 dovette emigrare prima aG<strong>in</strong>evra e poi a New York (dal 1934 al 1941). Questi grandi saggi– Habermas cita <strong>in</strong> particolare la duplice presa di posizione daparte di Horkheimer contro lo scientismo e contro la metafisica,l’elaborazione da parte di Eric Fromm di una feconda assim<strong>il</strong>azionedel marxismo alla psicoanalisi, la meno sv<strong>il</strong>uppata teoriaeconomica – rispecchiano secondo l’autore l’impareggiab<strong>il</strong>e produttività“di una piccola cerchia di scienziati che, nello spazio sem-170


pre piú angusto dell’emigrazione, si raccolgono <strong>in</strong>torno alla rivistacome a una sorta di bandiera”. Tuttavia l’attenzione di Habermassi appunta soprattutto sull’ampiezza e l’importanza delle sezionidella rivista dedicate alle recensioni. Sotto la direzione di LeoLöwenthal, nelle cui mani convergono le f<strong>il</strong>a di tutto l’impegnoredazionale, si sv<strong>il</strong>uppa l’idea di elaborare una teoria della societàcontemporanea che <strong>in</strong> tutte le discipl<strong>in</strong>e sociali sia <strong>in</strong> grado di sottomettersiad una critica empirica. In questo modo, <strong>per</strong> la duratadi un decennio, la teoria critica funziona come forza unificanterispetto alle diverse scienze sociali. Disponendo di specialisti <strong>in</strong>ternazionalmentenoti, di notevoli f<strong>in</strong>anziamenti, la redazione è <strong>in</strong>grado di <strong>in</strong>dagare accuratamente diversi settori della ricerca, costituendo<strong>in</strong> tal modo, anche solo <strong>per</strong> questo aspetto, un documentoestremamente significativo della sua epoca. Ciò non sarebbe tuttaviastato possib<strong>il</strong>e se la rivista non fosse stata sostenuta da unimpulso storico-politico. Ed è proprio <strong>in</strong> questa direzione chevanno ricercate le cause della sua f<strong>in</strong>e. La rivista naufragò quando,con la decisione di pubblicare <strong>in</strong> l<strong>in</strong>gua <strong>in</strong>glese allo scopo di impegnarepiú fortemente l’<strong>Istituto</strong> sul piano della ricerca empirica, futa<strong>gli</strong>ato <strong>il</strong> cordone ombelicale con la cultura accademica dellamadrepatria. La teoria critica, ormai senza fondamenti, si vedeva“abbandonata al vortice di una “dialettica dell’<strong>il</strong>lum<strong>in</strong>ismo” cheaveva consumato la ragione e ogni fede nella ragione” di fronteall’impatto distruttore della guerra. Avendo dato una letturatroppo tradizionale di ciò che Marx def<strong>in</strong>iva “forze produttive”,<strong>gli</strong> ispiratori della rivista dovettero presto accorgersi che la crescitadella razionalità cognitivo-strumentale non basta a garantire formedi vita piú degne dell’uomo. Per questo – aggiunge Habermas –non è escluso che le vere forze produttive, i veri potenziali dellaragione, debbano essere collocati nei rapporti d’<strong>in</strong>tesa piuttostoche nei rapporti di lavoro.In un ultimo gruppo di saggi possono <strong>in</strong>vece essere fatti rien-171


trare quelli dedicati a Jas<strong>per</strong>s, a Gadamer e <strong>in</strong>f<strong>in</strong>e ad HannahArendt, a partire dunque da un confronto con le suggestioni distampo esistenzialista ed ermeneutico, f<strong>in</strong>o alla valorizzazione delmodello comunicativo. Nel saggio Karl Jas<strong>per</strong>s. Le figure dellaverità (1958) al centro dell’analisi di Habermas sta la “tolleranzam<strong>il</strong>itante” promossa dal f<strong>il</strong>osofo e <strong>in</strong>centrata sull’idea che la verità– afferrab<strong>il</strong>e solo a partire dalla profondità, autenticità e importanzadella sua rappresentazione esistenziale – non possa essererazionalmente univoca e v<strong>in</strong>colante: essa si manifesterebbe piuttosto<strong>in</strong> una molteplicità di figure che vanno tutte tollerate e rispettatecome “possib<strong>il</strong>ità” <strong>in</strong> cui la verità si mostra a<strong>gli</strong> altri. La storiadella f<strong>il</strong>osofia viene cosí a configurarsi <strong>per</strong> Jas<strong>per</strong>s come storia deigrandi f<strong>il</strong>osofi. Ma nella sua analisi – obietta Habermas – la lorograndezza, sradicata dalle condizioni che l’hanno alimentata, f<strong>in</strong>isce<strong>per</strong> giustificarsi automaticamente da sola. L’esito di una veritàfondata semplicemente <strong>in</strong> term<strong>in</strong>i esistenziali è cosí l’impossib<strong>il</strong>itàdi fornire una dimensione critica <strong>per</strong> l’assim<strong>il</strong>azione della storia.A Gadamer è dedicato <strong>il</strong> saggio L’urbanizzazione della prov<strong>in</strong>ciaheideggeriana (1979). Quando la città di Stoccarda istituí lo“Hegel Preis” Gadamer si ado<strong>per</strong>ò <strong>per</strong>ché esso venisse conferito aHeidegger. Ma <strong>il</strong> v<strong>in</strong>citore risultò poi essere Bruno Snell. Ora –scrive Habermas, <strong>in</strong>caricato <strong>per</strong> l’occasione della “laudatio” delf<strong>il</strong>osofo – la nuova edizione del premio viene assegnata a Gadamer,vale a dire al f<strong>il</strong>osofo che ama ricordare di essere nello stessotempo un allievo di Heidegger e un cultore della f<strong>il</strong>ologia classica.E <strong>in</strong> effetti nessuno me<strong>gli</strong>o di lui, secondo Habermas, potrebbe“fare da ponte” sulla distanza sempre piú profonda che separaoggi la f<strong>il</strong>osofia dalle scienze umane, delle diverse scienze umanefra loro, ma anche, e soprattutto, sull’<strong>in</strong>tervallo temporale chesepara noi discendenti dai testi ereditati o sull’isolamento cheviene generato dalla violenza di un pensiero radicale. Il grandemerito f<strong>il</strong>osofico di Gadamer è proprio quello di aver saputo col-172


mare questi fossati. Tuttavia, poiché la metafora del pontepotrebbe essere fra<strong>in</strong>tesa e far pensare ad un “aiuto” <strong>per</strong> raggiungereluoghi <strong>in</strong>accessib<strong>il</strong>i, Habermas preferisce parlare di urbanizzazionedella prov<strong>in</strong>cia heideggeriana. Tanto piú importante è unpensatore come Gadamer, <strong>in</strong> quanto e<strong>gli</strong> traccia <strong>per</strong>corsi che consentirebberoanche a Heidegger di “tornare <strong>in</strong>dietro” dal vicolocieco <strong>in</strong> cui si era sp<strong>in</strong>to. Gadamer, <strong>in</strong>fatti, <strong>per</strong> un verso non si èmai identificato con Heidegger, <strong>per</strong> l’altro lo ha seguito f<strong>in</strong>o alpunto di poterne ora sv<strong>il</strong>uppare <strong>in</strong> maniera produttiva e su fondamentosicuro <strong>il</strong> pensiero f<strong>il</strong>osofico. A fronte della distruzione heideggerianadel pensiero occidentale, con <strong>il</strong> progetto di screditare– come dimenticanza progressiva dell’essere – l’<strong>in</strong>tera storia f<strong>il</strong>osoficada Platone e San Tommaso f<strong>in</strong>o a Cartesio e Hegel, Gadamer<strong>in</strong>terpreta l’essere nei term<strong>in</strong>i di una tradizione, riab<strong>il</strong>itando <strong>in</strong>questo quadro la tradizione umanistica orientata alla kantianafacoltà del giudizio. Una riab<strong>il</strong>itazione che Habermas vorrebbevedere estesa anche all’<strong>il</strong>lum<strong>in</strong>ismo universalistico del XVIIIsecolo.Il confronto con la posizione di Hannah Arendt avviene <strong>in</strong> duetappe successive. Nel saggio del 1966, La storia delle due rivoluzioni,Habermas discute <strong>il</strong> processo di riab<strong>il</strong>itazione della f<strong>il</strong>osofiapolitica classica, già <strong>in</strong>trapreso dall’autrice con Vita activa e portatoavanti con <strong>il</strong> libro dal titolo Sulla rivoluzione. In questo sensol’<strong>in</strong>teresse della Arendt <strong>per</strong> <strong>il</strong> fenomeno “rivoluzione” appare stranamentecircoscritto: la rivoluzione equivale <strong>per</strong> lei a fondare una“costituzione della libertà”, dove <strong>per</strong> libertà si <strong>in</strong>tende semplicementela partecipazione dei cittad<strong>in</strong>i alle faccende della polis. LaArendt <strong>in</strong>fatti scio<strong>gli</strong>e <strong>il</strong> nesso specifico caratterizzante le rivoluzionidella modernità, ossia <strong>il</strong> rapporto sistematico fra rovesciamentopolitico ed emancipazione delle classi sociali e si <strong>in</strong>venta lastoria di due rivoluzioni, quella buona, la rivoluzione americana,che sarebbe derivata da una lotta <strong>per</strong> la libertà politica e non da173


una protesta contro lo sfruttamento e la repressione sociale, e unacattiva, la Rivoluzione francese, poi divenuta modello <strong>per</strong> tutte lealtre. In questo modo la Arendt, secondo Habermas, capovolge larealtà delle cose. La rivoluzione americana s’<strong>in</strong>terpretava <strong>in</strong>fatti nelsolco di un giusrazionalismo liberale che, derivando da Locke,vedeva nascere lo Stato proprio dalle funzioni della società: <strong>in</strong> ognicaso non ha senso, <strong>per</strong> Habermas, discutere delle condizioni dellalibertà politica se non si tematizza anche l’emancipazione dal dom<strong>in</strong>io.Nel saggio dal titolo Il concetto di potere (1976), Habermasconfronta la def<strong>in</strong>izione del potere di Max Weber, <strong>per</strong> <strong>il</strong> quale essoco<strong>in</strong>cide con la possib<strong>il</strong>ità di imporre la propria volontà al comportamentoaltrui, con quella di Hannah Arendt, la quale, al contrario,<strong>in</strong>tende <strong>per</strong> potere la capacità umana di mettersi d’accordo,discutendo liberamente, su un certo agire collettivo. Il fenomenofondamentale del potere non è dunque la strumentalizzazione <strong>per</strong> ipropri f<strong>in</strong>i di una volontà altrui, bensí la formazione di una volontàcomune <strong>in</strong> una comunicazione diretta all’<strong>in</strong>tesa. In altri term<strong>in</strong>i, laforza di un consenso derivante da una comunicazione libera espontanea non si commisura sulle probab<strong>il</strong>ità di successo, ma sullepretese di validità ragionevole che è implicita nel discorso. Lo sv<strong>il</strong>uppodel potere è considerato da Hannah Arendt come un f<strong>in</strong>e ase stesso. Il potere serve a mantenere <strong>in</strong> vita la prassi da cui nasce.Diventa allora chiaro come <strong>il</strong> concetto comunicativo di potereabbia anche un contenuto normativo. L’ipotesi centrale è che nessunaleadership politica possa impunemente sostituire <strong>il</strong> potere conla forza e che soltanto da una sfera pubblica non deformata essa sia<strong>in</strong> grado di ricavare questo potere. Tale ipotesi le consente di sv<strong>il</strong>uppareun’analisi del totalitarismo <strong>in</strong> cui vengono messe <strong>in</strong> questionequelle strutture governative estremamente burocratizzate(come i partiti, i gruppi di potere e i parlamenti) le quali non farebberoaltro che estendere e rafforzare quel privatismo delle forme divita che rende possib<strong>il</strong>e mob<strong>il</strong>itare <strong>gli</strong> “impolitici” e fornire base174


psicologica al totalitarismo. Tuttavia, elevando a sostanza del politicoun’immag<strong>in</strong>e st<strong>il</strong>izzata della polis greca, la Arendt cadrebbe vittimadi un’idea di politica <strong>in</strong>applicab<strong>il</strong>e alle conduzioni moderne.Nessuna società moderna potrebbe <strong>in</strong>fatti sollevare lo Stato dalcompito amm<strong>in</strong>istrativo di trattare i problemi sociali, “purificare”la politica dalle questioni socioeconomiche.Jürgen Habermas, Fatti e norme. Contributi a una teoria discorsivadel diritto e della democrazia, a cura di Leonardo Ceppa, 1996,Collana Saggi n. 26, 579 pp.Se nella Teoria dell’agire comunicativo, del 1981, l’autore si proponevadi coniugare teoria dell’azione e teoria sistemica, <strong>in</strong> Fatti enorme <strong>il</strong> tentativo è quello di tenere <strong>in</strong>sieme nella dimensione dellavalidità giuridica l’universalismo della dimensione normativa e <strong>il</strong>realismo pragmatico della forza. Cosí scrive Leonardo Ceppa nell’Avvertenzaall’edizione italiana – promossa dall’<strong>Istituto</strong> <strong>Italiano</strong><strong>per</strong> <strong>gli</strong> <strong>Studi</strong> F<strong>il</strong>osofici – di questa grande o<strong>per</strong>a di Jürgen Habermas.La visione proposta da Habermas si presenta come una riflessionesulla natura e la funzione del diritto che non solo tiene conto,allo stesso tempo, di prospettive sociologiche e giuridiche, ma che<strong>in</strong>oltre ripensa figure fondamentali della tradizione f<strong>il</strong>osofica,prendendo sul serio <strong>il</strong> dis<strong>in</strong>canto post-metafisico e cercando tuttaviadi recu<strong>per</strong>are anche <strong>in</strong> questa nuova costellazione un orizzontedi senso <strong>per</strong> i concetti di diritto e di democrazia.L’analisi esordisce con una ricostruzione del concetto di ragionecomunicativa, a partire dai primi passi compiuti da Frege verso la“svolta l<strong>in</strong>guistica” e dalla r<strong>il</strong>evanza dello statuto ideale dei segn<strong>il</strong><strong>in</strong>guistici e delle regole grammaticali. Habermas fa poi riferimentoal ruolo fondamentale svolto da Peirce nel sottrarre <strong>il</strong> significatoad una visione platonizzante – ancora presente nello stesso175


Frege, <strong>in</strong> Husserl e <strong>in</strong> Pop<strong>per</strong> – e nel sottol<strong>in</strong>eare la centralità dell’elementodella comunicazione. Il modello, sv<strong>il</strong>uppato da Peirce<strong>per</strong> la comunità dei ricercatori, può secondo Habermas essereesteso anche alla prassi comunicativa quotidiana, come ha sco<strong>per</strong>tola teoria dei fatti l<strong>in</strong>guistici.Il problema che si pone Habermas è come sia possib<strong>il</strong>e che unaragione comunicativa possa emergere da una situazione potenzialmentecaratterizzata da un dissidio <strong>per</strong>enne. Questa possib<strong>il</strong>ità èofferta secondo l’autore dal fatto che l’agire comunicativo s’<strong>in</strong>serisce<strong>in</strong> un “mondo della vita” che provvede già di <strong>per</strong> sé a coprireun “massiccio consenso di fondo”. Nell’agire comunicativo <strong>il</strong>mondo della vita ci abbraccia come una certezza immediata, a partiredalla quale noi viviamo e parliamo senza prendere le distanze,senza ricordarci che esso potrebbe essere falso. Nel mondo dellavita è dunque azzerata quella che Habermas def<strong>in</strong>isce la tensionefra “fatticità e validità”. Lo stesso vale nelle istituzioni arcaiche chesi presentano con pretese di validità <strong>in</strong>contestab<strong>il</strong>e. Tuttavia taletensione viene progressivamente crescendo con l’evoluzionesociale, f<strong>in</strong>o al punto <strong>in</strong> cui <strong>il</strong> “sacro” non è piú <strong>in</strong> grado di garantirela necessaria <strong>in</strong>tegrazione sociale. Ora, secondo Habermas,<strong>per</strong> comprendere come <strong>il</strong> rapporto fra fattualità e validità si realizzio possa realizzarsi nelle società contemporanee, risulta fondamentale<strong>il</strong> concetto kantiano di legalità. Nella modalità della validitàgiuridica la fattualità dell’imposizione statale del diritto si<strong>in</strong>treccia alla forza legittimante di un procedimento di produzionegiuridica che è razionale <strong>in</strong> quanto garantisce la libertà. La forzad’<strong>in</strong>tegrazione del diritto potrà dunque essere salvaguardata solose i dest<strong>in</strong>atari delle norme giuridiche, oltre a riconoscerne larazionalità, saranno anche <strong>in</strong> grado di co<strong>gli</strong>ersi come autori diquelle norme. Dopo aver dunque <strong>in</strong>trodotto l’idea della funzionesocio-<strong>in</strong>tegrativa del diritto, Habermas avanza l’ipotesi della necessariaconnessione di diritto e democrazia.176


Lo sv<strong>il</strong>uppo dell’analisi porta Habermas a specificare la funzionedi mediazione del diritto fra un mondo della vita che si riproducetramite agire comunicativo e quei sistemi funzionali dellasocietà (i sistemi del denaro e del potere) che formano ambientiesterni <strong>gli</strong> uni a<strong>gli</strong> altri. Tale funzione di mediazione <strong>per</strong>metterebbea messaggi ricchi di contenuto normativo di circolare <strong>per</strong>tutto <strong>il</strong> corpo sociale. Come chiarisce Habermas, si tratta di unaconcezione che su<strong>per</strong>a la visione alla base delle teorie contrattualisticheclassiche, secondo cui la società borghese funziona spontaneamenteda fonte della socializzazione politica, ancora prima diogni regolamentazione giuridica. Al tempo stesso essa rigetta l’ideaaffermatasi con Smith e Ricardo, qu<strong>in</strong>di con Hegel e Marx,della società borghese come di quella sfera della circolazione dellemerci e del lavoro dom<strong>in</strong>ata da leggi anonime, nella quale la categoriadel diritto <strong>per</strong>de <strong>il</strong> suo ruolo strategico, analogamente aquanto accade nel funzionalismo contemporaneo (ad esempio nell’ideadi Luhmann del diritto come sistema autopoietico).Dopo aver ribadito la funzione di mediazione del dirittorispetto alle teorie contrattualiste e al funzionalismo, che tendonoentrambi ad esautorare <strong>il</strong> diritto da questa sua funzione, Habermastenta una via <strong>in</strong>termedia fra una fondazione normativa deldiritto, secondo <strong>il</strong> modello offerto dalla teoria morale kantiana, eduna concezione positivistica, secondo cui <strong>il</strong> diritto andrebbe <strong>in</strong>tesosolo come una forma <strong>in</strong> grado di dotare di forza fattualmenteobbligante certe decisioni e competenze. A quest’ultimo punto divista Habermas concede l’impossib<strong>il</strong>ità di subord<strong>in</strong>are <strong>il</strong> dirittoalla morale, se non si vuol ricadere – come accade a Kant – <strong>in</strong> unavisione platonica secondo la quale l’ord<strong>in</strong>amento giuridico rispecchierebbenel mondo fenomenico l’ord<strong>in</strong>amento <strong>in</strong>telligib<strong>il</strong>e di un“regno dei f<strong>in</strong>i”. D’altro canto Habermas è conv<strong>in</strong>to che l’ord<strong>in</strong>amentogiuridico porti sempre dentro di sé un diritto <strong>in</strong>cancellab<strong>il</strong>ealla morale. La tesi è dunque che le norme giuridiche e le norme177


morali, dopo essersi simultaneamente differenziate dall’eticità tradizionale,si siano sv<strong>il</strong>uppate parallelamente come due tipi d<strong>in</strong>orme d’azione diverse, e tuttavia capaci di <strong>in</strong>tegrarsi a vicenda. Ilrapporto fra morale e diritto si configura dunque <strong>per</strong> Habermascome un rapporto di complementarietà.In questa visione <strong>il</strong> diritto trae <strong>il</strong> suo contenuto normativo non dauna subord<strong>in</strong>azione alla morale, ma da un procedimento di produzionegiuridica capace di generare legittimità. Da questo punto divista Habermas si propone di andare oltre Kant e Rousseau, chepure hanno posto la necessità del rapporto fra autonomia privata (idiritti) e autonomia pubblica (<strong>il</strong> porsi come autori delle leggi). Essi<strong>in</strong>fatti non sarebbero riusciti a co<strong>gli</strong>ere la forza legittimante di unaformazione dell’op<strong>in</strong>ione e della volontà di tipo discorsivo. È proprio<strong>il</strong> carattere procedurale del diritto a garantire da un lato la suaaderenza alle libertà comunicative dei cittad<strong>in</strong>i e dall’altro la possib<strong>il</strong>ità<strong>per</strong> esso di esprimere una peculiare forma di vita, <strong>in</strong>tersoggettivamentecondivisa, a differenza delle regole morali che <strong>in</strong>veceesprimono una pura volontà universale. Questo stesso carattere proceduraleattribuito alla democrazia <strong>per</strong>mette a Habermas di collocarela sua teoria <strong>in</strong> una posizione <strong>in</strong>termedia fra la concezione liberaledello Stato quale custode d’una società mercant<strong>il</strong>e e quellarepubblicana di una comunità etica politicamente organizzata. Lateoria del discorso acco<strong>gli</strong>e, nell’<strong>in</strong>tento di Habermas, elementi daentrambe le parti e li <strong>in</strong>tegra nella concezione di una proceduraideale di consultazione e di deliberazione. Da questo punto di vistala ragione pratica non risiede piú nei diritti universali dell’uomo, onella sostanza etica di una comunità particolare, bensí <strong>in</strong> quelleregole di discorso e forme argomentative che derivano <strong>il</strong> loro contenutonormativo dalla base dell’agire orientato all’<strong>in</strong>tesa, dunque, <strong>in</strong>ultima istanza, dalla struttura della comunicazione l<strong>in</strong>guistica.La teoria del discorso, d’accordo con <strong>il</strong> repubblicanesimo,porta <strong>in</strong> primo piano <strong>il</strong> meccanismo di formazione dell’op<strong>in</strong>ione e178


della volontà, senza <strong>per</strong>ò <strong>in</strong>tendere come qualcosa di secondario lacostituzione dello Stato di diritto. Questo concetto di democrazianon ha allora piú bisogno <strong>per</strong> funzionare dell’idea di una societàglobale <strong>in</strong>centrata sullo Stato e pensata come un macro-soggettoche agisca f<strong>in</strong>alisticamente. Esso poggia piuttosto sull’idea di unasocietà decentrata. Per la concezione liberale la formazione democraticadella volontà ha esclusivamente la funzione di legittimarel’esercizio del potere politico. Per la concezione repubblicana laformazione democratica della volontà ha la funzione – essenzialmentepiú forte – di costituire la società come comunità politica.La teoria del discorso fa subentrare un’idea diversa, <strong>per</strong> la quale <strong>il</strong>potere amm<strong>in</strong>istrativamente disponib<strong>il</strong>e resta agganciato ad unaformazione democratica dell’op<strong>in</strong>ione e della volontà che non s<strong>il</strong>imita a controllare a posteriori l’esercizio del potere politico, macerca anche di programmarlo. È allora l’idea stessa di sovranità aduscirne trasformata <strong>in</strong> senso <strong>in</strong>tersoggettivo, <strong>in</strong> relazione alleforme comunicative senza soggetto che regolano <strong>il</strong> flusso della formazionediscorsiva dell’op<strong>in</strong>ione e della volontà.Jürgen Habermas, Solidarietà tra estranei. Interventi su “Fatti enorme”, a cura di Leonardo Ceppa, 1997, Collana Saggi n. 30,149 pp.Il volume racco<strong>gli</strong>e tre <strong>in</strong>terventi di Habermas sulla sua grandeo<strong>per</strong>a f<strong>il</strong>osofico-giuridica Fatti e norme. Il primo è una Replik aldibattito svoltosi <strong>in</strong>torno ad essa nel settembre 1992, contemporaneamentealla sua pubblicazione <strong>in</strong> Germania, alla Benjam<strong>in</strong> N.Cardozo School of Law, Yeshiva University, di New York.Alle obiezioni mosse al suo approccio da diverse posizioni f<strong>il</strong>osofiche<strong>il</strong> f<strong>il</strong>osofo cerca di rispondere puntualmente, “libero da<strong>gli</strong>impacci sistematici con cui <strong>il</strong> <strong>testo</strong> di Fatti e norme era stato179


sapientemente costruito” (L. Ceppa), affrontando sette diversicomplessi tematici: la discussione della priorità affermata daHabermas del giusto sul bene alla luce delle critiche avanzate dalpunto di vista repubblicano (R.J. Bernste<strong>in</strong>, F. Michelman); la confutazionedello spirito antiuniversalistico implicito nelle critiche diTh.A. McCarthy, <strong>in</strong> base al priv<strong>il</strong>egio normativo da Habermas affidatoalle questioni di giustizia rispetto a conflitti <strong>in</strong>solub<strong>il</strong>i su questionidi valore; la discussione sulla natura del proceduralismo (M.Rosenfeld, A.J. Jacobson); la riconsiderazione dei problemi legatialla costruzione della teoria (W. Rehg, M. Power, J. Lenoble) e allalogica dei discorsi giuridici (D. Rasmussen, R. Alexy, G. Teubner);la rettifica di Habermas relativa ai contenuti politici del paradigmaprocedurale e <strong>in</strong> particolare all’ipotesi di un <strong>in</strong>debolimento dellacritica al capitalismo e di un “appeasement” con <strong>il</strong> liberalismopolitico (U.K. Preuss, G. Frankenberg); <strong>il</strong> confronto con i commentidei sociologi (M. Gould, N. Luhmann).Seguono due <strong>in</strong>terviste sull’o<strong>per</strong>a, pubblicate ne<strong>gli</strong> anni 1993-94, sull’onda dei dibattiti e delle recensioni che accolsero la primaedizione del libro di Habermas. La prima (Conversazione conMikael Carleheden e René Gabriels) ha un ta<strong>gli</strong>o piuttosto politicoe ruota <strong>in</strong>torno alla concezione procedurale della democrazia, airapporti fra i cittad<strong>in</strong>i e <strong>il</strong> centro del potere, alla funzione dimediazione svolta <strong>in</strong> questo con<strong>testo</strong> dal diritto, al problema dell’atteggiamentonei confronti del capitalismo e della questione deidiritti.La seconda <strong>in</strong>tervista, concessa all’olandese Bert van den Br<strong>in</strong>k,può essere considerata, a detta del curatore, come un’<strong>in</strong>troduzionechiara e concisa ai grandi temi della concezione habermasianadella democrazia. Fra essi, <strong>in</strong> primo piano risulta la funzione socio<strong>in</strong>tegrativadel diritto. Secondo Habermas, con <strong>il</strong> passaggio dallasocietà tradizionale alla società moderna sono andate distrutte leforme spontanee e tradizionali dell’<strong>in</strong>tegrazione. In questa situa-180


zione solo <strong>il</strong> diritto è capace di salvaguardare la solidarietà e di sv<strong>il</strong>upparela giustizia, ossia di realizzare una democrazia pluralisticache <strong>in</strong>cluda l’altro senza assim<strong>il</strong>arlo. Solo <strong>il</strong> momento universalistico– già radicato nei presupposti pragmatici del l<strong>in</strong>guaggio – ècioè <strong>in</strong> grado di equiparare tra loro identità etiche e culturalidiverse, garantendo cosí la tutela dell’altro nella sua diversità.Karl-Otto Apel, Discorso, verità, responsab<strong>il</strong>ità. Le ragioni dellafondazione: con Habermas contro Habermas, traduzione e curadi Virg<strong>in</strong>io Marzocchi, 1997, Collana Saggi n. 29, 390 pp.I saggi raccolti <strong>in</strong> questo volume, rielaborazione di conferenzetenute a Napoli presso l’<strong>Istituto</strong> e <strong>in</strong> seguito pubblicate su rivistetedesche (ad eccezione dell’ultimo, <strong>in</strong>edito), costituiscono un confrontodiretto con le tesi di Habermas. Essi vengono qui tradotti epresentati al pubblico italiano, che può cosí accedere alla piúrecente produzione di uno dei maggiori f<strong>il</strong>osofi del nostro tempo,ideatore, “con Habermas” e anche “contro Habermas” – secondol’espressione dello stesso Apel – di una orig<strong>in</strong>ale riflessione sullaprassi argomentativa, di una teoria della verità come consenso edella cosiddetta etica del discorso.L’ampia <strong>in</strong>troduzione di Virg<strong>in</strong>io Marzocchi ricostruisce l’iter<strong>in</strong>tellettuale dello studioso tedesco. La trasformazione <strong>in</strong> senso<strong>in</strong>tersoggettivo o<strong>per</strong>ata da Apel della f<strong>il</strong>osofia trascendentale kantianasi vede qui scaturire attraverso una serie di confronti conalcuni dei piú significativi pensatori del Novecento, a partire da M.Heidegger e H.G. Gadamer, f<strong>in</strong>o a J.L. Aust<strong>in</strong> e J. R. Searle. Diquesto it<strong>in</strong>erario Marzocchi ri<strong>per</strong>corre la genesi partendo dall’o<strong>per</strong>adel 1963, L’idea della l<strong>in</strong>gua nella tradizione dell’umanesimo.Qui Apel ricostruisce la “svolta l<strong>in</strong>guistica” novecentesca attraversodue opposte correnti: quella tecnico-scientista, elaborata <strong>in</strong>181


ambito analitico, e quella ermeneutico-trascendentale, risultantedall’<strong>in</strong>contro fra l’idea di l<strong>in</strong>gua sv<strong>il</strong>uppata dalla mistica tedescadel logos e l’idea di l<strong>in</strong>gua attestatata nella tradizione italiana retorico-umanistica.Grande r<strong>il</strong>evanza è poi attribuita all’<strong>in</strong>contro conla semiotica di Peirce e con <strong>il</strong> Wittgenste<strong>in</strong> delle Ricerche f<strong>il</strong>osofiche,ma soprattutto alla ricezione della teoria de<strong>gli</strong> atti l<strong>in</strong>guistici:grazie ad essa – vale a dire grazie all’idea <strong>per</strong> cui ogni unità l<strong>in</strong>guisticam<strong>in</strong>ima e significante è costituita da una componente proposizionalee da una componente <strong>per</strong>formativa che ha l’<strong>in</strong>sostituib<strong>il</strong>efunzione di istituire una relazione <strong>in</strong>tersoggettiva entro cui situarela proposizione – Apel può giungere ad <strong>in</strong>dicare come la metal<strong>in</strong>guisticitàsia costitutiva di ogni atto di parola, ovvero come ognirappresentazione-<strong>in</strong>terpretazione l<strong>in</strong>guistica del mondo richiedaun momento riflessivo.Si del<strong>in</strong>ea cosí uno de<strong>gli</strong> elementi fondamentali di differenziazionerispetto alla posizione di Habermas, contrassegnata dalrifiuto di ricorrere alla riflessione f<strong>il</strong>osofica e trascendentale. PerApel chi vo<strong>gli</strong>a, come Habermas nella Teoria dell’agire comunicativo,affermare i presupposti di tale agire, non tramite riflessionecondotta entro l’<strong>in</strong>aggirab<strong>il</strong>e argomentazione f<strong>il</strong>osofica, bensí ricavandoliquali componenti strutturali dei processi di apprendimentoe di razionalizzazione di fatto attestati nelle società occidentali,va <strong>in</strong>evitab<strong>il</strong>mente <strong>in</strong>contro a paradossi e difficoltà. Di qu<strong>il</strong>a critica di etnocentrismo ripetutamente rivolta ad Habermas,l’accusa di aver <strong>in</strong>debitamente attribuito universalità e normativitàa regole di fatto vigenti e condivise entro <strong>il</strong> “mondo della vita” dell’Occidentesv<strong>il</strong>uppato e post-<strong>il</strong>lum<strong>in</strong>ista. Da questo punto divista, secondo <strong>il</strong> curatore, <strong>in</strong>sistendo sulla cogenza e proficuità diuna fondazione riflessivo-trascendentale del normativo, Apelotterrebbe una maggiore distanza critica rispetto a qualsiasi realizzazionedata. Mentre <strong>per</strong> Habermas le esigenze normative di un’eticadel discorso sembrerebbero trovare piena realizzazione nello182


Stato democratico, <strong>per</strong> Apel <strong>in</strong>vece, esso è ben lungi dall’esaurirle.Solo un diritto cosmopolitico e <strong>il</strong> su<strong>per</strong>amento dei conf<strong>in</strong>i fra <strong>gli</strong>Stati sarebbero <strong>in</strong> grado di corrispondere all’idea regolativa ultimadi un consenso non imposto e universale.È questo <strong>il</strong> quadro <strong>in</strong> cui s’<strong>in</strong>seriscono i c<strong>in</strong>que saggi della raccolta,seguiti da un’ampia bibliografia. Il primo di essi reca <strong>il</strong> titoloFallib<strong>il</strong>ismo, teoria della verità come consenso e fondazione ultima.Contrariamente all’op<strong>in</strong>ione corrente relativa all’<strong>in</strong>compatib<strong>il</strong>itàfra questi tre concetti, obiettivo di Apel è mostrare come essi sirichiam<strong>in</strong>o a vicenda. Al pr<strong>in</strong>cipio del fallib<strong>il</strong>ismo sul terreno dellateoria della scienza e della conoscenza corrisponde non una teoriadella verità come corrispondenza nel senso del realismo metafisico,bensí una teoria della verità come consenso, <strong>in</strong> conformitàcon la prospettiva <strong>in</strong>dicata da Charles Peirce, <strong>il</strong> fondatore dientrambe queste concezioni. Allo stesso tempo, secondo Apel, <strong>il</strong>concetto di fallib<strong>il</strong>ismo, e qu<strong>in</strong>di anche <strong>il</strong> parlare sensatamente diconsenso e di dissenso, implica che si diano presupposizioni <strong>per</strong>l’uso di questo concetto che non possono essere messe <strong>in</strong> dubbio.Esso implica cioè delle condizioni normative della critica e dellaconfutazione nel senso di una fondazione ultima pragmatico-trascendentaledella teoria della conoscenza e della scienza (e <strong>in</strong>ultima analisi della f<strong>il</strong>osofia stessa).Nel secondo saggio (Significato <strong>il</strong>locutivo e validità normativa.La fondazione pragmatico-trascendentale dell’<strong>in</strong>tesa comunicativa<strong>il</strong>limitata) Apel <strong>per</strong> un verso esplicita <strong>il</strong> suo debito verso la teoriade<strong>gli</strong> atti l<strong>in</strong>guistici e al tempo stesso la sua critica di un approccioche vede ancora condizionato da una teoria verificazionista dellaverità; <strong>per</strong> un altro verso enuclea l’elemento fondamentale del suodissenso da Habermas. Pur riconoscendo <strong>il</strong> decisivo contributo diquest’ultimo all’<strong>in</strong>tegrazione della teoria de<strong>gli</strong> atti l<strong>in</strong>guistici nell’eticadel discorso, Apel rigetta <strong>il</strong> rapporto istituito fra comunicazionee <strong>in</strong>terazione nel mondo della vita, da un lato, e discorso argo-183


mentativo dall’altro. Questo punto è ripreso con ampiezza nelterzo saggio (Fondazione normativa della “teoria critica” tramitericorso all’eticità del mondo della vita?), formulato nei term<strong>in</strong>iseguenti: è sufficiente <strong>per</strong> <strong>il</strong> discorso f<strong>il</strong>osofico affidarsi alle stesserisorse di sfondo cui ricorre ogni <strong>in</strong>tesa nel mondo della vita,oppure <strong>il</strong> “discorso argomentativo”, <strong>in</strong>teso sia da Apel sia daHabermas come “forma riflessiva” della comunicazione quotidiana,deve ricorrere anche a presupposti di tipo nuovo, ossia nona presupposti storico-cont<strong>in</strong>genti, bensí a presupposti <strong>in</strong>contestab<strong>il</strong>menteuniversali dell’<strong>in</strong>tesa?Apel cosí riassume la prospettiva di Habermas: da un lato desideramantenere l’universalismo delle pretese di validità, dall’altrorifiuta come impossib<strong>il</strong>e e su<strong>per</strong>flua l’esigenza di una fondazioneultima, valida a priori, della pretesa di validità f<strong>il</strong>osofica de<strong>gli</strong>enunciati pragmatico-trascendentali. E<strong>gli</strong> contesta <strong>in</strong>oltre l’esistenzadi una differenza di pr<strong>in</strong>cipio tra i possib<strong>il</strong>i enunciati dellescienze sociali empirico-ricostruttive da un lato e <strong>gli</strong> enunciati universalidella f<strong>il</strong>osofia, dall’altro, rivendicando un’applicazione <strong>il</strong>limitatadel fallib<strong>il</strong>ismo. Inoltre riconosce, cosí come assunta daGadamer e dai sostenitori di Wittgenste<strong>in</strong>, la v<strong>in</strong>colatezza dellaprecomprensione del mondo alla fattuale condivisione di unadeterm<strong>in</strong>ata forma di vita. Ciò comporta la contestualità, storicitàe cont<strong>in</strong>genza di pr<strong>in</strong>cipio delle condizioni necessarie della comunicazione.Queste ultime risultano <strong>per</strong> Habermas necessarie e universalmentevalide solo <strong>in</strong> quanto si dimostrano a tutt’oggi prive dialternative.Secondo Apel, <strong>in</strong>vece, una valida alternativa al punto di vista diHabermas, vale a dire al suo rifiuto di conferire alla f<strong>il</strong>osofia unafunzione fondativa e alle <strong>in</strong>conseguenze che ne derivano, consistenel sottoporre “tutti i candidati allo stato di autentici enunciatipragmatico-universali” al seguente controllo: considerare se essipossano venire contestati senza <strong>in</strong>correre <strong>in</strong> una autocontraddi-184


zione <strong>per</strong>formativa. Se ciò non è possib<strong>il</strong>e, allora abbiamo a chefare con un enunciato pragmatico-trascendentale, che risulta f<strong>il</strong>osoficamentefondato <strong>in</strong> modo ultimo, <strong>in</strong> quanto <strong>in</strong>aggirab<strong>il</strong>e <strong>per</strong>ogni argomentare. È chiaro che questa procedura può essereapplicata solo al piú alto livello riflessivo, solo cioè al livello dell’autoriflessionedel discorso argomentativo. Apel propone dunqueuna fondazione della validità a partire dall’alto, contrappostaall’<strong>in</strong>sufficienza di un ricostruttivismo naturalistico o di una fondazionedella validità a partire dal basso, cosí come è proposta daHabermas e che si rivela <strong>per</strong> Apel legata ad una valutazione irrealisticadei rapporti esistenti nel mondo della vita, come trasfigurazioneidealistica dello stesso.Nel quarto saggio (Il problema dell’uso l<strong>in</strong>guistico a<strong>per</strong>tamentestrategico nella prospettiva pragmatico-trascendentale) Apelriprende un problema che era stato già affrontato nel secondo saggiodella raccolta: come dimostrare che <strong>il</strong> telos dell’<strong>in</strong>tesa <strong>in</strong>erisceal l<strong>in</strong>guaggio di fronte al problema dell’“uso l<strong>in</strong>guistico a<strong>per</strong>tamentestrategico”. Apel è <strong>in</strong>soddisfatto della soluzione offerta daHabermas, <strong>per</strong> <strong>il</strong> quale tale uso sarebbe <strong>in</strong> un rapporto di dipendenzaparassitaria rispetto all’orig<strong>in</strong>ario uso l<strong>in</strong>guistico orientatoall’<strong>in</strong>tesa. La dimostrazione addotta non è <strong>per</strong> Apel del tutto conv<strong>in</strong>cente,né può essere ricondotta a quella valida <strong>per</strong> un “usosegretamente strategico” del l<strong>in</strong>guaggio. In tal caso, <strong>in</strong>fatti, chi sipropone di <strong>per</strong>suadere qualcuno di qualcosa, deve simulare divolerlo conv<strong>in</strong>cere. Rimane <strong>in</strong>vece <strong>il</strong> dubbio che nei casi di im<strong>per</strong>atividel tipo “Mani <strong>in</strong> alto o sparo!” sia effettivamente implicitauna condivisa pretesa di validità.Obiettivo di Apel è mostrare che la giusta <strong>in</strong>tuizione di Habermas– <strong>il</strong> telos dell’<strong>in</strong>tesa <strong>in</strong>erisce al l<strong>in</strong>guaggio – può essere convalidatanon sul piano empirico-descrittivo (come pretende appuntoHabermas), ma solo ricorrendo a presupposti f<strong>il</strong>osofici sullenorme razionali dell’uso l<strong>in</strong>guistico. La soluzione prospettata da185


Apel implica <strong>in</strong> primo luogo una considerazione dell’uso l<strong>in</strong>guisticoa<strong>per</strong>tamente strategico che non tenga conto solo dei cas<strong>il</strong>imitedei “semplici im<strong>per</strong>ativi”, come fa Habermas, ma piuttostocomprenda quell’ampio ambito di giochi l<strong>in</strong>guistici costituito dallecosiddette “trattative”. Esempio paradigmatico di “trattativapuramente strategica” può essere stimato, secondo Apel, <strong>il</strong> famosodialogo fra <strong>gli</strong> Ateniesi e i Meli, narrato da Tucidide nella suaGuerra del Peloponneso. Proprio sulla base di esso Apel evidenziache un’analisi dei giochi l<strong>in</strong>guistici di tipo esterno, avalutativo, puòal massimo determ<strong>in</strong>are la differenza fra razionalità a<strong>per</strong>tamentestrategica e razionalità orientata all’<strong>in</strong>tesa; che la razionalità dell’<strong>in</strong>tesasia <strong>il</strong> “modo orig<strong>in</strong>ario” della razionalità comunicativa puòessere <strong>in</strong>vece mostrato solo grazie ad un procedimento riflessivosui suoi presupposti impresc<strong>in</strong>dib<strong>il</strong>i. Con riferimento al suddettodialogo, argomenta Apel, se <strong>il</strong> partner della comunicazione devepoter acco<strong>gli</strong>ere la richiesta di escludere pretese di diritto e <strong>in</strong>tavolareuna trattativa puramente strategica (come accade quando<strong>gli</strong> Ateniesi esortano i Meli a comprendere che i concetti di giustiziavengono meno nel caso <strong>in</strong> cui <strong>il</strong> forte stia di fronte al debole),allora la richiesta non può venire a sua volta giustificata tramitetrattative strategiche, ma solo <strong>in</strong> forza di un discorso argomentativosu pretese di validità. In ciò già risiederebbe <strong>il</strong> riconoscimentodella priorità della razionalità comunicativo-consensuale, propriadel discorso argomentativo, cui si giunge quando una possib<strong>il</strong>eteoria f<strong>il</strong>osofica della razionalità recu<strong>per</strong>a riflessivamente la propriarazionalità e ne documenta l’<strong>in</strong>aggirab<strong>il</strong>ità.Il qu<strong>in</strong>to e ultimo saggio della raccolta (Dissoluzione dell’eticadel discorso? Sull’architettonica della differenziazione dei discorsi <strong>in</strong>Fatti e norme di Habermas) ripropone <strong>il</strong> problema di fondo delrapporto tra argomentazione quasi-sociologica e argomentazionepragmatico-trascendentale allo scopo dichiarato di riab<strong>il</strong>itare <strong>il</strong> programmadi un’etica del discorso che la nuova architettonica propo-186


sta <strong>in</strong> Fatti e norme sembra mettere <strong>in</strong> crisi. Nel mir<strong>in</strong>o di Apel è<strong>il</strong> tentativo da parte di Habermas di pensare <strong>il</strong> pr<strong>in</strong>cipio del discorsoal tempo stesso come moralmente neutrale e <strong>in</strong>sieme dotatodi contenuto normativo, come base dell’<strong>in</strong>tera f<strong>il</strong>osofia pratica.Ciò corrisponderebbe alla volontà di sostenere da un lato (<strong>in</strong> coppiacon i giuspositivisti e con Weber) l’<strong>in</strong>dipendenza del dirittopositivo dalla morale, dall’altro (sulla l<strong>in</strong>ea di una ripresa postmetafisicadel diritto naturale o di ragione) di tenere ferma l’esigenzadi una legittimazione normativa del diritto. Tale strategia,cosí impostata, appare ad Apel contraddittoria. La soluzione alternativaè allora quella di ritrovare nel pr<strong>in</strong>cipio del discorso un fondamentocomune, anche moralmente normativo, al diritto e allamorale. Si tratta cioè <strong>per</strong> Apel di r<strong>in</strong>unciare all’idea – che sarebbefra l’altro <strong>in</strong> contraddizione con quanto affermato da Habermas <strong>in</strong>precedenza – di una neutralità di tale pr<strong>in</strong>cipio. La strada daseguire sarebbe allora quella di un ampliamento dell’etica del discorsonel senso del pr<strong>in</strong>cipio, ad essa implicito, di un’etica dellaresponsab<strong>il</strong>ità <strong>in</strong> riferimento alla storia e alle istituzioni: con <strong>il</strong>su<strong>per</strong>amento del solipsismo metodico radicato nella tradizionalef<strong>il</strong>osofia del soggetto si rende <strong>in</strong>fatti possib<strong>il</strong>e, secondo Apel, <strong>il</strong>tentativo già <strong>in</strong>trapreso da Kant di fondare <strong>in</strong> term<strong>in</strong>i trascendentali<strong>il</strong> dover-essere morale nella “concordia della ragione con sestessa”, dato che la ragione si dimostra ora come a priori comunicativa.Un rafforzamento delle implicazioni etico-discorsive delpr<strong>in</strong>cipio di discorso consentirebbe allora non solo di giustificare,<strong>in</strong> astrazione dalla storia, l’autonomia del diritto positivo, bensíanche di richiedere l’<strong>in</strong>staurazione di un ord<strong>in</strong>amento giuridicopositivo ne<strong>gli</strong> Stati e <strong>in</strong>sieme quella di un ord<strong>in</strong>amento giuridico dipace a livello cosmopolitico.Il secondo elemento della critica di Apel riguarda l’equiparazioneo<strong>per</strong>ata da Habermas del diritto positivo al “pr<strong>in</strong>cipio dellademocrazia”, fondata sul reciproco presupporsi tra autonomia187


<strong>in</strong>dividuale delle <strong>per</strong>sone e autonomia politica dei cittad<strong>in</strong>i. Controtale equiparazione si danno, secondo Apel, non solo ragion<strong>in</strong>ormative, ma anche storico-sociologiche e funzionali. Sia <strong>per</strong>ché<strong>il</strong> pr<strong>in</strong>cipio della democrazia rappresenta un fenomeno storicocont<strong>in</strong>gente <strong>in</strong> misura ben maggiore del diritto, sia <strong>per</strong>ché <strong>il</strong> pr<strong>in</strong>cipiodella democrazia contiene <strong>in</strong> sé <strong>il</strong> momento dell’autoaffermazionepolitica di un particolare sistema di potere, <strong>in</strong> particolarenell’ambito della politica estera, ancora rimessa ad uno spazioprivo di regolazione giuridica.La f<strong>il</strong>osofia habermasiana, ad avviso di Apel, vorrebbe dunquerealizzare i suoi <strong>in</strong>tenti critico-normativi sostituendo ad argomentifondativi, genu<strong>in</strong>amente normativi, argomenti sociologici, <strong>in</strong> apparenzapuramente empirici e qu<strong>in</strong>di non problematici, ma carichi <strong>in</strong>realtà di suggestioni normative. Ciò appare particolarmente evidente,secondo <strong>il</strong> critico, nell’analisi funzionale del diritto, <strong>in</strong> relazionealla necessità <strong>per</strong> esso di compensare i deficit <strong>in</strong>sorgenti daldisgregarsi dell’eticità tradizionale (quella che è stata chiamata lafunzione socio-<strong>in</strong>tegrativa del diritto). Dal punto di vista di Apel,<strong>in</strong>vece, non solo lo Stato di diritto apre spazi alla morale <strong>in</strong>dividualeprima impensab<strong>il</strong>i, ma <strong>in</strong>oltre va considerato esso stesso noncome un fatto empirico e <strong>in</strong> quanto tale pre-dato rispetto alla suaspiegazione funzionale, ma anche <strong>in</strong>teso e positivamente valutatocome un postulato della ragion pratica, nella misura <strong>in</strong> cui quest’ultimaesige la realizzazione delle condizioni istituzionali <strong>per</strong> lamorale discorsiva.188


11.IL PROBLEMA DEL FONDAMENTO189


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Contro le tendenze antifondazionali del razionalismo critico edell’ermeneutica si fa avanti nell’attuale discussione f<strong>il</strong>osofica <strong>il</strong>tentativo di recu<strong>per</strong>are un fondamento certo al nostro conoscere,cosí come al nostro agire, tramite un richiamo alla struttura riflessivadel pensiero, alla ragione <strong>in</strong>tesa come orizzonte <strong>in</strong>aggirab<strong>il</strong>e diogni argomentare. Già emersa nel confronto fra le tesi di Habermase quelle di Apel, questa tendenza si accompagna ad una criticadel relativismo che ha a lungo dom<strong>in</strong>ato la riflessione contemporaneae al richiamo alla necessità di offrire un fondamentorazionale ai valori stessi.Vittorio Hösle, La legittimità del politico, traduzione di SebastianoCalabrò, Irma Santa Maria, Marco Ivaldo, 1990, Collana Saggi,n.7, 87 pp.Vittorio Hösle affronta <strong>in</strong> questo saggio due figure chiave delpensiero politico, Machiavelli e Carl Schmitt, considerati <strong>in</strong> qualchemodo come l’avvio stesso e <strong>il</strong> punto d’approdo della riflessionepolitica della modernità. Essi vengono analizzati con <strong>il</strong> preciso<strong>in</strong>tento di trarne delle valutazioni fondamentali <strong>in</strong> vista dellarazionalizzazione del discorso politico, <strong>in</strong> una prospettiva che li191


ende <strong>in</strong> una certa misura complementari. Da una parte, <strong>in</strong>fatti,l’autore ritiene di poter trarre da Machiavelli la lezione relativa allanecessità di astenersi dal moralismo astratto che <strong>in</strong>duce a chiudere<strong>gli</strong> occhi di fronte alla realtà; dall’altra, con Schmitt, la possib<strong>il</strong>itàdi valutare come lo studio spregiudicato della logica della politicaabbia come esito <strong>in</strong>evitab<strong>il</strong>e <strong>il</strong> c<strong>in</strong>ismo, nel caso <strong>in</strong> cui non si leghiad un’istanza normativa.Nel Pr<strong>in</strong>cipe, scrive Hösle, Machiavelli propone un’analisi spregiudicatae assolutamente rivoluzionaria della sfera politica nellasua irriducib<strong>il</strong>e autonomia rispetto alla morale. Ricollocata nel suotempo e considerata alla luce dello sforzo di <strong>in</strong>dividuare la strada<strong>per</strong> giungere ad uno Stato degno di questo nome, <strong>in</strong> cui possanovigere ord<strong>in</strong>amenti repubblicani e legalità, la visione di Machiavelliè tuttavia segnata secondo Hösle da una serie di errori. Ilprimo è l’impianto naturalista della sua dottr<strong>in</strong>a, che precluderebbea Machiavelli la possib<strong>il</strong>ità di offrire un fondamento allenorme e ai valori: <strong>in</strong> questo senso <strong>il</strong> germe nich<strong>il</strong>ista che rimanesolo implicito nella sua posizione sarebbe dest<strong>in</strong>ato, con <strong>il</strong> dissolvimentoulteriore della tradizione e <strong>il</strong> moltiplicarsi di riflessionirelativistiche, a portare alla dissoluzione di qualunque legame normativoall’<strong>in</strong>terno della politica e a condurre ad una posizione <strong>per</strong>la quale <strong>il</strong> potere statale diviene f<strong>in</strong>e a se stesso. È quanto accadecon Schmitt, scrive Hösle, conv<strong>in</strong>to che la legittimazione delpotere dello Stato sia possib<strong>il</strong>e solo <strong>in</strong> virtú di una decisione irrazionale.Machiavelli <strong>in</strong>vece, con <strong>il</strong> suo forte realismo e la sua conv<strong>in</strong>zionedella necessità di un potere politico capace di o<strong>per</strong>are <strong>per</strong><strong>il</strong> bene comune e di distruggere <strong>gli</strong> <strong>in</strong>teressi particolari che sioppongono ad esso, rimarrebbe molto piú vic<strong>in</strong>o alla concezionegreca che fa della polis l’unica struttura all’<strong>in</strong>terno della qualel’uomo possa vivere dignitosamente.Dal punto di vista di Hösle <strong>il</strong> limite di Machiavelli è dunquequello di aver fornito al problema della relazione fra etica e poli-192


tica delle soluzioni solo <strong>in</strong>tuitive e non fondate logicamente.Rimane tuttavia, dell’<strong>in</strong>segnamento dell’autore del Pr<strong>in</strong>cipe, l’ideacentrale che <strong>il</strong> rifiuto di usare la forza contribuisce di fatto a rendereeterne le guerre e che <strong>il</strong> successo politico può derivare unicamenteda una comb<strong>in</strong>azione adeguata di un ideale universale(Kant) e di un’analisi realistica delle forze presenti nel mondoattuale.L’approccio a Carl Schmitt, vista l’<strong>in</strong>discutib<strong>il</strong>e relazione diquest’ultimo con <strong>il</strong> patrimonio di idee del nazionalsocialismo,richiede <strong>per</strong> Hösle un chiarimento ermeneutico prelim<strong>in</strong>are,secondo <strong>il</strong> quale è proprio della natura di un <strong>testo</strong> “ragguardevole”dire sempre piú di quanto <strong>il</strong> suo autore <strong>in</strong>tendesse esprimere.In questo senso <strong>il</strong> saggio di Carl Schmitt Legalität und Legitimität,del 1932, <strong>per</strong> quanto abbia contribuito – <strong>in</strong> larga misurasecondo l’<strong>in</strong>tenzione stessa dell’autore – alla destab<strong>il</strong>izzazione<strong>in</strong>tellettuale della Repubblica di Weimar, costituisce al tempostesso <strong>per</strong> Hösle uno scritto dal quale molto può imparare ancheuna teoria normativa attuale della democrazia parlamentare. NellaCostituzione di Weimar, che Schmitt analizza, sono all’o<strong>per</strong>a duetendenze, entrambe risultati tipici della modernità, che si contraddiconol’una con l’altra <strong>in</strong> maniera radicale: da una parte l’opzioneorganizzativa di diritto statuale <strong>per</strong> una democrazia parlamentareformale, nella quale <strong>il</strong> Parlamento è fonte sovrana di ogni diritto,che non necessita di ulteriore legittimazione. Dall’altra l’apprezzamentogiuridico-materiale di una serie di diritti e doveri fondamentali.Si pone cosí un’alternativa: o esistono valori sostanziali lacui validità non dipende dall’arbitrio di decisioni a maggioranza ela cui tutela <strong>per</strong>tanto a ragione la costituzione si prefigge – maallora non è accettab<strong>il</strong>e <strong>il</strong> fondamento ideologico corrente del parlamentarismo,la riduzione positivistico-giuristica della legittimitàalla legalità e della legalità alle decisioni di maggioranza tramiterappresentanza popolare –; oppure si ritiene <strong>il</strong> procedimento a193


maggioranza l’unica istanza legittimante, dato che non esistonovalori da esso <strong>in</strong>dipendenti, ma allora non si può giustificare l’<strong>in</strong>troduzionedi un secondo, su<strong>per</strong>iore tipo di norme, di diritti fondamentali.Tale dimostrazione dell’autonegazione del funzionalismo dimaggioranza ha secondo Hösle un significato che non è solo teorico,visto che Hitler poté proprio sulla base di una Costituzioneche si limitava a stab<strong>il</strong>ire una procedura <strong>per</strong> la formazione dellamaggioranza e non riconosceva alcuna legittimità al di là dellalegalità, “chiudere <strong>in</strong> maniera legale dietro di sé la porta della legalità”.D’altra parte l’apparente paradosso <strong>per</strong> cui proprio colui cheera stato <strong>in</strong> grado di <strong>in</strong>dividuare <strong>il</strong> <strong>per</strong>icolo di un’autonegazionedel sistema legislativo divenisse un fautore di coloro che o<strong>per</strong>aronoquesta autonegazione stessa, si scio<strong>gli</strong>e secondo Hösle valutandoquanto Schmitt fosse anch’e<strong>gli</strong>, <strong>in</strong> ultima istanza, un positivistagiuridico, quanto fosse dom<strong>in</strong>ato dalla fede moderna che nonsi possa dare alcun valore ultimo, la cui validità sia di natura idealee <strong>in</strong>dipendente dal riconoscimento di fatto. Come a quasi tutti isuoi contemporanei, anche a Schmitt – conclude Hösle – è diventataestranea la problematica f<strong>il</strong>osofica di una fondazione razionaledi legittime pretese di validità.Dalle riflessioni critiche di Schmitt, nonostante la macchia <strong>in</strong>deleb<strong>il</strong>eche rimane su un pensatore che ha la colpa di essersi “impegnato<strong>per</strong> una dittatura del pugnale”, si può dunque trarresecondo Hösle la considerazione positiva, secondo la quale unacostituzione non può essere neutrale verso se stessa: una democraziaha senso solo sulla base del riconoscimento di valori enorme la cui validità non scaturisce dal consenso democratico, néè subord<strong>in</strong>ata a mutamenti storici, ma è atemporale. Soltanto talivalori possono giustificare <strong>il</strong> diritto positivo e fornire un contenutoal concetto di legittimità. Da questo punto di vista, lo Stato didiritto non può <strong>per</strong> Hösle fondarsi su se stesso; “soltanto la reli-194


gione e, <strong>in</strong> un’epoca critica, la f<strong>il</strong>osofia può risolvere <strong>il</strong> problemadella fondazione di valori ultimi”.Christoph Jermann, Dalla teoria alla prassi? Ricerche sul fondamentodella f<strong>il</strong>osofia politica <strong>in</strong> Platone, traduzione di AntonioGargano, 1991, Collana Saggi n. 9, 144 pp.Diversi sono i punti di riferimento della lettura di Platone propostada Christoph Jermann: <strong>in</strong> primo luogo le tesi della cosiddettaScuola di Tub<strong>in</strong>ga riguardo alle “dottr<strong>in</strong>e orali” del f<strong>il</strong>osofogreco e alla dottr<strong>in</strong>a dei pr<strong>in</strong>cípi, <strong>in</strong> secondo luogo la visione aprioricadell’<strong>in</strong>tersoggettività sv<strong>il</strong>uppata da autori come Vittorio Höslee Karl-Otto Apel.Il libro (versione abbreviata dello studio apparso presso la casaeditrice Frommann-Holzboog nella collana “Elea”, promossa dall’<strong>Istituto</strong><strong>Italiano</strong> <strong>per</strong> <strong>gli</strong> <strong>Studi</strong> F<strong>il</strong>osofici, con <strong>il</strong> titolo Ph<strong>il</strong>osophieund Politik. Untersuchungen zur Struktur und Problematik des platonischenIdealismus, Frommann-Holzboog, Stuttgart-Bad Cannstatt1986, e oggetto di una serie di sem<strong>in</strong>ari tenuti a Napoli nel1987) si apre con un’analisi della figura di Socrate e dell’ambiguitàche la caratterizzerebbe, <strong>in</strong> ragione della difficoltà di circoscriverlarispetto a quella dei Sofisti. Di costoro l’autore dà una def<strong>in</strong>izionepriva di sfumature: le loro dottr<strong>in</strong>e avrebbero un carattere decisamentescettico e relativistico, cui corrisponderebbe un <strong>in</strong>dividualismodi impronta edonistica e <strong>il</strong> puro positivismo della forza delpotere. Da questo punto di vista, secondo Jermann, si può sostenereche vi sia un elemento “sofistico” <strong>in</strong> Socrate, se con esso si<strong>in</strong>tende quella critica della orthe doxa, che può essere op<strong>in</strong>ionevera, ma che è fondata su <strong>in</strong>dimostrate autorità della religione edella tradizione. D’altra parte Socrate, scrive Jermann, rivolgequesta critica allo stesso scetticismo, mostrando come lo scettico195


conseguente non possa rimanere tale. La radicalizzazione e la totalizzazionedel dubbio porta quest’ultimo a trasformarsi nell’unicacosa della quale non si può dubitare e alla dimostrazione dell’impossib<strong>il</strong>itàdi una pura negatività. Avvalendosi di una dimostrazione<strong>in</strong>diretta, Socrate sottopone dunque le tesi sofistiche ad unacritica immanente, scoprendo <strong>in</strong> esse una contraddizione pragmatica,vale a dire una contraddizione fra ciò che esse dicono e ciòche esse fanno. Socrate applica cosí, <strong>per</strong> la prima volta nella storiadella f<strong>il</strong>osofia, <strong>il</strong> piú rigoroso procedimento concepib<strong>il</strong>e di dimostrazioneaprioristico, vale a dire quello che dimostra la verità diuna tesi <strong>per</strong> mezzo dell’autocancellazione della tesi contraria. TuttaviaSocrate, secondo l’autore, non riesce ad andare oltre questomomento “negativo”, puramente critico.Sulla ragione come fondamento <strong>in</strong>aggirab<strong>il</strong>e del nostro conosceree del nostro fare tornerà Platone, questa volta non solo <strong>in</strong>term<strong>in</strong>i critici. Centrale è a questo proposito <strong>per</strong> Jermann l’immag<strong>in</strong>edella l<strong>in</strong>ea, analizzata a partire dal Teeteto, concepito come lapiú ampia esplicazione di quella contenuta nella Repubblica. Conessa Platone <strong>in</strong>dica tre gradi della conoscenza: la aisthesis, o <strong>per</strong>cezionesensib<strong>il</strong>e, la dianoia, o <strong>in</strong>telletto – capace di giungere,come la matematica, alla certezza apodittica –, e <strong>in</strong>f<strong>in</strong>e la noesis, laragione, corrispondente alla piú alta conoscenza f<strong>il</strong>osofica. Decisivo<strong>per</strong> quest’ultima è <strong>il</strong> fatto che la conoscenza possa essere def<strong>in</strong>itasolo sotto <strong>il</strong> presupposto di se stessa, ovvero <strong>in</strong> maniera circolare.Il pensiero – cosí come nel libro Lambda della Metafisica diAristotele – pensa se stesso come l’ultima istanza di conoscenzache durante tutto <strong>il</strong> processo era ricercata e <strong>in</strong>sieme implicitamentee <strong>in</strong>evitab<strong>il</strong>mente presupposta. Diviene cosí visib<strong>il</strong>e <strong>in</strong>Platone una struttura riflessiva, che si offre nel senso di una soggettivitàdiv<strong>in</strong>a, assoluta, come esplicazione dell’<strong>in</strong>izio senzapresupposti che deve essere <strong>il</strong> contenuto piú alto del sa<strong>per</strong>e f<strong>il</strong>osofico.Proprio questo riferimento alla struttura riflessiva del pen-196


siero che pensa se stesso, e qu<strong>in</strong>di alla possib<strong>il</strong>ità di giungere al term<strong>in</strong>eassoluto di ogni fondare argomentativo, è ciò che segna ladistanza di questa <strong>in</strong>terpretazione da quella ermeneutica di Gadamer,come risulta non solo dalla sua lettura di Platone, ma ancheda quella della Metafisica aristotelica che abbiamo discusso precedentemente.Ma <strong>il</strong> risultato <strong>in</strong> sé piú r<strong>il</strong>evante che deriva dall’impostazionedi Jermann, coerentemente alla sua adesione ai presuppostidella Scuola di Tub<strong>in</strong>ga, è l’aver <strong>in</strong> questo modo sottrattoalla dottr<strong>in</strong>a delle idee la loro autosussistenza. Come scrive l’autorea proposito del Sofista, Platone mostra <strong>in</strong> questo dialogo chele idee non riposano <strong>in</strong> se stesse, ma vengono costituite medianteun movimento ideale che è effetto della ragione div<strong>in</strong>a. In talmodo vengono unificate metafisica e f<strong>il</strong>osofia trascendentale.Solo su questa base si co<strong>gli</strong>e <strong>il</strong> senso della lettura del problemadell’<strong>in</strong>tersoggettività, che Platone, con un procedimento analogo aquello messo <strong>in</strong> o<strong>per</strong>a da Socrate, fa derivare come conseguenzanecessaria dall’autoconfutazione di tutte quelle tesi, come l’edonismo,che vorrebbero dichiararsi ost<strong>il</strong>i alla ragione: esse non possonoavanzare la loro pretesa di validità <strong>in</strong> un discorso razionalesenza <strong>per</strong>dere nello stesso momento la loro batta<strong>gli</strong>a, <strong>in</strong> quanto giàla semplice comunicazione presuppone proprio <strong>il</strong> pr<strong>in</strong>cipio cheesse vorrebbero negare. In questo senso Jermann <strong>in</strong>dividua nelF<strong>il</strong>ebo la sco<strong>per</strong>ta da parte di Platone dell’<strong>in</strong>tersoggettività comeapriori. Il risultato qui conseguito viene poi confermato da dialoghicome <strong>il</strong> Parmenide e <strong>il</strong> Sofista. È <strong>per</strong>ò <strong>il</strong> Gorgia a fornire l’argomentodecisivo <strong>per</strong> l’applicazione del ruolo a priori dell’<strong>in</strong>tersoggettivitàa un argomento pratico, a un <strong>in</strong>dirizzo politico che sivo<strong>gli</strong>a opporre alle tesi sostenute dal positivismo del potere. Tral’altro è proprio dall’autoconfutazione di questa posizione (<strong>per</strong>farsi valere essa deve comunicarsi e qu<strong>in</strong>di presupporre proprioquei rapporti <strong>in</strong>tersoggettivi che pretende di negare) che scaturisce,secondo Jermann, <strong>il</strong> teorema platonico universale di un ord<strong>in</strong>e197


oggettivo e normativo. Tuttavia proprio su questo piano si manifesta<strong>il</strong> punto debole della visione platonica, che non è stata <strong>in</strong> gradodi <strong>in</strong>tegrare l’<strong>in</strong>tersoggettività nella sfera da organizzare gerarchicamentedei pr<strong>in</strong>cípi ultimi, come l’elemento piú orig<strong>in</strong>ario e primario.Attraverso un esame dell’immag<strong>in</strong>e della caverna espostada Platone nella Repubblica, Jermann mostra come, secondo Platone,ai f<strong>il</strong>osofi giunti al piú alto sa<strong>per</strong>e la necessità di una trasposizionepolitica delle loro conoscenze si presenti come qualcosa diesterno, <strong>in</strong> modo tale che la necessità della prassi, della realizzazionedelle norme, dell’impegno politico non viene ricavato dalloro stesso sa<strong>per</strong>e. La mancata <strong>in</strong>tegrazione dell’<strong>in</strong>tersoggettivitàfra i pr<strong>in</strong>cípi ultimi ha cosí come conseguenza la <strong>per</strong>dita del suoprimato anche nella f<strong>il</strong>osofia pratica: <strong>il</strong> conoscere cont<strong>in</strong>ua a farsivalere come <strong>il</strong> f<strong>in</strong>e ultimo del f<strong>il</strong>osofo, al posto dell’agire.Platone dunque – conclude Jermann – ha sí colto “la radicalenon negab<strong>il</strong>ità dell’<strong>in</strong>tersoggettività”, nella forma di una sostanzialel<strong>in</strong>guisticità di ogni conoscenza e di ogni concetto, ed ha <strong>in</strong>questo senso parzialmente anticipato la visione apriorica dell’<strong>in</strong>tersoggettivitàche sarà poi sv<strong>il</strong>uppata da autori come Karl-OttoApel e Vittorio Hösle; <strong>il</strong> suo limite starebbe <strong>per</strong>ò nel non aver <strong>per</strong>cepitotutte le dimensioni di questa sua sco<strong>per</strong>ta, f<strong>in</strong>endo proprio<strong>per</strong> questo motivo <strong>in</strong> una <strong>in</strong>accettab<strong>il</strong>e svalutazione dell’agirerispetto al conoscere.Margherita Isnardi Parente, L’eredità di Platone nell’Accademiaantica, 1989, Collana Saggi n. 4, 94 pp.Il volume, che racco<strong>gli</strong>e le lezioni tenute dall’autrice a Napoli,presso l’<strong>Istituto</strong> <strong>Italiano</strong> <strong>per</strong> <strong>gli</strong> <strong>Studi</strong> F<strong>il</strong>osofici dal 2 al 6 maggio1988, s’<strong>in</strong>serisce autorevolmente nel dibattito scaturito dalle tesidella cosiddetta “Scuola di Tub<strong>in</strong>ga”, miranti a riproporre all’at-198


tenzione f<strong>il</strong>osofica le dottr<strong>in</strong>e orali di Platone, priv<strong>il</strong>egiate rispettoalla teoria esposta nei dialoghi e funzionali all’ipotesi dell’esistenzadi un Platone “esoterico”. Proposito dell’autrice è “smontare” tale<strong>in</strong>terpretazione, se cosí si può dire, pezzo <strong>per</strong> pezzo, mostrandone<strong>in</strong> maniera puntuale la genesi già a partire dalla prima Accademia.Nella prima lezione l’attenzione è rivolta alla trasformazione <strong>in</strong>senso matematizzante della dottr<strong>in</strong>a delle idee verificatasi nell’ambitodell’Accademia, frutto di una conc<strong>il</strong>iazione fra metafisica platonicae matematica pitagorica. Tale trasformazione portava aduna valorizzazione della dottr<strong>in</strong>a dei pr<strong>in</strong>cípi, nata dal tentativo difornire una risposta ai problemi piú importanti lasciati a<strong>per</strong>ti daPlatone relativamente alla dottr<strong>in</strong>a delle idee. Il primo era quellodella possib<strong>il</strong>ità o meno di un’estensione generalizzata dei modelliideali, possib<strong>il</strong>ità alla quale, secondo l’autrice, Platone si mantennesempre fedele. Ogni realtà, <strong>per</strong> Platone, si richiama direttamenteo <strong>in</strong>direttamente ad un ord<strong>in</strong>e razionale deontologico che nerende possib<strong>il</strong>e l’essenza e la conoscib<strong>il</strong>ità. Il secondo problemaera quello della natura <strong>in</strong>tr<strong>in</strong>seca delle forme ideali: capire se esse,<strong>in</strong> quanto punto di riferimento di una serie di realtà sensib<strong>il</strong>i,dovessero essere comprese come realtà unitarie, oppure comedotate di un’<strong>in</strong>tr<strong>in</strong>seca complessità. La questione nasce, secondoIsnardi, dallo sv<strong>il</strong>uppo della metodologia della diairesis, consistentenell’approssimazione <strong>per</strong> gradi all’oggetto da def<strong>in</strong>ire, graziealla rimozione progressiva dei concetti estranei o<strong>per</strong>ata giocandodi volta <strong>in</strong> volta su una dualità di term<strong>in</strong>i. Tuttavia talemetodologia ha <strong>per</strong> Platone un valore assolutamente strumentalee non <strong>in</strong>tacca <strong>il</strong> pr<strong>in</strong>cipio dell’unitarietà dell’idea. La trasformazione<strong>in</strong> senso matematizzante proposta dai discepoli all’<strong>in</strong>ternodell’Accademia, che sostiene l’<strong>in</strong>terno pluralismo dell’idea consideratacome idea-numero, non sarebbe allora una dottr<strong>in</strong>a orig<strong>in</strong>aledi Platone, ma <strong>il</strong> risultato di una revisione della dottr<strong>in</strong>a delleidee. Tale revisione comporta, secondo l’autrice, un prezzo assai199


pesante dal punto di vista f<strong>il</strong>osofico: <strong>il</strong> venir meno di quel deontologismoche, come confronto cont<strong>in</strong>uo col modello, costituiva l’essenzadella f<strong>il</strong>osofia di Platone.Nella seconda lezione l’autrice si propone <strong>in</strong>vece di confutarel’ipotesi – centrale <strong>per</strong> la Scuola di Tub<strong>in</strong>ga – dell’unicità della presuntalezione sul bene, ipotesi propedeutica all’idea del carattereesoterico e riservato dell’<strong>in</strong>segnamento di Platone. Prima di commentarei passi aristotelici dove si combatte la dottr<strong>in</strong>a platonicadel “bene <strong>in</strong> sé” – critiche rivolte, secondo l’autrice, piú alla svoltapitagorizzante della scuola che allo stesso Platone –, Isnardi ricostruiscelo stato delle testimonianze antiche relative alle lezionipubbliche tenute da Platone e aventi <strong>per</strong> argomento <strong>il</strong> bene. Partendoda Aristosseno, l’autrice mostra con dovizia di particolariche le fonti piú antiche, e qu<strong>in</strong>di piú attendib<strong>il</strong>i, nulla sanno di unPlatone che si rivolge ad un ristretto numero di discepoli, né dellatrascrizione di una lezione “unica” sul bene.La terza lezione ha <strong>in</strong>vece lo scopo di ridimensionare l’ipotesidella convergenza fra Platone e i pitagorici, e, <strong>in</strong> particolare, fraPlatone e Archita di Taranto. Isnardi ammette che Archita condividessecon Platone l’esigenza di una fondazione dell’universofisico su base geometrica, e con <strong>gli</strong> Accademici quella di una generazioneprogressiva della realtà dalle prime grandezze. Secondol’autrice, tuttavia, Archita <strong>in</strong>tendeva risolvere questi problemi <strong>in</strong>maniera diversa, priv<strong>il</strong>egiando le figure a su<strong>per</strong>ficie circolare erifiutando la cosmologia del Timeo. La sua ipotesi circa la genesidelle grandezze e delle figure lo portava a <strong>in</strong>trodurre un elementoc<strong>in</strong>etico là dove Platone e i platonici vedevano un movimento soloapparente, dovuto alla necessità di costruire simbolicamente lefigure <strong>in</strong> forma empirica, <strong>per</strong>manendo <strong>in</strong>tatta l’immob<strong>il</strong>ità delleforme <strong>in</strong>tellegib<strong>il</strong>i. In questo senso <strong>gli</strong> orizzonti teoretici dei Pitagoricida un lato, e di Platone e dell’Accademia dall’altro, rimanevanoben dist<strong>in</strong>ti.200


La quarta lezione è dedicata alle dottr<strong>in</strong>e politiche vigenti nell’Accademia,mentre la qu<strong>in</strong>ta ed ultima affronta lo sp<strong>in</strong>oso problemadella VII Epistola. Isnardi non ritiene ci si possa pronunciare<strong>in</strong> maniera def<strong>in</strong>itiva <strong>per</strong> la sua autenticità o <strong>in</strong>autenticità, matrova “veramente deprecab<strong>il</strong>e” <strong>il</strong> fatto che la tesi dell’autenticitàvenga sostenuta allo scopo di far passare la lettera come autotestimonianzapriv<strong>il</strong>egiata sulla dottr<strong>in</strong>a orale di Platone. Ciò comporta<strong>in</strong>nanzitutto, secondo l’autrice, una forzatura <strong>in</strong>terpretativanei confronti dell’excursus f<strong>il</strong>osofico <strong>in</strong> essa contenuto, <strong>il</strong> qualenon va letto come esposizione della dottr<strong>in</strong>a dei pr<strong>in</strong>cípi, ma come<strong>il</strong>lustrazione dei diversi gradi della comunicazione f<strong>il</strong>osofica. Seautentica, scrive Isnardi, la lettera appartiene a quella fase tardivadel pensiero di Platone <strong>in</strong> cui questi tende a su<strong>per</strong>are <strong>il</strong> deontologismopuro e <strong>il</strong> paradigmatismo assoluto, dando la piú grandeimportanza all’opposizione ontologica fondamentale che contraddist<strong>in</strong>gue<strong>il</strong> reale, come complesso misto di <strong>per</strong>as e di apeiron.Anche <strong>in</strong> questo caso non ci troveremmo di fronte alla dottr<strong>in</strong>a deipr<strong>in</strong>cípi, ma di fronte a quell’aporia del disord<strong>in</strong>e <strong>in</strong>elim<strong>in</strong>ab<strong>il</strong>e dalmondo dei fenomeni che i discepoli irrigidiranno, al di là dellaparola dei dialoghi, <strong>in</strong> una metafisica dei pr<strong>in</strong>cípi di carattere scolastico.Fare della VII Epistola un’autotestimonianza priv<strong>il</strong>egiatanei riguardi di una pretesa dottr<strong>in</strong>a metafisica orale significa,secondo l’autrice, non solo forzare <strong>il</strong> significato dell’excursus, masubord<strong>in</strong>are l’Epistola, come i dialoghi, che sono le vere e unicheautotestimonianze di Platone, alla testimonianza <strong>in</strong>diretta di Aristoteleo di commentatori da lui dipendenti.Giovanni Stelli, Il labir<strong>in</strong>to e l’orizzonte. Strutture f<strong>il</strong>osofiche delpostmoderno, 1998, Collana Saggi n. 31, 137 pp.Già sv<strong>il</strong>uppate <strong>in</strong> un sem<strong>in</strong>ario tenuto a Napoli nell’apr<strong>il</strong>e 1997,le tesi qui esposte emergono da un serrato confronto con <strong>il</strong> relati-201


vismo contemporaneo, che secondo Giovanni Stelli andrebbe<strong>in</strong>contro alla propria autosoppressione <strong>in</strong> ragione del ricorso adargomenti di tipo riflessivo quasi trascendentale. Il labir<strong>in</strong>to de<strong>gli</strong><strong>in</strong>f<strong>in</strong>iti giochi l<strong>in</strong>guistici assunti dai postmoderni come <strong>in</strong>confrontab<strong>il</strong>i<strong>in</strong> l<strong>in</strong>ea di pr<strong>in</strong>cipio si rivelerebbe cosí <strong>in</strong>terno ad unaragione <strong>in</strong>tesa come orizzonte <strong>in</strong>aggirab<strong>il</strong>e. Alla formulazione diqueste tesi l’autore giunge attraverso tre tappe: la prima dedicataad una discussione della categoria di postmoderno, <strong>in</strong> particolarea partire dal famoso saggio di Lyotard, la seconda all’analisi dell’etnocentrismorelativistico di Rorty, la terza alla disam<strong>in</strong>a delrazionalismo pancritico di W. W. Bartley III.Rispetto alla diagnosi formulata da Karl-Otto Apel nel 1974,che <strong>in</strong>dividuava <strong>in</strong> Wittgenste<strong>in</strong> e Heidegger non solo due figurechiave della costellazione f<strong>il</strong>osofica del Novecento, ma anche l’espressionedi una netta e <strong>in</strong>conc<strong>il</strong>iab<strong>il</strong>e antitesi, l’autore r<strong>il</strong>eva <strong>il</strong>progressivo avvic<strong>in</strong>arsi, ne<strong>gli</strong> ultimi venti anni, di queste due viedella riflessione contemporanea e <strong>il</strong> su<strong>per</strong>amento della loro <strong>in</strong>comunicab<strong>il</strong>itàteoretica. Un esempio particolarmente significativodi questa unificazione è rappresentato <strong>per</strong> Stelli da Richard Rorty,che esplicitamente def<strong>in</strong>isce la propria posizione f<strong>il</strong>osofica come <strong>il</strong>risultato di una s<strong>in</strong>tesi di tre tradizioni di pensiero (Wittgenste<strong>in</strong>,Heidegger, Dewey), considerandola una svolta decisiva nello sv<strong>il</strong>uppodel pensiero moderno: con essa, secondo Rorty, cambiaradicalmente l’autocomprensione della f<strong>il</strong>osofia, che <strong>in</strong>siemeall’abbandono di una serie di problemi tradizionali derivanti dadicotomie mal poste, mette <strong>in</strong> questione <strong>il</strong> suo ruolo di supremaistanza giustificativa e la sua separatezza rispetto ad altre attività.Ora, come si è arrivati, si chiede Stelli, alla riunificazione delle duevie che apparivano ad Apel divergenti? Da un lato, risponde l’autore,<strong>per</strong> un processo di autodissoluzione della f<strong>il</strong>osofia analitica,dall’altro <strong>per</strong> le metamorfosi cui sono andate <strong>in</strong>contro le struttureargomentative antifondative: ed è proprio a tale metamorfosi <strong>in</strong>202


senso riflessivo o semi-riflessivo che è rivolta l’attenzione di GiovanniStelli.Il punto di partenza della ricostruzione è costituito dalla discussionedella categoria di postmoderno sulla base del saggio diLyotard del 1979, La condizione postmoderna. Tra <strong>gli</strong> elementiessenziali che caratterizzano la categoria suddetta un ruolo particolarespetta al cosiddetto rifiuto delle metanarrazioni. Nellavisione di Lyotard <strong>il</strong> sa<strong>per</strong>e scientifico, <strong>per</strong> sua logica <strong>in</strong>terna prevaricatoree <strong>in</strong>tollerante nei confronti di quel sa<strong>per</strong>e che non condividei suoi criteri, tenta tuttavia di legittimare le sue procedureproprio attraverso <strong>il</strong> ricorso alla f<strong>il</strong>osofia e alle strutture narrativeche le sono proprie e che essa aveva dapprima rifiutate. I grandisistemi f<strong>il</strong>osofici non sono allora altro, <strong>per</strong> Lyotard, che metanarrazioni,dist<strong>in</strong>guib<strong>il</strong>i <strong>in</strong> due grandi categorie: quella del “raccontospeculativo” e quella del “racconto emancipativo”, fra loro ant<strong>in</strong>omichee irriconc<strong>il</strong>iab<strong>il</strong>i. Il postmoderno <strong>in</strong>izia con <strong>il</strong> riconoscimento,<strong>per</strong> entrambe, dell’assenza di ogni legittimazione e conl’abbandono di ogni <strong>il</strong>lusione fondativa. Il sa<strong>per</strong>e appare ormaicome una dissem<strong>in</strong>azione di giochi l<strong>in</strong>guistici <strong>in</strong> cui dom<strong>in</strong>ano plurivocitàe poliformia, e che si mostra caratterizzata da un aspettoagonistico ed a<strong>per</strong>to a cont<strong>in</strong>ue <strong>in</strong>novazioni e creazioni. La legittimazionetradizionale forte va dunque sostituita, secondo Lyotard,con una legittimazione, <strong>per</strong> cosí dire, “debole”, che assume laforma della “piccola narrazione”, la forma <strong>per</strong> eccellenza dell’<strong>in</strong>venzioneimmag<strong>in</strong>ativa, quella che Lyotard chiama “legittimazione<strong>per</strong> paralogia” e che corrisponde alla nozione rortyiana di metafora:una “voce dall’esterno dello spazio logico”, “un appello allatrasformazione del proprio l<strong>in</strong>guaggio e della propria vita”.Rispetto a questo quadro, che l’autore <strong>per</strong> altro considera unadescrizione corretta dell’attuale situazione f<strong>il</strong>osofica e culturale,s’impongono <strong>per</strong> Stelli alcune osservazioni, riconducib<strong>il</strong>i alle conseguenzeche da essa derivano, sia <strong>per</strong> quanto riguarda <strong>il</strong> ruolo203


della f<strong>il</strong>osofia <strong>in</strong> generale, sia <strong>per</strong> la sua piú specifica valenza politica.Quanto al primo punto, scrive Stelli, se <strong>il</strong> postmoderno radicalizzal’aspirazione moderna alla “f<strong>in</strong>e della metafisica”, esso tuttaviane blocca al tempo stesso la r<strong>in</strong>corsa, problematizzando lastessa critica della metafisica. La conseguenza, paradossalmente, èun recu<strong>per</strong>o del significato della f<strong>il</strong>osofia stessa. Se <strong>in</strong>fatti <strong>il</strong> postmodernorealizza un <strong>in</strong>debolimento radicale della nozione diverità e delle pretese della scienza, esso f<strong>in</strong>isce <strong>per</strong> produrre altempo stesso un recu<strong>per</strong>o “debole” del discorso metafisico,offrendo un’ancora di salvezza alla f<strong>il</strong>osofia, come pensiero sídebole, ma <strong>in</strong>aggirab<strong>il</strong>e, <strong>per</strong> <strong>il</strong> suo tematizzare la f<strong>in</strong>itezza e la cont<strong>in</strong>genzadella nostra condizione. Quanto al secondo punto, l’autoresaluta con favore la critica dell’ideologia e l’abbandono dellaprospettiva utopico-rivoluzionaria, considerati come un salutareritorno alla terra della prosa politica dai cieli non sempre pulitidella poesia rivoluzionaria. Piú che al maggiore o m<strong>in</strong>ore riformismoche tale posizione potrebbe giustificare, Stelli è <strong>in</strong>teressato amettere <strong>in</strong> luce, nel postmoderno, l’accettazione sostanziale delliberalismo nella sua versione “nordatlantica”, assunto come orizzonteultimo e immodificab<strong>il</strong>e della libertà umana.La seconda parte del libro è dedicata all’etnocentrismo antirelativisticodi Richard Rorty. Il punto di partenza è costituito dallacritica rortyiana alla tradizionale teoria della verità di tipo rappresentazionalista;Rorty non resp<strong>in</strong>ge tout court l’uso del term<strong>in</strong>everità, ma ne propone un concetto di tipo pragmatistico e naturalistico,che avrebbe, secondo Stelli, una base non epistemologica ometafisica, ma soltanto etica, <strong>in</strong> quanto ipotesi provvisoriamenteconv<strong>in</strong>cente e <strong>in</strong> l<strong>in</strong>ea di pr<strong>in</strong>cipio rivedib<strong>il</strong>e. L’<strong>in</strong>sostenib<strong>il</strong>ità diqualsiasi concezione di tipo universalistico e l’adozione conseguentedi un atteggiamento di “prov<strong>in</strong>cialismo solitario” <strong>in</strong>ducead adottare delle nozioni, come quella di “verità” (ma ciò valeanche <strong>per</strong> “ragione”, “oggettività”, “realtà”), <strong>in</strong> una accezione204


debole, ma anche ad o<strong>per</strong>are le nostre scelte sulla base di un“etnocentrismo” che ci porta a priv<strong>il</strong>egiare francamente <strong>il</strong> gruppoa cui apparteniamo, <strong>in</strong>nanzitutto <strong>per</strong> la nostra impossib<strong>il</strong>ità di guadagnareun punto di vista esterno. Su questo punto l’etnocentrismodi Rorty s’<strong>in</strong>contra con la sua volontà di proporsi come <strong>il</strong> cont<strong>in</strong>uatoredi quelle “s<strong>per</strong>anze dell’Illum<strong>in</strong>ismo” che hanno datoorig<strong>in</strong>e alle democrazie occidentali. A differenza di quanto credonoi comunitari, <strong>per</strong> Rorty la democrazia liberale non ha bisognodi alcuna giustificazione f<strong>il</strong>osofica. La democrazia viene primadella f<strong>il</strong>osofia, nel senso preciso che non si tratta di giustificarlaf<strong>il</strong>osoficamente, ma, all’opposto, di “confezionare una f<strong>il</strong>osofia sumisura” <strong>per</strong> essa.L’autore discute la tesi di Rorty mostrando da un lato la sua sottovalutazionedella base emozionale di qualsiasi appartenenza edall’altro mettendo <strong>in</strong> luce <strong>il</strong> <strong>per</strong>icolo <strong>in</strong>sito <strong>in</strong> una posizione che,pur proclamando la f<strong>in</strong>e dell’ideologia e <strong>il</strong> pluralismo, f<strong>in</strong>irebbetuttavia, ove divenisse dom<strong>in</strong>ante, <strong>per</strong> produrre un’omologazionesenza precedenti e <strong>per</strong> conf<strong>in</strong>are <strong>il</strong> dialogo e <strong>il</strong> confronto a problemiesclusivamente tecnici. Inoltre lo stesso appello lanciato daRorty ad un confronto a<strong>per</strong>to che dovrebbe <strong>in</strong>durre alla lunga isostenitori di società diverse dalla nostra a riconoscere comemi<strong>gli</strong>ore la società liberale – fa notare Stelli – presuppone necessariamente,al di là dell’etnocentrismo, l’esistenza di una cornicecomune, ossia <strong>il</strong> riferimento ad una comunità della comunicazione.Rorty afferma dunque giustamente, secondo l’autore, che nonesiste “un gancio pendente dal cielo” con cui sostenere una veritàoggettiva e universale, ma non si avvede della “cornice” <strong>in</strong> cui è giàda sempre e da cui non può uscire. Inevitab<strong>il</strong>e allora <strong>il</strong> riferimentoad un’impostazione di tipo trascendentale, tanto piú necessario sesi vuole dar ragione del valore etico fondamentale difeso dal f<strong>il</strong>osofoamericano, la solidarietà. Anche la solidarietà, proposta sem-205


plicemente come un valore di fatto condiviso da un gruppo determ<strong>in</strong>ato,può essere <strong>in</strong>terpretata <strong>in</strong> modo trascendentale comevalore che dobbiamo <strong>per</strong>seguire <strong>in</strong> un’ideale comunità dellacomunicazione. Solo <strong>in</strong> questo modo l’ispirazione di fondo del discorsodi Rorty, <strong>il</strong> suo impegno etico-politico contro <strong>il</strong> relativismodei valori e <strong>in</strong>sieme l’a<strong>per</strong>tura dialogica e solidaristica può esseresalvaguardata rispetto alla caduta <strong>in</strong> una rassegnata versione “realistica”dei conflitti <strong>in</strong>teretnici.Si tratta dunque <strong>per</strong> Stelli di rifiutare la contrapposizione d<strong>il</strong>emmaticaproposta da Rorty fra assenza di visione f<strong>il</strong>osofica fondativa,legata ad un atteggiamento di tolleranza, e visione f<strong>il</strong>osofica fondativae conseguente <strong>in</strong>tolleranza. Occorre <strong>per</strong> contro esplorare la possib<strong>il</strong>itàdi una visione f<strong>il</strong>osofica fondativa che, assumendo come orig<strong>in</strong>ariala struttura plurale, <strong>in</strong>tersoggettiva della ragione, si connetta<strong>in</strong> l<strong>in</strong>ea di pr<strong>in</strong>cipio alla tolleranza, considerando la differenza e <strong>il</strong>confronto come coessenziali alla nozione di ragione.La posizione f<strong>il</strong>osofica di W<strong>il</strong>liam Warren Bartley III prende lemosse dal razionalismo critico di derivazione pop<strong>per</strong>iana e da unaradicalizzazione della riflessione sui limiti del sa<strong>per</strong>e. Bartley <strong>in</strong>sistesoprattutto (sulla base della lezione di Pop<strong>per</strong> e di Hayek) sullalimitazione delle nostre capacità predittive, che ci obbliga a resp<strong>in</strong>gerequelle forme di “razionalismo costruttivistico” che sono allabase della maggior parte dei programmi di pianificazione economicae sociale. Secondo l’autore è un grande merito di Bartley averdimostrato, da una parte, l’esito <strong>in</strong>evitab<strong>il</strong>mente relativistico eantirazionalistico a cui non possono sfuggire posizioni che pure sidichiarano razionaliste (come <strong>il</strong> razionalismo critico di derivazionepop<strong>per</strong>iana), e dall’altro aver compreso le cause etico-politichedella concezione relativista, ossia aver descritto la “forma di vita”che corrisponde al relativismo f<strong>il</strong>osofico postmoderno.La posizione di Bartley viene cosí sv<strong>il</strong>uppata dall’autore <strong>in</strong>alcune delle sue piú <strong>in</strong>teressanti implicazioni, ad esempio riguardo206


all’etnocentrismo prodotto di fatto dal relativismo. Proprio nelmomento <strong>in</strong> cui l’esaltazione della diversità e dei suoi diritti assolutiraggiunge l’apice, ossia quando le diversità sono consideratereciprocamente <strong>in</strong>confrontab<strong>il</strong>i e isolate nella loro alterità irriducib<strong>il</strong>e,vengono poste le premesse <strong>per</strong> uno scatenamento senza precedentidei conflitti <strong>in</strong>teretnici e <strong>in</strong>tertribali. La teorizzazione dell’irriducib<strong>il</strong>itàdel diverso, motivata <strong>in</strong> orig<strong>in</strong>e dalla giustaresistenza contro l’omologazione universalistica e le sue mistificazioni,si radicalizza approdando al rifiuto di qualsiasi criterio diconfronto, al rifiuto della comunicazione razionale. Di fronte aquesta situazione, convergente col fallimento di qualsiasi tentativodi fondare e giustificare <strong>il</strong> razionalismo, e con la conseguente consegnadelle nostre conv<strong>in</strong>zioni ultime ad un atto irrazionale difede, Bartley ritiene possib<strong>il</strong>e trovare una via d’uscita attraversol’estensione dell’approccio pop<strong>per</strong>iano al problema generale dellarazionalità. Cosí come Pop<strong>per</strong> aveva argomentato che non c’èqualcosa come “<strong>il</strong> tipo mi<strong>gli</strong>ore di suprema autorità politica”,valida <strong>per</strong> tutte le situazioni, e che qu<strong>in</strong>di <strong>il</strong> problema consiste nelprospettare istituzioni di governo <strong>in</strong>corporanti meccanismi diautocritica, del pari, di fronte alle nostre credenze, <strong>il</strong> problema <strong>per</strong>Bartley non è di “giustificarle”, ma piú semplicemente di assumereche esse possano essere criticate. Nel razionalismo pancritico diBartley, dunque, la razionalità è fatta risiedere nella critica e nonnella giustificazione. L’autore plaude alla soluzione adottata daBartley nella misura <strong>in</strong> cui essa, elim<strong>in</strong>ando <strong>il</strong> problema della giustificazionee riducendola a critica, ha sí <strong>in</strong>debolito la ragione, manello stesso tempo l’ha resa <strong>in</strong>trascendib<strong>il</strong>e, secondo un’argomentazionequasi-trascendentale. La soluzione prospettata da Bartleyf<strong>in</strong>isce tuttavia <strong>per</strong> riproporre la questione di fondo che <strong>per</strong>corretutto lo scritto di Stelli: è possib<strong>il</strong>e – secondo l’espressione usatada Apel – una fondazione ultima non-metafisica? La strada erastata già <strong>in</strong>dicata dall’autore nel libro dedicato allo scritto207


fichtiano Sul concetto della dottr<strong>in</strong>a della scienza 2 , r<strong>il</strong>etto alla lucedelle suggestioni <strong>in</strong>terpretative di Vittorio Hösle: quella di unagiustificazione razionale non piú di tipo assiomatico-deduttivo, madi tipo riflessivo, che ci riconduca al carattere <strong>in</strong>trascendib<strong>il</strong>e dellaragione, unica via d’uscita di fronte al relativismo contemporaneoe alla sua sfiducia nella possib<strong>il</strong>ità di fornire norme al nostro agire.2Giovanni Stelli, La ricerca del fondamento. Il programma dell’idealismo nello scritto fichtiano“Sul concetto della dottr<strong>in</strong>a della scienza”, Collana “Fichtiana” dell’<strong>Istituto</strong> <strong>Italiano</strong> <strong>per</strong><strong>gli</strong> <strong>Studi</strong> F<strong>il</strong>osofici, Guer<strong>in</strong>i e Associati, M<strong>il</strong>ano 1995.208

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