104LUIGI SPERTI - MARGHERITA TIRELLI [RdA 31di delineare un quadro delle origini della plasticaarchitettonica della Venetia orientale che rimaneesemplare anche per l’area padana, e al contempopuntualizza importanti aspetti tipologici e stilisticidella produzione di Aquileia e dei centri vicini, chenei cataloghi precedenti erano rimasti in ombra 8 .Dall’inizio degli anni ottanta trovano pubblicazionealcune importanti raccolte museali: il catalogo deicapitelli del Museo Archeologico di Verona 9 presentaesemplari in parte pertinenti al teatro romano,in parte provenienti da edifici per lo più nonidentificabili, e viene ad integrare il lavoro pionieristicodi H. Kähler sulle porte urbiche della città 10 ;il Museo Archeologico di Pola rivela materiale insospettabilmentericco, databile in un arco cronologicoche va dalla prima età imperiale sino al IIIsec. d.C. 11 ; il riallestimento del Lapidario del MuseoArcheologico di Padova dà modo di rivedereuna serie di testimonianze architettoniche non particolarmentenumerosa se paragonata all’importanzadella città in età romana, ma comunque di uncerto interesse, soprattutto per la possibilità di ricostruireil partito decorativo di un paio di grandiedifici pubblici della prima età imperiale 12 . Lo spinosoproblema della decorazione architettonica ditradizione ellenistico-italica si ripropone in recentissimicontributi, dedicati ad un gruppo di capitelliionici di inusitata tipologia rinvenuti in condizionedi reimpiego a Feltre 13 , e alla riconsiderazione delmateriale architettonico (tra cui un frammento dicapitello ionico-italico e alcuni esemplari corinzioitalici)tratto in luce negli scavi del noto santuariotardo-repubblicano di Brescia 14 : caso del tutto eccezionalenel panorama dell’architettura norditalicadi II-I secolo a.C., sia per la possibilità di collegarei rinvenimenti ad un contesto archeologico articolatoe databile con buona approssimazione, sia perla ricchezza e lo stato di conservazione del materialedecorativo.In questo quadro sommariamente delineato (eche potrebbe essere facilmente ampliato 15 ) dellosviluppo della decorazione architettonica nella Cisalpinaorientale, si collocano i capitelli di Altino:un corpus di 54 pezzi tra interi e frammentari, ingran parte inediti 16 , comprendente alcuni esemplariionico-italici e corinzio-italici di età tardo-repubblicanae augustea, qualche capitello di tipo corinzioasiatico, e un folto gruppo di esemplari, soprattuttocorinzi, databili tra l’età augustea e l’età giulioclaudiao gli inizi dell’epoca flavia. Le ragioni diquesta forte concentrazione dell’evidenza architettonicanella prima età imperiale emergono implicitamentedalla storia degli scavi: come sottolineaopportunamente M. <strong>Tirelli</strong> nel capitolo dedicato aicontesti di provenienza (v. infra, p. 125), l’esplorazionearcheologica di Altino si è concentrata storicamentenelle aree necropolari, il cui materiale sicolloca quasi senza eccezioni tra la fine del I sec.a.C. e la fine del I sec. d.C. 17 . All’architettura funerariava attribuito inoltre un discreto numero di capitellicorinzi privi di dati sulla provenienza, chepresentano però similarità formali e tecniche conesemplari di provenienza certa tali da lasciare po-8Con conseguenze anche nell’ambito delle datazioni, talora divergenti da quelle proposte dalla Scrinari (v. supra, note 1 e 2).Per alcune puntualizzazioni sull’inquadramento cronologico dei capitelli aquileiesi v. inoltre Cavalieri Manasse 1977, p. 153ss.; von Hesberg 1981, p. 23; Cavalieri Manasse 1983, p. 140 e passim; <strong>Sperti</strong> 2005, pp. 305 ss., 312 ss.9<strong>Sperti</strong> 1983.10Kähler 1935, in particolare p. 181 s. sui capitelli.11Buršić-Matijašić 1984-85. Sui capitelli dei principali monumenti romani della città v. inoltre Fischer 1996, pp. 63 ss., 81 ss.e passim.12Padova romana 1994, in particolare Tosi 1994.13Cavalieri Manasse 2006.14Cavalieri Manasse 2002.15Si vedano ad es. Galliazzo 1977 (capitelli corinzi dal tea tro romano di Berga a Vicenza); Lopreato 1980 (capitelli severianidal Foro di Aquileia); Di Filippo Balestrazzi 2001 (capitelli al Museo Nazionale Concordiese di Portogruaro); Michelini 2002(capitello corinzio a Trento); Ibsen 2006 (esemplari da centri dell’area del Garda).16La maggior parte dei capitelli è conservata al Museo Archeologico Nazionale di Altino; a questi vanno aggiunti alcuni esemplaridella collezione di Villa Canossa Reali a Dosson di Casier (Treviso), formata esclusivamente da materiale di provenienzaaltinate, in particolare elementi architettonici e sculture funerarie di varia tipologia; le sculture funerarie sono in parte edite,v. Compostella 1996, p. 143 e passim. Un primo censimento del corpus dei capitelli altinati è oggetto della tesi di laurea di L.Dengo (I capitelli romani di Altino, Università di Venezia, a.a. 2005-2006), che raccoglie la maggioranza degli esemplari qui esaminati,e sul quale è in parte basato il catalogo.17Cfr. <strong>Tirelli</strong> 1998, col. 137.
2007] I <strong>CAPITELLI</strong> <strong>ROMANI</strong> <strong>DI</strong> <strong>ALTINO</strong>105chi dubbi sul contesto originario: per lo più frammentinon particolarmente significativi di per sé,ma che contribuiscono comunque a precisare tempie modi dell’edilizia funeraria altinate. Egualmenteinsignificante dal punto di vista architettonico è ilframmento (n. cat. 43) tratto in luce di recente in localitàFornace nel corso delle indagini su un santuarioextraurbano fondato probabilmente nel VI sec.a.C. e frequentato ininterrottamente sino all’età imperiale18 ; trattandosi dell’unica testimonianza rinvenutanegli scavi che può essere posta in relazionecon la classe monumentale in esame, si è ritenutoopportuno segnalarlo, se non altro per le pur incerteindicazioni cronologiche che da esso possonoricavarsi. Gli esemplari riferibili all’area urbana,per le ragioni sopra esposte, costituiscono un gruppolimitato. Come sottolinea M. <strong>Tirelli</strong>, i dati sulleprovenienze non consentono di risalire a contestiarchitettonici precisi, ma la pertinenza di alcuni diessi a grandi complessi monumentali è confermatada qualche raro esemplare in marmo di notevolidimensioni. Nel catalogo vengono inseriti inoltredue capitelli ionici (nn. cat. 8, 9) che per l’inusualetipologia e caratteri stilistici sembrano riconducibilialla produzione rinascimentale di ispirazioneanticheggiante.Rimane infine da sottolineare che anche ad Altino,con ogni probabilità, l’età post-antica segnal’inizio di frequenti episodi di dislocazione e spostamentodi manufatti scultorei e architettoniciall’interno della città e negli immediati dintorni, ascopo di reimpiego o per altri motivi (v. infra, p.123 s.). Tale fenomeno, ampiamente documentatoper altri siti della Venetia – tra cui in particolareAqui leia 19 – suggerisce una certa cautela nell’attribuzionedei singoli pezzi ad ambiti pure generici,quali lo spazio monumentale/pubblico o quelloprivato delle necropoli: e ciò vale specialmente perun corpus come quello altinate, dove gli esemplaririferibili ad un contesto architettonico specifico sicontano sulle dita di una mano.Capitelli ioniciTra le prime manifestazioni dell’ordine ioniconell’architettura altinate quattro esemplari inediti,uno pressoché integro proveniente dalle necropolinord-est dell’Annia (n. cat. 1, tav. XIV, a), un frammentodi provenienza ignota (n. cat. 2, tav. XIV, b),e due capitelli di semicolonna molto frammentari(nn. cat. 3-4, tav. XIV, c, d ), arricchiscono il quadrodella diffusione del capitello ionico-italico in ItaliaSettentrionale. Il tipo del capitello ionico-italico sisviluppa sulla base di modelli peloponnesiaci creatinella seconda metà del V secolo, e conosce a partiredalla fine del III sec. a.C. una straordinaria fortunain Sicilia, in Italia meridionale (particolarmentea Pompei) e in ambiente centro-italico, mentre nellaCisalpina, con l’eccezione di qualche esemplaresporadico a Milano e Bologna, trova una certadiffusione soprattutto nella X regio, ed in particolaread Aquileia 20 . I capitelli ionico-italici di Aquileia,peraltro quasi tutti decontestualizzati, e piuttostoeterogenei per tipologia e stile, costituiscono digran lunga il gruppo più numeroso della Cisalpina21 : gli esemplari più antichi, avvicinabili per resae schema decorativo alla produzione sicula e centro-italica,risalgono alla fine del II sec. a.C., e costituisconola prima attestazione in Italia Settentrionale22 ; i più recenti dimostrano la persistenza deltipo, ridotto oramai ad una sorta di fossile formaledall’adozione del tipo canonico, sino all’età giu-18V. <strong>Tirelli</strong> 2004, p. 446, con precedente bibl.19V. ad es. <strong>Sperti</strong> 2003, col. 239 ss.; <strong>Sperti</strong> 2005, p. 305 ss.20Un primo inquadramento generale in Delbrück 1912, p. 155 ss.; per classificazione tipologica, diffusione regionale e sviluppostilistico del tipo in Italia v. Casteels 1976-77; da ultimo Ramallo Asensio 2004, p. 166 ss.; von Hesberg 2005, p. 149ss.; e soprattutto la recente monografia di S. Batino (2006). Sulle tecniche di fabbricazione Lauter 1998, in particolare p. 406s. Studi regionali: per Pompei v. Napoli 1950; su un raro esemplare fittile a Messina e sulla produzione sicula cfr. Campagna2003a. Per la Cisalpina manca un lavoro di sintesi: v. comunque De Maria 1983, p. 347 ss.; De Maria 2000, p. 290 s.; CavalieriManasse 2006, p. 125. A Milano si conservano due esemplari: v. Rossignani 1990, p. 333, nota 49; Sacchi et al. 2003, n.1.15 p. 92 s. fig. 30; Batino 2006, nn. 138-139, p. 102 s., tav. XV; per l’esemplare bolognese De Maria 1983, p. 348, tav. XV.4;De Maria 2000, p. 290; Batino 2006, n. 137, p. 101, tav. XV. La carta di distribuzione più aggiornata (Batino 2006, tav. I) è lacunosaper quanto riguarda le testimonianze norditaliche.21Scrinari 1952, nn. 1-6; Cavalieri Manasse 1977, p. 153 s., figg. 4-5; Cavalieri Manasse 1978, nn. 2-12, p. 44 ss., tavv. 1-5; n.46 a.b, p. 83 s., tav. 19-20; Batino 2006, nn. 143-154, p. 105 ss., tavv. XV-XVI. Per il noto capitello con dedica di Tampia L(uci)F(ilia) Diovei v. anche Fontana 1997, n. 16, pp. 98 ss., 190 s., fig. 12, con ulteriore bibl.22Cavalieri Manasse 1978, nn. 2-4, p. 44 ss., tavv. 1-2; Batino 2006, nn. 143-145, p. 105 s., tav. XV.
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