intersecando e intrecciando fra loro vari e diversi processi di significazione dell’esperienza formativa elavorativa;contenuti (il portfolio di competenze coltivate comprende sia capacità e conoscenze di caratterepsicologico, sociologico e umanistico in senso lato che competenze più “dure”, di tipo tecnicospecialistico).Alla luce di queste considerazioni, ri<strong>sul</strong>ta allora subito evidente quanto, cimentarsi con il compito didefinire la FSC, consenta di assumere due prospettive, due orizzonti di senso: quello del contestoformativo ma anche quello del contesto lavorativo; giungendo così a due possibili definizioni, entrambisostenibili e capaci, se considerate contemporaneamente, di dare maggiore profondità al concettostesso di FSC.In una prospettiva, per così dire, “formativa”, si può allora intendere per FSC:Una pratica formativa che presuppone una riflessione <strong>sul</strong>l’esperienza lavorativa e sisostanzia direttamente nei luoghi-tempi di lavoro, mettendo in atto determinateattività a tutti gli effetti considerabili come lavorative, collocabili in una corniceconcettuale e metodologica formativa, ovvero sviluppabili secondo un processoarticolato nelle quattro fasi di analisi dei bisogni, progettazione, realizzazione evalutazione e verifica (degli apprendimenti, delle ricadute operative, ecc.).Allo stesso modo la FSC, in una logica “lavorativa”, può essere definita come:Una pratica lavorativa riferibile a determinate attività condotte e osservate in modotale da promuovere un miglioramento della performance ed essere considerate atutti gli effetti formative per gli operatori in esse impegnati, ovvero attivitàlavorative condotte in modo tale da essere vissute come occasioni strutturate diapprendimento continuo contestuali all’esperienza lavorativa e capaci di incideredirettamente <strong>sul</strong>la con<strong>formazione</strong> e dinamica del team di lavoro.Definire contemporaneamente la FSC nei termini di un’esplicita e determinata pratica formativa olavorativa, induce ancor più ad assumere nuovi sguardi, a riconsiderare complessivamente il senso e ilvalore della <strong>formazione</strong> e del lavoro.Constatare come si possa operare concettualmente all’interno di queste due prospettive, induce aprendere coscienza della provvisorietà di un atteggiamento culturale dominante che ancora distingue,in maniera troppo netta, <strong>formazione</strong> e lavoro.Prendere piena coscienza di come siano possibili concezioni diverse di lavoro e <strong>formazione</strong> a secondadei tempi, dei luoghi e dei contesti socio-culturali all’interno dei quali si situano i processi disignificazione rende palese la pregnanza culturale (e quindi dinamica, relativa, contestuale), di questi“due mondi”.Apprendere dall’esperienza e coltivare sapere praticoL’apprendimento dall’esperienza oltre ad essere il processo fondante una buona pratica di FSC,rappresenta una competenza, o meta-competenza, centrale per la professionalità dell’operatoresanitario.Quante volte, infatti, con le nostre diverse qualifiche e collocazioni professionali, ci siamo trovati difronte a casi unici? Rispetto ai quali dovevamo decidere il tipo di azione più adeguato da intraprenderesenza avere procedure precodificate d’azione, senza che esistesse risposta risolutiva anticipatamentedisponibile?Quante volte ci siamo trovati ad assumere valutazioni probabilistiche?Quante volte abbiamo proceduto formulando ipotesi, sottoponendo poi le medesime a revisionicontinue nel corso delle investigazioni e degli interventi messi in atto?Un buon clinico è colui che applica correttamente regole date o, piuttosto, colui che decide bene?Quanto è importante per un buon clinico aver maturato una certa esperienza, ovvero la capacità diriflettere <strong>sul</strong>le pratiche messe in atto, sui singoli casi che tratta?Quanto condividiamo il fatto che una buona clinica, una buona assistenza, ecc., per essere tale nonpossa esaurirsi nell’esecuzioni di compiti impartiti da altri? Ovvero sostanziarsi in mera esecuzione diprocedure o protocolli predefiniti?14
Domande come queste, pongono tutte l’accento <strong>sul</strong> concetto di apprendimento esperienziale.E ciò vale per il medico, lo psicologo, l’infermiere, ma anche l’educatore, l’assistente sociale, ecc. e,potremo dire, per qualsiasi professionista della sanità,Riconoscere la centralità dell’apprendimento esperienziale significa essere propensi a riconoscerechiaramente il valore della riflessione nell’apprendimento, a mettere così in crisi quel concetto dirazionalità tecnica che considera l’attività professionale come mera soluzione strumentale di problemi(Schon, 1987).<strong>La</strong> nostra attività professionale non è mera soluzione strumentale di problemi e tutti noi siamoconsapevoli di essere continuamente immersi in un processo di interazione con l’ambiente sociale elavorativo, che mette alla prova e modifica le conoscenze precedenti e costruisce nuovo sapereattraverso l’osservazione e la riflessione.Siamo tutti consapevoli di vivere in un mondo in costante cambiamento, nel quale per far fronte asituazioni, problemi e aspettative sempre nuove, non dobbiamo “solo” apprendere nozioni, pratichenuove; dobbiamo essere in grado di rinnovare competenze che rischiano continuamente di divenireobsolete, dobbiamo imparare a farlo rapidamente e contando <strong>sul</strong>le nostre capacità e sensibilità, <strong>sul</strong>lenostre risorse, dobbiamo cioè apprendere ad apprendere, imparare come si impara.Quale sapere allora siamo chiamati a coltivare oltre a quel sapere tecnico e consolidato checontraddistingue le nostre professioni? Quali le caratteristiche distintive di questo altro sapere?Come, comunità professionali appunto di pratici siamo chiamati ad esercitare un sapere di tipopratico, un sapere spesso tacito o implicito che può essere reso esplicito e valorizzato coltivando lacapacità e l’attitudine a riflettere nel corso del nostro agire professionale, prima, durante e dopo lamessa in atto degli interventi che ci competono.Questo “sapere prassico” si differenzia da quello “tecnico” sotto diversi aspetti (Mortari, 2003) 6 .È, quello prassico, un sapere che fa fronte a problematiche “aperte” o indeterminate (problemi osituazioni che si conoscono solo intervenendo “in” esse, attraverso uno specifico processo di indagine);problematiche uniche non riconducibili a categorie precostituite e codificate come nel sapere tecnico.Occorre però essere pienamente consapevoli del fatto che questo sapere che si costruisce a partiredall’esperienza lavorativa, non prende forma solo grazie al fatto di essere impegnati in determinateattività o essere coinvolti in eventi vissuti irriflessivamente (è questo un modo di vivere semplicementel’esperienza, un modo di vivere ontico, che si esaurisce in un “fare”).Coltivare sapere prassico, presuppone la capacità di esercitare la ragione riflessiva, l’esserepensosamente presenti rispetto a ciò che si fa (un modo di vivere ontologico) 7 .L’esercizio della ragione riflessiva: dalle competenze del “buon pratico” agli orientamentiper una FSC di qualitàVale la pena ora soffermarsi <strong>sul</strong>la capacità di esercitare la ragione riflessiva ovvero su questacompetenza “core” e <strong>sul</strong>le capacità ad essa correlate.Mettere, per così dire, maggiormente a fuoco, queste capacità, è un buon modo per “distillare” alcunipresupposti e orientamenti di fondo, linee di azione e indicazioni metodologiche utili per laprogettazione e realizzazione di occasioni formative (in generale e <strong>sul</strong> <strong>campo</strong> in particolare) di buonaqualità. Possiamo, a questo proposito, fare ancora riferimento, alla illuminante trattazione del temacondotta da Mortari (2003, pp. 23-52).Seguendo le sue osservazioni, un buon pratico si caratterizzerebbe, in sintesi, per le capacità di:esercitare la ragione riflessiva.6 Mortari (2003, pp. 9-21) mette in luce come nell’ambito di un sapere pratico, le soluzioni, in questi casi, sono uniche eassolutamente contestualizzate, non derivano pertanto da protocolli validati “a monte” del tipo: “dato A se vuoi B fai C” ma dauna ricerca fatta con saggezza, tenendo cioè conto della complessità dei diversi fattori in gioco, operando con un atto cognitivosistemico, simile ad un atto creativo artistico (come il tiro con l’arco) apprendibile con esperienza, non banalmente riducibilealla mera corretta applicazione di regole che possono essere apprese con un insegnamento pre-strutturato.Gli esiti delle azioni intraprese secondo un sapere prassico sono imprevedibili, siamo al cospetto di un sapere probabilistico,instabile (continuamente rivedibile), un sapere fronetico (non un episteme o sapere ben fondato come nel caso del saperetecnico).7Nella prospettiva dell’apprendimento esperienziale un buon pratico, un buon medico, infermiere, psicologo, …è colui che saesaminare il caso che si pone dinanzi, che sa condurre un’indagine prendendo decisioni continue con saggezza che “pensa a ciòche fa”. “ C’è un modo ontico di abitare i luoghi del vivere quotidiano, in cui semplicemente si sta coinvolti in quello cheaccade, nel senso che gli eventi sono vissuti irriflessivamente e c’è un modo ontologico, che è quello della riflessione, in cui ilvissuto entra nell’orizzonte della coscienza divenendo oggetto dell’indagine relazionale “ (Mortari, 2003, p. 16). Per “ontico”, siintende quindi una modalità di stare in presenza delle cose senza preoccuparsi di pervenire ad una riflessione in grado dirazionalizzarne i possibili aspetti di significato che essa può assumere all’interno del proprio percorso personale. Per“ontologico”, si intende una modalità di affrontare le differenti <strong>esperienze</strong> di vita attuando una sistematica riflessione suglielementi di significato che sono insiti a dette <strong>esperienze</strong>. Sul tema Ontico Vs. Ontologico, Cfr. Husserl (1968).15
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