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La formazione sul campo: metodologie, esperienze ... - Psychomedia

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Domande come queste, pongono tutte l’accento <strong>sul</strong> concetto di apprendimento esperienziale.E ciò vale per il medico, lo psicologo, l’infermiere, ma anche l’educatore, l’assistente sociale, ecc. e,potremo dire, per qualsiasi professionista della sanità,Riconoscere la centralità dell’apprendimento esperienziale significa essere propensi a riconoscerechiaramente il valore della riflessione nell’apprendimento, a mettere così in crisi quel concetto dirazionalità tecnica che considera l’attività professionale come mera soluzione strumentale di problemi(Schon, 1987).<strong>La</strong> nostra attività professionale non è mera soluzione strumentale di problemi e tutti noi siamoconsapevoli di essere continuamente immersi in un processo di interazione con l’ambiente sociale elavorativo, che mette alla prova e modifica le conoscenze precedenti e costruisce nuovo sapereattraverso l’osservazione e la riflessione.Siamo tutti consapevoli di vivere in un mondo in costante cambiamento, nel quale per far fronte asituazioni, problemi e aspettative sempre nuove, non dobbiamo “solo” apprendere nozioni, pratichenuove; dobbiamo essere in grado di rinnovare competenze che rischiano continuamente di divenireobsolete, dobbiamo imparare a farlo rapidamente e contando <strong>sul</strong>le nostre capacità e sensibilità, <strong>sul</strong>lenostre risorse, dobbiamo cioè apprendere ad apprendere, imparare come si impara.Quale sapere allora siamo chiamati a coltivare oltre a quel sapere tecnico e consolidato checontraddistingue le nostre professioni? Quali le caratteristiche distintive di questo altro sapere?Come, comunità professionali appunto di pratici siamo chiamati ad esercitare un sapere di tipopratico, un sapere spesso tacito o implicito che può essere reso esplicito e valorizzato coltivando lacapacità e l’attitudine a riflettere nel corso del nostro agire professionale, prima, durante e dopo lamessa in atto degli interventi che ci competono.Questo “sapere prassico” si differenzia da quello “tecnico” sotto diversi aspetti (Mortari, 2003) 6 .È, quello prassico, un sapere che fa fronte a problematiche “aperte” o indeterminate (problemi osituazioni che si conoscono solo intervenendo “in” esse, attraverso uno specifico processo di indagine);problematiche uniche non riconducibili a categorie precostituite e codificate come nel sapere tecnico.Occorre però essere pienamente consapevoli del fatto che questo sapere che si costruisce a partiredall’esperienza lavorativa, non prende forma solo grazie al fatto di essere impegnati in determinateattività o essere coinvolti in eventi vissuti irriflessivamente (è questo un modo di vivere semplicementel’esperienza, un modo di vivere ontico, che si esaurisce in un “fare”).Coltivare sapere prassico, presuppone la capacità di esercitare la ragione riflessiva, l’esserepensosamente presenti rispetto a ciò che si fa (un modo di vivere ontologico) 7 .L’esercizio della ragione riflessiva: dalle competenze del “buon pratico” agli orientamentiper una FSC di qualitàVale la pena ora soffermarsi <strong>sul</strong>la capacità di esercitare la ragione riflessiva ovvero su questacompetenza “core” e <strong>sul</strong>le capacità ad essa correlate.Mettere, per così dire, maggiormente a fuoco, queste capacità, è un buon modo per “distillare” alcunipresupposti e orientamenti di fondo, linee di azione e indicazioni metodologiche utili per laprogettazione e realizzazione di occasioni formative (in generale e <strong>sul</strong> <strong>campo</strong> in particolare) di buonaqualità. Possiamo, a questo proposito, fare ancora riferimento, alla illuminante trattazione del temacondotta da Mortari (2003, pp. 23-52).Seguendo le sue osservazioni, un buon pratico si caratterizzerebbe, in sintesi, per le capacità di:esercitare la ragione riflessiva.6 Mortari (2003, pp. 9-21) mette in luce come nell’ambito di un sapere pratico, le soluzioni, in questi casi, sono uniche eassolutamente contestualizzate, non derivano pertanto da protocolli validati “a monte” del tipo: “dato A se vuoi B fai C” ma dauna ricerca fatta con saggezza, tenendo cioè conto della complessità dei diversi fattori in gioco, operando con un atto cognitivosistemico, simile ad un atto creativo artistico (come il tiro con l’arco) apprendibile con esperienza, non banalmente riducibilealla mera corretta applicazione di regole che possono essere apprese con un insegnamento pre-strutturato.Gli esiti delle azioni intraprese secondo un sapere prassico sono imprevedibili, siamo al cospetto di un sapere probabilistico,instabile (continuamente rivedibile), un sapere fronetico (non un episteme o sapere ben fondato come nel caso del saperetecnico).7Nella prospettiva dell’apprendimento esperienziale un buon pratico, un buon medico, infermiere, psicologo, …è colui che saesaminare il caso che si pone dinanzi, che sa condurre un’indagine prendendo decisioni continue con saggezza che “pensa a ciòche fa”. “ C’è un modo ontico di abitare i luoghi del vivere quotidiano, in cui semplicemente si sta coinvolti in quello cheaccade, nel senso che gli eventi sono vissuti irriflessivamente e c’è un modo ontologico, che è quello della riflessione, in cui ilvissuto entra nell’orizzonte della coscienza divenendo oggetto dell’indagine relazionale “ (Mortari, 2003, p. 16). Per “ontico”, siintende quindi una modalità di stare in presenza delle cose senza preoccuparsi di pervenire ad una riflessione in grado dirazionalizzarne i possibili aspetti di significato che essa può assumere all’interno del proprio percorso personale. Per“ontologico”, si intende una modalità di affrontare le differenti <strong>esperienze</strong> di vita attuando una sistematica riflessione suglielementi di significato che sono insiti a dette <strong>esperienze</strong>. Sul tema Ontico Vs. Ontologico, Cfr. Husserl (1968).15

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