Le ragioni di una <strong>formazione</strong> situata 1Cesare Kaneklin* e Giuseppe Scaratti***Prof. Ordinario “Psicologia Applicata” facoltà di Psicologia - Università Cattolica Milano e**Prof. Ordinario “Psicologia delle Organizzazioni” facoltà di EconomiaFra il dire e il fare. Gruppo di lavoro, apprendimento e produzione del servizioIl presente contributo trova origine in alcune suggestioni dettate dal riscontro di un’enfasi assegnata al“<strong>campo</strong>”, rintracciabile all’interno della comunità scientifica e culturale che si occupa di <strong>formazione</strong>(cfr. Boldizzoni, Nacamulli, 2004; Quaglino, 2005; 2006). Il termine ri<strong>sul</strong>ta tanto evocativo diimplicazioni teorico-concettuali proprie del sapere psicologico (si pensi alla teoria del <strong>campo</strong> di KurtLewin), quanto plurale nelle sue possibili specificazioni e carico di valenze metodologiche ed operativein riferimento alla sua applicazione.L’enunciato “<strong>formazione</strong> <strong>sul</strong> <strong>campo</strong>” suggerisce una peculiare attenzione da portare all’esperienzalavorativa dei soggetti, a quello che le persone fanno nei contesti, alle pratiche lavorative eprofessionali in cui sono impegnate. È nei concreti sistemi di azione, i quali progressivamenteprendono forma e consistenza, acquisendo stabilità e configurando equilibri tra persone, tecnologie,culture, risorse materiali e simboliche, che si configurano le conoscenze ed i significati alla base deiprocessi di attribuzione di senso a ciò che si fa.È proprio a questo tessere e costante ri-prodursi e riconfigurarsi dei micro-contesti organizzativi che iltermine ‘<strong>campo</strong>’ può e deve, secondo noi, rinviare: nel presente contributo faremo riferimento aquesta accezione, che trova il suo fondamento in un approccio all’analisi ed alla comprensione deiprocessi legati all’apprendere ed all’organizzare a partire dalla valorizzazione dei saperi pratici (Vino,2001; Zucchermaglio, 2002; Gherardi, 2003; 2008), delle conoscenze in azione prodotte nei contestiattraverso transazioni relazionali, materiali e simboliche tra soggetti diversi (Scaratti, 2005; 2006),delle dinamiche psico-sociologiche ad esse connesse (Barus-Michel, Enriquez, Lèvy, 2003).In gioco è la possibilità di rappresentarsi il lavoro all’interno di servizi socio-sanitari comestrutturalmente connesso ad un duplice posizionamento richiesto alle persone professionalmentecoinvolte: esse devono da un lato far fronte e misurarsi con pressioni ed esigenze interne ed esterneproiettate <strong>sul</strong>la qualificazione costante della propria attività, nella logica di un orientamento ai ri<strong>sul</strong>tati;<strong>sul</strong>la flessibilità e adattabilità dei propri processi di lavoro; <strong>sul</strong>la personalizzazione dell’offerta a frontedi una varietà e pluralità di richieste e bisogni; <strong>sul</strong>l’efficienza gestionale, in grado di dare soddisfazioneai diversi stakeholders.Dall’altro sono chiamate ad un lavoro di condivisione del senso e delle modalità del loro sistemad’azione, riformulando significati attribuiti alla propria attività, esplorando varietà e soluzioni nuove,usando l’intelligenza per individuare itinerari percorribili.Le situazioni operative, lavorative ed organizzative assumono infatti forme fluide e sfuggenti: nonriescono, in molti e sempre più ricorrenti casi, ad essere messe sotto controllo preventivo e pongonoproblemi la cui risposta è affidata a soluzioni plurali, non lineari e che implicano l’investimento diintelligenza e dedizione. Alle varie figure professionali è richiesto di interpretare il loro ruoloaffrontando eventi molteplici e imprevedibili, per i quali le competenze individuali e la solidità dellapreparazione specialistica acquisita sono condizione necessaria, ma non sufficiente a garantire laqualità di un servizio sanitario.Occorre altresì consolidare forme di collaborazione, interazione e sinergia dei processi di lavoro pergarantire risposte adeguate e in molti casi inedite: diventano importanti e decisivi i micro-processiquotidiani di funzionamento, sui quali riposa la possibilità di offrire un servizio adeguato e di generarevalore in termini di qualità, di fiducia, di scambi relazionali, di complessiva economia di gestione.In tale prospettiva il concetto di “<strong>campo</strong>” richiama e rimanda ai contesti emergenti all’interno deisistemi di azione, al loro configurarsi come culture ed estetiche organizzative che danno vita eprendono forma attraverso linguaggi, sensorialità, dimensioni emotive ed affettive, artefatti, pratiched’uso.1 Testo redatto come successiva elaborazione dei contenuti presentati al convegno.28
Una <strong>formazione</strong> concepita <strong>sul</strong> <strong>campo</strong> e per il <strong>campo</strong> non può allora che intercettare, elaborare eriorientare modalità di lavoro diffuse, routines consolidate, strumenti e vie di circolazione delleconoscenze e di scambio tra i diversi interlocutori professionali.Si tratta di abitudini relative a modi di concepire funzioni, azioni e procedure in uso, legate a culturelavorative, professionali ed organizzative che possono ri<strong>sul</strong>tare più o meno funzionali. Da esse dipendela disposizione delle persone in gioco a metterci testa e cuore, a lavorare insieme, a farsi carico deiproblemi, uscendo da culture burocratico-tecnicistiche, da modalità individualistiche di lavoro, daesecuzioni meramente adempistiche di quanto dovuto.Di qui la necessità di avvicinare l’esperienza dei soggetti nei loro contesti organizzativi, perché possanoapprendere da quello che fanno, consolidando e sviluppando modalità e sistemi di azione funzionali,modificando e riadattando pratiche lavorative che ri<strong>sul</strong>tano invece inerti e non più adeguate.Parafrasando quanto detto sui sistemi di attività quotidiana a proposito della conoscenza riguardanteazioni e relazioni (cfr. Zucchermaglio, 2002; 2003; Gherardi, 2003), possiamo dunque configurare la<strong>formazione</strong> <strong>sul</strong> <strong>campo</strong> come una <strong>formazione</strong> situata:- in quanto legata ai contesti all’interno dei quali si esprime e si riproduce l’intreccio tra organizzare,apprendere e conoscere a partire dall’esercizio di pratiche comuni e condivise;- perché connessa agli usi locali e linguistici esistenti; alle forme di indessicalità e accountabilitydiffuse e implicitamente assunte; all’intreccio di elementi materiali e simbolici, di interessiindividuali e collettivi attorno a cui si sviluppano relazioni interpersonali e di potere;- perché in rapporto con l’esperienza degli attori organizzativi e con i significati da essa generati,così come con la loro soggettività sensoriale ed estetica, cioè con le modalità attraverso cuisentono, fiutano, tastano, ascoltano, vedono, gustano ciò che fanno e gli eventi organizzativi in cuisono coinvolti.<strong>La</strong> concezione sottesa a tale prospettiva rinvia ad una logica di azione formativa (Lipari, 2002)orientata all’attivazione di ambienti organizzativi in grado di sostenere e supportare adeguate formedel conoscere e dell’apprendere, promuovendo l’attitudine dei soggetti a rapportarsi all’esperienzalavorativa a partire da un pensiero riflessivo portato <strong>sul</strong>la propria pratica di lavoro (Kaneklin, Scaratti,1998; Scaratti, 2006; Scaratti, Ripamonti, 2008).Apprendere e conoscere si configurano come processi di partecipazione ad attività situate, generandocostanti trasformazioni nei soggetti che vi prendono parte, nelle loro relazioni e nelle stessedisposizioni materiali del contesto. Per questo occorre osservare e cogliere ciò che accade all’interno diun contesto d’azione, intercettando l’interpretazione situata che ne danno gli attori coinvolti e le formepiù o meno tacite attraverso cui condividono un’attività in situazione (Scaratti, Ripamonti, 2008).<strong>La</strong> focalizzazione <strong>sul</strong>la situatività, che configura i sistemi di attività, di conoscenza e di transazionecome socialmente e spazio-temporalmente contestualizzati, enfatizza le dimensioni pratiche e leconoscenze distribuite, secondo una prospettiva marcatamente sociale dell’apprendimento.Una <strong>formazione</strong> funzionale al conoscere e apprendere a partire dai propri ambiti di lavoro comporta unavvicinarsi a contesti di azione caratterizzati da unicità, ambiguità, imprevedibilità, provvisorietà,misurandosi con saperi non solo dichiarati ma anche in uso, depositati nelle conoscenze implicite e inazione dei soggetti (Vino, 2001; Scaratti, 2005; 2006).Un simile orientamento non costituisce peraltro un dato scontato e diffuso nelle proposte formativericorrenti: richiede il dispiego di delicate e complesse forme di accompagnamento e sostegno allediverse figure professionali per riconfigurare il loro rapporto con il lavoro e con l’organizzazione,nonché la cura di processi connessi all’organizzare contesti e pratiche riflessive per apprendere dallapropria esperienza in prospettiva trasformativa (Mezirow, 2003).Per questo la suggestione contenuta nel titolo del presente contributo suggerisce ad un tempo unaprospettiva teorico-concettuale tanto innovativa quanto esigente (in riferimento alle logiche formativeche la <strong>formazione</strong> <strong>sul</strong> <strong>campo</strong> veicola e contiene) ed una preoccupazione latente.<strong>La</strong> prospettiva rinvia alla consapevolezza che una fra le prevalenti modalità attraverso cui laconoscenza si esprime, cresce e si sviluppa è quella connessa all’azione nell’ambito di pratiche econtesti situati, per cui l’esperienza lavorativa ed organizzativa dei soggetti viene rappresentata comefonte e <strong>campo</strong> di apprendimento e punto di possibile convergenza/equilibrio tra saperi teorici, saperitecnici e saperi pratici. L’apprendere non è scindibile dall’organizzare, dal produrre il servizio, cioè dalcostruire e realizzare in contesti materiali e simbolici pratiche riconosciute come promettenti per riorientaree ri-progettare la propria azione professionale. Apprendere e organizzare sono a loro voltasollecitati dalla tensione a sviluppare nuove forme di relazione, di scambio, di lavoro possibile,attraverso la via impegnativa e non scontata della condivisione di momenti intersoggettivi e gruppali diriflessione e rivisitazione delle pratiche quotidiane diffuse, attraverso processi di transazione enegoziazione, di cooperazione e conflitto, di aggiustamento reciproco su equilibri sostenibili.29
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