Richiamando il concetto o sentimento di autoefficacia (Bandura, 2000) possiamo allora domandarci:come aiutare le organizzazioni a ricercare – costruire senso, sapere di saper fare?Sulla base di quanto prima annotato, possiamo dire che la promozione di una cultura organizzativafavorente la FSC può, essenzialmente, essere tradotto in azioni e politiche di educazione al pensieroriflessivo. In quest’ottica, sarebbe allora utile mettere in discussione alcuni presupposti o distorsioniche sembrerebbero caratterizzare le nostre organizzazioni.Ispirandoci, ancora una volta alle riflessioni proposte dalla Mortari (2003, pp. 69-71), va messo inevidenza che l’esercizio del pensiero riflessivo allontana il rischio di assumere una posizione dianonimia all’interno dei nostri contesti lavorativi. Si tratterebbe inoltre di favorire i passaggi di visione,qui richiamati, in forma di slogan e sintetiche affermazioni.- Da premesse improntate al tecnicismo e alla saggezza strumentale (compito dell’operatore èquello di adoperare con maestria mezzi e strumenti rispetto a fini e obiettivi stabiliti) ad unaposizione di responsabilità etica (comportante la messa in discussione dei fini che orientanol’agire e la riflessione sui fini che si perseguono).- Da un pensarsi come autosufficienti indipendentemente da un contesto (atomismo) a pensarsi inrelazione, alla imprescindibile convinzione di operare sempre all’interno di un contestoorganizzativo capace di influenzare (ed essere influenzato) la riuscita di un’attività formativa(passaggio questo che, oltretutto, ci alleggerirebbe da pericolosi e possibili, a seconda dei casi,sentimenti di onnipotenza ed autoesaltazione o depressione e sensi di colpa; sentimenti comunqueche non consentono di valorizzare le relazioni di fiducia tessute all’interno delle organizzazioni efondanti l’”organizzarsi” stesso.- Da un pensiero anaffettivo (in preda ad un’illusione razionalistica) a un pensiero emotivo,capace di valorizzare le tonalità emotive, i sentimenti e desideri che sempre accompagnano ilnostro agire e le nostre scelte professionali 17 .- Da una posizione disconfermante la dimensione politica insita in ogni prassi (neutralismo) allapiena consapevolezza della dimensione politica del nostro agire che rimanda, cioè, a certipresupposti <strong>sul</strong>la natura umana, che invita a riconsiderare le relazioni all’interno della nostraorganizzazione, i livelli di autonomia e dipendenza legittimati nei nostri contesti, ecc..Proprio su quest’ultima indicazione è opportuno qui esternare alcune osservazioni.<strong>La</strong> sanità pubblica è ancora un’organizzazione strutturata eccessivamente in senso “funzionale”, ovveroancora troppo centrata <strong>sul</strong>la difesa di interessi di famiglie professionali, spesso secondo logichedichiaratamente corporativistiche e di potere. Occorre superare queste logiche per garantireautonomia, trasversalità ed efficacia ai Servizi Formazione.Per operare per una produzione di conoscenza <strong>sul</strong> <strong>campo</strong>, occorrerà potenziare e alimentare unamaggiore propensione al lavoro di équipe e al confronto fra équipe diverse, sostenere la costituzione digruppi di <strong>formazione</strong> tra pari e, ancora, porsi sempre più nell’ottica di potenziare e valorizzare davverole competenze degli operatori e non i giochi di potere personali, di categoria, di équipe e di varie“cordate” che ancora incrinano gli spazi operativi della pubblica sanità.Sempre su questo piano, relativo alle osservazioni <strong>sul</strong>le dimensioni politico-organizzative va ricordatoche l’alleanza formativa, per sua natura, si fonda su una relazione di collaborazione e non disudditanza. Per questo motivo è fondamentale chiedersi se, all’interno dei nostri contesti organizzativi,si coltivano in che misura, e in quali forme, relazioni ancora ispirate da principi di sudditanza.Ciò, a maggior ragione, quando l’affermarsi di nuovi interessi di categorie professionali sembranoproporre logiche di potere del tutto simili a quelle prima combattute e osteggiate.È basilare poter allora valutare quanto e in che modo adoperarsi per coltivare deutero-apprendimentialternativi imperniati <strong>sul</strong>la collaborazione e <strong>sul</strong> confronto franco e propositivo fra operatori, capi esubalterni, famiglie professionali e squadre diverse di lavoratori, ecc..Uno sguardo alle politiche organizzativeUna pratica della FSC deve essere sostenuta da politiche organizzative, da azioni che possanoconfermare interesse per la <strong>formazione</strong>, e per la FSC in particolare, e sostanziare l’adesione adeterminate scelte valoriali di fondo.17C’è sempre una tonalità emotiva che accompagna il nostro agire professionale. Anche le teorizzazioni in apparenza più pure easettiche sono intrise di vita emotiva. Occorre incentivare un’educazione emotiva, (essenziale su un piano esistenziale), lacomprensione della propria vita interiore come impegno ineludibile (Heidegger, 1976).22
Quali azioni, assetti organizzativi, regole di funzionamento e norme possono meglio promuovere esostenere una comunità orientata all’apprendimento? Quali strategie perseguire? Quali le metacompetenzestrategiche da favorire?Intanto, occorre dirlo, andrebbe perlomeno superata una certa “schizofrenia”, frequentemente diffusaai vari livelli organizzativi e interessanti i diversi attori intervenenti in tema di <strong>formazione</strong>.Sono, ahimè, ancora ricorrenti ma subito evidenti agli operatori di settore, una serie di contraddizioni.Su un piano formale, sui documenti di natura programmatica e strategica (di livello nazionale, localeaziendale,di team, ecc.) non si perde l’occasione per sottolineare “la centralità strategica dellepolitiche per la <strong>formazione</strong>”, abbondano vision che pongono in primo piano “il costante aggiornamentoe la ricerca della qualità delle risorse umane”, “la necessità di assicurare ingenti investimenti pergarantire la <strong>formazione</strong> continua” ecc. ecc..Se si guarda poi la realtà, spesso nei fatti vengono puntualmente disattesi i proclami pomposamentesbandierati nelle prese di posizioni ufficiali e pubbliche. Il mondo della <strong>formazione</strong>, lo sanno bene tuttigli operatori di settore è una realtà che si qualifica per la scarsità degli spazi e delle risorse disponibili,per il non ottimale portfolio delle competenze degli addetti alle aree <strong>formazione</strong>, per gli scarsiriconoscimenti in termini di carriera e di sviluppo professionale assicurati ai medesimi operatori,rispetto ai quali, peraltro, l’attesa ricorrente concerne perlopiù l’assolvimento di compiti marginali,spesso prevalentemente imperniati <strong>sul</strong>l’esecuzione di pesanti e poco gratificanti pratiche burocratiche.I Servizi Formazione, dichiaratamente definiti come essenziali per lo sviluppo organizzativo, per la vitastessa di un’organizzazione, solo in questi ultimi anni hanno cominciato a non essere del tutto avulsidai momenti decisionali e di programmazione strategica aziendale.Lo stesso dicasi per i programmi di <strong>formazione</strong> in favore degli operatori di questi Servizi, avviatifinalmente in questi ultimi anni, ma ancora ovviamente da reiterare per poter incidere in manieratangibile e diffusa <strong>sul</strong>le competenze effettive degli interessati.Perché allora, in moltissime aziende sanitarie, ci troviamo ancora di fronte a questa sorta dischizofrenia gestionale?Una prima ragionevole risposta rimanda al corto respiro gestionale e strategico che sembraancora qualificare un’Azienda Sanitaria.Le politiche per la <strong>formazione</strong> (quelle serie, non certo quelle messe in atto per aggraziarsi un settoreaziendale, un gruppo professionale, o per conquistarsi un consenso estemporaneo) richiedonoprospettive temporali ampie, non danno ritorni immediati.Educare al pensiero riflessivo le organizzazioni richiede necessariamente tempi lunghi: progetti,ricerche-intervento partecipate, iniziative formative complesse e anche di lunga gittata temporale.Come si concilia tutto ciò con gli orizzonti di senso temporali delle nostre Direzioni Generali?Un’ulteriore riflessione che mi sento poi di fare <strong>sul</strong>la FSC è che i contesti formativi nei quali si sostanzia(gruppi di miglioramento, audit clinico, partecipazione a comitati e commissioni, partecipazioni aricerche, ecc.) possono essere considerati naturale supporto e strumenti per il Governo Clinico(Plebani, 2005).Oggi FSC significa orientamento alla ricerca e all’innovazione continua.Le organizzazioni sanitarie che intendono perseguire davvero il miglioramento delle prestazioni alcittadino, devono allora e a maggior ragione porsi nell’ottica di investire sempre più e sempre meglio leproprie risorse per potenziare strumenti e pratiche di FSC.Ciò significa intanto una maggiore e diversa qualificazione delle risorse umane impiegate neiServizi Formazione, ma anche locali e spazi operativi adeguati (dove condurre le attività formative, leriunioni per la progettazione e verifica delle iniziative, ecc.), supporti e tecnologie (informatiche manon solo) per rendere accessibili i documenti e il capitale formativo, per curare la corretta e funzionaledocumentazione delle buone pratiche, per condurre corretti processi di progettazione, di valutazionecontinua, ecc..Considerazioni conclusive<strong>La</strong> professione di gestori della funzione <strong>formazione</strong>, di operatori del Servizio Formazione è in fortissimaevoluzione; è una professione appassionante ma occuparsi di <strong>formazione</strong> è un lavoro difficile.Ancora più difficile e insidioso si prospetta un futuro che pone in primo piano la “scommessa” dellaFSC.<strong>La</strong> sfida è stata lanciata. <strong>La</strong> FSC potrà davvero contribuire a riorientare concezioni, pratiche, valori,servizi e politiche attinenti la <strong>formazione</strong>.Il rischio è che tutto si possa tradurre in un fiorire di dispositivi, di pratiche e procedure capaci direalizzare iniziative valide solo o prevalentemente su un piano formale, accreditate sì ma di scarsaeffettiva sostanza formativa.23
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