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La formazione sul campo: metodologie, esperienze ... - Psychomedia

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Venendo ora all’organizzazione delle iniziative formative <strong>sul</strong> <strong>campo</strong> occorrerà allestire contesti, metterein gioco <strong>metodologie</strong> formative e forme di interazione in maniera tale da assicurare un procedereriflessivo su due livelli.In primo luogo occorrerà stimolare i protagonisti (gli operatori dell’area <strong>formazione</strong>, i responsabili delleattività lavorative in questione quali i coordinatori dei gruppi di lavoro e di miglioramento, iresponsabili dei gruppi di ricerca, ma anche gli altri operatori impegnati nelle attività stesse) a pensarea ciò che si fa.Per favorire questo apprendimento esperienziale (legato ad un’esperienza <strong>sul</strong> <strong>campo</strong>) si devonostrutturare contesti formativi a mo’ di laboratori di pensiero riflessivo, aventi come oggettol’”epistemologia della pratica” (Mortari, 2002; Schon, 1987).Per questo motivo devono essere allestiti adeguati contesti di apprendimento capaci di favorire:- continue problematizzazioni e ridefinizioni, in maniera tale da rendere “liquida” la discussione, ilconfronto su presupposti, visioni, sentimenti, paradigmi di riferimento, ecc.;- tolleranza e adattamento all’incertezza e allo stress emotivo correlato.Si tratta allora di curare la strutturazione di contesti relazionali nei quali i diversi protagonisti e attoridell’iniziativa formativa possano, e siano in tal senso sostenuti a farlo, mettere in parola il proprioagire.Approcciarsi con queste premesse e attenzioni alla FSC, va ricordato anche se può sembrare a questopunto del discorso superfluo, richiede la messa in gioco di competenze andragogiche di altissimoprofilo. Chi sarà chiamato ad esercitare un ruolo o una funzione formativa, in tal modo intesa, dovràcioè poter contare, a sua volta, su un solido e congruo curriculum formativo personale, comprendenteimpegnativi training esperienziali e opportune supervisioni e si dovrà attrezzare con tutte le avvertenzemetodologiche del caso, ecc.A questo primo livello, va ancora messo qui in evidenza, che “pensare le azioni” comporta, in manieradiversificata per i diversi protagonisti e interlocutori nelle varie fasi del processo formativo, poterlo fareprima di agire (nella fase di avanzamento delle proposte formative, nel corso della messa a punto delprogetto, nella fase di accreditamento dell’iniziativa, ecc.), mentre si agisce (a lavori in corso, nelleverifiche intermedie e nelle opportune ridefinizioni del progetto operativo e del progetto formativoconnesso), dopo che si è agito (nel momento in cui si prendono in esame le ricadute operative edorganizzative 11 .In secondo luogo, occorre tenere presente che il pensiero riflessivo non solo sollecita a pensareall’esperienza ma anche ai “ pensieri che di essa codificano il significato” (Mortari, 2003, p. 49) 12 ,ovvero i presupposti esistenziali e professionali che tendono ad autoconfermarsi, le teorie e convinzioniche tacitamente guidano il nostro pensare e agire.Per gli operatori dei Servizi Formazione, ciò comporterà una migliore propensione a meta-riflettere suisistemi formativi aziendali, <strong>sul</strong>le procedure che andremo a sperimentare per la realizzazione di una FSCdi qualità, sui modelli di costruzione di significato dell’esperienza che prediligiamo, su come valutiamo,decidiamo in merito a tutto ciò.In ultimo, va ancora posto in evidenza che una FSC di qualità deve essere centrata su <strong>metodologie</strong> etecniche particolari e che l’apprendimento dall’esperienza non può che essere favorito dal corretto efunzionale impiego di <strong>metodologie</strong>, tecniche e strumenti particolari, conosciuti e già ampiamenteimpiegati soprattutto in contesti di <strong>formazione</strong> psico-sociale e socio-educativa, quali il “diario di bordo”,l’autobiografia formativa (Demetrio, 1996), i “gruppi di riflessione”, la metodologia degli “incidenticritici” 13 , i gruppi di lettura critica, ecc..11Mortari (2003) riprende i contributi di Schon (1987) e di Van Manen (1993), <strong>sul</strong> tema del pensiero riflessivo e distingue duelivelli: il pensare a ciò che si fa, il pensare le azioni (mentre si agisce, dopo che si è agito, prima di agire) e il pensare i pensieriovvero meta-riflettere (come costruiamo il significato dell’esperienza, valutiamo, decidiamo).12Una sorta di “archeologia cognitiva” attraverso la quale si possa portare alla luce teorie, convinzioni, presupposizioni di varianatura che tacitamente guidano il pensare e l’agire (Mortari, 2003), tenendo comunque sempre presente che non può esserci uncompleto disvelamento di ogni pregiudizio. Comunque collochiamo le nostre riflessioni all’interno di vincoli o pregiudizi. Ciò checonta è guadagnare consapevolezza di tali vincoli (Gadamer, 1999, p. 325).13 Incidenti critici sono quegli eventi problematici che ci vedono impreparati e ci sorprendono (non solo negativamente ma anchepositivamente. Gli eventi che sono descritti come critici sono eventi tali per un osservatore.Forse possiamo dire che la tecnica dell’incidente critico richiama la tecnica degli autocasi ma si distingue da questa in quanto piùorientata a svelare le possibili interpretazioni e ragioni di quelli che sono considerati incidenti critici, piuttosto che a favoriredeterminazioni operative come nella tecnica degli autocasi.Come dire che se nella tecnica degli autocasi la partecipazione è motivata da domande del tipo: “cosa fare?” o “cos’altro avreipotuto fare?” con la tecnica degli incidenti critici l’accento è posto su “come mai ciò che è successo mi ha sorpreso?” “quale altromodo più apprezzabile potrebbe dare senso all’accaduto?”.17

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