<strong>La</strong> preoccupazione esprime tanto una condizione spesso disattesa, uno iato tra dichiarato e praticato(e quindi una scissione spesso ricorsiva tra la teoria e la pratica, tra il conoscere e il praticare, chesembra annullare e paralizzare le intuizioni sopra descritte), quanto uno spazio da attraversare, unterritorio/terreno da curare/coltivare (quello del costruire e realizzare connessioni tra il dire e il fare,tra la conoscenza e l’azione; cfr. Scaratti, Ripamonti, 2008), in cui sia possibile articolare le dimensionidella pratica (corpus di conoscenze istituzionalizzate e riconoscibili), delle pratiche (espressione diconoscenze reificate in tecniche e dispositivi standard, de-contestualizzati e resi generalizzabili) e delpraticare (le pratiche ricondotte al fare in situazione ed alle sue regolazioni) (cfr. Gherardi, 2008).È in questa strutturale connessione della mente in azione e in relazione che si fonda il senso e lapossibilità di una <strong>formazione</strong> <strong>sul</strong> <strong>campo</strong> sensata, sostenibile e realisticamente praticabile.Cercheremo nei prossimi paragrafi di riprendere e sistematizzare, per quanto sinteticamente, lacostellazione dei riferimenti concettuali che fanno da cornice di senso alla prospettiva di <strong>formazione</strong>qui sostenuta, offrendo alcuni spunti di attenzione cruciale attorno ai quali prefigurare azioni formative<strong>sul</strong> <strong>campo</strong> in ambito sanitario.Per un apprendimento dall’esperienzaAl di là dei macro scenari che ancora manifestano configurazioni incerte e problematiche del processodi globalizzazione in atto, tra eccessi liberistico-finanziari sempre più allarmanti e ritorno a interventipubblici regolativi, i contesti organizzativi emergenti sembrano ormai disegnare un posizionamentostabilizzato attorno ad una “economia della conoscenza” (Rullani, 2004), in cui gli operatori sianocapaci di interpretare una “nuova professionalità” e di reggere in situazioni di precarietà ed incertezza,mantenendo comunque un “orientamento ai ri<strong>sul</strong>tati”.I concetti impiegati evocano terminologie diffuse, ormai inflazionate ed abusate, spesso ridotte oriconducibili a intenti nemmeno tanto velatamente strumentali e manipolatori; eppure contengono eveicolano elementi la cui opportuna considerazione conduce al cuore di una possibile riconsiderazionedell’azione formativa come leva significativa, anche se debole e fragile, al servizio di una nuovasoggettività al centro del lavoro (Varchetta, 2007; Scaratti, Ripamonti, 2008). Concepire una<strong>formazione</strong> agli adulti (cfr. Kaneklin,Scaratti, 1998; Quaglino, 2005) in una prospettiva post-industriale(Lipari, 2002; Varchetta, 2007) mette infatti in gioco visioni del mondo, antropologie ed epistemologie,assunti su come funzionano le persone, la produzione di conoscenza, le organizzazioni: si tratta diaspetti che toccano i modelli interni delle persone (abitudini, schemi, riferimenti consolidati,…), chenon si modificano facilmente in quanto sostenuti dall’interiorizzazione mutuata dall’esperienza.Proveremo in questo paragrafo a richiamare alcune coordinate di riferimento che offrono unancoraggio teorico-concettuale ad un approccio alla <strong>formazione</strong> <strong>sul</strong> <strong>campo</strong> intesa come apprenderedall’esperienza: si tratta di un costrutto proprio della psicosociologia (cfr. Kaneklin, Manoukian, 1990;Kaneklin, Scaratti, 1998; Scaratti, 1998; Barus-Michel, Enriquez, Lèvy, 2003) che mantiene intatta lasua valenza generativa e ben si concilia con le sollecitazioni derivanti dalla rinnovata attenzione aisaperi pratici ed alle conoscenze situate, determinata dalle prospettive costruzioniste emergenti.In tale ottica apprendere dall’esperienza significa creare le condizioni per andare vicino ai concretiprocessi attraverso i quali i soggetti destrutturato/ristrutturano costantemente i propri campiconoscitivi ed operativi, reinterpretando situazionalmente le loro competenze, sostenendo un lavoro dielaborazione e di riorientamento del proprio agire professionale (Lipari, 2002).<strong>La</strong> costellazione di riferimenti concettuali di seguito proposta richiama e schematizza elementi di analisie di riflessione che andiamo conducendo da diverso tempo sui temi della <strong>formazione</strong>, delle sue formee del suo significato all’interno dei contesti organizzativi e lavorativi (cfr. Kaneklin, Scaratti,1998;Kaneklin, Scaratti, Bruno,2006; Bruno, Kaneklin, Scaratti, 2005; Scaratti, 2005, a, b: Scaratti, 1998,2006; 2007; Scaratti, Ripamonti, 2008).Quasi come in un essenziale glossario, necessariamente schematico e limitato nell’economia e neivincoli imposti dal presente contributo, proviamo a rintracciare assunti, riferimenti paradigmatici eancoraggi teorico-concettuali la cui trama costituisce il retroterra di saperi codificati sui quali si fonda ilnostro approccio ad una <strong>formazione</strong> intesa come apprendimento dall’esperienza.Organizzazione. <strong>La</strong> nostra prospettiva concepisce le organizzazioni come contesti sociali in cuil’efficacia e l’efficienza dei processi produttivi sono strettamente connesse alla soggettività degli attoripresenti ed alla concretezza ed affidabilità delle loro azioni, alle culture di cui sono portatori ed allacapacità di attribuire significato agli eventi ed alle problematicità incontrate. L’accento viene posto nonsolo sugli aspetti strutturali, ma anche e soprattutto <strong>sul</strong>la realtà organizzativa come artefattosocialmente costruito (Avallone, Farnese, 2006), come processo di costruzione culturale (Piccardo,Benozzo, 1996; Zucchermaglio, Alby,2006). Di qui il passaggio dall’organizzazione all’organizzare, perintercettare forme e modalità della costruzione sociale di significati (cfr. Weick, 1993; 1997), la cui30
ipresa, narrazione ed elaborazione costituisce la condizione per l’avvio di processi di cambiamentopersonale ed organizzativo (Kaneklin, Scaratti, 1998), di apprendimento trasformativo (Mezirow, 1993)e di sè (Quaglino, 2005).Più che di comportamento organizzativo, si può parlare di un agire organizzato del soggetto, che siriferisce ad un insieme di saperi pratici, di culture operative, di regole e routines diffuse, in sintesi ad“intelaiature istituzionali” che vanno a costituire una “organizzazione silenziosa” (Romano, 2006), ingrado di influenzare corsi d’azione e orientare identità, perché fungono da criteri e moventi esterni chegli attori interpretano ed elaborano ed in base ai quali realizzano i propri corsi di azione e di decisionenell’ambito dei contesti di appartenenza.Formazione. L’accento <strong>sul</strong>l’organizzare comporta come conseguenza uno spostamento di baricentro nelconcepire l’azione formativa: si tratta di andare a vedere teorie dichiarate e teorie in uso, facendoriferimento a contesti che sono l’esito emergente di transazioni relazionali ed intersoggettive. Inquanto orientata ad intercettare i significati che i soggetti attribuiscono a situazioni ed eventi per unaloro rilettura, elaborazione ed eventuale tras<strong>formazione</strong> emancipativa, la <strong>formazione</strong> “entra in casa”per comprendere come questa viene abitata, quali habitus vi si configurano e con quali equilibri, qualiscorciatoie e furbizie sono legittimate, quali inerzie tollerate, qual è il lavoro “sporco” in essa praticato,come si sopravvive agli scombussolamenti. Gli aspetti connessi ad un simile approccio alla <strong>formazione</strong>sono rilevanti e impegnativi, non solo <strong>sul</strong> versante legato alla configurazione di un set adeguato a taleazione formativa, ma anche in riferimento alle complesse negoziazioni a livello politico istituzionale erelazionale (con i diversi stakeholders a vario titolo coinvolti) per approdare ad un accordo condiviso<strong>sul</strong>la praticabilità e sostenibilità della stessa.Non sempre si ritrovano condizioni e disponibilità sufficienti a consentire una vicinanza alle propriepratiche, alle cose che si fanno quotidianamente, all’ordine della vita condiviso e legittimato da chiabita la casa: si tratta di una vera e propria promozione e costruzione di una domanda di lavoroformativo che passa attraverso l’impegno delle persone a coinvolgersi in un processo di intercettazionee ricostruzione della propria azione, nonché di elaborazione riflessiva <strong>sul</strong>le stesse, e la mobilitazione didecisioni istituzionali.Occorre fare i conti con disponibilità organizzative e manageriali, con l’incrocio di tempi e di agende,con culture implicite inerenti i criteri per cui si può dire che una <strong>formazione</strong> è utile e serve.Spesso è la <strong>formazione</strong>, incarnata da vestali/formatori che ne tradiscono la promessa, a manifestarsieterea e lontana dalla concretezza dei problemi e delle esigenze delle persone nei contestiorganizzativi, oppure propugnando risposte solutorie e bonificanti, attraverso l’esibizione di rassicurantiofferte saponetta, variegate e affascinanti come nel catalogo delle donnine di mozarthiana memoria.In questo caso la <strong>formazione</strong> si traveste da <strong>campo</strong>, annunciando l’accesso al benessere organizzativodopo tre seminari intensivi <strong>sul</strong>la prevenzione del mobbing, o l’avvento di una pacificata leadership afronte di due moduli ben condotti <strong>sul</strong>l’intelligenza emotiva, con immancabili evocazioni di outdoor arappresentare, ovviamente, l’esigenza di andare oltre l’aula.Altre volte è il contesto organizzativo nelle sue espressioni istituzionali, manageriali e/o professionali aindugiare e lasciare l’opportunità di una <strong>formazione</strong> <strong>sul</strong> <strong>campo</strong> <strong>sul</strong>la soglia: entrare in casa potrebbeessere in effetti pericoloso e poco producente se non opportunamente concordato; peraltro l’accessoall’interno richiede un livello di fiducia rilevante, che va costruito e sondato, messo alla prova; infine lapossibilità di intercettare e toccare nodi ed equilibri sui quali si è sviluppata storia e si sono speseenergie e sofferenze personali e relazionali ri<strong>sul</strong>ta non sostenibile per gli interlocutori coinvolti.Come dire che assumersi il <strong>campo</strong> è approccio formativo impegnativo e complesso, anche inriferimento alla storia evolutiva che l’organizzazione sta vivendo, alle dinamiche di relazione e conflittopresenti al suo interno, alle aspettative sottese alla richiesta di un intervento formativo.Conoscenza. L’enfasi viene qua portata <strong>sul</strong>la conoscenza situata all’interno di contesti operativi definiti;pratica in quanto depositata (tacita, implicita, incorporata) nelle azioni e nelle routines; distribuita(traslata,trasformata, tradotta, adattata) attraverso la partecipazione agli scambi di concrete comunitàprofessionali; custodita attraverso transazioni e relazioni sociali; radicata in contesti materiali e quindiveicolata attraverso oggetti ed artefatti; aperta ad uno spazio riflessivo in quanto segnata dalledimensioni di accountability relative alla propria riconoscibilità e riproducibilità sociale. Si tratta di unconoscere che nasce dall’azione e da interrogativi sollecitati dalla relazione con l’altro. Altrove (Scaratti,2005) abbiamo ricordato la natura ‘incoativa’ del verbo “conoscere”, la cui composizione etimologica(cum-gnoscere, da cui la coniugazione cum-gnosco, in cui il suffisso “sco” indica condizione dipartenza, di inizio) già contiene ed anticipa una concezione di conoscenza come processo, più checome possesso. Viene così evidenziato l’aspetto di azione ed in particolare di condizione iniziale:pensare il conoscere come un accingersi a, come un imparare a conoscere, porta ad enfatizzare gli31
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