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FONDAMENTA. 10 - Rotary Old Books

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scitore di Erodoto. E un influsso erodoteo sembra pervadere una frase della letteradi Ginevra a Jacopo Foscari: «Leggiamo negli antichi storici che alcuni percorsero[...] regioni del mondo, [...] attraversarono i mari per vedere [...] coloro che conoscevanoattraverso i libri [...]. Platone [...] diventava pellegrino e discepolo [...]. Èbello imparare per un uomo [...]». E anche per una donna, soprattutto quando ilmatrimonio limita, nel caso di Ginevra (e di moltissime altre) la già ristretta libertà.Il rimpianto per la pur non ampia autonomia goduta in passato appare, infatti,chiaro nelle due lettere (1440-1441) rimasteci indirizzate all’amico veronese (suo edella famiglia Nogarola) Damiano del Borgo. «[...] Leggendo una tua lettera sempreimparavo [...], perchè risvegliavi dal sonno me già da tempo assopita».Il modello dell’humanitas, tuttavia, si trasforma: non è più quello dell’intellettuale,ma di un “cortegiano” ideale: «[...] Amo [...] il tuo senso di giustizia, la tualealtà [...] liberalità [...] semplicità d’animo [...] cortesia».Un’ultima osservazione credo si possa fare su queste due lettere di Ginevra giàsposa e madre completamente mutata anche nell’aspetto fisico. Nella missiva aldel Bene, Ginevra usa un linguaggio appassionato, certamente ispirato dalla “retorica”ma c’è da chiedersi (e qui ci vorrebbe un confronto con la non abbondanteepistolografia femminile del Rinascimento) quanto le teorie (e i sogni) influisconosul linguaggio? Quanto desiderio inconscio c’è, di legami diversi, in queste frasiappassionate: «Non ti amo con uno slancio improvviso, ma con massima dedizionee passione», subito corrette da riferimenti a «tua moglie» e al «nostro Brunoro»?Ginevra muore molti anni dopo, nel 1468. Pochi decenni dopo Filippo da Bergamoce ne offre un ritratto in cui la sua «singolare conoscenza delle lettere» è ricordata.Se la sua virtù principale sembra, quale novella Porzia, la «grandissimaattenzione» da lei prestata «all’onore e al decoro» del marito, Ginevra dà prova,anche autonomamente «di un’altrettanto grande autorevolezza e riputazione».Il quadro offertoci delle sue virtù, oltre le tradizionali “pudicizia e fedeltà” sembraispirarsi soprattutto all’ideale cristiano: «Visitava gli ammalati [...] Dimostravadedizione nei confronti dei sudditi [...] avrebbe potuto essere chiamata loro parie loro sorella». Soprattutto appare interessante la conclusione: «Gli uomini e ledonne saggi devono essere degni di vera lode». La biografia della signora di unpiccolo feudo affondato nelle campagne fra Cremona e Mantova pone un ultimoimportante interrogativo: accanto alla trionfante “idea di nobiltà” quanti come LaBoétie, ricordato già tanti decenni fa da Roland Mousnier, e come sembrano suggerirealcune pagine sulla morte di Alberto Tenenti, incominciano a porsi l’interrogativodi una possibile, anche se utopica uguaglianza (o almeno minore disparità)nella vita sociale? Forse proprio l’essere donna della sua eroina autorizza Filippoda Bergamo a dar corpo a un’utopia?XLV

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