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una vita intera. È come se la forma di<br />
Campanile gli stesse stretta. Zavattini<br />
smania, ha voglia di sperimentare, di lavorare<br />
su quello stampo umoristico,<br />
recuperando l’esperienza parmigiana ma<br />
portandola sui quotidiani nazionali con<br />
un’altra consapevolezza, che lo porterà a<br />
esiti molto interessanti e maturi, e con<br />
testi assolutamente nuovi che evolvono<br />
la forma della “tragedia” di Campanile. In<br />
queste prime prove di Za leggiamo dialoghi<br />
comici e le prime forme di dialogo che<br />
porteranno poi, qualche anno dopo, alle<br />
sceneggiature dei film capolavoro diretti<br />
da registi come De Sica o Visconti, tanto<br />
per citarne qualcuno. Le “tragedie” di Za<br />
mettono in luce questa tensione profonda<br />
di Zavattini, che saranno il seme da<br />
cui sbocceranno le sceneggiature. Nel<br />
testo di Malattia di Charlot, Zavattini è<br />
uno dei primi a dare voce a Charlot,<br />
anche se solo in un breve sketch comico.<br />
Potremmo dire che questo è il primo<br />
testo sceneggiato di Zavattini, dedicato<br />
ad un autore come Chaplin che gli farà<br />
capire come il cinema è una forma d’arte.<br />
MALATTIA DI CHARLOT<br />
Charlot è molto ammalato, gravemente<br />
malato.<br />
“Viene il dottore” dice la signora Cooper,<br />
e se ne va sbattendo l’uscio.<br />
Entra il dottore, guarda attorno arricciando<br />
il naso.<br />
Charlot si solleva un poco a fatica e mormora<br />
con un filo di voce. “Come sta, dottore?”<br />
Il dottore ha fretta, comincia l’ascoltazione.<br />
“Dica trentatré…”<br />
Charlot si sente svenire.<br />
“Dite trentatré…”<br />
“trent…”<br />
Il dottore perde la pazienza e dà un<br />
solenne scopaccione a Charlot.<br />
“Dite trentatré…”<br />
Charlot, intimorito, raccoglie tutto il fiato<br />
e in uno sforzo supremo, dice “Trenta…due…”<br />
Di più non riesce: estenuato,<br />
si abbandona sul guanciale.<br />
Passano pochi minuti. Intanto il dottore<br />
scrive la ricetta.<br />
Charlot si rianima, abbozza un sorriso.<br />
“Fate vedere la lingua…”<br />
“La lingua…”<br />
Charlot esita, arrossisce e balbetta: “Scu-<br />
si, dottore, ma è sporca…”<br />
Quando il dottore ne s’è andato, la signora<br />
Cooper rientra nella soffitta. Allora<br />
Charlot comincia a lamentarsi: “Muoio,<br />
signora Cooper…”<br />
La signora Cooper chiude la finestrina e<br />
se ne va borbottando: “Muoio, muoio…paghi<br />
l’affitto, invece…”<br />
Charlot resta solo e pensa, tra un lamento<br />
e l’altro, che varrebbe la pena di morire<br />
per dare tanti fastidi alla signora<br />
Cooper. Ma pensa, altresì, che la signora<br />
Cooper si vendicherebbe facendo vedere<br />
che lui ha una camicia sola, anzi, una<br />
mezza camicia sola.<br />
Nel lavoro giovanile di Zavattini c’è un<br />
grande insegnamento da imparare, specialmente<br />
per chi comincia a scrivere.<br />
Imitare non basta, bisogna innovare<br />
quando si usano le forme altrui, coscienti<br />
che la propria originalità non si gioca<br />
soltanto nella novità, ma in un uso consapevole<br />
e critico della tradizione e della<br />
moda letteraria. Scrivere innovando non<br />
vuol dire imitazione pedissequa, ma riscrittura<br />
nell’idea inventiva di forme e<br />
modelli che si plasmano alle nostre esigenze<br />
espressive.<br />
FUOR ASSE<br />
80<br />
Cesare Zavattini