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Tradizioni<br />
e tradimenti<br />
di Fabrizio<br />
Elefante<br />
©Paul Apal’kin<br />
Per comprendere il senso di un termine<br />
complesso come tradizione, nel nostro<br />
mondo culturale, credo si debba di<br />
necessità prendere le mosse dall’età<br />
illuminista, dalla profonda frattura con<br />
l’idea di tradizione come forma esemplare<br />
e il conseguente ripudio dell’autorità<br />
degli antichi che il nuovo pensiero, nutrito<br />
di sapere scientifico ed emancipatosi<br />
dalla società di Corte attraverso il<br />
lavoro nella stampa, reinterpretò come<br />
complesso di pregiudizi tramandati e<br />
funzionali alla perpetuazione di privilegi<br />
dinastici ed ecclesiali.<br />
Benché preceduta nel Seicento dalla<br />
decisiva rottura con la tradizione del<br />
pensiero scolastico da parte del metodo<br />
cartesiano e dall’affermarsi della Nuova<br />
Scienza, e più in particolare dalla celebre,<br />
e aspra, Querelle des anciens et des<br />
modernes – che divise la società di cultura<br />
francese ed ebbe il merito di preparare<br />
il sorgere di un ceto di “intellettuali”<br />
indipendenti, i futuri “philosophes” – è<br />
soprattuto a uno di questi ultimi, il<br />
ginevrino Jean-Jacques Rousseau, che<br />
si deve la discontinuità forte con le tradizioni<br />
radicate nelle Scritture e nel Diritto<br />
Naturale. Rousseau con le sue opere<br />
(Il contratto sociale, L’Emilio, entrambi<br />
del 1762) determinò un ribaltamento del<br />
rapporto tra natura e cultura, per cui la<br />
prima divenne un prodotto della seconda,<br />
mandando in crisi un’intera linea di<br />
pensiero che vedeva invece nella natura,<br />
e nella sua interpretazione, il criterio<br />
FUOR ASSE<br />
96<br />
Il rovescio e il diritto