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Capitolo 4<br />

La definizione del progetto<br />

Il servizio di pet-therapy condotto secondo il canone di zooantropologia<br />

si basa sulla definizione di quattro fasi realizzate in sequenza – 1) programmazione,<br />

2) prescrizione, 3) pianificazione, 4) attuazione – e di<br />

una quinta componente che precede, segue e chiude l’intera filiera del<br />

servizio – 5) valutazione e monitoraggio. Le diverse fasi prevedono l’intervento<br />

di figure professionali specifiche chiamate a dare contributi differenti<br />

nella realizzazione complessiva del servizio. In particolare è possibile<br />

dividerlo in: a) un ambito più propriamente progettuale (programmazione,<br />

prescrizione, monitoraggio), dove si rendono necessarie figure<br />

che sappiano individuare i corretti obiettivi e prescrivere le adeguate attività<br />

di relazione con l’eterospecifico; b) un ambito più propriamente<br />

operativo (pianificazione, attuazione, valutazione), dove si rendono<br />

necessarie figure che sappiano tradurre la prescrizione in attività e condurre<br />

in modo adeguato la seduta. In tal senso il servizio si avvale delle<br />

seguenti figure: 1) figure di riferimento, vale a dire chi ha in carico quel<br />

particolare fruitore e ne conosce le caratteristiche tipologiche e biografiche,<br />

per cui è in grado e ha titolo per formulare degli obiettivi referenziali<br />

“auspicabili” per l’utente finale del servizio; 2) team prescrittivo, vale a<br />

dire un’équipe di professionisti con competenze differenti ma con una<br />

preparazione di base in zooantropologia applicata, chiamata a formulare<br />

la “plausibilità” degli obiettivi auspicati rispetto alle caratteristiche del progetto<br />

e, di seguito, l’indirizzo referenziale utile per raggiungere tali obiettivi<br />

ovvero la “prescrizione”; 3) team operativo, vale a dire un gruppo di<br />

operatori che da soli o in coppia con un pet intervengono per strutturare<br />

operativamente il progetto e attuarlo, vale a dire per “arbitrare” la seduta,<br />

sulla base di una loro specifica competenza nelle “attività di pet-relationship”<br />

realizzate secondo il canone zooantropologico. Si è detto che la petrelationship<br />

è una relazione con l’eterospecifico basata sull’incontro-confronto<br />

e non sull’affiliazione che, viceversa, caratterizza la relazione di petownership.<br />

Da questo si rende evidente che l’interfaccia relazionale tra<br />

pet e fruitore è una relationship, ovvero che secondo l’approccio zooantropologico<br />

non si fa pet-therapy attraverso l’adozione di un animale da


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parte del fruitore e non si induce un’affiliazione nel corso della realizzazione<br />

del progetto o, meglio, si cerca di contenere le componenti affiliative<br />

che potrebbero dar luogo a stress da distacco. L’animale incontrato in<br />

seduta dovrà diventare per il fruitore un amico non un familiare, a meno<br />

che nella seconda fase del progetto non si consideri opportuno e percorribile<br />

un percorso che giunga all’adozione del pet da parte del fruitore.<br />

Diciamo che questa eventualità rappresenta un’eccezione nei progetti di<br />

pet-therapy e in ogni caso non si deve mai partire con un progetto di pettherapy<br />

basato sull’adozione del pet: posso in certi casi lasciare aperta questa<br />

possibilità che tuttavia deve e può essere valutata solo dopo un periodo<br />

di attività di pet-relationship. Per comprendere un progetto di zooantropologia<br />

applicata è necessario pertanto definire la struttura di base del<br />

servizio definita come APR o “Attività di Pet-Relationship” e le sue coordinate<br />

di riferimento nelle aree di pet-therapy. Le APR sono situazioni di<br />

pet-relationship arbitrate, dove cioè l’incontro-confronto tra pet e fruitore<br />

non si svolge in modo libero ma strutturato dall’intervento dell’operatore<br />

che, sulla base delle indicazioni di prescrizione, mantiene l’interfaccia<br />

all’interno di un piano dialogico tutto sommato definito nei suoi range<br />

anche se non pienamente determinato. L’arbitraggio comprende l’attivazione<br />

della soglia dialogica (promozione della relazione), l’indirizzo del<br />

piano dialogico di incontro-confronto (dimensionamento della relazione),<br />

l’attenzione sulla correttezza dell’evento di incontro-confronto (vigilanza<br />

sulla relazione). Per questo nella fase di pianificazione si individua<br />

una progressione di incontro-confronto, partendo da interattività lievi<br />

(come le attività osservative o quelle di approccio) per giungere a interattività<br />

più complesse (come le attività gestionali o performative), vale a dire<br />

una filiera di pet-relationship che quasi sempre comprende nelle<br />

prime fasi attività che non coinvolgono l’animale ma che fanno riferimento<br />

a esso (attività referenziali) e che si propongono come propedeutica<br />

alle attività di relazione. Le attività di relazione vengono predisposte<br />

da una coppia pet partner, vale a dire da un operatore e un eterospecifico<br />

caratterizzati da una relazione collaborativa (pet-partnership).<br />

Questa è un’ulteriore specificazione delle APR nelle attività di pet-therapy<br />

quali eventi di triangolazione – abbiamo tre poli: 1) quello di fruizione,<br />

dato dall’utente del servizio; 2) quello di erogazione, dato dall’operatore<br />

che arbitra la relazione; 3) quello di mediazione, dato dall’eterospecifico<br />

coinvolto nelle attività – dove si possono individuare due tipologie<br />

di relazione uomo-eterospecifico: a) una pet-relationship tra fruitore ed<br />

eterospecifico; b) una pet-partnership tra operatore ed eterospecifico.<br />

Già si è detto che i servizi di zooantropologia applicata si propongono<br />

due ordini di obiettivi: 1) obiettivi relazionali, vale a dire promuovere e<br />

valorizzare la relazione con l’animale rafforzando i punti di forza e mitigando<br />

i punti di debolezza dell’interfaccia uomo-eterospecifico; 2) obiet-


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tivi referenziali, ossia determinare dei campi di espressione e cambiamento<br />

della persona che abbiano riscontri beneficiali. Sulla base di questa divisione<br />

è possibile individuare due ambiti di lavoro della zooantropologia<br />

applicata: a) la zooantropologia consulenziale, che lavora soprattutto<br />

sugli obiettivi 1, per esempio aiutando la coppia di pet-ownership a formarsi<br />

o intervenendo sulla sistemica familiare di affiliazione del pet; b) la<br />

zooantropologia interventistica, che lavora soprattutto sugli obiettivi 2,<br />

vale a dire utilizzare la relazione per produrre effetti referenziali che<br />

abbiano valenze beneficiali per un fruitore. La pet-therapy è pertanto<br />

un’applicazione della zooantropologia interventistica dove la definizione<br />

di obiettivi 1 è funzionale alla realizzazione degli obiettivi 2, vale a dire che<br />

si lavora per favorire il conseguimento di una corretta dinamica relazionale<br />

– e lo si fa attraverso la promozione della relazione e la definizione<br />

di un’adeguata filiera di pet-relationship – al fine di potenziare il referto<br />

referenziale e di imprimergli un preciso indirizzo. Ci troviamo pertanto di<br />

fronte ad APR dove gli obiettivi 1 sono realizzati attraverso l’arbitrato di<br />

promozione e di vigilanza, mentre gli obiettivi 2 sono raggiunti attraverso<br />

l’arbitrato di dimensionamento; al riguardo l’opera di configurazione<br />

della relazione mira proprio a dar luogo a una “cornice dimensionale”,<br />

ossia un piano specifico dove l’operatore consente ai due interlocutori di<br />

incontrarsi e confrontarsi. Questa è forse la differenza più importante tra<br />

attività interventistiche e attività consulenziali: mentre nell’ambito consulenziale<br />

si cerca di bilanciare la struttura dimensionale della relazione,<br />

allargando l’orizzonte delle dimensioni di relazione attivate, al fine di<br />

ottenere una relazione equilibrata e non derivale, nell’ambito interventistico<br />

necessariamente si mette in atto una relazione di per sé sbilanciata<br />

in quanto prevede delle dimensioni di relazione da evitare (proscritte)<br />

perché dannose per il fruitore sotto il profilo referenziale. Le attività consulenziali<br />

sono rivolte essenzialmente alla pet-ownership e questa richiede<br />

adeguatezza nella multiformità dei piani di affiliazione: solo così infatti<br />

può mantenersi in uno stato di equilibrio, evitando eccessi, morbosità,<br />

derive, deficienze. L’indirizzo referenziale, al contrario, richiede l’incentivazione<br />

di alcuni piani di incontro-confronto e l’esclusione di altri: questo<br />

ci consente di capire la confliggenza tra i bisogni della pet-ownership<br />

e i bisogni della pet-therapy. Per comprendere le caratteristiche del progetto<br />

è necessario, prima di affrontare il tema complesso della prescrizione,<br />

definire il modo di strutturare la valutazione e di individuare gli obiettivi<br />

del progetto, partendo ovviamente dall’analisi: a) di quali siano le<br />

variabili importanti da valutare per poter istruire un progetto di pet-therapy;<br />

b) di cosa di può ottenere attraverso un progetto di pet-therapy,<br />

ovvero quali siano le valenze assistenziali della pet-relationship, e di quali<br />

coordinate si deve tener conto per poter individuare gli obiettivi del progetto.


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4.1 Fase di valutazione<br />

La valutazione è una fase molto importante che deve precedere qualunque<br />

definizione di progetto e parimenti deve affiancare ogni fase del<br />

progetto. Distinguiamo la valutazione operativa, come analisi complessiva<br />

della situazione in cui andiamo a operare (prima di iniziare a istruire il<br />

progetto e nel corso d’opera del progetto), dal vero e proprio monitoraggio,<br />

inteso come valutazione dello stato del fruitore prima, durante e alla<br />

fine del progetto in relazione agli obiettivi programmati. La valutazione<br />

operativa ha un duplice scopo: a) indicare le caratteristiche complessive e<br />

analitiche della situazione in cui ci si troverà a operare e, di conseguenza,<br />

istruire il progetto in modo adeguato e coerente rispetto ai vincoli e alle<br />

opportunità che quella situazione prevede; b indicare le coordinate di traducibilità<br />

del progetto ovvero di stabilire anche in termini di risorse operative<br />

quanto costa realizzare quel progetto in quella particolare situazione<br />

e, in considerazione delle risorse previste, stabilire la sostenibilità del<br />

progetto. Rispetto al punto (a) diremo che la valutazione operativa suggerisce<br />

il campo di operatività che quella situazione consente in riferimento<br />

ai vincoli, alle opportunità e ai possibili cambiamenti da apportare<br />

sulla situazione per poter dar luogo a un particolare progetto di pet-therapy.<br />

Rispetto al punto (b) diremo che la valutazione operativa suggerisce<br />

dei parametri di operatività estrinseca, vale a dire dei costi (in termini<br />

di risorse finanziarie, strumenti, professionalità, risorse umane operative)<br />

che quella situazione impone per tradurre il progetto dalla carta all’operatività.<br />

Esiste peraltro una operatività intrinseca riferibile al progetto in<br />

sé, vale a dire quanto costa quel progetto, nelle sue variabili interne<br />

(obiettivi previsti, carattere della prescrizione, tipologie di interazione),<br />

per poter essere trasformato sotto il profilo operativo. Operatività intrinseca<br />

e operatività estrinseca nel loro insieme indicano il monte risorse<br />

necessarie affinché il progetto sia sostenibile sotto il profilo operativo.<br />

La valutazione operativa può essere a sua volta divisa in due aspetti: 1)<br />

valutazione del Registro Dialogico Interattivo (RDI) del fruitore del<br />

servizio; 2) valutazione ambientale del campo operativo del servizio.<br />

Quando si intende procedere all’istruzione del progetto è necessario aver<br />

sempre riscontrato questi due aspetti e averlo fatto di persona al fine di<br />

definire analiticamente tutte le caratteristiche operative. Rispetto al punto<br />

(1) è necessario distinguere la valutazione dell’RDI del fruitore nelle TAA<br />

dove l’intervento è individuale e quindi non richiede di preoccuparsi<br />

della sistemica emergente dall’inserimento dello stesso in un eventuale<br />

gruppo di fruizione, cosa che accade nelle AAA. Rispetto al punto (2) è<br />

necessario valutare attentamente le caratteristiche ambientali al fine di<br />

comprendere vincoli e opportunità nelle tre azioni di arbitraggio della<br />

relazione. Le valutazioni, di cui al punto 1 e 2, vengono fatte coinvolgen-


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do le tre figure intervenienti nel progetto (figura di riferimento, team prescrittivo,<br />

team operativo), giacché il processo di rilevamento dei dati<br />

richiede non tanto un’acquisizione oggettiva (come una fotografia della<br />

situazione) ma un’acquisizione problematica, basata cioè sulla discussione<br />

tra le figure circa i caratteri di quello che si va a individuare. La valutazione<br />

va fatta avvalendosi di diversi strumenti di acquisizione: a) griglie di<br />

rilevamento riferibili alla situazione operativa; b) monitor oggettivi, per<br />

esempio cinepresa o macchina fotografica, per poter riflettere sulla situazione<br />

anche al di fuori della visita; c) descrizioni analitiche e annotazioni<br />

libere rispetto alla situazione che si va a rilevare.<br />

4.1.1 Valutazione del Registro Dialogico Interattivo del fruitore<br />

Sia nelle AAA che nelle TAA uno degli aspetti fondamentali da tenere<br />

in considerazione sono le caratteristiche del fruitore nell’ambito della<br />

relazione; non dobbiamo dimenticare infatti che ci troviamo di fronte a<br />

persone che presentano precise condizioni di problematicità, che ovviamente<br />

variano in termini quantitativi (di rilevanza) o qualitativi (di tipologia),<br />

a seconda delle specificità tipologiche e soggettive del fruitore. In<br />

genere possiamo riferirci a: 1) capacità relazionali, ovvero tendenze dialogiche<br />

interattive o livelli di problematicità relazionale che quel fruitore<br />

presenta; 2) vulnerabilità relazionali, ovvero esposizione del fruitore nel<br />

contesto relazionale. Con il termine “capacità relazionali” ci riferiamo a:<br />

1a) modo interattivo con l’alterità animale, 1b) modo relazionale generale<br />

e sociale, 1c) competenza interattiva con la specie coinvolta nel progetto<br />

specifico (expertise). Con il termine “vulnerabilità relazionale” ci riferiamo<br />

a: 2a) vulneralità affettive, 2b) vulnerabilità somatiche, 2c) vulnerabilità<br />

cognitivo-emozionali.<br />

1a) Il modo interattivo con gli eterospecifici indica le disposizioni<br />

generali del soggetto verso le alterità non umane, vale a dire eventuali tendenze<br />

zoomaniacali piuttosto che zooempatiche, forti componenti proiettive,<br />

eventuali zoofobie o zoointolleranze. Queste caratteristiche compromettono<br />

la relazione con il pet perché ovviamente ostacolano sia l’implementazione<br />

relazionale (effetto soglia) che le successive attività dimensionate<br />

(effetto referenziale). Possiamo individuare: a) un “fattore ostacolante”,<br />

quando il fruitore fatica a entrare in relazione con il pet a causa di<br />

componenti zoofobiche o zoointolleranti, anche solo accennate; b) un<br />

“fattore forviante”, quando la relazione è condotta su binari non congruenti<br />

a causa di componenti zoomaniacali o proiettive. In generale<br />

diciamo che: 1) le zoofobie, anche latenti, creano un’eccessiva preoccupazione<br />

da parte del fruitore e ostacolano l’incontro con il pet; 2) le<br />

zoointolleranze determinano sgradevolezza nel processo di interazione<br />

con il pet e quindi limitano l’incontro con il pet; 3) le zoomanie eccitano


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la persona, la inducono a interazioni eccessive, creano morbosità e rischio<br />

di affiliazione; 4) la proiettività o zoopoiesi tende a limitare la soglia relazionale<br />

perché la persona non incontra l’eterospecifico ma le proprie idee<br />

sull’eterospecifico, non riconoscendolo e non accreditandolo come referente.<br />

1b) Dobbiamo poi considerare il modo relazionale generale della persona<br />

ovvero eventuali problematicità espresse nell’ambito senso-motorio,<br />

emozionale o cognitivo, che creano difficoltà (ovvero presuppongono<br />

uno sforzo maggiore in ambito operativo) in tutte le fasi di arbitraggio<br />

delle APR, ma altresì nella relazione tra fruitore e operatore. Le difficoltà<br />

relazionali possono essere di tipo somatico, quando il fruitore manifesta<br />

difficoltà nell’articolazione verbale, nel controllo dei muscoli mimici, nell’area<br />

percettiva, nella coordinazione motoria, nell’espressione motoria.<br />

In questi casi all’operatore è richiesta una fatica aggiuntiva nella promozione<br />

della pet-relationship, ma altresì nella sua stessa relazione con il fruitore,<br />

e nel controllo di tutte le fasi relazionali. In altre situazioni il problema<br />

può essere legato al controllo emozionale, con disturbi relazionali<br />

riferibili a distimie, eccessivo tono di arousal, eccesso di coinvolgimento<br />

emotivo con alterazione del quadro comportamentale in fase di relazione.<br />

Possiamo infine avere disturbi di ordine cognitivo, che ancora una volta<br />

minano la relazione, la rendono difficoltosa, non continuativa, eccessiva,<br />

limitata solo a pochi contesti. Spesso il fruitore può trovarsi in situazioni<br />

di sedazione e pertanto le sue caratteristiche di attentività e concentrazione<br />

sono fortemente attenuate, altre volte è la memoria a essere deficitaria,<br />

con difficoltà a costruire un filo conduttore tra le diverse sedute.<br />

1c) Non vi è dubbio inoltre che vi sia una profonda differenza in fase<br />

di arbitraggio se il fruitore ha una competenza dialogico-interattiva con la<br />

specie coinvolta nel progetto di pet-therapy. Parliamo di expertise ossia di<br />

capacità di grande congruenza relazionale e interattiva con la specie in<br />

questione, che per certi versi favorisce la promozione e il controllo in fase<br />

di APR, per altri può rendere più difficoltosi l’indirizzo e la configurazione<br />

dimensionale nonché, in certi casi, persino il controllo in fase APR.<br />

Inoltre non è sempre detto che aver avuto una particolare esperienza di<br />

pet-ownership riferita alla specie coinvolta nel progetto di pet-therapy<br />

renda effettivamente più congruente il registro dialogico-interattivo della<br />

persona: non sempre esperienza vuol dire expertise, come dimostrano<br />

ampiamente i problemi relazionali evidenziati parlando di pet-ownership.<br />

Anzi, possiamo dire che talvolta un’esperienza pregressa di pet-ownership<br />

può addirittura creare qualche problema in più in fase di controllo. La<br />

persona può infatti avere particolari abitudini relazionali, originati per<br />

esempio dal rapporto con il cane che possedeva, e tenderà in fase di seduta<br />

a ripetere gli stessi schemi interattivi e relazionali.<br />

2a) L’area delle vulnerabilità va assolutamente indagata avvalendosi


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dell’aiuto della figura di riferimento, con particolare attenzione per le vulneralità<br />

di ordine affettivo che possono ostacolare la dimensione triangolativa<br />

oppure creare problemi gravi in fase di distacco. Quasi sempre le<br />

persone che vengono visitate nei progetti di pet-therapy hanno un forte<br />

bisogno di calore affettivo e possono quindi subire un coinvolgimento<br />

affettivo eccessivo o che può causare dei feedback tutt’altro che beneficiali.<br />

Nella valutazione dimensionale bisogna tener conto anche di questi<br />

aspetti, mitigando le situazioni che possono ingenerare condizioni relazionali<br />

morbose con il pet o con l’operatore e soprattutto gli eventi di affiliazione.<br />

L’operatore dovrà essere messo in grado di sapere come si deve<br />

comportare in seduta in riferimento a questi aspetti (modo di ingresso e<br />

commiato, argomenti caldi, etc.) in modo tale da migliorare la sicurezza<br />

o comunque non collidere con le vulnerabilità affettive del paziente, non<br />

aumentandone la dipendenza.<br />

2b) Anche le vulnerabilità somatiche vanno tenute in seria considerazione,<br />

poiché alcune APR, soprattutto quelle con forti valenze interattive<br />

e performative, possono essere pericolose per l’utente in relazione alle<br />

sue specificità di stato. Inoltre è assolutamente necessario non forzare mai<br />

l’utente, anche quando siamo motivati dal prodotto relazionale che<br />

potrebbe esitare da una particolare attività. Non bisogna stancare l’utente,<br />

compromettere il suo stato di salute con attività per lui eccessive, porsi<br />

degli obiettivi troppo ambiziosi che si trasformano in oneri performativi<br />

per il fruitore. Occorre tener conto delle problematicità somatomotorie<br />

della persona specifica, delle vulnerabilità a carico di particolari tessuti –<br />

come la pelle o le ossa negli anziani – delle condizioni specifiche dell’utente,<br />

ossia se è in carrozzina, se presenta difficoltà percettive, se non è in<br />

grado di avvisarci di una sua condizione problematica, se presenta una<br />

particolare malattia. Queste vulnerabilità richiedono altresì una grande<br />

capacità di dialogo con il fruitore, facendo attenzione a non urtare la sua<br />

sensibilità anche solo involontariamente. Bisogna fare molta attenzione<br />

circa le capacità di organizzazione e controllo cinestesico e prattognosico<br />

della persona per evitare di dar luogo a contesti di interattività con il pet<br />

problematici o pericolosi.<br />

2c) Infine prendiamo in considerazione le vulnerabilità cognitivo-emozionali,<br />

cioè quelle caratteristiche che rendono il paziente più o meno<br />

esposto a particolari eventi che si realizzano nel contesto triangolativo,<br />

anche in riferimento alla sua vita complessiva all’interno della struttura di<br />

ospitalità. Per certe persone, per esempio, non è sempre detto che il ricordo<br />

possa avere una valenza positiva o di malinconia gradevole o sopportabile<br />

e quindi è assolutamente necessario, prima di iniziare una seduta,<br />

conoscere questi aspetti di problematicità. In altre situazioni un deficit<br />

cognitivo, per esempio il non riuscire a ricordare qualcosa o il non riuscire<br />

ad articolare una frase, può risultare penoso e dare ritorni per nulla


ATTIVITA’ E TERAPIE ASSISTITE DAGLI ANIMALI, R. MARCHESINI-L.CORONA<br />

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beneficiali. Anche un eccessivo coinvolgimento emotivo può essere estremamente<br />

pericoloso, soprattutto in persone con forti stati ansiosi o con<br />

patologie a carico del sistema cardiocircolatorio. In certi casi un’interazione<br />

ad alta arousal può aumentare lo stato ossessivo-compulsivo della<br />

persona, può peggiorare pertanto il suo stato di benessere soprattutto in<br />

post-seduta. Chiedere particolari performance cognitive a persone che<br />

hanno disturbi o deficit e hanno coscienza del loro stato non è certo piacevole.<br />

Allo stesso modo parlare dei propri progetti per il futuro a un<br />

malato terminale, aumenta nel paziente lo stato discronico, creando uno<br />

stato di sofferenza.<br />

4.1.2 La valutazione ambientale<br />

Rappresenta sicuramente uno degli aspetti di maggiore importanza<br />

nella predisposizione di un progetto di pet-therapy, perché definisce i<br />

principali caratteri di operatività estrinseca ovvero le variabili che stabiliscono<br />

vincoli e opportunità di un particolare ambiente di accoglienza del<br />

progetto che si vuole realizzare. Va subito detto che i due principali fattori<br />

di operatività estrinseca del progetto riguardano da una parte le caratteristiche<br />

dialogiche e interattive dell’utente, dall’altra le caratteristiche<br />

ambientali.<br />

La valutazione ambientale deve prendere in considerazione tre grandi<br />

macroaree: 1) le caratteristiche fisiche del luogo di accoglienza, ovvero<br />

del sito specifico dove si andranno a realizzare le attività di pet-relationship;<br />

2) le caratteristiche situazionali del luogo di accoglienza, ovvero ciò<br />

che suscita quel particolare contesto; 3) le caratteristiche gestionali, ovvero<br />

il metabolismo generale della struttura, vale a dire le prassi, gli orari,<br />

eventuali restrizioni, il comportamento del personale, altre attività che si<br />

fanno nella struttura o esperienze pregresse.<br />

Considerare in modo approfondito tutte queste variabili non è facile e<br />

in genere si procede con una prima definizione sommaria delle caratteristiche<br />

di base della struttura (fase rilevativa) dove si considerano: a) tipologia<br />

generale della struttura (ospedale, casa protetta, day hospital, comunità<br />

di recupero); b) tipologia di utenza (bambini, portatori di handicap,<br />

tossicodipendenti, anziani, pazienti psichiatrici); c) composizione generale<br />

della struttura (presenza di ambulatori, palestre, parchi, fattoria, laboratori);<br />

d) allocazione della struttura (centro città, paesino, zona rurale di<br />

pianura, area collinare, montagna, eremo); e) raggiungibilità (accesso<br />

con strada sterrata, vicinanza a importante strada pubblica, accesso autostradale<br />

più vicino); f) numero medio di pazienti presenti in struttura,<br />

suddivisi per categoria; g) risorse umane presenti (numero complessivo e<br />

diviso per tipologia professionale, eventuale presenza di volontari); h)<br />

presenza di altri animali residenti nella struttura (suddivisi per tipologia e


66 © APEIRON EDITORIA E COMUNICAZIONE, 2007<br />

numero). La rilevazione ci fa una panoramica molto approssimativa della<br />

struttura che chiede di poter implementare un progetto di pet-therapy. In<br />

genere è possibile realizzare questa rilevazione attraverso una scheda, con<br />

risposte fisse da barrare e campi liberi che verranno compilati in considerazione<br />

di eventuali situazioni non paradigmatiche. Sarebbe interessante<br />

aggiungere nella scheda di rilevazione domande riguardanti: i) il perché<br />

la struttura chiede di poter implementare, ovvero quale effetto (tra benessere,<br />

integrazione, riabilitazione, coadiuvazione) si intende promuovere;<br />

l) su quali tipologie di pazienti si intende implementare un progetto di<br />

pet-therapy; m) quali attività in specifico si vorrebbero promuovere nella<br />

propria struttura. Alla prima fase di rilevazione dovrebbe seguire la vera e<br />

propria valutazione ambientale, dove un operatore opportunamente formato<br />

all’uopo e provvisto di specifica griglia di monitoraggio esegue una<br />

visita più dettagliata sulle caratteristiche fisiche, situazionali e gestionali<br />

della struttura.<br />

Per caratteristiche fisiche si fa riferimento ai connotati strutturali degli<br />

ambienti in relazione alla loro eventuale problematicità o adeguatezza<br />

rispetto ad attività di pet-relationship: si prenderà in considerazione il<br />

posizionamento reciproco dei diversi locali (ambulatori, palestre, mense,<br />

bagni), la presenza-assenza di aree riservate dove poter effettuare la propria<br />

attività, la presenza di un’area verde disponibile, il posizionamento<br />

dei punti di passaggio, la presenza di fattori di disturbo, di fontanelle o<br />

punti di abbeveraggio, di aree di temporaneo isolamento, di barriere<br />

architettoniche o elementi di rischio per gli animali. In questo screening<br />

ambientale il rilevatore deve essere in grado di mettere in evidenza se in<br />

quella struttura vi è in generale la possibilità di implementare un progetto<br />

di pet-therapy; dopodiché il rilevatore deve evidenziare in quali siti possono<br />

essere effettuate le APR e quali eventuali modificazioni sull’ambiente<br />

si devono operare per poter dar vita a un progetto di pet-therapy. Gli<br />

interventi possono consistere nella semplice rimozione di un fattore di criticità,<br />

nell’apposizione di un elemento promuovente o capace di assicurare<br />

sicurezza, nella modificazione d’uso di particolari locali.<br />

Le caratteristiche situazionali riguardano il contesto specifico del set,<br />

che ovviamente non è dato solo da fattori concreti e ambientali, ma dal<br />

vissuto o dalle motivazioni che vengono evocate da un particolare contesto.<br />

Per spiegare le caratteristiche situazionali può essere utile l’esempio<br />

di studenti che si trovano a dover frequentare le lezioni di un corso o di<br />

un master: nel momento della lezione essi non solo si trovano in un<br />

ambiente fisico (l’aula), ma altresì in un set situazionale (il corso o il<br />

master). Le caratteristiche situazionali determinano peraltro l’assetto<br />

motivazionale ed emozionale della persona, anche attraverso specifiche<br />

rappresentazioni che il fruitore si fa o si è fatto del contesto dove si trova.<br />

Molto spesso le caratteristiche situazionali possono compromettere la


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buona riuscita di un progetto di APR proprio perché il set situazionale<br />

contrasta con le dimensioni scelte per il progetto di pet-therapy. Non è difficile<br />

da capire che un set situazionale triste, demotivante, malinconico,<br />

con estrema difficoltà potrà permettere l’espressione di dimensioni ludiche,<br />

comiche o esplorative. Il valutatore dovrà quindi prendere in considerazione<br />

anche questi aspetti e individuare le possibili modificazioni da<br />

apportare all’ambiente per costruire coerenza dimensionale ovvero affinché<br />

il set sia adeguato alla dimensione che si vuole implementare.<br />

Infine vanno considerate le caratteristiche gestionali, vale a dire quelle<br />

specifiche connotazioni che ancor più delle variabili ambientali danno il<br />

polso della fruibilità di una struttura in termini di condizioni con cui ci si<br />

troverà a dover fare i conti nel corso dell’attività. Le più importanti condizioni<br />

gestionali riguardano le prassi, gli orari, le attività svolte, i processi<br />

di qualità, il livello di preparazione degli operatori, l’organizzazione<br />

complessiva delle procedure, il grado di accuratezza e di ordine complessivo<br />

profuso dalla gestione, il coinvolgimento del personale e il livello di<br />

appartenenza, l’informatizzazione delle procedure, la corretta gestione<br />

del personale, la definizione delle competenze, delle filiere del controllo,<br />

dei margini di responsabilità. Possiamo giudicare una gestione sulla base<br />

dell’efficacia, dell’efficienza, della corretta interfaccia del personale, della<br />

sinergia delle singole prassi, della flessibilità delle procedure operative,<br />

della capacità di dare risposte tempestive agli imprevisti e alle situazioni di<br />

criticità. Ma possiamo altresì valutare la struttura sulla base della disponibilità<br />

del personale, dell’apertura al pubblico, della ricchezza e variabilità<br />

dei servizi, della professionalità specifica del singolo operatore, della completezza<br />

dell’équipe di intervento, della pulizia complessiva della struttura,<br />

della mancanza di incuria negli ambienti interni ed esterni, del calore<br />

umano profuso in modo complessivo dagli operatori. Tra le caratteristiche<br />

gestionali da tenere in massima considerazione la disponibilità e l’interesse<br />

da parte degli operatori di favorire in ogni modo la realizzazione del<br />

progetto di pet-therapy. Non va dimenticato che questo è un fattore di alta<br />

criticità perché gli operatori interni di una struttura possono favorire e<br />

rendere molto più semplice ed efficace il nostro intervento come, per converso,<br />

possono renderci tutto molto difficoltoso e compromettere la<br />

nostra motivazione.<br />

4.2 Fase di programmazione<br />

La programmazione riguarda la definizione: a) degli obiettivi che ci si<br />

pone con il progetto, b) delle attenzioni che si devono mantenere per<br />

evitare di dar luogo a referenze dannose. In altre parole, nella fase di programmazione<br />

si stabilisce una “meta di percorso” – talvolta anche solo


68 © APEIRON EDITORIA E COMUNICAZIONE, 2007<br />

orientativa o comunque come punto cardinale per direzionare il processo<br />

di cambiamento che si vuole far intraprendere nel fruitore – e una serie<br />

di “luoghi problematici” che si vogliono evitare. Stabilire degli obiettivi<br />

significa prima di tutto individuare degli stati che siano: a) auspicabili per<br />

quel particolare fruitore, cioè correlati ai suoi bisogni e agli obiettivi terapeutici<br />

stabiliti dalla figura di riferimento; b) plausibili rispetto alle caratteristiche<br />

generali di un progetto di pet-therapy e ai tratti specifici, comprese<br />

le risorse disponibili, di quel progetto; c) sostenibili per la persona<br />

vale a dire che, se ammettiamo che qualunque cambiamento richiede uno<br />

sforzo da parte della persona, bisogna sempre fare riferimento anche alle<br />

sue risorse; d) monitorabili, giacché non ha senso indicare degli obiettivi<br />

e poi non andare a vedere se con il progetto sono stati raggiunti e in che<br />

misura. La definizione degli obiettivi è pertanto un’opera di negoziazione<br />

tra le diverse figure che entrano a far parte del progetto perché: a) l’auspicabilità<br />

viene definita dalla figura di riferimento, l’unica ad aver titolo<br />

per dire quale percorso di cambiamento è beneficiale per il suo paziente;<br />

b) la plausibilità viene definita dal team prescrittivo, chiamato a restringere<br />

l’orizzonte programmatico sulla base della specifica conoscenza dei<br />

“caratteri generali di beneficialità della pet-therapy” e dei vincoli che quel<br />

particolare progetto può comportare; c) la sostenibilità è riferibile alla<br />

persona, alle sue risorse da mettere nel processo di cambiamento e alla<br />

sua motivazione al cambiamento; d) la monitorabilità viene resa praticabile<br />

dall’intervento concertato di tutte le figure che partecipano al progetto<br />

e da una corretta definizione metodologica della ricerca.<br />

I primi due caratteri nella definizione degli obiettivi vengono condensati<br />

nel concetto di OPA, ossia di Obiettivi Plausibili e Auspicabili, che<br />

sta alla base dell’istruzione progettuale perché definisce le esigenze referenziali<br />

e, di conseguenza, le coordinate di prescrizione. L’individuazione<br />

degli OPA di progetto rappresenta la sintesi della concertazione tra figure<br />

di riferimento, ovvero coloro che in genere hanno richiesto l’intervento<br />

di pet-therapy, e team prescrittivo, ossia coloro che sono chiamati a istruire<br />

il progetto nelle fasi programmatiche e prescrittive. L’auspicabilità<br />

viene definita dalla figura di riferimento sulla base della conoscenza dei<br />

caratteri generali di beneficialità della pet-therapy e qui, ovviamente,<br />

occorre che il team prescrittivo ancor prima di effettuare la concertazione<br />

per gli OPA invii alla struttura una nota che indichi cosa effettivamente<br />

si può ottenere attraverso un progetto di zooantropologia applicata,<br />

sgombrando il campo dalle idee confuse ed erronee che sono correntemente<br />

spacciate sugli organi mediali.<br />

In genere ci si riferisce ai caratteri generali di beneficialità della pettherapy<br />

differenziandoli in quattro grandi capitoli: 1) la promozione del<br />

benessere della persona = inteso come soddisfazione motivazionale, induzione<br />

di emozioni positive, riequilibrio dello stato di attivazione (arousal),


ATTIVITA’ E TERAPIE ASSISTITE DAGLI ANIMALI, R. MARCHESINI-L.CORONA<br />

69<br />

ginnastica funzionale, sicurezza affettiva, diminuzione dello stress, attivazione<br />

cognitiva, organizzazione del Sé, rafforzamento dell’autostima,<br />

diminuzione dello stato ossessivo e dell’angoscia, piacere sensoriale,<br />

migliore competenza nell’interattività con il mondo, attribuzione di significato<br />

alla propria condizione; 2) la promozione dell’integrazione della<br />

persona = intesa come facilitazione relazionale, sicurezza relazionale,<br />

potenziamento delle capacità dialogiche e interattive, radicamento nelle<br />

situazioni, aumento delle opportunità sociali, arricchimento dei processi<br />

di condivisione, valorizzazione degli altri, decentramento, acquisizione di<br />

alleanze, ibridazione; 3) la promozione di processi riabilitativi = intesi<br />

come aumento delle capacità, facilitazione nel raggiungimento dei propri<br />

fini, incremento della percezione e della competenza di autonomia,<br />

emendazione degli impedimenti o degli ostacoli, esercizio fisico reintegrativo,<br />

diminuzione del deficit, strutturazione di vicarianze alle funzioni<br />

compromesse, espansione della percezione del Sé, diminuzione della sofferenza,<br />

aumento delle conoscenze-competenze; 4) la coadiuvanza ai processi<br />

terapeutici = intesa come implementazione della compliance, induzione<br />

motivazionale nella accettazione della terapia, mobilitazione delle<br />

risorse della persona utili al cambiamento, azione sinergica sul processo<br />

terapeutico in termini di efficacia (raggiungimento dell’obiettivo) e di<br />

efficienza (risparmio delle risorse utili), accettazione della situazione terapeutica<br />

sia ambientale (ospedale, struttura, residenza) che condizionale<br />

(stare a letto, immobilità, esercizio fisico). Questi quattro capitoli indicano<br />

nelle attività di pet-therapy un inquadramento co-terapeutico, vale a<br />

dire un ruolo di “facilitatore del processo terapeutico”, e non di alternativa<br />

terapeutica. In particolare è possibile vedere nei quattro capitoli due<br />

ambiti di base: a) le attività capaci di rafforzare la persona e di dargli maggiori<br />

opportunità-risorse per affrontare il proprio problema, la cui intersezione<br />

tuttavia rimane fuori dagli obiettivi del progetto, definite dalla tradizione<br />

come “Attività Assistite dagli Animali” o AAA; b) le attività che si<br />

riferiscono in modo specifico al problema della persona o al percorso<br />

terapeutico che sta facendo, che quindi sono maggiormente riferibili al<br />

concetto di terapia e che, per tale motivo, sono definite dalla tradizione<br />

come “Terapie Assistite dagli Animali” o TAA. Sulla base di questi riscontri<br />

di beneficialità possiamo dividere le attività di zooantropologia assistenziale<br />

in due macroaree: 1) le AAA che intervengono nell’area del<br />

benessere e dell’integrazione; 2) le TAA che intervengono nelle aree assistenziali,<br />

riabilitative e nella coadiuvanza terapeutica.<br />

4.2.1 Attività Assistite dagli Animali<br />

Le AAA rappresentano progetti di relazione che rafforzano le risorse<br />

del fruitore, cioè lo mettono nelle migliori condizioni per affrontare il


70 © APEIRON EDITORIA E COMUNICAZIONE, 2007<br />

proprio percorso di cambiamento, senza intervenire sul problema specifico.<br />

Non vi è dubbio pertanto che queste attività abbiano un’influenza<br />

anche sull’assistenza e siano coadiuvanti rispetto ai processi terapeutici in<br />

atto o ai particolari percorsi di cambiamento auspicabili in quel particolare<br />

fruitore. Possono agire in tal senso ma non si pongono esplicitamente<br />

e quindi prescrittivamente tali obiettivi perché il loro focus rimane sull’effetto<br />

benessere e sull’effetto integrativo. Pertanto in fase di programmazione<br />

non si ha una correlazione specifica e una definizione coadiuvativa<br />

rispetto agli interventi terapeutici in essere. Questo fa sì che nella<br />

strutturazione prescrittiva e di monitoraggio rispetto alle TAA la valutazione<br />

è meno vincolativa e correlata ai parametri terapeutici e il piano di<br />

intervento non così costrittivo sugli obiettivi specifici di ordine sanitario.<br />

Pertanto non vi è un progetto individualizzato e temporalmente definito<br />

e in fase operativa vi è una maggiore tolleranza proscrittiva, anche perché<br />

molto spesso (anche se non necessariamente) si tratta di interventi che<br />

vengono offerti a un polo di fruizione collettivo. Spesso d’altro canto si<br />

parla in modo generico di attività ricreative, distraenti, relazionali finalizzate<br />

a diminuire il carico di effetti negativi che possono esitare da una<br />

situazione particolare: a) basso livello di relazionalità sociale, b) eccessiva<br />

comprensione del paziente nella situazione problematica, c) scarso livello<br />

motivazionale con cadute di attività e relazionalità della persona, d)<br />

ambiente povero di stimoli per la persona e condizione monotona, e)<br />

carenze di ordine affettivo e mancanza di conferme relazionali-affettive, f)<br />

scarso accreditamento e bisogno di dare un senso alla propria vita, g)<br />

necessità di sollecitazioni cinestesiche, h) bisogno di sollecitazioni cognitive,<br />

i) bisogno di contagio emozionale. In genere sono proprio queste le<br />

condizioni che richiedono attività finalizzate alla promozione del welfare<br />

– in senso: 1) emendativo, ovvero colmare la lacuna, 2) vicariante, ovvero<br />

dare soluzioni alternative, 3) di sostegno, ossia di promozione di attività,<br />

4) di arricchimento, vale a dire dare nuove opportunità alla persona. Il<br />

benessere si promuove infatti da una parte mitigando i fattori di problematicità,<br />

dall’altra offrendo occasioni di espressione e di cambiamento<br />

alla persona. In questo senso le attività di relazione, pur senza entrare rigidamente<br />

nella definizione terapeutica e agendo in via preferenziale nella<br />

promozione del benessere, devono necessariamente essere declinate valutando<br />

le condizioni specifiche del fruitore. Pertanto è assolutamente<br />

necessario che i partecipanti del polo di fruizione non presentino incompatibilità<br />

dimensionali ovvero situazioni dove per un paziente una dimensione<br />

di relazione è auspicabile e per un altro sconsigliata. Questo non<br />

significa che il gruppo debba essere rigidamente omogeneo, ma che nella<br />

definizione dei gruppi si faccia attenzione alle incompatibilità, eventualmente<br />

tarando la filiera di relazione in modo tale che le fasi dimensionali<br />

problematiche per il gruppo nel suo insieme non vengano svolte in


ATTIVITA’ E TERAPIE ASSISTITE DAGLI ANIMALI, R. MARCHESINI-L.CORONA<br />

71<br />

modo collettivo. Non si faccia quindi l’errore di credere che le AAA non<br />

siano sottoposte alla programmazione dimensionale e tipologica ma consistano<br />

in generiche attività ricreative promosse dalla presenza dell’animale.<br />

Anche nelle AAA vige la programmazione e l’individuazione delle<br />

caratteristiche specifiche di ogni fruitore: a maggior ragione nelle AAA è<br />

necessario predisporre meglio la filiera di relazione ovvero le compatibilità<br />

di fase tra i partecipanti del gruppo di fruizione. L’altro effetto prioritario<br />

delle AAA è quello riferibile all’integrazione, anche perché se la<br />

diversità dei componenti del gruppo di fruizione può essere problematica<br />

nel tarare le dimensioni utili per realizzare lo stato di welfare – che ovviamente<br />

è individuale – viceversa nel caso dell’integrazione la situazione di<br />

gruppo nella relazione con l’eterospecifico favorisce quei processi coniugativo-relazionali<br />

che stanno alla base dell’integrazione della persona.<br />

4.2.2 Terapie Assistite da Animali<br />

Un discorso particolare deve essere fatto per le TAA, dove cioè parliamo<br />

di un’attività che è chiamata a dare un riscontro clinico evidenziabile<br />

e documentabile del proprio operato. Nelle TAA l’intervento si pone<br />

all’interno di un processo terapeutico e come tale deve non solo trovare<br />

la corretta collocazione ma costruire i piani di interfaccia e le metodiche<br />

di valutazione dell’intervenienza rispetto alle altre attività terapeutiche in<br />

essere. Pertanto le TAA necessitano di un’individuazione progettuale<br />

molto specifica, tarata sugli interventi in essere e con monitoraggio incrociato<br />

sugli effetti sinergici o sulle eventuali problematicità esitate dall’attività<br />

di pet-relationship. Essendo inquadrata all’interno di un programma<br />

terapeutico, la TAA ha necessità di essere definita sotto il profilo di fase<br />

(data di inizio, numero di interventi, durata del singolo intervento, data<br />

di conclusione), di una maggiore restrizione a livello dimensionale e tipologico,<br />

di una documentazione accurata di tutte le situazioni ed evenienze,<br />

di un’individuazione molto più precisa dei monitor utilizzati e di una<br />

interfaccia di monitoraggio con gli altri interventi. Nelle TAA deve essere<br />

previsto in fase – ovvero lungo tutta la durata del programma – un<br />

momento di monitoraggio incrociato con valutazione oggettiva di variabili<br />

che devono essere individuate in relazione a tutto il progetto terapeutico<br />

a cui è sottoposto quel particolare utente. Si tratta infatti di un intervento<br />

che non si pone al di fuori del trattamento e come tale deve essere<br />

permeabile al confronto attivo con tutti gli attori terapeutici afferibili a<br />

quel particolare paziente. Per quanto concerne la programmazione è<br />

necessario soffermarsi sui due effetti che caratterizzano – perché prioritari<br />

– le TAA: a) effetto di coadiuvazione; b) effetto di assistenza. Perché sia<br />

un intervento coadiuvante è necessario che l’intervento di TAA aderisca<br />

perfettamente alla situazione anamnestica e ai trattamenti in essere, o ad


72 © APEIRON EDITORIA E COMUNICAZIONE, 2007<br />

altri interventi coadiuvanti, a cui il paziente è sottoposto. Ancora una volta<br />

registriamo la necessità di una forte interfaccia in TAA. Parimenti perché<br />

vi sia un intervento assistenziale è necessaria una programmazione individualizzata<br />

ovvero cucita addosso al fruitore, giacché le valenze che andremo<br />

maggiormente a sfruttare saranno quelle di rispondenza. Le TAA sono<br />

attività di relazione individuali, sia in fase di progetto che nella valutazione<br />

operativa: non è detto che chi si trovi a operare in una stessa struttura<br />

con due o più pazienti a cui erogare in modo singolo un progetto di TAA<br />

non debba all’occorrenza individuare due o più siti differenti di erogazione<br />

del servizio. Ma anche in fase attuativa c’è una profonda differenza tra<br />

AAA e TAA. In queste ultime infatti è necessario che l’operatore sia<br />

accompagnato in seduta dal terapeuta umano, che ha comunque in carico<br />

il paziente; quindi un intervento di TAA non può essere effettuato<br />

senza una continua valutazione evolutiva e somministrativa. Questo rende<br />

le TAA molto più protocollari nella definizione complessiva e molto più<br />

complesse in fase di arbitraggio relazionale. In altre parole, la coppia petpartner,<br />

chiamata a operare in un progetto di TAA, deve avere una preparazione<br />

molto accurata e un’esperienza alle spalle riferita a progetti di<br />

zooantropologia applicata. Inoltre in un progetto di TAA in genere il registro<br />

dialogico-interattivo del paziente è molto più problematico e pertanto<br />

l’operatore si troverà a dover lavorare molto di più in sede di promozione<br />

e controllo della relazione, onde assicurare sicurezza e benessere<br />

relazionale. Per questo quasi sempre si rende necessaria la presenza di un<br />

secondo operatore che aiuti il fruitore nella realizzazione di un corretto<br />

canone relazionale, sia in senso interattivo che dialogico. Anche le strutture<br />

in cui si troverà a operare in genere presenteranno una maggiore difficoltà<br />

di attivazione della relazione e comunque maggiori vincoli, ovvero<br />

richiedono all’operatore un maggiore sforzo di attenzione e prevenzione.<br />

Questi due aspetti si ripercuotono sull’operatività del progetto e inevitabilmente<br />

l’operatore si dovrà confrontare con una maggiore difficoltà<br />

nella traduzione concreta di quanto individuato nel progetto. Come<br />

abbiamo detto, le TAA presentano una maggiore protocollarità operativa,<br />

questo inevitabilmente comporterà una paritetica compromissione sul<br />

benessere dell’animale, cosicché l’operatore sarà chiamato a un compito<br />

molto più oneroso nel vigilare sui segnali di stress e sul benessere animale.<br />

Allo stesso modo dovrà impegnarsi maggiormente in attività indirizzate<br />

a emendare la fatica accumulata dal pet durante la seduta. In conclusione,<br />

si può dire che un progetto di TAA, a parità di sedute previste,<br />

richiede uno sforzo maggiore di scelta delle risorse umane, di programmazione<br />

e di definizione dei monitor e delle fasi di monitoraggio, di interfaccia<br />

con le altre figure professionali di riferimento, di attenta valutazione<br />

ambientale, di intersezione con i processi terapeutici in essere sul<br />

paziente.


ATTIVITA’ E TERAPIE ASSISTITE DAGLI ANIMALI, R. MARCHESINI-L.CORONA<br />

73<br />

La fase programmatica non si limita a definire “dove si vuole andare<br />

attraverso il progetto di pet-therapy”, ma altresì “dove non si vuole capitare,<br />

neanche per caso”. Se ammettiamo che in genere il potenziale referenziale<br />

esercitato dal referente animale è alto, inevitabilmente dobbiamo<br />

considerare la criticità di questo apporto, che può essere sì fortemente<br />

beneficiale ma anche altrettanto compromissorio. Evitare l’effetto compromissorio<br />

è pertanto un obiettivo che ci si deve porre con grande accuratezza,<br />

sapendo che stiamo applicando delle funzioni referenziali su persone<br />

che comunque si trovano in una situazione di difficoltà. Il che significa<br />

peraltro ricordare che, mentre andare verso i cambiamenti auspicabili<br />

richiede sempre uno sforzo per la persona, imboccare la strada compromissoria<br />

può essere addirittura l’esito spontaneo del processo relazionale.<br />

Quando si fa un progetto di zooantropologia applicata si devono pertanto<br />

evitare le seguenti derive: 1) deriva spontaneista = la relazione non è configurata<br />

perché la referenza non ha margini di prescrizione e margini di<br />

proscrizione; 2) deriva produttivista = la relazione non ha una sua autenticità<br />

di incontro poiché tutto quello che viene rappresentato in seduta è<br />

funzionale al prodotto referenziale; 3) deriva tecnicista = la relazione è<br />

condotta all’interno di binari metodologici molto rigidi e si presenta come<br />

un insieme di prassi o una sequenza di copioni non come una dimensionalità<br />

facilitata dalle prassi di esplicitazione. Queste considerazioni ci portano<br />

a capire che in fase programmatica devo lavorare per istruire il mio<br />

progetto in modo tale da evitare sia la compromissorietà referenziale che<br />

l’effetto derivale. Di certo le derive produttivista e tecnicista contrastano la<br />

promozione del potenziale referenziale, mentre quella spontaneista non<br />

assicura l’indirizzo referenziale aprendo la strada a condizioni di referenzialità<br />

compromissoria. Pertanto compito della figura di riferimento sarà<br />

quello di stabilire, oltre all’orizzonte di auspicabilità, un “orizzonte di compromissorietà”:<br />

ambiti relazionali-referenziali da evitare accuratamente,<br />

indicando: a) le vulnerabilità del fruitore e quindi le “referenze dannose”,<br />

quelle cioè che conducono a cambiamenti peggiorativi nel fruitore; b) gli<br />

ostacoli al percorso terapeutico e quindi le “referenze ostative”, quelle cioè<br />

che rendono più difficile il percorso di cambiamento individuato; c) le<br />

aree interattive e relazionali problematiche per quel fruitore in termini di<br />

argomenti caldi, approcci problematici, attività inadeguate, ambienti non<br />

conformi rispetto ai processi di cambiamento auspicati.

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