syndicom rivista N. 1 - I forzati della rete
syndicom rivista 1/17
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Lavorare negli spazi di coworking significa<br />
condividere ufficio e infrastrutture. Ma ci si<br />
scambiano anche idee su progetti e si prende<br />
il caffè insieme.<br />
13<br />
verso le piattaforme del crowdworking esiste da dieci anni,<br />
dalla nascita e dal vertiginoso sviluppo dei network sociali.<br />
Ma perché per le aziende è diventato di nuovo interessante<br />
affidare il lavoro a degli esterni anziché farli eseguire<br />
in azienda? L’economista britannico Ronald Coase<br />
ha risposto a questa domanda già nel 1937, vincendo il<br />
premio Nobel per l’economia. Egli affermò che più tempo<br />
e fatica ci volevano per cercare un fornitore esterno per<br />
ogni singola fase lavorativa, più diventava razionale assumere<br />
del personale proprio. Egli ha definito questi costi<br />
«di transazione». Con la digitalizzazione questi costi di<br />
transazione sono calati drasticamente. Infatti all’improvviso<br />
è possibile aprire una gara di appalto anche di incarichi<br />
piccolissimi in pochi click e raggiungere un mercato<br />
di migliaia di fornitori di servizi, per esempio attraverso le<br />
piattaforme crowdworking. In altre parole: l’esternalizzazione<br />
del lavoro è diventato molto più conveniente e dunque<br />
più interessante per le aziende.<br />
Per i lavoratori il telelavoro è precariato<br />
Cosa significa tutto questo per i nuovi indipendenti che<br />
svolgono questi lavori? Esempio del crowdworking:<br />
spesso i nuovi lavoranti a domicilio eseguono lavori monotoni<br />
ripetitivi per pochi franchi, euro o dollari l’ora e<br />
senza alcuna tutela del diritto del lavoro. Inoltre i gestori<br />
di queste piattaforme crowdfunding approfittano di una<br />
zona grigia legale. Nella <strong>rete</strong> svaniscono i confini nazionali,<br />
motivo per cui le ditte sostituiscono i contratti di lavoro<br />
con le loro condizioni generali senza tanti problemi.<br />
È poco probabile che questo reggerà a lungo sul piano giuridico.<br />
Tuttavia, a causa <strong>della</strong> dimensione sovranazionale<br />
e quasi sempre anonima del lavoro digitale, è ancora difficile<br />
controllare il diritto del lavoro, e tanto meno farlo<br />
rispettare universalmente.<br />
Le persone che con gli incarichi del crowdworking guadagnano<br />
il loro reddito principale vengono chiamate anche<br />
«clickworker». In Svizzera quasi non esistono, come<br />
ha detto il professore Jan Marco Leimeister, esperto di<br />
crowdworking all’Istituto per Informatica economica<br />
dell’Università di San Gallo. «Per gli svizzeri gli incarichi<br />
di crowdworking rappresentano piuttosto un terzo lavoro<br />
o addirittura un quinto.» Secondo lui, il lavoro trovato attraverso<br />
le piattaforme di crowdworking serve solo come<br />
guadagno extra aggiuntivo nei tempi morti, come diversivo<br />
rispetto ad altre attività o come acquisizione di clienti.<br />
Quel che esiste davvero però sono ditte svizzere che incaricano<br />
crowdworker stranieri che nei loro paesi vivono di<br />
queste entrate. Il Leimeister ribadisce che questo non è<br />
affatto negativo. «Ciò che per noi è un salario precario, per<br />
un indiano o un bulgaro rappresenta un buon reddito».<br />
Nuovo precariato o bohème digitale?<br />
I critici vedono l’emergere di questi nuovi lavoratori a domicilio<br />
come segnale di un sistema di sfruttamento o di<br />
un ritorno al taylorismo. Si parla di un «precariato digitale»,<br />
di un esercito di lavoratori a chiamata, giornalieri e<br />
finti indipendenti, che non trovando lavoro accettano incarichi<br />
anche piccolissimi per salari da fame. In effetti il<br />
parallelismo tra il vecchio lavoro a domicilio e le nuove<br />
forme come il crowdworking è palese. Ma esiste un’impor<br />
Nella bohème digitale,<br />
la libertà personale<br />
è più importante di<br />
buone regole di lavoro?<br />
tante differenza. Se il vecchio lavoro da casa nasceva da un<br />
bisogno economico, oggi molti lavoratori ben qualificati<br />
scelgono il telelavoro, incluse le sue condizioni precarie,<br />
di loro volontà. Un motivo è la tendenza verso la flessibilizzazione<br />
del lavoro. Gli individui vogliono lavorare sempre<br />
di più in maniera libera, svincolati da tempo e luogo.<br />
Alcune coppie vogliono semplicemente suddividersi in<br />
maniera equa la custodia dei figli. Nelle generazioni più<br />
giovani, tra l’altro, si è cristallizzato un gruppo di lavoratori<br />
alla ricerca di un senso, per cui vale di più la libertà e<br />
l’autonomia personale che non la retribuzione o le condizioni<br />
di lavoro. In alcuni luoghi essi vengono chiamati<br />
«nuovi hippies». Seguendo lo stereotipo, vivono a Bali, la<br />
mattina fanno yoga e la sera party, e nel frattempo elaborano<br />
progetti al portatile per committenti globali. E ben<br />
s’intenda, le aziende su queste piattaforme crowdworking<br />
non indicono solo lavori ripetitivi, adatti a lavoratori non<br />
quali ficati come il testare un software, ma cercano anche<br />
dei creativi che ideano un nuovo logo o creano un testo<br />
pubblicitario. Dunque non esiste solo il «precariato digitale»,<br />
ma anche la «Bohème digitale».<br />
Ripensare il sistema sociale<br />
Che cosa succederà alla nostra società, se il futuro del lavoro<br />
si comporrà sempre più di questi «nuovi indipendenti»?<br />
L’economista Jens Meissner dell’Universtià di Lucerna<br />
e lo psicologo del lavoro Johann Weichbrodt <strong>della</strong><br />
Scuola universitaria <strong>della</strong> Svizzera nordoccidentale si<br />
sono occupati di questa domanda. Nella loro ricerca intitolata<br />
«Il nuovo mondo del lavoro flessibile», i due studiosi<br />
hanno ipotizzato diversi scenari sul futuro del lavoro e le<br />
relative conseguenze. Uno prevedeva la trasformazione<br />
<strong>della</strong> maggior parte <strong>della</strong> popolazione in lavoratori indipendenti.<br />
Gli autori scrivono che questo a livello economico<br />
avrebbe conseguenze soprattutto negative. Weichbrodt<br />
afferma: «L’assicurazione sociale rimarrebbe<br />
ampiamente non chiarita, dal momento che il nostro sistema<br />
sociale si basa su impieghi fissi.» Inoltre ci sarebbero<br />
perdite negli introiti fiscali, da una parte perché i lavoratori<br />
guadagnerebbero tendenzialmente di meno,<br />
dall’altra perché valute criptate come Bitcoin faciliterebbero<br />
una non dichiarazione dei redditi. Ma Weichbrodt<br />
sottolinea che questi sono soltanto scenari ipotizzati: «è<br />
improbabile che si avveri questo scenario». Con questo<br />
studio si è soltanto voluto dimostrare che il sistema sociale<br />
va ripensato dalla base, nel caso che in futuro avessero<br />
la meglio forme lavorative più flessibili.<br />
Quando l’industrializzazione all’inizio del Novecento<br />
strappò via molti lavoratori dalle loro reti sociali, che<br />
davano una certa sicurezza, la società poi trovò una risposta.<br />
Durante interi decenni furono create delle reti di sicurezza,<br />
nella convinzione che dietro a un bisogno individuale<br />
dovesse esserci una responsabilità collettiva.<br />
Con la digitalizzazione, i rapporti di lavoro si modificano<br />
di nuovo in maniera radicale, da una parte per pressioni<br />
economiche, dall’altra a causa delle norme sociali<br />
cambiate. Tuttavia la maggior parte delle conquiste del<br />
moderno stato sociale, ottenute lottando per oltre<br />
cent’anni, sono ancora ancorate ai rapporti tradizionali di<br />
lavoro salariato a tempo pieno: assicurazione pensionistica<br />
e di malattia, indennità giornaliera di malattia e<br />
protezione <strong>della</strong> maternità, limitazione <strong>della</strong> durata del<br />
lavoro e giorni festivi, partecipazione aziendale o contratti<br />
collettivi. Dunque la società dovrà nuovamente riadattare<br />
sostanzialmente il suo sistema sociale; affinché questi<br />
nuovi indipendenti (un mix tra precariato digitale e<br />
Bohème digitale) non diventino i perdenti di questa nuova<br />
rivoluzione, destinati a vivere per sempre in condizioni<br />
precarie.<br />
ta-swiss.ch/it/nuovo-mondo-del-lavoro-flessibile<br />
<strong>syndicom</strong>.ch/it/crowdworking<br />
Digitalizzazione: conseguenze<br />
gravi, soprattutto per le donne<br />
Le chance e i rischi <strong>della</strong> digitalizzazione non sono uguali per<br />
tutti i gruppi di lavoratori. Tra le professioni in probabile via<br />
d’estinzione ce ne sono molte al femminile. Se non verranno<br />
attuate delle misure per qualificare le donne e avviarle verso<br />
i settori professionali in crescita, si rischia una precarizzazione<br />
delle donne nelle professioni dai salari molto bassi. Per<br />
questo i necessari investimenti nel perfezionamento devono<br />
essere aperti a tutti! Il che non è affatto un’ovvietà, come<br />
dimostrano le ricerche dell’Ufficio federale di statistica.<br />
Infatti rispetto alle loro colleghe, gli uomini ricevono dai loro<br />
datori di lavoro più soldi e tempo di lavoro per perfezionarsi.<br />
Un motivo: l’immagine dell’uomo come lavoratore principale.<br />
Qui le aziende devono finalmente cambiare mentalità.<br />
Altrimenti le donne diventeranno una massa di manovra.<br />
La flessibilizzazione del lavoro nasconde delle opportunità,<br />
perché semplifica la conciliabilità tra lavoro e famiglia. Allo<br />
stesso tempo, però, il diktat del perfezionamento intensifica<br />
il ruolo multiplo delle donne, che ancora oggi si accollano<br />
una grossa parte del lavoro di assistenza. E ricordiamo<br />
anche che le donne, a tutt’oggi, guadagnano il 20% in meno<br />
per un lavoro di pari valore. Ci servono buone soluzioni alle<br />
quali partecipino anche i datori di lavoro. E l’esperienza ci<br />
insegna che a questo scopo ci vuole la pressione <strong>della</strong><br />
Confederazione. Per esempio con controlli salariali.<br />
Patrizia Mordini<br />
Membro del Comitato Direttivo e segretaria Pari Opportunità