Jolly Roger_01_04
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acconti<br />
racconti<br />
ars gratia artis<br />
il piacere della scrittura<br />
siamo cresciuti, abbiamo fatto famiglia, ci siamo<br />
responsabilizzati, ci svegliamo alle 4 del mattino<br />
per andare a lavorare e ci corichiamo alle 9 di<br />
sera per poter riposare il più possibile e arrivare<br />
freschi al lavoro. Come li invidio, i giovani. Vorrei<br />
tornare così anch’io. Ma ormai…<br />
Racconti di lettori, collaboratori e perfetti sconosciuti<br />
pubblicati per il puro piacere di condividerli con voi<br />
la mezza stagione<br />
di Massimo de Micco<br />
Novembre 2<strong>01</strong>2; venerdì<br />
Abito a Centocelle all’ultimo piano di un condominio<br />
di 4 piani; esco di casa alle 4 del mattino<br />
per andare a lavorare. In giro a quell’ora non c’è<br />
nessuno, dormono tutti. Sono quasi tutti padri e<br />
madri di famiglia, i condomini, gente tranquilla,<br />
insomma. Solo la signora del primo piano, una<br />
tizia mezza matta, capita di incontrarla sulle scale<br />
a quell’ora, mentre esce in vestaglia per andare<br />
a buttare la spazzatura. Lei saluta sempre e mostra<br />
una gran gentilezza, ma bisogna stare attenti<br />
a non farla arrabbiare: vigila su tutto quel che<br />
succede e se crede che qualcosa stia turbando la<br />
quiete comincia a lamentarsene con mezzo mondo.<br />
Come quella volta che di domenica mattina<br />
alle 8, andò a bussare alle porte di tutti i condomini<br />
per metterli in guardia dalla terribile ragazza<br />
dai capelli corti con gli scarponi che aveva<br />
sentito (e sosteneva di aver anche visto) scendere<br />
le scale rumorosamente alle 3 del mattino. Questa<br />
mitica ragazza non è mai stata trovata, né, da<br />
parte mia, ho mai sentito qualcuno scendere le<br />
scale a quell’ora.<br />
Poi ci sono i sudamericani che ogni tanto fanno<br />
grosse feste a casa loro, e si sente la musica per<br />
tutto il condominio, ma nel complesso non fanno<br />
molto casino.<br />
Una notte, mentre uscivo di casa, ho visto un ragazzo<br />
salire le scale con in mano un sacchetto di<br />
plastica pieno di libri, tutto bagnato e affannato<br />
per essere salito di corsa. Arrivato all’androne,<br />
Vita notturna di condominio<br />
di Fedra<br />
vi ho trovato una ragazza seduta sulle scale, incappucciata,<br />
che sembrava aspettare qualcuno,<br />
mi ha salutato cordialmente e ho risposto al saluto,<br />
poi sono andato via. Chissà, forse aspettava il<br />
suo amico che era salito poco prima. Non avevo<br />
mai visto prima nessuno dei due, ma dovevano<br />
essere gli inquilini del terzo piano, loro si che dovevano<br />
rientrare spesso di notte, erano studenti a<br />
quanto sembrava; ma la cosa più strana è che in<br />
quel momento non sembrava stessero rientrando,<br />
ma uscendo. O addirittura uscendo di nuovo,<br />
dato che erano fradici, come se avessero fatto un<br />
lungo tratto di strada a piedi sotto la pioggia. Mi<br />
sono messo in macchina e, uscendo dal parcheggio,<br />
mi sono trovato davanti a una scena surreale:<br />
i due ragazzi di prima che escono dal portone.<br />
Lui tiene in mano un ombrello rosa e lo apre. Lei<br />
lo prende a braccetto e iniziano a passeggiare per<br />
via delle Rose prendendo la direzione del parco.<br />
Chissà dove andavano a quell’ora della notte.<br />
E sotto la pioggia poi. Sembravano tranquilli e<br />
disinvolti, chiacchieravano e ridevano, come se<br />
si trovassero dalle parti di piazza Vittorio in una<br />
bella giornata di sole e stessero andando a prendere<br />
un gelato da Fassi. Chissà che gli passava<br />
per la testa a uscire così, invece di andare a rintanarsi<br />
in casa al calduccio e mettersi qualcosa<br />
di asciutto. In questo modo si sarebbero sicuramente<br />
beccati l’influenza. Ma i giovani sono<br />
così, senza obblighi né doveri, senza preoccupazioni,<br />
vivono come si sentono. Siamo noi, che<br />
Marcovaldo non sapeva più come uscire.<br />
Se prendeva l’ombrello, il sole lo faceva pentire;<br />
se lo lasciava a casa, la pioggia lo faceva pentire<br />
e ammalare.<br />
Ostile alle vie di mezzo, non si decideva a comprare<br />
uno di quegli ombrellucci pieghevoli che<br />
tutti avevano e tutti portavano in tasca.<br />
Fu così che l’ombrello a canna mozza gli fu regalato<br />
a Natale da sua nipote.<br />
Coloratissimo e avvinto da una custodia leggera<br />
da abbottonare, apertura a scatto e pomello ergonomico<br />
al posto del vecchio manico uncinato, gli<br />
donava molto.<br />
Ora poteva domare il maltempo con un click e far<br />
sparire in tasca quell’ingombrante egida quando<br />
Apollo faceva capolino.<br />
Il buon proposito durò da Natale a Santo Stefano<br />
perchè già il 27 Marcovaldo aveva dimenticato<br />
l’ombrellino sul tram.<br />
Piovve e alla pioggia i passanti, che evidentemente<br />
avevano avuto tutti lo stesso regalo, risposero<br />
con una scarica di click, cento fiori si aprirono,<br />
centoombrellini ripararono altrettante persone.<br />
Marcovaldo si inzaccherò.<br />
Masticava amaro mentre serrava i pugni nelle<br />
sole tasche asciutte che gli erano rimaste, quelle<br />
dei pantaloni, dietro.<br />
Piovve anche nei giorni a seguire ma Marcovaldo<br />
aveva ricomprato un ombrellino identico e<br />
non si fece trovare impreparato.<br />
Al freddo e al gelo si sostituì però il disagio sociale.<br />
Eh sì, perché non tutti i passanti temevano la<br />
pioggia, non tutti aprivano l’ombrello, molti lo<br />
lasciavano penzolare dal braccio con noncuranza<br />
come a dire:<br />
“Due stille, che vuoi che sia!”<br />
Marcovaldo invece era incline al raffreddore e lo<br />
apriva sempre.<br />
Guardò la folla, contò gli ombrelli e cercò di capire<br />
chi li apriva e chi no.<br />
Gli sembrò che li aprissero, indifferentemente,<br />
sia donne che uomini.<br />
I giovani si lasciavano inzuppare più dei vecchi,<br />
ma alcune ragazze veramente belle sfilavano impavide<br />
sotto la pioggia e l’effetto bagnato le rendeva<br />
ancora più desiderabili.<br />
Anche i turisti con i trolley al seguito si dividevano<br />
tra coperti e scoperti, sia che avessero la<br />
mini il turbante o il sari.<br />
Cinquanta e cinquanta, insomma.<br />
Cercò il lato della strada in cui pioveva meno, ma<br />
non lo trovò: dovunque pioveva o c’era il sole, in<br />
base alla sensibilità dei passanti.<br />
Per strada incrociò il professor Denuvolis con<br />
l’impermeabile sbottonato, la cintura a strascico<br />
e il cappellino floscio che pendeva da una tasca:<br />
per lui non pioveva.<br />
Effettivamente l’insegnante non era bagnato,<br />
come non lo erano tutti quelli che rinunciavano<br />
al parapioggia, i riparati al contrario avevano i<br />
tacchi infangati, i capelli inzuppati e gli abiti già<br />
in odore di muffa.<br />
Marcovaldo provò a piegare l’ombrello e fu così<br />
anche per lui: la pioggia gli parve sopportabile,<br />
era una nebbiolina iridescente a cui ci si abitua;<br />
le strade non sembravano allagate, al massimo<br />
scivolose per il sottile velo d’acqua che le copriva<br />
di luce e gli abiti facevano egregiamente il<br />
loro dovere.<br />
ANNO I • NUMERO IV • maggio 2<strong>01</strong>8 www.jollyrogerflag.it • facebook.com/gojollyroger<br />
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