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Jolly Roger_01_04

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letteratura<br />

letteratura<br />

partire e dal dispiacere si ammala.<br />

Il medico di famiglia, il medesimo dottor Rendona,<br />

consigliava più volte il ricorso all’aria libera<br />

per far riprendere Erminia, suggerendo la tenuta<br />

di Giarre. Tuttavia Giorgio, per evitare in ogni<br />

modo qualsiasi possibile rimpianto di Nata visto<br />

che la strada per Giarre passa da Acireale, trovava<br />

mille scuse per evitare il viaggio. Una notte<br />

la donna, in preda ai deliri, confessa al marito<br />

di aver amato Carlo; Giorgio sentirà ancora più<br />

rispetto nei confronti della moglie per aver confessato<br />

prima di lui, il quale in lacrime la abbraccia.<br />

Al sentire e vedere le lacrime del marito la<br />

donna dice di sentirsi meglio. La crisi di Erminia<br />

passa e Giorgio, riunito alla sua famiglia e sereno,<br />

accetta di affrontare un viaggio a Giarre, per<br />

chiudere definitivamente col passato. Tuttavia<br />

alla stazione di Acireale il treno tarda a ripartire<br />

e l’uomo si sente crescer l’imbarazzo finché<br />

non si rende conto che sono fermi per via di una<br />

processione funebre che sta occupando un altro<br />

treno a loro parallelo, costituito da due sole carrozze:<br />

è il trasporto funebre di Nata che il marito<br />

riporta in patria.<br />

«Allorché il convoglio si fermò a Giarre, gli alzò<br />

il capo pallidissimo, guardò al di fuori, respirò<br />

con forza, sembrava si destasse da un lungo e penoso<br />

sonno. Il funebre treno che li precedeva era<br />

scomparso; il fumo svolgevasi ancora lentamente<br />

dall’imboccatura della galleria, squarciandosi<br />

e diradandosi in larghi fiocchi sul cielo azzurro.<br />

Non rimaneva più altro del passato. Quando<br />

furono a Giarre, La Ferlita vi trovò un dispaccio<br />

telegrafico che era stato rimandato dall’ufficio<br />

di Catania, e che l’aspettava. Il telegramma non<br />

conteneva, oltre l’indirizzo e la data, che questa<br />

sola parola: «Addio.»<br />

Giovanni Verga scrisse anche la sceneggiatura<br />

dell’omonimo film tratto dalla sua opera che venne<br />

acquistato dall’Itala Film di Torino nel 1912 e<br />

venne realizzato soltanto quattro anni dopo, nel<br />

1916, mentre il regista Giovanni Pastrone, alias<br />

Piero Fosco “vigilò la esecuzione” della messa in<br />

scena, operatori Segundo de Chomón e Giovanni<br />

Tomatis, con protagonista ladiva fatale: Pina Menichelli.<br />

Viene considerato il secondo episodio di<br />

un “dittico dannunziano” composto da Il fuoco<br />

(1915) e Tigre reale, entrambi diretti da Giovanni<br />

Pastrone e interpretati da Pina Menichelli. Giovanni<br />

Pastrone firmò il film con lo pseudonimo<br />

di Piero Fosco; per alcuni anni vennero avanzate<br />

diverse ipotesi sulla reale identità del “misterioso”<br />

regista che si celava dietro tale nome d’arte.<br />

Distribuito in Francia, Olanda e Spagna. Venne<br />

proiettato ad Amsterdam nel marzo 1917, con<br />

un lancio pubblicitario che poneva l’accento sulla<br />

fama di Giovanni Verga; venne distribuito in<br />

Portogallo nel 1919.<br />

Il soggetto, tratto dal romanzo di Giovanni Verga,<br />

fu acquistato dall’Itala Film di Torino nel 1912 e<br />

venne realizzato soltanto quattro anni dopo, nel<br />

1916. Sembra che alla riduzione cinematografica<br />

collaborasse lo stesso Verga, mentre Giovanni<br />

Pastrone, alias Piero Fosco “vigilò la esecuzione”<br />

della messa in scena, operatori Segundo de<br />

Chomón e Giovanni Tomatis. Per il lancio del<br />

film, come nel caso D’Annunzio/Cabiria, la pubblicità<br />

insisteva in ricordare il nome prestigioso<br />

di Giovanni Verga, ma non dimenticava Pina Menichelli<br />

reduce del grande successo commerciale<br />

de Il Fuoco, successo che venne un po’ a meno<br />

dopo l’intervento della censura. Meno male che<br />

Pastrone era uno che non si perdeva d’animo<br />

facilmente perché i film di Pina Menichelli incontrarono<br />

spesso seri problemi di censura. Ma<br />

cosa avevano di così sconvolgente questi film?<br />

Nel caso di Tigre reale i tagli di censura riportati<br />

da Vittorio Martinelli sono: «Nella parte sesta,<br />

in una delle ultime didascalie, sopprimere le parole:<br />

“Sul suo corpo passarono soffi di convulsione<br />

spaventosa, si che le misere ossa par che<br />

scricchiolassero”, nonché le scene che precedono<br />

e susseguono detta didascalia e precisamente<br />

quelle nelle quali si vede Natka contorcersi tra<br />

le braccia di Giorgio» (Vittorio Martinelli, Il cinema<br />

muto italiano 1916, Bianco e Nero-Nuova<br />

ANNO I • NUMERO IV • maggio 2<strong>01</strong>8 www.jollyrogerflag.it • facebook.com/gojollyroger<br />

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