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La Toscana Nuova maggio 2019

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Personaggi<br />

<strong>La</strong>po Baldacci<br />

Cosa abbiamo imparato dall’incidente di Vermicino?<br />

Dalla tragedia di Alfredino Rampi a quella di Julen Rosello, il<br />

problema resta tristemente attuale. L’idea dell’inventore fiorentino<br />

<strong>La</strong>po Baldacci potrebbe salvare le vite dei bambini caduti nei pozzi<br />

di Umberto Sereni<br />

«Mi creda, le invenzioni più<br />

grandi nascono da aspetti<br />

banali. Le cose più semplici<br />

le perdi di vista, non le vedi. Il cervello<br />

le esclude da sé». Con queste parole <strong>La</strong>po<br />

Baldacci finisce di spiegarmi la sua<br />

idea per recuperare i bambini dai pozzi.<br />

Siamo nel suo studio in via della Cernaia,<br />

dove abbiamo passato più di due ore a<br />

parlare, prima ripercorrendo la sua carriera<br />

d’inventore – centoventi brevetti depositati<br />

in trent’anni – poi entrando nel<br />

vivo di quest’ultimo progetto, da lui definito<br />

“umanitario”. In effetti, per una vita<br />

Baldacci ha creato invenzioni nel campo<br />

degli elettrodomestici, ma ora ha deciso<br />

di mettere l’ingegno al servizio di esigenze<br />

ben diverse. Sono proprio alcuni dei<br />

suoi precedenti prodotti a farci capire come<br />

funziona il processo ideativo, e a dar<br />

Figura 1 – Il metodo del tunnel parallelo. Oltre<br />

a richiedere molto tempo, comporta il rischio<br />

di spingere il bambino ancora più in profondità<br />

senso alla parola da lui utilizzata, semplicità,<br />

che sembra proprio la chiave per<br />

un’invenzione di successo: l’accendigas<br />

piezoelettrico, il Gratì, la Mokona Bialetti –<br />

solo per citarne alcuni: la lista dovrebbe<br />

comprendere almeno altri cento prodotti,<br />

e non basterebbe l’intero pomeriggio per<br />

parlarne. Sono creazioni di una mente<br />

che, dopo aver osservato il problema, riesce<br />

a escogitare soluzioni che raggiungono<br />

l’obiettivo nel modo più conveniente e<br />

lineare possibile. <strong>La</strong> straordinaria attitudine<br />

dell’inventore, questa volta si è messa<br />

al servizio di un progetto umanitario. «Lei<br />

è giovane», ha esordito introducendo la<br />

sua idea, «e forse non si ricorda dell’incidente<br />

di Vermicino. Nel giugno del 1981<br />

io seguii – insieme a ventun milioni d’italiani<br />

– la triste vicenda di Alfredino Rampi<br />

caduto in un pozzo, e di certo non<br />

dimentico gli encomiabili sforzi messi in<br />

atto per salvare questo bambino, compresi<br />

i veri e propri atti eroici di quei volontari<br />

calati a testa in giù e legati per i<br />

piedi, col rischio di morte quasi certa.<br />

Poi, nonostante l’utilizzo di macchinari<br />

speciali venuti da lontano, abbiamo assistito<br />

alla tragica conclusione, dopo sessanta<br />

ore di inutile lotta. Recentemente,<br />

purtroppo, un caso analogo: in Spagna,<br />

Julen Rosello, di appena due anni, è caduto<br />

in un pozzo largo 25 centimetri, e a<br />

nulla sono valsi gli sforzi sovrumani di<br />

tecnici, operai, specialisti e speleologi affinché<br />

il bambino sopravvivesse. Purtroppo,<br />

chissà quante volte si sarà<br />

ripetuto questo triste copione in altre parti<br />

del mondo, senza che se ne abbia notizia.<br />

Ora, io non voglio insegnare niente a<br />

nessuno, ma forse uno come il sottoscritto<br />

potrebbe dare un piccolo contributo,<br />

suggerendo, con la massima<br />

umiltà, alcune osservazioni sui metodi di<br />

soccorso messi in atto in queste difficili<br />

situazioni. Con ciò non voglio certo criticare<br />

l’alto senso di abnegazione di uomini<br />

come Angelo Licheri, e dello speleologo<br />

Tullio Bernabei, ma alcune domande io<br />

me le sono fatte ugualmente». A questo<br />

punto, Baldacci procede a identificare il<br />

problema nel dettaglio, lucidamente: «Un<br />

bambino che cade in un buco del diametro<br />

di 30 centimetri e profondo 50 metri,<br />

ha un tempo di sopravvivenza pari a un<br />

giorno o due, per un insieme di fattori (lo<br />

shock, le ferite, il buio, la paura, il freddo,<br />

la sete, la fame, l’aria che manca in profondità,<br />

la posizione innaturale che non<br />

permette la respirazione…). Detto questo,<br />

sorge spontaneo domandarsi perché,<br />

al momento del soccorso, insistiamo<br />

col metodo del tunnel parallelo (v. figura<br />

1), rivelatosi sempre inefficace. Si pensi<br />

che tale tunnel dovrebbe essere cinque<br />

volte più largo del pozzo in cui è caduto il<br />

bambino, in modo da permettere agli<br />

operai di accedervi, e questi ultimi poi<br />

dovranno scavare un secondo tunnel in<br />

orizzontale per poterlo raggiungere, magari<br />

usando anche dei microesplosivi (se<br />

in presenza di rocce). Se guardiamo i dati<br />

su internet, scopriamo che, su dieci<br />

tentativi basati su questo metodo, abbiamo<br />

avuto dieci insuccessi. Rendiamoci<br />

conto che un bimbo in quelle condizioni<br />

non può attendere le trivelle speciali, le<br />

quali prima devono essere cercate (e bisogna<br />

trovare quelle con le frese del diametro<br />

giusto), poi trasportate sul luogo<br />

dell’incidente e installate. E se il terreno è<br />

duro scavano solo pochi metri al giorno,<br />

e poi andrà scavato il tunnel orizzontale<br />

che è ancora più difficoltoso del primo, e<br />

poi, quando si raggiunge il bambino,<br />

sappiamo tutti che a quel punto recupereremo<br />

solo un corpicino morto! Dio non<br />

voglia, ma se un domani dovesse accadere<br />

un’altra disgrazia simile, useremo<br />

sempre questa procedura? Si aprirà un<br />

altro cantiere per lavorare una settimana<br />

18<br />

LAPO BALDACCI

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