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Personaggi<br />
<strong>La</strong>po Baldacci<br />
Cosa abbiamo imparato dall’incidente di Vermicino?<br />
Dalla tragedia di Alfredino Rampi a quella di Julen Rosello, il<br />
problema resta tristemente attuale. L’idea dell’inventore fiorentino<br />
<strong>La</strong>po Baldacci potrebbe salvare le vite dei bambini caduti nei pozzi<br />
di Umberto Sereni<br />
«Mi creda, le invenzioni più<br />
grandi nascono da aspetti<br />
banali. Le cose più semplici<br />
le perdi di vista, non le vedi. Il cervello<br />
le esclude da sé». Con queste parole <strong>La</strong>po<br />
Baldacci finisce di spiegarmi la sua<br />
idea per recuperare i bambini dai pozzi.<br />
Siamo nel suo studio in via della Cernaia,<br />
dove abbiamo passato più di due ore a<br />
parlare, prima ripercorrendo la sua carriera<br />
d’inventore – centoventi brevetti depositati<br />
in trent’anni – poi entrando nel<br />
vivo di quest’ultimo progetto, da lui definito<br />
“umanitario”. In effetti, per una vita<br />
Baldacci ha creato invenzioni nel campo<br />
degli elettrodomestici, ma ora ha deciso<br />
di mettere l’ingegno al servizio di esigenze<br />
ben diverse. Sono proprio alcuni dei<br />
suoi precedenti prodotti a farci capire come<br />
funziona il processo ideativo, e a dar<br />
Figura 1 – Il metodo del tunnel parallelo. Oltre<br />
a richiedere molto tempo, comporta il rischio<br />
di spingere il bambino ancora più in profondità<br />
senso alla parola da lui utilizzata, semplicità,<br />
che sembra proprio la chiave per<br />
un’invenzione di successo: l’accendigas<br />
piezoelettrico, il Gratì, la Mokona Bialetti –<br />
solo per citarne alcuni: la lista dovrebbe<br />
comprendere almeno altri cento prodotti,<br />
e non basterebbe l’intero pomeriggio per<br />
parlarne. Sono creazioni di una mente<br />
che, dopo aver osservato il problema, riesce<br />
a escogitare soluzioni che raggiungono<br />
l’obiettivo nel modo più conveniente e<br />
lineare possibile. <strong>La</strong> straordinaria attitudine<br />
dell’inventore, questa volta si è messa<br />
al servizio di un progetto umanitario. «Lei<br />
è giovane», ha esordito introducendo la<br />
sua idea, «e forse non si ricorda dell’incidente<br />
di Vermicino. Nel giugno del 1981<br />
io seguii – insieme a ventun milioni d’italiani<br />
– la triste vicenda di Alfredino Rampi<br />
caduto in un pozzo, e di certo non<br />
dimentico gli encomiabili sforzi messi in<br />
atto per salvare questo bambino, compresi<br />
i veri e propri atti eroici di quei volontari<br />
calati a testa in giù e legati per i<br />
piedi, col rischio di morte quasi certa.<br />
Poi, nonostante l’utilizzo di macchinari<br />
speciali venuti da lontano, abbiamo assistito<br />
alla tragica conclusione, dopo sessanta<br />
ore di inutile lotta. Recentemente,<br />
purtroppo, un caso analogo: in Spagna,<br />
Julen Rosello, di appena due anni, è caduto<br />
in un pozzo largo 25 centimetri, e a<br />
nulla sono valsi gli sforzi sovrumani di<br />
tecnici, operai, specialisti e speleologi affinché<br />
il bambino sopravvivesse. Purtroppo,<br />
chissà quante volte si sarà<br />
ripetuto questo triste copione in altre parti<br />
del mondo, senza che se ne abbia notizia.<br />
Ora, io non voglio insegnare niente a<br />
nessuno, ma forse uno come il sottoscritto<br />
potrebbe dare un piccolo contributo,<br />
suggerendo, con la massima<br />
umiltà, alcune osservazioni sui metodi di<br />
soccorso messi in atto in queste difficili<br />
situazioni. Con ciò non voglio certo criticare<br />
l’alto senso di abnegazione di uomini<br />
come Angelo Licheri, e dello speleologo<br />
Tullio Bernabei, ma alcune domande io<br />
me le sono fatte ugualmente». A questo<br />
punto, Baldacci procede a identificare il<br />
problema nel dettaglio, lucidamente: «Un<br />
bambino che cade in un buco del diametro<br />
di 30 centimetri e profondo 50 metri,<br />
ha un tempo di sopravvivenza pari a un<br />
giorno o due, per un insieme di fattori (lo<br />
shock, le ferite, il buio, la paura, il freddo,<br />
la sete, la fame, l’aria che manca in profondità,<br />
la posizione innaturale che non<br />
permette la respirazione…). Detto questo,<br />
sorge spontaneo domandarsi perché,<br />
al momento del soccorso, insistiamo<br />
col metodo del tunnel parallelo (v. figura<br />
1), rivelatosi sempre inefficace. Si pensi<br />
che tale tunnel dovrebbe essere cinque<br />
volte più largo del pozzo in cui è caduto il<br />
bambino, in modo da permettere agli<br />
operai di accedervi, e questi ultimi poi<br />
dovranno scavare un secondo tunnel in<br />
orizzontale per poterlo raggiungere, magari<br />
usando anche dei microesplosivi (se<br />
in presenza di rocce). Se guardiamo i dati<br />
su internet, scopriamo che, su dieci<br />
tentativi basati su questo metodo, abbiamo<br />
avuto dieci insuccessi. Rendiamoci<br />
conto che un bimbo in quelle condizioni<br />
non può attendere le trivelle speciali, le<br />
quali prima devono essere cercate (e bisogna<br />
trovare quelle con le frese del diametro<br />
giusto), poi trasportate sul luogo<br />
dell’incidente e installate. E se il terreno è<br />
duro scavano solo pochi metri al giorno,<br />
e poi andrà scavato il tunnel orizzontale<br />
che è ancora più difficoltoso del primo, e<br />
poi, quando si raggiunge il bambino,<br />
sappiamo tutti che a quel punto recupereremo<br />
solo un corpicino morto! Dio non<br />
voglia, ma se un domani dovesse accadere<br />
un’altra disgrazia simile, useremo<br />
sempre questa procedura? Si aprirà un<br />
altro cantiere per lavorare una settimana<br />
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LAPO BALDACCI