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Rivista Aprile 2020

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I libri del

Mese

I fracassati

Racconti di vita tra solitudine e disincanto nel romanzo di Alessandro Bini

di Erika Bresci

Una strada, stretta, del centro

storico fiorentino. Quello vicino

al mercato centrale. Da un lato

una casa, abitata da un protagonista maschile

di cui si tace il nome, quarant’anni

circa e una vita scombussolata, fatta

di insuccessi sentimentali e di precariato

lavorativo (un lavoro, tra l’altro, assolutamente

inusuale). Dall’altro lato un

bar, il “Cantuccino”, animato da una folla

multiforme di avventori e gestito da una

giovane donna, Titti, anche lei in affanno

con se stessa e schiacciata dal peso

difficilmente sostenibile di dover tirare su

da sola una figlia che si sta affacciando

all’adolescenza con problemi di una certa

gravità. Due vite apparentemente separate,

quelle di Lui e di Titti, divise da

venti metri difficili da percorrere, ma unite

da un filo di seta che Bini tesse e tiene

per tutto il romanzo stando attento a

non spezzare. Le storie che si svolgono

all’interno del bar chiariscono da subito il

titolo scelto dall’autore, I fracassati. Perché

al bancone di Titti si alternano – con

una tecnica quasi cinematografica, fatta

di inquadrature singole e primi piani che

illuminano d’improvviso e poi spengono

volti e azioni – uomini e donne di ogni

età, estrazione sociale, etnia, che ben

mettono in luce la grande capacità osservativa

di Bini e la pochezza triste, le miserie

quotidiane, le meschinità evidenti di

una società sempre più chiusa in se stessa,

sulla quale domina come un manto

venefico la solitudine. Quella della dolce

Corinna, vecchina alle prese con il carrello

della spesa che sogna ancora un valzer

da danzare, quella di Vittorio, che si

consuma nel livore covato contro i negri

(così chiama tutti gli extracomunitari che

incrocia) che hanno cambiato la fisionomia

del suo quartiere, quella di Andrea,

che non è solo, anzi presto festeggiato

dalla sua famiglia, ma che vive l’incognita

della pensione come una vertigine

sconosciuta, quella di Duccio, perso tra

metanfetamine e ignoranza che trova nella

violenza – verbale e fisica – la sua cifra

e la sua identità, quella di tanti altri

che riempiono e affaticano le giornate di

Titti. Lui, del resto, è parimenti un “fracassato”.

Incapace di restare attaccato a

quel “bottone” che metaforicamente dice

di saper cucire così bene sulla patta dei

pantaloni che resterebbe attaccato anche

se tutto il resto dovesse deflagrare. Disperso

nel suo non sapere dove andare,

ascoltatore per lavoro di storie incredibili

di altrettante solitudini, attratto da una

storia d’amore per una donna bellissima

e sensuale, con la quale sa dall’inizio che

non potrà funzionare, ma che desidera

pazzamente come acqua che possa dissetare

almeno per un attimo prima di ricominciare

a percorrere il deserto della

vita. Una dissociazione che avviene a tutti

i livelli – sociale, appunto, e intimo –,

che percorre in senso orizzontale l’intera

umanità e che non dà risposte né vaticini.

Che constata semplicemente, con

disincantato umorismo, solo talvolta con

caustica cattiveria, ciò che siamo diventati,

il pericolo che come specie stiamo

correndo. E alla fine Bini, con la sua solita

brezza di pungente sarcasmo arriva a

dire: «Inizio a provare una certa simpatia

per l’Asteroide», ipotizzando per noi la

stessa fine dei dinosauri. Forse, guardando

ai tempi che stiamo vivendo, il regalo

di estinguerci ce lo faremo da soli.

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I FRACASSATI

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