Pulp Libri 1 - aprile maggio 1996
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Sono ambedue citazioni tratte da La stanza chiusa, episodio
conclusivo della Trilogia di New York: ero riuscito frattanto a
trovare qualcuno che l'aveva, convincendolo a prestarmela.
Leggendo quel romanzo e il suo immediato predecessore,
Fantasmi, completavo il mosaico della prima matura prova
letteraria di Auster, che in passato aveva dato alle stampe
una raccolta di poesie e un paio di volumetti di impronta
dichiaratamente autobiografica: Il taccuino rosso (Il
Melangolo) e L'invenzione della solitudine (Anabasi). In
Fantasmi, il protagonista è l'investigatore privato Blue,
ingaggiato dal signor White per sorvegliare il signor Black:
ne viene fuori una storia claustrofobica ed enigmatica, al
termine della quale Blue scompare in dissolvenza trasfigurato
rispetto al personaggio conosciuto al principio gel libro.
Né destino differente tocca al protagonista de La stanza
chiusa, costretto dagli eventi a indagare sulla sorte del suo
amico d'infanzia Fanshawe - scrittore in incognito che decide
di scomparire improvvisamente e sulle cui tracce si pone,
per un po', anche l'ubiquo Quinn - fino al punto di immedesimarsi
con lui curandone la pubblicazione delle opere,
sposandone la moglie, adottandone il figlio e addirittura
divenendo l'amante della di lui madre. Ancora uomini che
si perdono, una volta messi alla prova dal caso. Aumentando
gli elementi a disposizione del lettore, il quadro diviene più
complesso, benché alcuni altri temi ricorrenti nell'opera di
Auster potrebbero permettere di decifrarne il discorso letterario.
La famiglia, per cominciare: owiamente sgretolata,
alla maniera di Carver, come vuole un rituale antropologico
della società americana contemporanea. Jim Nash lascia
moglie e figlia, partendo per il suo viaggio fatale; la moglie
e il figlio di Daniel Quinn sono già
morti, quando comincia Città di vetro;
Blue perde la fidanzata che stava per
sposare, 'isolandosi nell'investigazione
su Black; Fanshawe abbandona i suoi,
"cedendoli" all'amico di un tempo.
Peter Aaron, voce narrante nel recente
Leviatano ( Guanda), divorzia invece
cammin facendo, e tra le varie storie
sentimentali che seguono c'è quella
con la moglie del suo migliore amico,
Benjamin Sachs, vero protagonista di
quella metafora del rapporto tra individuo
e stato (da cui il titolo mutuato da Hobbes). Entrambi
scrittori, Sachs e Aaron vivono in modo diverso la propria
identità: il primo è un genio insofferente e ribelle, il secondo
un artista che dà forma con fatica
al proprio talento. Il secondo
soprawive e il primo muore, dilaniato
da un ordigno esplosivo mal confezionato,
all'apice di un delirio
dinamitardo che prende di mira
uno dei simulacri dell'America: la
Statua della Libertà. Sachs si era
professato incondizionato ammiratore
di Henry David Thoreau, scrittore
statunitense del XIX 0 secolo
che in opere quali Walden - lettura
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