Pulp Libri 1 - aprile maggio 1996
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vane pupillo non era nato da una costola di Apo/linaire, che voleva classicizzare
le avanguardie? Per Radiguet, che morirà di tifo proprio a vent'anni, tutto è
compiuto, proprio come in Rimbaud, che invece della morte trovò l'Africa ad
allungargli di poco l'esistenza. Fra i quindici ed i diciotto anni Radriguet scrisse
poesie che raccolse nel volume Le gote in fiamme; fra i diciotto ed i venti compose
due romanzi: Il diavolo e Il ballo del Conte d'Orgel. Giuseppe Raimondi,
introducendo il volume di poesie, scriveva:"11 trapasso dall'infanzia, in cui l'innocenza
è già perduta, all'adolescenza, con il suo corteo d'ansie, di realtà d'aggredire,
di una seconda nascita da affrontare, è segnato, puntualmente, nelle
trasformazioni dei toni e dei sentimenti delle poesie, in quelle che sono la
sostanza , la profonda unità dei due romanzi ...... Nulla più restava, nel suo
cuore, nella sua mente, fatta quasi vecchia, ancora da affrontare, chiarire, definire."
A tutte le persone che gli chiedevano se a diciassette anni si poteva dire
di aver vissuto, Radiguet rispondeva sfottendo: " Un romanzo scritto a
diciassette anni? E' un luogo comune e perciò una verità non trascurabile
che per scrivere si deve aver vissuto. Ma quel che vorrei
sapere è a quale età si ha il diritto di dire " ho vissuto". Per me
credo che a qualsiasi età e fin dalla più tenera, si è vissuto e si
comincia a vivere: non si può parlare dell'aurora senza aspettare
che annotti?" Ci sono momenti nelle società lettrarie europee del nostro
Novecento, dove il genio precoce è innanzitutto desiderato, poi cercato e infine
acclamato come una panacea universale, un piccolo buddha, la reincarnazione
stessa dell'arte. In ciò la società francese conserva certo il primato o almeno lo
ha avuto in quest'ultimo secolo. Ci sono a volte coincidenze miracolose, tra il
desiderio del pubblico degli addetti ai lavori e la rivelazione di un artista giovanissimo.
In Italia in questi ultimi due decenni abbiamo convissuto con una simile
illusione, di cui si sono visti soprattutto i guasti insieme a qualche scaglia di
indubbia bellezza. C'è. però una differenza. Negli anni venti era certo l'editore
Grasset a montare il caso Radiguet, ma dietro di lui c'erano uomini della qualità
di Jean Cocteau, non gli sfigurati venditori senza ··scrupoli letterari di oggi.
Quando un certo ritorno all'ordine accadde anche in Italia, la scoperta del ventunenne
Alberto Moravia avvenne attraverso un critico come Borgese. Il caso
Radiguet è dunque un caso nobile, dove la ,,stessa fabbricazione pubblicistica
del giovane scrittore di genio riguardava proprio il genio , non altre curiosità del
personaggio. Se persino con Marce/ Proust il battage pubblicitario non arrivò a
tanto, tutto ciò non può andare a demerito di un autore che aveva tutte le caratteristiche
per essere detto geniale. Dopo aver raccontato l'avventura della sua
traduzione, Francesca Sanvitale così conclude:" Raymond Radiguet risultava
un ibrido ed era il suo nuovo fascino. Un disastrato•centauro, un disperato
incrocio di letteratura e di cuore, di disprezzo per lo stile è sua esaltazione ..Egli
intendeva fermare, per non perderlo, il senso delle cose e di sè; non solo scrivere
una scandalosa storia d'amore, come si è creduto." Sanvitale salva il ricercatore
di una saggezza classica a dispetto degli amori clandestini narrati con
tanta maestria. Come per Gide anche per la Sanvitale è il ragazzo maudit che
irrita, l'anarchico di Cocteau, che si atteggia a don Giovanni, a libertino settecentesco,
che intreccia legami pericolosi. Ciò fece dire a Gide che l'autore
assomigliava soprattutto a Gobineau, scambiando per elitarismo l'odio per lo
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Grande Guerra, dei suoi disgustosi notabili.
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