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DI MAGAZINE cover ROBERTA FILENI _ FILENI GROUP

Fare per bene le cose è un vantaggio per tutti: il produttore, il consumatore, il benessere degli uomini e degli animali, il pianeta. Da sempre, la filosofia di Fileni, sede in provincia di Ancona e stabilimenti in tutte le Marche e non solo, leader nel settore delle carni biologiche in Italia e in Europa, è improntata su due principi cardine: la qualità del prodotto, come assunzione di responsabilità verso il consumatore, e la sostenibilità, come assunzione di responsabilità verso tutte le risorse ambientali impegnate durante il circolo produttivo. L'impegno di Fileni è di portare sulla tavola degli Italiani prodotti biologici di qualità superiore, che permettano a chi li sceglie di vivere una nuova esperienza e di riscoprire il gusto autentico della tradizione: “È naturale, è buono!” non è solo uno slogan pubblicitario, ma rappresenta e racconta una storia di impegno e passione per la produzione di prodotti sani e rispettosi del territorio che li ospita. Per garantire questo risultato Fileni coltiva in autonomia (o tramite contratti di coltivazione) le materie prime che servono a produrre i mangimi biologici con cui si nutrono gli animali. Questo consente un controllo totale sulla qualità che parte dal campo e arriva fino al piatto di portata. Non solo: grazie alla partecipazione attiva nel progetto Arca ideato da Bruno Garbini con la collaborazione di Giovanni Fileni ed Enrico Loccioni, vengono sperimentate tecniche di agricoltura rigenerativa che si ispirano alle antiche pratiche di coltivazione e che aiutano a combattere attivamente il dissesto idrogeologico e l'impoverimento dei terreni agricoli. Gli animali vengono allevati rigorosamente all'aperto su ampi terreni biologici e sono liberi di razzolare, nel totale rispetto della loro indole e del loro benessere... (clicca sulla foto e continua a leggere)

Fare per bene le cose è un vantaggio per tutti: il produttore, il consumatore, il benessere degli uomini e degli animali, il pianeta. Da sempre, la filosofia di Fileni, sede in provincia di Ancona e stabilimenti in tutte le Marche e non solo, leader nel settore delle carni biologiche in Italia e in Europa, è improntata su due principi cardine: la qualità del prodotto, come assunzione di responsabilità verso il consumatore, e la sostenibilità, come assunzione di responsabilità verso tutte le risorse ambientali impegnate durante il circolo produttivo. L'impegno di Fileni è di portare sulla tavola degli Italiani prodotti biologici di qualità superiore, che permettano a chi li sceglie di vivere una nuova esperienza e di riscoprire il gusto autentico della tradizione: “È naturale, è buono!” non è solo uno slogan pubblicitario, ma rappresenta e racconta una storia di impegno e passione per la produzione di prodotti sani e rispettosi del territorio che li ospita. Per garantire questo risultato Fileni coltiva in autonomia (o tramite contratti di coltivazione) le materie prime che servono a produrre i mangimi biologici con cui si nutrono gli animali. Questo consente un controllo totale sulla qualità che parte dal campo e arriva fino al piatto di portata. Non solo: grazie alla partecipazione attiva nel progetto Arca ideato da Bruno Garbini con la collaborazione di Giovanni Fileni ed Enrico Loccioni, vengono sperimentate tecniche di agricoltura rigenerativa che si ispirano alle antiche pratiche di coltivazione e che aiutano a combattere attivamente il dissesto idrogeologico e l'impoverimento dei terreni agricoli. Gli animali vengono allevati rigorosamente all'aperto su ampi terreni biologici e sono liberi di razzolare, nel totale rispetto della loro indole e del loro benessere... (clicca sulla foto e continua a leggere)

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dice un'indagine Ipsos commissionata da

WeWorld – ha fatto tutto da sola, senza aiuti.

Una percentuale che si impenna fino al 93% al

sud e nelle isole. E poi c'erano quelle – tante, più

degli uomini – che hanno continuato a lavorare

offline, in prima linea, nei settori essenziali tutti a

prevalenza femminile come sanità e servizi

sociali, ma anche commesse di supermercati e

attività di pulizia (donne che poi una volta a casa,

ovviamente, non erano esentate dal curarsi del

mènage domestico). Così è successo che nella

fascia d'età 20-50 le diagnosi di Covid tra le

donne sono state di 10 punti superiori rispetto

agli uomini, perché proprio in questa fascia d'età

le donne sono state più esposte al rischio. Ma

d'altro canto le donne sono anche le più presenti

nei settori cosiddetti non essenziali che durante il

Coronavirus hanno subito la chiusura totale:

ovvero turismo e ristorazione dove è femminile

l'84% della forza lavoro. Ciò significa – e

significherà – posto di lavoro a rischio,

diminuzione drastica del reddito personale e per

molte la perdita dell'indipendenza economica.

Una catastrofe non solo individuale ma anche

collettiva perché l'indipendenza economica delle

donne è la più importante garanzia di libertà e di

sviluppo sociale. Se pensiamo che il 60% dei

laureati nel nostro paese sono donne, ci

rendiamo conto come il nostro paese disperda,

di generazione in generazione, un patrimonio

umano di grandissimo valore. La situazione pre-

Covid del mercato del lavoro femminile era già

drammatica: in Italia lavora meno di una donna

su due (49%). Peggio di noi, in Europa, solo il

Montenegro, la Turchia, Macedonia e la Grecia.

Con l'effetto lockdown moltissimi posti di lavoro

persi. In Italia ci sono 484 mila persone in meno

che cercano lavoro (-23,9%) rispetto a marzo in

maggioranza donne: -30,6%, pari a -305 mila

unità rispetto agli uomini (-17,4%, pari a -179

mila) per lo più occupate in settori meno

remunerati: turismo, comunicazione,

commercio, lavoro di cura sanitario. La carenza

di donne nei settori scientifici e tecnologici, che

saranno tra i lavori più richiesti del futuro e tra i

meglio pagati, è un gap da colmare ed

un'opportunità da cogliere vista l'importanza

dell'economia digitale. E per quanto riguarda il

ruolo da dirigente? Idem. Le donne ai livelli più

alti della carriera sono anch'esse pochissime, si

calcola non più del 30%. Questo significa bassi

livelli dirigenziali e bassi livelli di stipendio. In uno

studio condotto da Tiziana Ferrario e Paola

Profeta per l'Istituto Toniolo intitolata: "Covid:

un paese in bilico tra rischi e opportunità",si

sottolinea come nelle famiglie italiane "le donne

ancora oggi si fanno carico della maggior parte

del lavoro domestico e di cura"; per il 74% di loro

non c'è nessuna condivisione di responsabilità

È tempo di

DIARCHIA

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