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La Toscana nuova - Anno 3 - Numero 10 - Novembre 2020 - Registrazione Tribunale di Firenze n. 6072 del 12-01-2018 - Iscriz. Roc. 30907. Euro 2. Poste Italiane SpA Spedizione in Abbonamento Postale D.L. 353/2003 (conv.in L 27/02/2004 n°46) art.1 comma 1 C1/FI/0074
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Sommario novembre 2020
I quadri del mese
Alice Cappellari, Ti sento, acrilico e pastelli ad olio, cm 59,5x71
alicecappellari@yahoo.it
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Tiziano Panconi, una vita tra i Macchiaioli e Boldini
L’inaugurazione del Pinocchio di Gabriel Diana a Collodi
La street photography secondo il maestro Stefano Mirabella
Henry Peach Robinson, padre del pittorialismo britannico
L’arte sensuale e macabra di Michel Fingesten a Sesto Fiorentino
Marcello Scuffi, pittore in dialogo con le avanguardie del ʼ900
I segreti del talento nell’intervista al maestro Massimo Barsotti
La mostra per gli 80 anni di Riccardo Ghiribelli e Angelo Vadalà
Enzo Mauri: l’autoritratto in un paesaggio
Edith Wharton, “ritrattista” letteraria innamorata di Firenze
Benessere della persona: i benefici dell’olio d’oliva per la pelle
Dimensione salute: Covid-19, l’incubo è tornato
Psicologia oggi: animali domestici, preziosi amici dell’uomo
La chirurgia robotica spiegata dal professor Lorenzo Masieri
Firenze e le pandemie nei racconti a cura di Luca Giannelli
Il pronto soccorso, microcosmo di emozioni nel libro di Stefano Grifoni
Il crocifisso di Giuliano Vangi per la cattedrale di Seoul
Speciale Pistoia: la collettiva I segni del tempo alla galleria Artistikamente
Pistoia Novecento: l’arte del secondo dopoguerra a Palazzo de’ Rossi
L’iter poetico di Roberto Mosi sulle tracce della civiltà etrusca
Picchiani e Barlacchi: un’eccellenza fiorentina lunga oltre un secolo
Barbara Dall’Acqua, designer di borse a Firenze
Le opere di Nikla Biagioli dalla Toscana al Veneto per una collettiva
Catia Andreini: un percorso artistico all’insegna della passione per il colore
Percorsi trekking in Toscana: la Valdinievole tra arte, natura e storia
Francesco e Chiara d’Assisi: due santi uniti da un amore spirituale
Il crowdfunding per il recupero della Badia a Passignano
Professionisti del teatro: intervista al tecnico del suono Orso Casprini
Ricordando Arthur Rubinstein, mitico pianista
Vizio di forma: il film magmatico di Paul Thomas Anderson e Thomas Pynchon
Il viaggio intorno al tempo di Antonio Cariola
A spasso negli anni ʼ50 con Paola Pisani Paganelli
Il vivace affresco di un tempo andato nelle lettere di Anchise Tempestini
La pittura di Rita Brucalassi tra natura e fantasia
La grande “famiglia” dell’associazione Auser Toscana
Giancarlo Bianchi: le ragioni della poesia
La collettiva al Centro Espositivo Culturale San Sebastiano
L’arte compagna di Mauro Boninsegni nell’esperienza della malattia
Ia Shariashvili, una pittrice classica e contemporanea
Toscana a tavola: origini e preparazione del baccalà
Il super tifoso viola: Lorenzo Amoruso, una vita per il calcio
China 2000: la formazione come strumento di marketing internazionale
L’arte della fotografia con il Movimento Life Beyond Tourism
Comfort e sicurezza nelle strutture di B&B Hotels Italia
Arte del gusto: assaggi d’autore con Massimiliano Liuzzi
L’avvocato risponde: il valore economico del marchio d’impresa
Jaqueline Magi, Campo di fiori, acrilico su tela, cm 120x70
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La Toscana nuova - Anno 3 - Numero 10 - Novembre 2020 - Registrazione Tribunale di Firenze n. 6072 del 12-01-2018 - Iscriz. Roc. 30907. Euro 2. Poste Italiane SpA Spedizione in Abbonamento Postale D.L. 353/2003 (conv.in L 27/02/2004 n°46) art.1 comma 1 C1/FI/0074
In copertina:
Il critico e storico dell'arte Tiziano
Panconi (ph. Aurora Ziani)
Periodico di attualità, arte e cultura
La Nuova Toscana Edizioni
di Fabrizio Borghini
Via San Zanobi 45 rosso 50126 Firenze
Tel. 333 3196324
lanuovatoscanaedizioni@gmail.com
lanuovatoscanaedizioni@pec.it
Registrazione Tribunale di Firenze
n. 6072 del 12-01-2018
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Partita Iva: 06720070488
Codice Fiscale: BRGFRZ47C29D612I
Anno 3 - Numero 10
Novembre 2020
Poste Italiane SpA
Spedizione in Abbonamento Postale D.L.
353/2003 (conv. in L 27/02/2004 n, 46)
art.1 comma 1 C1/FI/0074
Direttore responsabile:
Daniela Pronestì
direzionelatoscananuova@gmail.com
Capo redattore:
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La Toscana nuova - Periodico di attualità,
arte e cultura
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Testi:
Stefano Bandinelli
Rosanna Bari
Laura Belli
Giancarlo Bianchi
Margherita Blonska Ciardi
Mauro Boninsegni
Doretta Boretti
Fabrizio Borghini
Lorenzo Borghini
Erika Bresci
Viktorija Carkina
Jacopo Chiostri
Julia Ciardi
Nicola Crisci
Maria Grazia Dainelli
Massimo De Francesco
Aldo Fittante
Giuseppe Fricelli
Stefano Grifoni
Stefania Macrì
Elisabetta Mereu
Emanuela Muriana
Lucia Petraroli
Elena Maria Petrini
Antonio Pieri
Daniela Pronestì
Lucia Raveggi
Valter Quagliarotti
Barbara Santoro
Gaia Simonetti
Marco Spinicci
Michele Taccetti
Franco Tozzi
Francesca Vivaldi
Foto:
Julia Ciardi
Franco Giomini
Simone Lapini (ADV Photo)
Maurizio Mattei
Elisabetta Mereu
Alessandro Mayer
Stefano Mirabella
Fabrizio Papi
Henry Peach Robinson
Silvano Silvia
Roberto Spinicci
Aurora Ziani
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GIULIACARLA CECCHI
Pola Cecchi annuncia una
sorpresa per
"La Toscana Nuova"
dal prossimo dicembre 2020
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Personaggi
Tiziano Panconi
Una vita fra i Macchiaioli e Boldini
Il 5 dicembre apre al Mart di Rovereto la grande mostra Boldini, il piacere
di Daniela Pronestì
Tiziano Panconi, storico dell’arte
ottocentista, una vita dedicata
allo studio dei macchiaioli e
di Giovanni Boldini, dei quali è ritenuto
la massima autorità, è in procinto di
inaugurare la sua quinta grande mostra
dedicata al più internazionale fra
i pittori italiani dell’Ottocento: Boldini.
La mostra, la cui inaugurazione è stata
posticipata dal 14 novembre al 5 dicembre
per via delle recenti chiusure
dovute all’emergenza sanitaria, presenta
una ricchissima selezione di opere, quasi
centosettanta, provenienti dalle maggiori
collezioni private e musei, fra i quali la
Galleria degli Uffizi, Palazzo Pitti, il Museo
Boldini di Ferrara, Capodimonte e
molti altri, e si pone fra le esposizioni italiane
di punta del 2020-21.
Credevamo che il successo della mostra
su Boldini a Roma e Venaria Reale
nel 2017-18, con i suoi 220.000 visitatori,
avesse creato in lei un senso di appagamento
e invece la ritroviamo dove
ci eravamo lasciati, cioè sullo stesso
terreno ma ad affrontare una nuova
sfida…
Questo evento nasce dal concorso di diverse
circostanze. In primo luogo “il popolo
delle mostre” reclama a gran voce
Boldini e si fa sentire scrivendo costantemente
lettere ed email di esortazione per
poter tornare ad ammirarlo in un periodo
in cui, fra l’altro, il Museo Boldini di Ferrara
è chiuso per restauri. L’altro è la ricorrenza,
nel 2021, del novantesimo anno dalla morte
(1931) del grande maestro italo-francese
che non poteva che essere sottolineata
con un evento dedicato che fra l’altro ne
precede un altro, cioè la mostra al Petit Palais
di Parigi (30 marzo - 30 giugno 2021),
perché anche la Francia ha voluto onorare
uno dei più grandi artisti del XIX secolo che
proprio oltralpe fece la sua fortuna.
Questa mostra nasce da un’idea di Vittorio
Sgarbi, che l’ha voluta, insieme a
quella di Caravaggio, per inaugurare la
sua stagione di presidenza del Mart.
Quali sono le novità rispetto al passato?
Questa mostra nasce in effetti dall’incontro
fra me e Vittorio ed è la risposta italiana alla
mostra di Parigi che nel titolo associa il
nome di Boldini a quello di Marcel Proust,
Tiziano Panconi con il ritratto scultoreo di Boldini
opera di Vincenzo Gemito
mentre in quella del Mart è legato a Gabriele
d’Annunzio. Ovvero abbiamo voluto
evidenziare come Boldini, al suo arrivo
in terra francese, fosse già un grande maestro
internazionale, avendo portato con sé
un bagaglio culturale solido e ben strutturato
e soprattutto quasi impermeabile alle
coeve spinte impressioniste. Ci è parso
insomma che il confronto letterario con
D’Annunzio, appartenente fra l’altro alla generazione
precedente di Proust, questi nato
nel 1871, cioè l’anno di arrivo a Parigi di
Boldini, fosse più calzante, soprattutto per
la definizione di quel clima decadentista nel
quale Boldini fu non soltanto un maestro
ma un antesignano. D’Annunzio fu autore
di un romanzo in questo senso emblematico,
Il piacere, nel quale narra gli intrighi e la
vita lasciva degli ambienti dell’alta società.
Gli stessi dove vivevano le donne sensuali
di Boldini.
Una grande mostra e quindi un grande
investimento economico in periodo di
Covid. Come mai?
La tenda rossa
Questa è la vera scommessa del Mart di
Sgarbi che ha reagito tenendo alto il vessillo
identitario della cultura anche nelle
difficoltà. Quindi in questa occasione
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TIZIANO PANCONI
quotidiana dei problemi e delle aspettative
e poi dal mettersi a loro completa disposizione
anche al di fuori delle prassi
burocratiche che regolano normalmente
i rapporti fra enti promotori e collezionisti.
Anche questa volta accanto a opere
notissime come quelle provenienti dagli
Uffizi, dal Museo Boldini di Ferrara, dalle
Gallerie d’arte moderna di Torino, Firenze,
Milano e Roma, o da Capodimonte,
solo per portare qualche esempio, vi sono
capolavori di grandi collezionisti privati
come Il generale spagnolo, Berthé
che legge la dedica su un ventaglio, La
contessa de Rasty sul divano, i due ritratti
a olio di Madame Veil-Picard, La
tenda rossa, Giovane donna in deshabillé,
Nudo sdraiato, Il pianista Rey Colaco,
La contessa de Leusse e molti altri
ancora.
Miss Bell
saremo meno interessati ai numeri, consapevoli
che è importante soprattutto esserci
e dimostrare che l’Italia, anche nelle
sue funzioni pubbliche, non si arrende,
rivendicando sia il diritto dei cittadini di
nutrire lo spirito, sia il primato della bellezza
che Boldini esprime forse meglio di
chiunque altro. L’art system sta soffrendo
moltissimo e il futuro si presenta incerto
per la gran parte delle aziende del settore.
Per questa ragione ritengo che sia un preciso
dovere dello Stato in senso lato mantenere
vivo l’indotto, salvaguardandone le
preziose professionalità che rischiano di
scomparire per sempre.
Da eventi di questa portata ci aspettiamo
dipinti mai visti prima, opere
che nessuno era riuscito, fino ad oggi,
La lettera
a far uscire dal segreto del collezionismo
privato. Cosa dobbiamo attenderci
questa volta?
La difficoltà tutta italiana di convincere i
collezionisti a prestare i loro quadri più
importanti per esposizioni pubbliche nasce
dalla ristrettezza delle normative in
fatto di tutela del patrimonio che espongono
a rischio di notifica, da parte dello
Stato, le opere considerate di ingente
valore storico artistico. Per persuaderli
è necessario coinvolgerli in progetti innovativi,
nei quali i loro “gioielli” risultino
tasselli necessari all’edificazione di un
piano espositivo estremamente convincente.
Questo rapporto di fiducia nasce
dalla frequentazione e spesso dall’amicizia
con alcuni di loro e dalla condivisione
Chi fa parte di questo Comitato di studio
Boldini e cosa si propone di fare?
Naturalmente io che ne sono anche il direttore
e Sgarbi che ne è il presidente.
Poi ancora Pietro Di Natale (direttore della
Fondazione Ferrara Arte), Marina Mattei
(direttrice Museo Barracco, Roma),
Loredana Angiolino, Leo Lecci (Università
di Genova), Elena di Raddo (Università
La Cattolica, Milano), Lucio Scardino,
Gioia Mori (Accademia di Belle Arti, Roma),
Maria Teresa Benedetti, Beatrice
Avanzi (Mart, Rovereto) e Almerinda
Di Benedetto (Università Luigi Vanvitelli,
Napoli). Sono in corso numerose altre
iniziative, fra le quali un ciclo di convegni,
la pubblicazione di almeno due libri
di diversi editori, uno riguardante la vita
e l’opera di Boldini e l’altro un epistolario.
Poi altri eventi che verranno presto
annunciati.
Treccia bionda
La Marchesa Casati
Ritratto di signora
TIZIANO PANCONI
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Eventi in
Toscana
Gabriel Diana
Lo scorso 3 ottobre a Collodi l’inaugurazione dell’imponente
Pinocchio opera dello scultore italo-francese
di Aldo Fittante / foto courtesy Gabriel Diana
Numerosi sono quelli che conoscono
Collodi, la frazione
di Pescia che ospita il magico
Parco di Pinocchio. Ancora più numerosi
sono quelli che conoscono la famosa
marionetta resa celebre dal racconto
di Carlo Lorenzini, il testo più tradotto
al mondo dopo la Bibbia, il Corano
e Il Piccolo Principe. Grazie allo scultore
italo-francese Gabriel Diana, Pinocchio
ha fatto ancora parlare di sé. Lo
scorso 3 ottobre l’artista ha suggellato
la sua presenza a Collodi con l’installazione
di una grandiosa scultura sulla rotonda
d’accesso al paese, nel passaggio
obbligato di via Lucchese in direzione
via Panoramica. L’opera è monumentale
e si vede da lontano con i suoi cinque
metri e mezzo di altezza. Realizzata
dalla fonderia Il Cesello, è in bronzo e
acciaio corten, metalli pregiati scelti da
Diana per la loro solidità e per la durata
nel tempo. A causa del peso e della
dimensione, l’opera ha richiesto imponenti
mezzi meccanici per il trasporto e
l’installazione avvenuta sotto la supervisione
del presidente della Fondazione
Nazionale Carlo Collodi, Pier Francesco
Bernacchi, e dell’artista. La scultura,
ispirata al testo di Lorenzini, rappresenta
la famosa marionetta
che corre sulla
cresta dell’onda alla ricerca
del babbo Geppetto
ingoiato dalla balena. Stampa e
televisione hanno documentato l’inaugurazione
avvenuta alla presenza di Pier
Francesco Bernacchi, del presidente
della Provincia di Pistoia Luca Marmo,
del sindaco di Pescia Oreste Giurlani, di
alcuni consiglieri regionali e di numerose
personalità del mondo della cultura,
rappresentanti di associazioni e artisti
“amici” di Pinocchio. Dopo il taglio del
nastro, la cerimonia si è spostata a Villa
Arcangeli, sede della Fondazione Nazionale
Carlo Collodi. Nella stessa giornata
al Parco di Pinocchio sono state inaugurate
la mostra di scultura del maestro
Gabriel Diana e l’esposizione di quadri
ad intarsio di paglia dell’artista francese
Dominique Beniza, entrambe visitabili
fino a dicembre.
Particolare dell’opera
A partire da sinistra: l’avvocato Giovanni Giovanelli, lo scultore Gabriel Diana, il presidente
della Fondazione Nazionale Carlo Collodi Pier Francesco Bernacchi, il sindaco di
Pescia Oreste Giurlani e il presidente della Provincia di Pistoia Luca Marmo
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GABRIEL DIANA
Vista d’insieme della rotonda e nella foto accanto il cartello apposto per illustrare titolo e autore dell’opera
Le fasi d’installazione dell’opera
Di padre italiano e madre francese,
Gabriel Diana nasce
ad Orbetello il 1° ottobre del
1942. Giovanissimo frequenta l’accademia
di pittura a Bastia e nel 1961 si
arruola come volontario nella Marina
nazionale francese. Nel 1964, a Brest,
conosce Yvette Magueur e nel 1967
nasce il loro figlio unico Jean-Jacques.
Nel 1970 la coppia si trasferisce
a Milano. Diana riprende gli studi,
si laurea in Ingegneria ed esercita la
professione per una trentina d’anni. Nel
1999 apre un primo atelier a Milano. Nel
2001 suo figlio muore in un incidente
stradale a Fiorenzuola. Diana abbandona
Milano e si trasferisce in Corsica.
Nel 2005 viene elevato al grado di Cavaliere
dell’Ordine della Stella Italiana dal
presidente della Repubblica Carlo Azeglio
Ciampi. Nel 2009 fonda il Dian’Arte
Museum che nel 2013 viene gemellato
con il Museo dell’Ambra Gialla di Kaliningrad.
Nel 2019 il ministro della Cul-
tura Frank Riester lo insignisce del
maggior riconoscimento per un artista,
il Cavalierato delle Arts & Lettres.
Le opere di Gabriel Diana si trovano
in numerose collezioni private, luoghi
pubblici, musei e fondazioni. Il maestro
lavora tra Francia e Italia.
Dian’Arte Museum
5992, Route des Marines de Borgo
+33 (0) 669240110
www.gabriel-diana.com
GABRIEL DIANA
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I grandi della
Fotografia
A cura di
Maria Grazia Dainelli
Stefano Mirabella
La street photography nel racconto di un maestro in
questo genere fotografico
di Maria Grazia Dainelli / foto Stefano Mirabella
Com’è nata la tua passione per
la fotografia e come sei riuscito
a farne una professione?
Un mio zio mi regalò una macchina
fotografica compatta che è stata mia
compagna nei primi viaggi fotografici,
consentendomi fin da subito di comprendere
la potenza dell’immagine. Era
l’inizio della mia passione, alla quale
dedicavo purtroppo solo il tempo libero
perché lavoravo già in ambito televisivo.
Frequentai un corso di reportage
con Gianni Pinnizzotto e iniziai ad approfondire
lo studio della fotografia sul
web. Leggendo tutto quello che destava
il mio interesse, avvertii presto il bisogno
di trasmettere quello che apprendevo.
I risultati ottenuti al concorso Leica
Talent mi consentirono di intraprendere
la strada dell’insegnamento e dal 2018
insegno alle Officine Fotografiche a Roma
e collaboro sempre come insegnante
con la prestigiosa Leica Akademie.
Quali sono gli autori che ti hanno influenzato?
Mi hanno maggiormente colpito i fotografi
dell’Agenzia Magnum e le immagini
di grandi maestri che hanno
contribuito alla mia formazione, primo
fra tutti Cartier Bresson, ma anche Willy
Ronis, Robert Frank, William Klein, Joel
Meyerowitz e Alex Webb.
Dal 2012 ti dedichi alla street photography:
perché ti appassiona questo
genere di fotografia?
A mio avviso, il termine street photography
è fuorviante. La definirei piuttosto
“fotografia del quotidiano” che per
me è stata una folgorazione. Il fotografo
deve sapersi esprimere con un linguaggio
universale da adattare ai vari generi,
e questo è il mio linguaggio. Da subito
ho sentito l’esigenza di raccontare Roma,
città che ben conosco, alla ricerca
di attimi, situazioni particolari e connessioni
tra le cose. Ritengo affascinante e
costruttivo stare tra la gente, osservarne
e studiarne attitudini e comportamenti.
La strada è un teatro incredibile
dove il fotografo è allo stesso tempo attore
e spettatore.
La fotografia di strada è un genere
che si presta a realizzare soprattutto
scatti singoli. Secondo te è possibile
servirsene anche per dei progetti?
Il fotografo è alla ricerca della singola
potente immagine per esprimere quello
FOTOGRAFIA PASSIONE PROFESSIONE IN NETWORK
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Via Ponte all'Asse 2/4 - 50019 Sesto F.no (Fi) - tel 0553454164
che non ha in mente. Occorre andare in
strada e lasciare aperte le porte all’anarchia
che la quotidianità impone svincolandosi
da idee preconcette. Col tempo
nasce però anche l’esigenza di realizzare
dei racconti per immagini. A tale proposito,
vale l’esempio di Vivian Majer,
antesignana di questo genere fotografico
che, pur essendo guidata dall’esigenza
di immortalare quello che la
sorprendeva per le strade di New York e
Chicago, senza avere quindi un progetto
preordinato, con i suoi scatti ha in realtà
raccontato un’epoca.
Come si scatta una buona foto di strada
e quanto è alto il rischio di limitarsi
ad un banale esercizio di stile?
All’inizio bisogna per forza fare i conti
con la difficoltà oggettiva di avvicinarsi
alle persone. Occorre amare l’ambiente
in cui si vive, creare empatia e simbiosi
con i soggetti fotografati. Soltanto
così stare in strada e relazionarsi con
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STEFANO MIRABELLA
le persone diventa un piacere. In questo
mi è stato maestro Marco Pesaresi,
che mi ha insegnato un approccio sempre
sorridente e sereno. Il fotografo non
deve creare, ma osservare attentamente
quello che accade come in un teatro
vivente, uscendo dalle abitudini visive
che inibiscono la capacità di vedere
le cose sotto una nuova luce. Essere
più naturale possibile contribuirà a non
dare nell’occhio, rendendo quindi possibile
avvicinarsi a chi si ha di fronte,
mettendolo a proprio agio. La macchina
fotografica sempre al collo e la scoperta
di star bene con l’ambiente vanno di
pari passo con il lavoro svolto.
Nella serie Il cielo in una stanza hai
dimostrato cosa significhi guardare
la realtà in maniera nuova. Come nasce
questo progetto?
L’idea iniziale non era un progetto ma
lo è diventato in seguito. Ho cercato di
raccontare il cielo nella maniera più originale
possibile, ritagliando l’azzurro e
lavorando per astrazione. Allo spettatore
ho lasciato il compito e il piacere di
fantasticare su questi dettagli trovandovi
qualunque cosa l’immaginazione sia
in grado di suggerire. Un lavoro che ha
richiesto curiosità e grande costanza.
Quanto è importante sovvertire le regole
per essere liberi nella fotografia?
La fotografia è comunicazione ma anche
libertà. Per questo motivo occorre
prima conoscere e approfondire
la tecnica per poi evolvere nella conoscenza
di questo linguaggio attraverso
lo studio dei grandi fotografi.
Bisogna allenare l’occhio per cambiare
il proprio modo di guardare le cose.
Ho visto tante persone lasciarsi
affascinare dalla fotografia e perdere
poco a poco l’entusiasmo solo perché
non arrivavano a risultati immediati.
La fotografia ha bisogno di tempo
per essere studiata e metabolizzata, e
questo contrasta con un’epoca come
la nostra dove tutto cambia e si evolve
troppo velocemente.
Secondo te, i social influenzano la
fotografia? E quanto invece la fotografia
influenza le nostre vite?
I canali social sono un’arma potente
per far conoscere il proprio lavoro ed
entrare in relazione con molte persone.
Ogni giorno veicolano una straordinaria
quantità di immagini che
influenzano la nostra vita a più livelli.
Dobbiamo quindi imparare ad usarli
in maniera consapevole, distinguendo
le buone fotografie da quelle che
invece non meritano attenzione. Le
immagini devono trasmettere un’emozione,
catturare l’attimo, cogliere
il senso di una storia più di mille parole,
ma devono soprattutto suscitare
in chi le osserva domande utili ad
aumentare senso critico e consapevolezza.
Cosa pensi dell’utilizzo di Photoshop
nella street photography?
La foto di strada non ha necessità di
grandi interventi di postproduzione ma
di una semplice messa a punto. Grandi
autori del passato come Garry Winogrand
o William Klein sostengono che
il mondo è imperfetto e va fotografato
per quello che è. L’importante è sempre
essere onesti con se stessi e con
gli altri.
Da alcuni anni organizzi, con Alex Liverani
e Francesco Sembolini, l’Italian
Street Photo Festival. Quali sono
le finalità di questa iniziativa?
L’idea di realizzare un festival italiano
di street photography è nata a Francesco
Sembolini, e dal momento che siamo
tutt’e tre esperti in questo genere
di fotografia, abbiamo creato una squadra
unendo le nostre esperienze e competenze.
Quella di quest’anno è la terza
edizione nella sede delle Officine Fotografiche
a Roma. Un’avventura che
ci sta regalando grandi soddisfazioni,
consentendoci di organizzare giornate
d’incontro sulla fotografia alla presenza
anche di maestri di fama internazionale.
www.stefanomirabella.com
STEFANO MIRABELLA
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Spunti di critica
Fotografica
A cura di
Nicola Crisci e Maria Grazia Dainelli
Henry Peach Robinson
Padre del pittorialismo britannico, fu tra i promotori della
fotografia come forma d’arte
di Nicola Crisci / foto Henry Peach Robinson
When the day's work is done (1877) Maude and Ethel May Robinson (1868)
bre, è il risultato della combinazione di cinque
diversi negativi. Rappresenta l’agonia
di una ragazza malata di tubercolosi circondata
dalla sua famiglia; vi è uno spazio
simbolico rappresentato dal cielo in
tempesta che s’intravede al di fuori della
stanza, metafora della sofferenza dei parenti
che coinvolge lo spettatore nel dolore
e nel dramma dei personaggi. Divenne
così famosa che fu acquistata dalla regina
Vittoria per donarla al marito appassionato
fotoamatore. Per approfondire la
tecnica dello sviluppo fotografico, Robin-
Henry Peach Robinson
nacque a Ludlow
in Inghilterra il 9 luglio
1830 e morì il 21 febbraio
1901 a Tunbridge Wells. All’età
di vent’anni scoprì la fotografia
che all’epoca era vista come
un semplice strumento di
riproduzione della realtà a causa
dei procedimenti meccanici
richiesti per la produzione delle
immagini. Per Baudelaire la fotografia
era un’idiozia di massa
e una mera ancella della pittura.
Lo scopo del movimento pittorialista,
di cui Robinson fu uno
dei principali fondatori, era quello di elevare
la fotografia alla dignità delle arti maggiori.
Il lavoro di Robinson è di evidente
matrice pittorica. Le sue composizioni sono
state realizzate tramite il fotomontaggio
manuale di diversi negativi su un’unica
stampa positiva. Si partiva da un disegno
iniziale su cui venivano in seguito applicate,
grazie al fotomontaggio, immagini fotografiche
vere e proprie per eliminare la
perdita di nitidezza. A suo modo, Robinson
è stato un antesignano del fotoritocco.
Fading Away (1858), la sua foto più celeson
scrisse Pictorial effect in photography
(1869), un manuale che per decenni è rimasto
il lavoro più importante sulla pratica
fotografica e soprattutto sull’estetica in
fotografia. Nel 1892 divenne membro fondatore
del Linked Ring, un circolo che propugnava
la fotografia come forma d’arte.
Scattava spesso assumendo come modelli
attori in costume o donne dell’alta
società. Il suo obiettivo era produrre fotografie
che imitassero i dipinti e non aveva
scrupoli nel mescolare il reale e l’artificiale
per ottenere un effetto pittorico.
Fading Away (1858)
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HENRY PEACH ROBINSON
Firenze
Mostre
Eros e Thanatos
L’arte sensuale e macabra di Michel Fingesten a Sesto Fiorentino
di Stefano Bandinelli / foto Alessandro Mayer
La mostra Eros e Thanatos. L’arte
sensuale e macabra di Michel
Fingesten, che si è tenuta
al Centro espositivo Antonio Berti di Sesto
Fiorentino, racconta, con 450 opere
del collezionista milanese Giuseppe
Mirabella, l’artista ceco di origine ebraica
Michel Fingesten, definito “Odisseo
del XX secolo” in virtù di una vicenda
biografica avventurosa e movimentata.
Spirito libero, errabondo, apolide
e pacifista, fu destinato, in quanto di
madre ebrea, ad essere osteggiato e
perseguitato dal nazismo che condannò
non solo la sua persona ma anche
i suoi lavori che finirono nel calderone
dell’arte degenere. Anziché fuggire
in America, trovò vano rifugio nell’Italia
fascista, ricevendo momentaneo sostegno
proprio nel mondo milanese dei
collezionisti di ex libris, per poi, con la
promulgazione delle leggi razziali, finire
confinato in due campi di concentramento
e, per beffa del destino, morire
per un’infezione mal curata dopo la liberazione
del campo di Ferramonti di
Tarsia. La cerimonia di apertura della
mostra si è svolta lo scorso 20 settembre
presso il Centro espositivo Antonio
Berti, ma la rassegna si è sviluppata
anche a La Soffitta - Spazio delle Arti,
all’interno del Circolo Arci-Unione Operaia
di Colonnata, essendo inserita in
Alto-Basso, il progetto nato da un’idea
La mostra al Centro Berti
di Francesco Mariani e Giulia Ballerini
che unisce con un unico evento i due
poli culturali storici della città. Alla cerimonia
erano presenti il sindaco di Sesto
Fiorentino Lorenzo Falchi, il responsabile
del Gruppo La Soffitta Spazio delle
Arti e presidente del Circolo Arci-Unione
Operaia di Colonnata Francesco Mariani,
il curatore della mostra Giuseppe
Mirabella e gli storici dell’arte Emanuele
Bardazzi e Giulia Ballerini. «È una gioia
essere qui per aprire la mostra su Fingesten
− ha esordito Francesco Mariani
− perché insieme al curatore e prestatore
delle opere e agli storici dell’arte
abbiamo lavorato a questo progetto
per un anno intero e siamo certi che il
risultato vi stupirà». «È stato un lavoro
sovrumano − ha dichiarato Giuseppe
Mirabella −, sei mesi di ricerche per
riordinare tutto quello che avevo messo
via in cinquant’anni di collezionismo.
Non immaginate quante cose ho
trovato che ho riscoperto di avere. Ad
esempio una serie di disegni e tavole
collegati; avevo i disegni in un cassetto
e le tavole in un altro e solo studiandoli
ho visto che erano abbinati. Abbiamo
voluto fare un catalogo più per collezionisti
che per studiosi d’arte, con ben
642 fotografie». «Oggi non saremmo
qui − ha detto il sindaco Lorenzo Falchi
− se non ci fosse stata la grande
disponibilità dell’amico Giuseppe Mirabella
ad aprirci i suoi
scrigni per regalarci
questa bellezza. È
un evento davvero
importante per Sesto
Fiorentino che dimostra
ancora una volta
di avere una profonda
vocazione artistica».
«Questa mostra
− ha raccontato Giulia
Ballerini − completa
una trilogia di
grandi eventi iniziata
con Max Klinger
Le raccoglitrici di mele
e la grafica simbolista mitteleuropea e
proseguita con La vergine e la femme
fatale sull’eterno femminino nel Simbolismo
e nell’Art Nouveau. Fingesten
è stato un artista dissacrante e provocatorio
e questa sua arte così sensuale
e macabra allo stesso tempo non poteva
piacere ai regimi totalitari dell’epoca».
«Klinger − ha concluso Emanuele
Bardazzi − diceva che la grafica era il
campo più adatto a esprimere l’inconscio
e il mondo dei sogni arrivando fino
al fantastico, al macabro e all’orrido.
Fingesten ha questa componente molto
marcata di un’espressività drammatica,
ma nello stesso tempo colorata di uno
spirito umoristico. La figura femminile
è al centro di tutte le sue divagazioni,
spesso erotiche, ma ha anche dedicato
un ciclo alla figura della madre vista come
l’immagine consolatoria di un paradiso
ideale della maternità».
Eros e Thanatos. L’arte sensuale e
macabra di Michel Fingesten
Sesto Fiorentino (FI)
Sedi: Centro espositivo Antonio Berti,
via Pietro Bernini, 57
La Soffitta - Spazio delle arti, Piazza
Mario Rapisardi, 6
EROS E THANATOS
13
Incontri con
l’arte
A cura di
Viktorija Carkina
Marcello Scuffi
Una pittura erede delle più alte espressioni del Novecento
di Viktorija Carkina
Inizialmente dipingeva figure sacre.
Per quale motivo ha deciso poi di
cambiare direzione rivolgendosi alle
nature morte e ai paesaggi?
Da bambini facciamo le cose che pensiamo
essere difficili, ma quando cresciamo
ci accorgiamo che sono difficili per davvero.
In più, a parte le grandi opere storiche,
preferisco i dipinti che non hanno al
loro interno figure umane. Mi mettono tristezza,
mentre un paesaggio ben dipinto
mi trasmette calma. Come anche una natura
morta, che non è altro che una scena
di vita.
Ha soggiornato a lungo a Bruxelles;
quali effetti ha avuto sul suo lavoro
questa esperienza?
Tintoria (2020), olio su tela, cm 95x140
Nel 1987 sono andato per la prima volta
a Bruxelles insieme a mia moglie. Ci sono
andato perché, mentre in Italia da pittore
stavo vivendo un periodo buio, un
mio amico ha organizzato per me un’importante
mostra in Belgio, nella sede del
Banco di Roma. La prima volta ho passato
un mese e mezzo a Bruxelles, mentre
la seconda volta ci sono andato per
tre mesi per presenziare all’inaugurazione
della mostra. L’esperienza all’estero mi
è servita per inserirmi meglio nel mercato
dell’arte e ha cambiato la mia posizione
all’interno della scena artistica europea.
Un altro fattore importante per la mia carriera
è stato sicuramente l’incontro con il
gallerista Orler nel 1996, che ha subito acquistato
settanta dei miei quadri raffiguranti
le persiane rotte, compresi da pochi
fino a quel momento.
Nei suoi quadri ci sono molteplici richiami
all’arte italiana tra Carrà, Rosai,
Morandi, Sironi, De Chirico, ma
anche all’arte di epoche lontane.
Nelle mie opere c’è un forte richiamo
all’Umanesimo, al Medioevo e alla tradizione
pittorica toscana. In particolare, ho
tratto ispirazione dagli affreschi che vedevo
nelle chiese fin da piccolo. I capolavori
dei classici italiani mi hanno insegnato
ad essere un pittore tonale e tutt’oggi la
maggior ispirazione per le scene marine
con le barche proviene dagli accostamen-
Circo di periferia (2020), olio su tela, cm 95x140
www.florenceartgallery.com
14
MARCELLO SCUFFI
ti dei colori che osservavo nelle vesti degli
apostoli.
Nelle sue opere s’intravede una patina
di nostalgia, forse perché sono immagini
provenienti da ricordi del passato?
Sì, i miei soggetti provengono da un periodo
passato della mia vita. In questi
dipinti, il tempo non appartiene più alla
realtà, ma si trasforma in sogno. Non
dipingo le cose che vedo, ma quelle che
sento. I treni, i circhi, il mare sono tutti ricordi
della mia infanzia. Il mare l’avevo visto
solo alla televisione in bianco e nero e
soltanto all’età di 14 anni lo vidi per la prima
volta per davvero. Quella volta rimasi
colpito e decisi di cominciare a dipingere.
Devo ammettere che i miei primi tentativi
non furono soddisfacenti. Poi, dopo il
mio matrimonio, ho conosciuto Salvatore
Magazzini, che abitava accanto a me,
e insieme abbiamo dipinto un quadro: io
due figure su una terrazza e lui il paesaggio
intorno. È stato allora che ho iniziato
a dipingere.
Cosa può dirci del suo percorso artistico
da autodidatta?
Ho studiato tanto da casa, leggendo numerosi
libri d’arte. Ponevo particolare attenzione
alla composizione, che per me è
fondamentale nella costruzione della geometria
del dipinto. Già nei quadri dei
grandi maestri come in Una domenica
pomeriggio all’isola della Grande-Jatte di
Seurat notavo che ogni elemento è posto
in un determinato punto del quadro e non
potrebbe non esserci. Anche le mie opere,
se si levasse un elemento qualsiasi, perderebbero
l’armonia compositiva. L’ordine,
come anche il disordine, fanno parte
di me. Il disordine vitale lo compenso con
l’ordine creato nei dipinti.
Fra le tante letture fatte negli anni,
quali hanno maggiormente influenzato
la sua ricerca artistica?
Oltre a numerosi libri di storia dell’arte,
ho letto anche alcuni trattati sulla pittura,
ma devo dire che sono risultati piuttosto
inutili. Per esempio, ho imparato gli accostamenti
dei colori ad olio, ma queste
informazioni oggi non servono più. Adesso,
date le componenti chimiche e non
più naturali, i colori ad olio sono diventati
molto più semplici nella lavorazione
e, oltre a reggere meglio la luce, possono
anche essere mischiati fra loro. Nella
mia ricerca ho spesso preferito l’olio
e l’acquarello. Ho realizzato anche alcuni
affreschi che, tramite la tecnica dello
strappo, oggi si trovano in collezioni private.
La potenza dell’affresco sta nel fatto
di dipingere sull’intonaco fresco, su una
superficie granulosa; una pittura che crea
volume e perciò attira la mia attenzione.
Come vede la scena dell’arte contemporanea?
Cornici Ristori Firenze
www.francoristori.com
Via F. Gianni, 10-12-5r, 50134 Firenze
Già nel 1972, quando ho cominciato a fare
il pittore, mi sono subito distinto da
tutti gli altri artisti a me contemporanei.
Mentre altri percorrevano l’arte informale
e l’arte astratta, io ho preferito continuare
il percorso dell’arte tradizionale. Sono appassionato
di artisti come Pollock e Burri
ma a grandi linee sostengo che dopo
la Merda d’artista di Manzoni non c’è più
niente da inventare, essendo insuperabile
dal punto di vista della provocazione.
Che conseguenze ha avuto l’attuale
emergenza sanitaria sull’andamento
del suo lavoro?
Il gallerista che mi rappresenta non ha
sentito gli effetti della pandemia, il nostro
lavoro procede come prima. Ovviamente,
questa situazione ha influenzato il calendario
delle mie mostre, che sono state ridotte.
Per quanto riguarda l’ispirazione, a
me piace definirla piuttosto “voglia di lavorare”.
Mentre dipingo sento il desiderio
di andare avanti mescolarsi ad uno stato
di esaltazione e di grazia. Dipingo tutti
i giorni perché sostengo che bisogna
lavorare sempre. Mi capita raramente di
“staccare” la mente e anche in queste occasioni
spesso trovo una fonte d’ispirazione.
Non dipingo en plein air perché ho
bisogno di silenzio e le persone o il rumore
intorno mi distraggono.
Deposito di vecchi treni (2020), olio su tela, cm 95x140
Porto canale (2020), olio su tela, cm 95x140
MARCELLO SCUFFI
15
Personaggi
Massimo Barsotti
I segreti del talento secondo un virtuoso del pianoforte
di Doretta Boretti / foto courtesy Massimo Barsotti
Straordinario pianista, abilissimo
compositore, direttore della
Scuola di Musica di Campi Bisenzio,
Massimo Barsotti non ha mai
perso quell’innata semplicità così comunicativa
da renderlo un artista veramente
unico. Ho avuto il privilegio di
assistere ad un suo concerto e non sono
riuscita a spiegare, a me stessa e
agli amici che mi accompagnavano, come
facesse a suonare con tale virtuosismo.
Eravamo incantati nell’ammirare
quelle mani che si muovevano come
piume sui tasti bianchi e neri di un bellissimo
pianoforte a coda, mentre una
musica stupenda, come un’intera orchestra,
arrivava ai nostri orecchi, riempiendoci
di stupore. Vale la pena,
quindi, chiedere direttamente a lui, con
questa intervista, in che cosa consista
davvero il talento.
C’è una predisposizione personale in
questa sua straordinaria capacità di
suonare?
La predisposizione è una caratteristica
fondamentale per arrivare ad alti risultati,
ma questa da sola non basta. Occorre,
infatti, avere curiosità e voglia di
realizzare l’obbiettivo che ti stai proponendo.
La capacità di suonare ed esprimersi
attraverso la musica è innata in
ognuno di noi, ma il livello di perseveranza
capace di superare ostacoli talvolta
apparentemente insormontabili
varia da persona a persona. Di fatto il
raggiungimento di un pianismo di alto
livello si potrebbe riassumere con le tre
“p” di predisposizione, passione e perseveranza;
se manca una sola di queste
caratteristiche non si potranno ottenere
grandi risultati.
Quanto studio occorre per arrivare a
certi livelli artistici?
Uno dei più grandi pianisti di tutti i tempi,
Arthur Rubinstein, parafrasando Paganini,
diceva: «Se non suono per un
Il maestro Massimo Barsotti
giorno me ne accorgo io, se non suono
per due giorni se ne accorge mia moglie,
se non suono per tre giorni se ne
accorge la cameriera!». Quando si raggiungono
vette altissime di esecuzione,
l’allenamento quotidiano di diverse
ore è necessario. Come un atleta che
intraprende l’agonismo ad alti livelli ha
bisogno di allenamenti quotidiani per
spingere il fisico al di là dei propri limiti,
così anche il concertista deve tenere
in allenamento le proprie mani e la
propria mente con brani sempre più ardui
che possano superare ogni difficoltà
tecnica. Il repertorio pianistico che
i compositori dal Settecento in poi ci
hanno lasciato è immenso; non basterebbe
una vita per poterlo solamente
“leggere”, figuriamoci per approfondirlo
e perfezionarlo. Un concertista che
si possa definire tale, non può esimersi
dal passare giornalmente molte ore
sullo strumento, ripetendo all’infinito
i passaggi più ardui, ma non solo:
il bravo musicista deve anche carpire
il significato recondito di ogni frase
ed essere interprete corretto del messaggio
che il compositore ha voluto
esprimere. Non solo esercizio “fisico”,
quindi, ma anche una profonda conoscenza
della musica e di tutto quello
che sta al di là di ogni nota è presupposto
fondamentale per arrivare ad altissimi
risultati tecnici ed interpretativi.
Pianista e compositore: l’opera Vanità
di Vanità ha riscosso un enorme
successo…
Nacque quasi per gioco nel 2000 da
un’idea del mio grande amico padre
Carlo Guarnieri della Congregazione
dei Padri Filippini di San Firenze che ha
scritto il libretto dell’opera. La versione
iniziale era un musical che realizzammo
nella chiesa fiorentina con molto successo;
il pubblico dimostrò grandissimo
apprezzamento di ogni brano dello
spettacolo con applausi scroscianti a
scena aperta. L’opera si distaccava dal
musical tradizionale essendo le melodie
molto elaborate e concertate in maniera
complessa, tanto da indurmi a
realizzarne una versione “operistica”
con cantanti lirici e orchestra sinfonica
dal vivo. Nel 2015, anno del cinquecentesimo
anniversario di San Filippo
Neri, ci fu la prima al Teatro della Pergola
di Firenze, con un pubblico numerosissimo
che ci rese molto orgogliosi
di questo risultato, raggiunto peraltro
con enormi sacrifici dal punto di vista
16
MASSIMO BARSOTTI
organizzativo e grazie anche all’aiuto di
amici colleghi come il maestro Riccardo
Centazzo che, visto il poco tempo
che avevamo a disposizione, mi aiutò
molto realizzando diverse orchestrazioni
delle mie composizioni. La creatività
della composizione è una caratteristica
molto gratificante per il musicista che
crea per appagare il proprio gusto e si
gratifica doppiamente quando incontra
anche quello del pubblico. Come diceva
Schumann: «Mandare luce dentro le
tenebre del cuore degli uomini. Tale è il
dovere dell’artista». La vita quotidiana
spesso tende ad annichilirci, a schiacciare
l’anima, e la creazione di un’opera
d’arte ci aiuta a farci sentire più vicini e
simili a Dio.
Lei è anche direttore della Scuola di
Musica di Campi Bisenzio e titolare
della cattedra di pianoforte.
L’insegnamento è un’attività fondamentale
per noi concertisti. Custodire
la propria arte solo per se stessi è un
atto di egoismo culturale. Dare la possibilità
ai propri allievi di crescere musicalmente
e diventare futuri concertisti è
una soddisfazione altrettanto grande di
quando si è su un palcoscenico a suonare.
Sono più di trent’anni che dirigo
la scuola di musica campigiana, dalla
quale sono già usciti numerosi ragazze
e ragazzi divenuti nuovi concertisti.
Il nostro principale scopo è cercare di
appassionare gli allievi alla grande musica,
insegnare loro le tecniche basilari
in modo da poterli poi far suonare
insieme e contestualmente prepararli
a superare gli esami in conservatorio.
La musica è oltretutto un grandissimo
veicolo capace di far socializzare i ragazzi
e farli crescere in maniera sana
ed intelligente; purtroppo, questo potenziale
non è ancora molto sviluppato
nelle scuole pubbliche dove questa materia
spesso non è neppure presente.
Lo sforzo di ogni musicista professionista
nel diffondere la cultura musicale
anche attraverso l’insegnamento deve
essere una nostra priorità riempiendo
quindi quegli spazi ahimè lasciati vuoti
dalle istituzioni.
Immagino che la pandemia non le
abbia impedito di suonare, la musica
valica spazio e tempo. Quali saranno
i prossimi appuntamenti?
L’incredibile periodo che abbiamo passato
ci ha fatto rendere conto ancor di
più dell’importanza della musica grazie
a tutti quei musicisti che suonavano
dai terrazzi, dai tetti delle case, che
si riunivano tramite il web per creare
orchestre e cori virtuali che ci sollevavano
dalla tristezza dei momenti bui
di completa chiusura nelle nostre case.
Grazie alla tecnologia non ho mai
smesso di fare lezione ai miei allievi
seguendoli spesso quotidianamente
via Internet e, nonostante le problematiche
della lezione a distanza, con
mia grandissima soddisfazione e gratificazione,
alcuni allievi sono persino
riusciti a superare l’esame di ammissione
per entrare in conservatorio.
Purtroppo tutti gli impegni concertistici
previsti nei mesi di lockdown sono
stati annullati; solamente verso la
fine di luglio le mie attività sono parzialmente
riprese e mi hanno visto da
Cascina a Sondrio, dall’Umbria all’Abruzzo
a Genova con un progetto musicale
di elaborazioni che ho fatto per
diversi organici strumentali su musiche
del compianto Ennio Morricone.
In tutti questi concerti, dove peraltro
l’apprezzamento per le esibizioni è stato
altissimo, si è registrato sempre un
afflusso notevole di pubblico se non
il sold-out, ed ho soprattutto avvertito
la voglia delle persone di un ritorno
alla normalità. Purtroppo impegni
e concerti futuri stentano a riprendere
visti i momenti incerti che stiamo
ancora vivendo, ma una cosa è sicura:
nessun virus o lockdown potrà mai
fermare la musica. Del resto come diceva
Nietzsche: «La vita senza musica
sarebbe un errore».
MASSIMO BARSOTTI
17
FLORENCE ART
DEPOSIT GALLERY
FLORENCE ART
La sede dell’associazione Save the Culture
(Salviamo la Cultura) all’interno della Florence
Art Deposit Gallery non è stata scelta a
caso. Si trova, infatti, nel cuore del centro
storico fiorentino, in un luogo sacro in quanto
tabernacolo edificato agli inizi del XIV secolo,
forse anteriormente alla Chiesa di San
Michele della cui struttura fa parte. Secondo
fonti storiche, in questo luogo avrebbe trovato
sepoltura Filippino Lippi, allievo prediletto
di Sandro Botticelli.
La Florence Art Deposit Gallery ha uno stile
contemporaneo, con un impianto d’illuminazione
che permette di valorizzare le opere
esposte assecondandone le specifiche peculiarità.
Dall’apertura, nel maggio 2019, si sono
tenute alla Florence Art Deposit Gallery oltre
trenta attività culturali legate ai progetti
internazionali Arte senza frontiere, Carattere
della Donna, Vivere, senza paura. La galleria,
diretta da Yuliya e Alesia Savitskaya, ha inoltre
partecipato alla fiera internazionale Art Vilnius
2020 curando la presentazione delle opere
di un’artista lituana. Tra i progetti più recenti,
i video in lingua russa − visibili sul canale You-
Tube “Yuliya&Alesia Savitskaya” e realizzati in
collaborazione con il fotografo Pietro Schillaci
− all’interno dei quali vengono presentate le
mostre della galleria unendole alla storia di
Firenze per farla conoscere al pubblico russo.
Sia gli artisti che il pubblico hanno dimostrato
pieno apprezzamento per la qualità e l’ospitalità
dello spazio artistico diretto da Yuliya e
Alesia Savitskaya, il cui intento è coniugare la
grande tradizione artistica fiorentina con le
nuove multiformi tendenze dell’arte contemporanea.
Loro obiettivo è anche riunire artisti
e appassionati d’arte per sostenere la cultura
in un momento storico di grande disagio. Per
questo motivo, l’associazione Save the Culture
e la Florence Art Deposit Gallery continueranno
a portare avanti la loro attività con mostre
d’arte ed eventi culturali di ampio respiro.
a.saveculture@gmail.com
Save Culture
florenceartdepositgallery
Yuliya&Alesia Savitskaya
Ph. Pietro Schillaci
Firenze
Mostre
Ancien prodige
Alla Florence Art Deposit Gallery la mostra per gli ottant’anni di
Riccardo Ghiribelli e Angelo Vadalà
di Jacopo Chiostri / foto courtesy Florence Art Deposit Gallery
Festa grande alla Florence Art Deposit
Gallery per i due “Ancien
prodige” − come recita il titolo
della mostra − Riccardo Ghiribelli e
Angelo Vadalà che in questo 2020 hanno
compiuto gli ottant’anni. Una piccola
folla di amici, artisti e familiari ha
partecipato all’evento organizzato dal
fotografo Stefano Girardi in collaborazione
con Yuliya e Alesia Savitskaya, titolari
della galleria. A ricordare la storia
dei due “giovanotti” lo storico dell’arte
nonché presidente del Gruppo Donatello
Ugo Barlozzetti e il giornalista Jacopo
Chiostri. È stata ripercorsa la storia
artistica dei due: per Ghiribelli, dagli anni
romani con Emilio Cecchi, De Chirico
e gli altri, le trasferte parigine, la creazione
del mitico Bafomet, fino al decennio
al timone delle Giubbe Rosse e
la creazione del Museo di arte moderna
e contemporanea Telesia Museum a
San Roberto in provincia di Reggio Calabria;
per Vadalà, dall’approdo a Firenze
dalla natìa Messina per studiare
architettura, l’innamoramento per i tesori
artistici della città che lo convinsero
ad intraprendere la carriera di pittore,
gli anni negli USA a contatto con il neorealismo
allora imperante e il suo lavoro,
proseguito fino a oggi senza soste,
che lo hanno portato a essere considerato
uno dei più rinomati e apprezzati ritrattisti
italiani. Poi, come detto, è stata
festa, tra i quadri dei due che facevano
bella mostra di sé nella sala nobile della
galleria, accompagnati su altre pareti
dalle opere di altri pittori che hanno
così voluto rendere loro omaggio. A fine
serata, i saluti, e poi, a sopire un po’
di nostalgia, una promessa fatta da entrambi:
«Siamo solo all’inizio!».
In questa e nella foto sotto due opere di Angelo
Vadalà in mostra
Riccardo Ghiribelli con alcune sue opere esposte
Un momento della presentazione: sulla destra seduti Angelo Vadalà e Riccardo Ghiribelli
ANCIEN PRODIGE
19
Occhio
critico
A cura di
Daniela Pronestì
Enzo Mauri
L’autoritratto in un paesaggio
di Daniela Pronestì
La tradizione romantica insegna
a considerare la pittura
di paesaggio come un genere
in cui si comincia ritraendo la natura
e si finisce per ritrarre se stessi. «Il
compito dell’arte − scrive Caspar Friedrich
− non consiste nella fedele rappresentazione
del cielo, dell’acqua e
degli alberi ma è la sensibilità dell’artista
che deve rispecchiarsi nella natura».
La condizione di solitudine del
pittore di fronte alla natura trasforma
quest’ultima in uno specchio nel quale
vedere riflessa la propria immagine
come se si stesse dipingendo un autoritratto.
In altre parole, rappresentare
un paesaggio significa guardare
fuori per guardarsi dentro, passando
dall’osservare la realtà al sentirla
risuonare interiormente. Enzo Mauri
conosce bene la sensazione che si prova
quando il paesaggio che si ha davanti
non è soltanto uno spettacolo da ammirare.
È uno scrigno di memorie che
dischiude allo sguardo il ricordo di momenti
trascorsi con gli affetti più cari, di
passeggiate estive lungo i campi assolati,
di pace ritrovata lontano dai rumori e
dal caos della città. Un luogo del cuore,
quindi, e nel caso di Mauri anche il motivo
che lo ha spinto a cimentarsi nella
pittura, segnando l’inizio di un percorso
che − come si è visto
su queste pagine − è poi
proseguito con un passaggio
alla figurazione.
Ma alla figura probabilmente
non sarebbe mai
arrivato se non avesse
prima forgiato la propria
sensibilità ritraendo
forme e colori del paesaggio.
Non è azzardato
supporre che il suo interesse
per la figura umana
nasca dall’aver sperimentato,
proprio attraverso il
paesaggio, quanto la pittura
possa essere un
filtro attraverso il quale
interpretare il mondo
partendo da se stessi. E
nella natura, infatti, Mauri
ritrova se stesso e con
se stesso si confronta,
spingendo lo sguardo fino
al punto in cui non c’è
20
ENZO MAURI
più distanza tra il vedere fuori e il sentire
dentro. Soltanto così si spiegano alcune
caratteristiche dei suoi paesaggi,
a cominciare da una costruzione dello
spazio in cui sembra che sia la natura
a muoversi verso l’osservatore e non
viceversa. In alcuni dipinti si ha come
l’impressione di affondare nel colore,
nella consistenza liquida
di un azzurro plumbeo
che comprende acqua,
cielo e terra o nell’infinita
gamma di grigi che
avvolge alberi e colline
ricordando le sbiaditure
di una vecchia fotografia
in bianco e nero.
Altre volte è l’immaginazione
a dover entrare in
gioco per rivelare ciò che
il quadro non fa vedere
o lascia appena intuire:
l’orizzonte nascosto
dietro un gruppo di alberi,
una siepe o il fianco di
una collina sollecita l’osservatore
ad andare oltre
quell’ostacolo con uno
sforzo di fantasia. Lo
stesso sforzo che l’artista
per primo ha compiuto
dipingendo con gli
occhi della mente, come s’intuisce dalla
scelta di tinte sature e irrealistiche,
dall’assenza di passaggi chiaroscurali,
dal colore dato per brevi tocchi o stesu-
ENZO MAURI
21
re piatte. Accorgimenti che rispondono
ad una trasposizione del tutto personale
del dato naturalistico, poco attenta alla
resa dei dettagli perché interessata invece
a catturare l’impressione generale
del paesaggio, l’atmosfera dominante.
Si va dalle scene in pieno sole − tripudio
di gialli e di verdi imbevuti di luce
estiva − al pulviscolo luminoso dell’alba
riflessa in uno specchio d’acqua, per arrivare
alla nebbia densa, quasi palpabile,
di un inverno trascorso sulle sponde
del lago. Più che veri e propri paesaggi
si direbbero trasposizioni di stati d’animo,
immagini recuperate nella memoria
e trasferite sulla tela per dipanare un
groviglio di sensazioni. Attribuendo alle
opere un aspetto non finito, a volte
quasi astratto, con colori accostati l’uno
all’altro senza sfumature, pennellate
rapide e diluite, Mauri mantiene vive
le emozioni che accompagnano queste
visioni interiori fissandole sulla tela.
La pittura diventa allora celebrazione
di valori artistici ed umani insieme; una
verità consegnata al colore con il tono
intimo di una confessione.
22 ENZO MAURI
A cura di
Massimo De Francesco
Letterati stranieri in
Toscana
Edith Wharton
Una “ritrattista” letteraria innamorata di Firenze
di Massimo De Francesco
Edith Wharton Newbold Jones
nasce a New York il 24 gennaio
del 1862, durante la guerra
civile americana, da una delle più
prestigiose famiglie americane. Nel
1866, terminata la guerra, i Jones si
trasferiscono in Europa dove vivono
fino al 1872, anno in cui rientrano in
America. Edith aveva allora dieci anni
e, grazie alla sua permanenza in Europa,
parlava fluentemente francese,
italiano e tedesco. A New
York riceve un’educazione privata,
dando prova del suo innato
talento letterario a soli 16
anni, quando nel 1878 pubblica
alcune poesie sull’Atlantic
Monthly, rivista letteraria fondata
a Boston. Nel 1885 sposa il
banchiere Edward Wharton, con
il quale viaggia in Europa per
quattro mesi ogni anno. Divorzia
nel 1913, mantenendo il cognome
del coniuge con il quale
è ancora oggi conosciuta. Tra i
suoi capolavori letterari più celebri,
Ethan Frome (1911), La casa
della gioia (1905) e L’età dell’innocenza
(1920), per il quale riceve,
prima donna nella storia, il
premio Pulitzer e da cui è tratto
l’omonimo film diretto nel 1993
da Martin Scorsese. Rientrata
in Europa per fuggire dalla soffocante
New York, si trasferisce
in Francia nonostante il suo sviscerato
amore per l’Italia, di cui
parla spesso nei suoi libri citando
città come Venezia, Firenze,
Roma e Napoli. Nel saggio Ville
e giardini italiani, pubblicato
nel 1903 con all’interno le illustrazioni
dell’incisore fiorentino
Giuseppe Zocchi, descrive
doviziosamente il giardino all’italiana.
Sullo stesso argomento
ritorna qualche anno dopo
con Italian Backgrounds (1905),
Edith Wharton in una foto del 1895
in cui racconta con ammirazione gli
sfondi del bel paese. A Firenze stringe
amicizia con i più importanti esponenti
della letteratura ottocentesca
anglo-americana, tra cui Henry James,
che conosce nei periodi in cui
è ospite della scrittrice Vernon Lee a
Villa Il Palmerino, e il critico e collezionista
d’arte Bernard Berenson, di
cui è spesso ospite a Villa I Tatti. Durante
il periodo fiorentino incontra il
pittore italo-americano James Singer
Sargent, al quale nel 1911 commissiona
un ritratto di Henry James. Rientrata
negli Stati Uniti per l’ultima
volta nel 1923 per un incarico onorario
alla Yale University, qualche tempo
dopo fa ritorno in Francia, dove si
spegne a causa di un ictus l’11 agosto
del 1937.
EDITH WHARTON
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Cosmetici Naturali e Biologici per il Benessere
CON OLIO EXTRAVERGINE D’OLIVA TOSCANO “IGP” BIOLOGICO
IDEA TOSCANA - Borgo ognissanti, 2 - FIRENZE | Viale Niccolò Machiavelli, 65/67 - SESTO FIORENTINO (FI) |
Tel. 055.7606635 |info@ideatoscana.it | www.ideatoscana.it
A cura di
Antonio Pieri
Benessere e cura
della persona
Olio extravergine di oliva toscano
IGP biologico
Un vero toccasana per la pelle
di Antonio Pieri
Dopo la vendemmia dei mesi di
settembre e ottobre, a novembre
in Toscana c’è un appuntamento
al quale è impossibile mancare:
la frangitura delle olive. Da sempre
l’olio extravergine di oliva è un prodotto
immancabile nella tradizione culinaria,
in quanto ricco di principi attivi. Fin
dall’antichità le sue proprietà benefiche
sono note anche a livello cosmetico.
Non tutti gli oli sono uguali
L’olio extravergine di oliva toscano IGP
biologico non è un olio qualunque, ma è
unico nel suo genere. Si tratta infatti di
una vera e propria spremuta di olive, ricca
di sali minerali e dalle forti proprietà
emollienti, lenitive e antinfiammatorie.
Grazie a tutte queste proprietà l’FDA (Food
and Drug Administration) ha promosso
l’olio extravergine di oliva da alimento
salutare a medicinale, mentre studi dermatologici
di comprovata serietà l’hanno
accreditato come alleato numero uno
della pelle umana. Alcune delle sostanze
che rendono unico questo olio sono:
- l’eleuropeina, dall’azione antiossidante
e regolatrice del rinnovamento cellulare
- l’oleocantale, azione lenitiva
- i fitosteroli, azione “bioattivante” e
nutriente
- lo squalane,
azione protettiva e idratante
- i polifenoli, azione antiossidante
- il tocoferolo, azione idratante, anti infiammatoria
e lenitiva
Azione antiossidante
In campo cosmetico l’olio extravergine
di oliva toscano IGP biologico è famoso
soprattutto per la sua azione antiossidante,
in quanto riesce a prevenire
l’invecchiamento cellulare e cutaneo e a
contrastare i dannosi effetti dei radicali
liberi come la rarefazione dell’elastina e
del collagene, responsabili del progressivo
stato di atonicità e secchezza della
pelle. È un ottimo elemento nutriente
per la pelle e la aiuta a ricostruire il film
idrolipidico messo a dura prova quotidianamente
da sole, luce, smog e fumo.
Oltre a tutto ciò, è anche ricco di grassi
polinsaturi e monoinsaturi. Per questo
viene definito “sebo compatibile” e i
prodotti per il corpo in cui è presente riescono
a nutrire in modo ottimale il derma
stimolando la produzione di nuovo
collagene, ripristinando il giusto equilibrio
idrolipidico e salvaguardando l’elasticità
e la morbidezza della pelle.
Linea Prima Spremitura di Idea Toscana
La linea Prima Spremitura, composta da
prodotti per la cura della persona come
bagnoschiuma, shampoo e creme idratanti,
ha come principio attivo principale
questo magnifico olio, che la rende una
vera e propria alleata per la cura della propria
pelle.
Linea Prima Spremitura Bio di Idea
Toscana
La linea Prima Spremitura Bio per la cura
della pelle del viso è stata certificata
Organic cosmetics (oltre il 95% di ingredienti
naturali) da Natrue e, come Prima
Spremitura corpo, ha come principio attivo
principale l’olio extravergine di oliva
toscano IGP biologico, che la rende perfetta
per contrastare i segni del tempo,
nutrendo in profondità la pelle del viso e
donandole luminosità e idratazione.
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Toscana nel nostro punto vendita in
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Fino al 17 novembre in omaggio
con ogni ordine l’olio EVO toscano
IGP biologico da 100 ml. Anche a
tavola scegli la qualità Idea Toscana.
Antonio
Pieri
Nato a Firenze nel 1962, Antonio Pieri è amministratore delegato dell’azienda
il Forte srl e cofondatore di Idea Toscana, azienda produttrice di cosmetici
naturali per il benessere secondo la più alta tradizione manifatturiera toscana
che hanno come principio attivo principale l’olio extravergine di oliva toscano IGP
biologico. Esperto di cosmesi, profumeria ed erboristeria, svolge anche consulenze
di marketing per primarie aziende del settore. Molto legato al territorio toscano e
alle sue eccellenze, è somelier ufficale FISAR e assaggiatore di olio professionista.
Per info:
antoniopieri@primaspremitura.it
Antonio Pieri
OLIO EXTRAVERGINE
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Salute
A cura di
Stefano Grifoni
Covid-19: l’incubo è tornato
di Stefano Grifoni
Senza che ce ne accorgessimo
e silenziosamente il Covid-19
è ritornato tra noi. Al mattino
ci alziamo dal letto senza conoscere
ciò che ci potrà accadere e le notizie
dei contagi non ci rasserenano.
E così i giorni sono tornati ad essere
più lunghi e a passare lentamente.
Negli ospedali i sanitari impegnati
nell’emergenza ritornano ad indossare
tute e caschi. Tutti uguali nel soccorso
di chi sta male, tutti vestiti nello
stesso modo, ognuno con la speranza
di essere utile. Le stanze del pronto
soccorso via via si riempiono di malati:
molti con la polmonite frutto del
momento. Alcuni dei pazienti anziani
respirano con difficoltà, i giovani la-
mentano qualche giorno di febbre, di
sentire un peso al petto e raccontano
di aver fatto brutti sogni. Altri pazienti
dietro le mascherine, cercano un
sorriso consolatorio che nessuno gli
potrà regalare. I sanitari alla fine del
turno si tolgono i presidi di protezione,
consapevoli di aver difeso la salute
di tutti rischiando la loro.
ph. courtesy www.casilinanews.it
Stefano
Grifoni
Nato a Firenze nel 1954, Stefano Grifoni è direttore del reparto di Medicina e Chirurgia di Urgenza del pronto soccorso
dell’Ospedale di Careggi e sempre presso la stessa struttura è direttore del Centro di riferimento regionale
toscano per la diagnosi e la terapia d’urgenza della malattia tromboembolica venosa. Ha condotto numerosi
studi nel campo della medicina interna, della cardiologia, della malattie del SNC e delle malattie respiratorie e nell’ambito
della medicina di urgenza. Membro del consiglio nazionale della Società Italiana di Medicina di Emergenza-Urgenza,
è vicepresidente dell’associazione per il soccorso di bambini con malattie oncologiche cerebrali Tutti per Guglielmo e
membro tecnico dell’associazione Amici del Pronto Soccorso con sede a Firenze. Ha pubblicato oltre 160 articoli su riviste
nazionali e internazionali nel settore della medicina interna e della medicina di urgenza e numerosi testi scientifici
sullo stesso argomento. Da molti anni collabora con RAI TRE Regione Toscana nell’ambito di programmi di medicina,
con il quotidiano La Nazione e da tre anni tiene una trasmissione radiofonica quotidiana sulla salute.
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COVID-19
A cura di
Emanuela Muriana
Psicologia
oggi
Animali domestici, preziosi amici dell’uomo
di Emanuela Muriana
Gli uomini sono naturalmente attratti
da qualsiasi cosa assomigli
ad un cucciolo e sia dotata di caratteristiche
neonatali. Studi svolti in ambito
veterinario dicono che le differenze
di genere nell’attaccamento agli animali
da compagnia sono minori di quanto solitamente
si creda: un numero uguale di
uomini e donne possiede cani e gatti; un
numero uguale compra loro regalini alle
ricorrenze; sono simili nel far dormire
l’animale sul proprio letto. Quando un
padrone gioca con il proprio cane, si liberano
nell’organismo grandi quantità di
ossitocina, ormone legato anche all’affettività
verso la prole. Uno studio spiega
che il cervello delle mamme attiva una
rete cerebrale comune quando le madri
guardano immagini dei lori figli o del loro
cane. Ad accendersi nello stesso modo
sono aree cerebrali importanti per funzioni
come emozione, ricompensa, rapporto
filiale, elaborazione visiva e interazione
sociale. Così il cane viene percepito simile
ad un figlio e fa parte della famiglia. Il
40% degli italiani vivono con un animale
domestico e le ricerche scientifiche mostrano
come la presenza di un cane o un
gatto in casa possa essere fonte di grandi
benefici per la nostra salute. Notevoli
differenze di genere invece emergono
nella cura degli animali. Le donne eseguono
più della metà dei lavori di routine
e costituiscono l’85% della clientela dei
veterinari. L’animale
domeph.
courtesy www.psycotipo.it
stico può essere un ottimo coterapeuta
(pet teraphy) in particolare con i bambini
e con gli anziani, adottato con successo
anche nelle strutture sanitarie. Cani e
gatti sono dei perfetti prototipi infantili.
Dipendono dall’uomo per tutto l’arco della
vita e mandano segnali che innescano
l’accudimento: dalla richiesta di attenzione
al mantenimento di un contatto visivo.
Ed è proprio sul contatto visivo che
si innesca la “relazione intensa” tra uomo
e animale, soprattutto con il cane. Poi
c’è la percezione tattile non trascurabile
che procura piacere reciproco e potenzia
il legame: accarezzare un gatto dal pelo di
seta è esperienza per molti sublime. Chi
ha avuto esperienza di vita per esempio
con un cane, facilmente lo definisce un
amore che non conosce egoismo. Gli
animali non sanno niente del passato e
del futuro, ma capiscono e interiorizzano
quel linguaggio universale che, a volte,
noi dimentichiamo: le emozioni. Talvolta
la relazione con l’animale domestico
è talmente importante nell’economia
psichica delle persone che si creano distorsioni
di relazione eccessive come la
tendenza a considerarli umani e spesso a
sostituirli agli umani stessi. Gli psicoterapeuti
devono spesso intervenire su veri e
propri lutti per la perdita dell’amato quattro
zampe, ma anche in severe reazioni
depressive, rabbie furiose contro avvelenatori
sospettati o introvabili. Dolore devastante
che a volte, per pudore, non si
può condividere. Una perdita che mette
in luce una fragilità che la persona non
avrebbe mai pensato di avere.
Emanuela
Muriana
Emanuela Muriana vive e lavora prevalentemente a Firenze. È responsabile
dello Studio di Psicoterapia Breve Strategica di Firenze, dove svolge
attività clinica e di consulenza. È specializzata al Centro di Terapia Strategica
di Arezzo diretto da Giorgio Nardone e al Mental Reasearch Institute di
Palo Alto CA (USA) con Paul Watzlawick. Ricercatore e professore della scuola
di specializzazione quadriennale in Psicoterapia Breve Strategica (MIUR) dal
1994, insegna da anni ai master clinici in Italia e all’estero. È stata professore
alla Facoltà di Medicina e Chirurgia presso le Università di Siena (2007-2012) e
Firenze (2004-2015). Ha pubblicato tre libri e numerosi articoli consultabili sul
sito www.terapiastrategica.fi.it.
Studio di Terapia Breve Strategica
Viale Mazzini 16, Firenze
+ 39 055-242642 - 574344
Fax 055-580280
emanuela.muriana@virgilio.it
ANIMALI DOMESTICI
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Salute
La chirurgia robotica nel reparto di
Urologia all’Ospedale di Careggi
Ne parliamo con il professor Lorenzo Masieri
di Doretta Boretti / foto courtesy Lorenzo Masieri
Negli ultimi anni, la chirurgia robotica
sembra aver preso il posto
di una chirurgia oncologica
piuttosto invasiva. Ce ne parla il professor
Lorenzo Masieri, luminare di questa
tecnica per certi versi “fantascientifica”.
Da quanti anni è impegnato in questa
chirurgia specialistica e perché per
alcuni interventi è opportuna questa
scelta?
Eseguo interventi di chirurgia robotica
dall’aprile 2010, quando, grazie alle
capacità innovative ed alla tenacia del
professor Carini, mio maestro, entrò in
funzione il primo robot presso il reparto
di Urologia di Careggi. L’urologia nasce
come disciplina “endoscopica”; l’apparato
urinario è in comunicazione con
l’esterno attraverso l’uretra e da sempre
l’urologo pone particolare attenzione
all’endoscopia e alle tecniche mini invasive.
Il processo di sviluppo tecnologico
che ha investito la nostra quotidianità
ha portato grandi cambiamenti anche
in ambito sanitario. Nascono così i moderni
approcci alle patologie urologiche.
Oggi siamo in grado di togliere un calcolo
renale attraverso le vie naturali con
strumenti sottili e flessibili che veicolano
fibre laser precisissime, siamo in grado
di eseguire interventi mini invasivi attraverso
piccoli fori sulla parete addominale
per asportare patologie oncologiche
che fino a pochi anni fa richiedevano invalidanti
incisioni cutanee. In questo si
inserisce la chirurgia robotica. Si tratta
di una laparoscopia, ossia una tecnica
che sfrutta piccoli fori sull’addome per
introdurre un’ottica e strumenti operativi
(forbici, pinze, etc.) in grado di eseguire
le procedure del caso. A differenza però
della laparoscopia tradizionale, la chirurgia
robotica rende l’intervento estre-
Il professor Lorenzo Masieri
28
LORENZO MASIERI
mamente più preciso e sicuro grazie al
fatto di avere una visione binoculare in
tre dimensioni (come quella che abbiamo
nell’ambiente che ci circonda) e la
possibilità di articolare gli strumenti come
se fossero le nostre mani. Sembra di
trovarsi dentro la cavità addominale del
paziente e lavorare senza alcun ostacolo.
Certo è fondamentale conoscere il tipo
di intervento da effettuare e l’anatomia.
In poche parole è necessario un training
chirurgico importante, oltre a dover imparare
ad usare il robot. In ambito urologico
il robot ha dimostrato di poter
essere applicato in quasi tutti gli interventi.
I più frequenti sono quelli per tumore
prostatico, renale e ultimamente
anche vescicale. Nel nostro centro eseguiamo
inoltre interventi di chirurgia ricostruttiva
per patologia malformativa
ed anche reinterventi in casi selezionati.
Negli ultimi tempi il robot viene inoltre
utilizzato per eseguire i trapianti renali da
cadavere o da donatore vivente.
Si direbbe molto difficile usare mani
e piedi per manovrare a distanza
un robot capace di eseguire manovre
chirurgiche così delicate e precise. Il
fatto che lei appartenga alla nuova generazione
di chirurghi la favorisce nel
ricorso a questa tecnica?
Masieri durante un’operazione con il robot
Il robot utilizzato in questo genere di chirurgia (ph.courtesy www.lastampa.it)
Molto spesso si sente dire che i giovani
chirurghi siano più portati alla chirurgia
robotica perché abituati a giocare ai videogame.
Per quanto mi riguarda, sono
sempre stato una vera frana con i videogiochi
e non mi ci sono mai dedicato, ad
eccezione di qualche partita, che tra l’altro
ho perso, con i miei figli Giulio, Anna
e Adele. Il robot è costituito da una parte
che sta sopra il paziente, con quattro
braccia a cui sono connessi gli strumenti
operativi, ed una parte chiamata “consolle”
dove siede il chirurgo che manovra
due joystick che riproducono fedelmente
e simultaneamente i movimenti delle
mani sugli strumenti all’interno dell’addome.
Il chirurgo esegue l’intervento su
un visore che fornisce una visione in tre
dimensioni. Sebbene possa sembrare di
difficile utilizzo, quest’apparecchio invece
è molto semplice ed intuitivo. È richiesto
solo di dedicarci un po’ di tempo per partire.
Prima del 2010, insieme ai professori
Serni e Minervini, con cui ho avuto ed
ho la fortuna di condividere il mio percorso,
abbiamo eseguito un periodo di formazione
che ci ha permesso di imparare
ad usare il robot e, dopo poche procedure
con un tutor, abbiamo iniziato un’avventura
che fino ad oggi è in continuo
sviluppo. Rispondo alla sua domanda dicendo
quindi che ogni chirurgo, purché
ci metta impegno e dedizione, può imparare
la chirurgia robotica per semplificare
gli interventi grazie a questa moderna
tecnologia.
In qualità di direttore del reparto di
Urologia dell’Ospedale pediatrico
Meyer, le capita spesso di operare dei
bambini con il robot. È più difficoltoso
rispetto all’intervento su di un adulto?
Nel 2015, il professor Carini, insieme al
rettore dell’Università di Firenze ed alle
direzioni delle aziende ospedaliere
Meyer e Careggi, ha costituito il Centro
Interaziendale per lo sviluppo e l’innovazione
dell’Urologia Pediatrica. È in
questo centro che effettuo parte della
mia attività a servizio dei bambini, potendo
fornire la tecnologia che oggi è
assodata nell’adulto in campo pediatrico,
dove i bassi numeri (per fortuna)
delle patologie non hanno permesso
un’altrettanto rapida diffusione delle
tecniche più innovative. Così abbiamo
iniziato ad eseguire interventi con il robot
per correggere, ad esempio, le malformazioni
urinarie più frequenti, come
la stenosi del giunto pielo-ureterale ed
il megauretere. Abbiamo fino ad oggi
eseguito circa cento procedure, divenendo
centro di riferimento nazionale
anche in ambito pediatrico. Purtroppo,
per i pochi casi, la ricerca fino ad oggi
non ha investito sul bambino, non abbiamo
avuto tuttavia difficoltà grazie
alla approfondita e continua esperienza
sull’adulto ad adattare il robot anche
nei bambini più piccoli, fino ad un anno
di età. Certamente cambia la nostra attenzione
alla delicatezza, essendo i tessuti
molto più fragili e delicati tanto da
richiedere suture molto più sottili.
Il professor Masieri ha al suo attivo numerosissimi
interventi e, dopo avere
effettuato una ricerca su Internet, ho riscontrato
quanti ringraziamenti abbia
ricevuto dai suoi pazienti e familiari di
pazienti. Anche per esperienza personale,
posso dire che si tratta veramente di
un’eccellenza e di un vanto per la chirurgia
urologica robotica fiorentina.
LORENZO MASIERI
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I libri del
Mese
I silenzi in una stanza
Isolamento ed effetti delle pandemie a Firenze nei
racconti a cura di Luca Giannelli
di Erika Bresci
Possono essere sufficienti quarantaquattro
racconti per lavorare
di bisturi intorno a quel bubbone
immondo (per rimanere in tema di
pestilenza) che è stato il periodo appena
trascorso di quarantena insieme alla
sua temutissima causa, il nemico per
eccellenza, il signor Covid-19, e delinearne
caratteristiche e contenuti? E con
questo, scarnificarne l’essenza, trovare
un lessico quotidiano capace di raccontarlo,
facendolo diventare memoria fruibile,
cronaca del tempo per chi in quel
tempo passerà dopo di noi? I silenzi in
una stanza risponde da solo, e affermativamente,
con le sue pagine piene di
testimonianze e immagini, grazie a un
affresco corale e multiforme, capace di
comprendere al suo interno personalità
della politica e dell’arte, dello sport e del
commercio, del volontariato e della porta
accanto, di quanti si sono trovati sbattuti
in prima linea a fronteggiare un’emergenza
impensabile e di coloro che si sono ritirati
nel chiuso di una stanza o in mezzo
agli ulivi. Trovandovi ispirazioni nuove,
insieme al comune e tangibile disorientamento.
Silenzio e resilienza. Tra queste
due colonne portanti si slancia l’arco intero
di un periodo buio, nel quale Firenze,
magnifica e impietrita, pare una Bella
Addormentata triste, disanimata e abbandonata.
Perché la sua anima è la gente. E
la gente non cammina le sue strade, non
invade le piazze, non brulica nei giardini e
nei negozi. In un’atmosfera rarefatta e irreale
che contagia più del virus e che fa
male. Tutte le voci che si alternano in rapidi
excursus di vita e storia parlano soprattutto
di questo, di una mancanza (e
del bisogno sentito) di condivisione. Sia
quella del caos mattutino degli autobus,
o quella delle gallerie d’arte, o ancora dello
stadio o dei cinema. “L’uomo è un animale
sociale”, così sosteneva Aristotele;
oggi possiamo averne contezza insieme
– se la prendiamo nel verso giusto, che è
quello del bicchiere mezzo pieno – a una
grande opportunità: quella di sfruttare
appieno il significato della condivisione,
tirarla giù dal piedistallo di un concetto
astratto e renderla voce e mani tra la
gente, in mezzo agli altri, per gli altri. La
pestilenza, lo sappiamo da Tucidide passando
poi per Manzoni, Camus e tanti altri,
è un potente detonatore di egoismi
e nefandezze, ma anche di solidarietà e
altruismo. Come ben si può vedere dalla
storia di Firenze e dei suoi precedenti
“isolamenti” e quarantene: quelle delle
pesti del 1348, del 1522-27 e del 1630
(nelle quali già l’esser “chiaretti”, ovvero
separati, era una buona tattica per non
far proliferare il male), quella della male-
detta “spagnola”, quella delle alluvioni e
della terribile estate del 1944. Storia antica
e moderna, passata, narrata in altrettanti
racconti che costituiscono la prima
parte del volume, come una guida ragionata
e intelligente, che serve a introdurre
“la presente e viva e il suon di lei”. Storia
di una Firenze tante volte in ginocchio e
poi rialzatasi grazie alla sua gente, al rimboccarsi
le maniche, al calzare stivali nel
fango, alla forza testarda di ricominciare.
E come non sentire allora risuonare nelle
orecchie, alla fine di queste centosettantasei
densissime pagine: «Forza Fiorenza.
Stendi al vento una volta ancora il tuo
vessillo e combatti!».
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I SILENZI IN UNA STANZA
I libri del
Mese
Storie d’amore e d’amicizia
Il pronto soccorso, microcosmo di sentimenti nel
libro di Stefano Grifoni
di Erika Bresci
Balzato suo malgrado agli onori
della cronaca e dei telegiornali,
protagonista indiscusso degli
ultimi quattro mesi, il pronto soccorso
è un porto al quale, almeno una volta,
ciascuno di noi è approdato, portandosi
appresso sentimenti contrastanti: terrore,
rassegnazione, diffidenza, deferenza.
Un luogo di confine, verrebbe da dire,
uno spartiacque che, nell’immaginario
collettivo, separa da giudice inflessibile
salute e malattia, paura e speranza, in
molti casi vita e morte. Bianco e nero.
Difficilmente e di rado, da fruitori (fortunatamente)
occasionali, riusciamo a
notarne le tante e diverse sfumature di
grigio. Stefano Grifoni, invece, attraversando
in qualità di direttore di Medicina
e chirurgia di urgenza e accettazione
dell’ospedale di Careggi i corridoi e le
sale del pronto soccorso, incontra quotidianamente,
nelle persone e nelle storie
che le accompagnano, proprio quei
colori, quelle sfumature nascoste, che
registra con sensibilità e attenzione, come
uomo prima ancora che come medico.
Tra le altre, anche tante Storie
d’amore e d’amicizia – perché, come ci
ricorda l’autore, “una persona malata
racconta l’amore con più anima” –, raccolte
in questo assaggio agile e sorprendente
di episodi dal quale emerge con
forza uno spaccato di umanità in perenne
tensione tra desiderio di vivere in
maniera autentica la vita e consapevolezza
dell’impossibilità di riuscirvi. Amore,
multiforme e dai contorni imprecisi,
che parla la lingua di una trasgressione
non cercata, di una storia finita da chiudere
con una pallottola in testa, di un
abbraccio tra anziani a custodire il comune
dolore per il figlio morto, di un abdicare
alla vita quando il viverla diventa
più greve che lasciarla andare. Amicizia,
che si racconta nell’incontro tra gli occhi
chiari di un vecchio “poeta” e una
giovane immobilizzata da una sorta di
paralisi emotiva, o tra quelli di una beccaccia
morente e del cacciatore che l’ha
braccata, nel saluto di Maria curva su se
stessa a seguire l’incedere del tempo, o
nel timore di vedere perduta per sempre
– strappata dal virus nuovo che incalza
– la quotidianità di una partita a carte
con i compagni di sempre, o ancora
nella difficoltà del medico amico di fronte
all’avanzare inesorabile e conclusivo
della malattia di un “quasi fratello”. Con
il riflettore puntato in special modo sulle
paure dell’uomo contemporaneo: come
la difficoltà di ascoltare e convivere con
il silenzio, l’ansia di ritrovarsi a guardare
indietro e incontrare tutti gli “incompiuti”,
il considerare la propria fragilità non
come un’opportunità per crescere ma
come colpa da allontanare. Storie d’amore
e d’amicizia, queste, tracciate con
la matita leggera del rispetto, ma anche
con i colori forti di un’ironia salace, indulgente
e (quasi) mai cattiva, che rendono
un affresco quanto mai variegato
e vivido dell’umanità che popola ogni
giorno i nostri pronto soccorso, e che
rappresenta nel suo piccolo il macrocosmo
inquieto di tutti i sentimenti e le
emozioni che ci appartengono.
STORIE D’AMORE E D’AMICIZIA
31
Anno Hideaki, cm 30x30
ORI
Tonino, cm 50x70
Tsurubaki, cm 30x30
Alessandro Gori
Jacopo Gori jacopogori91@gmail.com + 39 3317300854
Claudio, cm 50x70
Miyazaki, cm 30x30
Nina, cm 50x70
Personaggi
Giuliano Vangi
Presentato a Pesaro il crocifisso del maestro toscano
per la cattedrale di Seuol
di Barbara Santoro
Alla soglia dei novant’anni Giuliano
Vangi continua a scolpire.
Una vita, la sua, tra il marmo e
il granito, tra Pietrasanta e il mondo,
tra sacro e profano. Ora un’altra grande
sfida per la cattedrale di Namyang,
a Seuol, progettata da Mario Botta, suo
grande amico che ha condiviso con lui
tante fatiche. Nato a Barberino nel Mugello
nel 1931, l’artista toscano ha manifestato
fin da bambino la passione
per la scultura. Il nonno, Paolo Pieraccini,
un carbonaio diventato ricco mercante,
gli mise in mano uno scalpello
Giuliano Vangi con il crocifisso realizzato per la cattedrale di Seuol (ph. courtesy www.cultura.ilfilo.net)
all’età di 5 anni, ed egli già allora riuscì
a scolpire un bassorilievo intorno
al camino di casa. Durante il periodo
della guerra, ha frequentato l’Accademia
di Belle Arti a Firenze e nel 1950
si è trasferito a Pesaro per insegnare
all’Istituto d’arte. È andato poi in Brasile,
a San Paolo, dove ha affiancato
per tre anni Carlos Blanc, famoso fabbro
e pittore dal quale ha imparato a lavorare
i metalli. Rientrato in Italia, si è
stabilito prima a Varese e poi di nuovo
a Pesaro. Oggi è un artista conosciuto
a livello mondiale e considerato fra
i più grandi scultori viventi. Ha un museo
personale in Giappone, a Mishima,
una collinetta sul monte Fuji vicina alla
città di Tokyo. Il grandioso crocifisso
realizzato dall’artista per la cattedrale
coreana è stato presentato alla stampa
lo scorso 3 ottobre a Pesaro. Eseguito
in legno intagliato e dipinto, è alto 3,60
metri ed ha il volto sereno di un uomo
che va oltre la morte e quindi verso la
resurrezione e la vita eterna. Le braccia
tese verso l’umanità, lo sguardo dolce,
la ferita del costato molto leggera; anche
il colore del corpo ha una tonalità
chiara che non ricorda quella di una
persona morta. Insieme al crocifisso,
Vangi ha disegnato anche le vetrate
con l’Annunciazione e l’Ultima Cena,
ciascuna di venti metri di lunghezza
per tre di altezza. Queste ultime sarà
possibile vederle davanti e dietro perché
i disegni sono stati trasferiti su vetro
attraverso un processo serigrafico.
Saranno rappresentati nell’Ultima Cena
anche l’architetto Botta, un nipote
che gli ha ispirato il volto del Cristo e
due personaggi coreani. Giuda l’ha voluto
raffigurare con una giacchetta in
testa, quasi a coprirsi dalla vergogna.
Un’opera monumentale con la quale
ancora una volta Vangi dimostra passione
e grande creatività, anche a dispetto
dell’età che avanza.
GIULIANO VANGI
33
Speciale
Pistoia
I segni del tempo
Pittura, fotografia e poesia nella mostra di quattro
artisti alla galleria Artistikamente
di Daniela Pronestì
Cos’è dunque il tempo?
Se nessuno m’interroga
lo so; se volessi spiegar- «lo a chi m’interroga, non lo so». Con
queste parole tratte dalle Confessioni,
Sant’Agostino descrive l’impossibilità
di racchiudere il tempo in una
definizione universalmente condivisa.
Non è possibile descrivere il tempo
in termini assoluti, non essendo né
una cosa né una proprietà delle cose.
Il solo modo per “conoscere” il tempo
è la relazione tra il divenire degli
eventi e la percezione che ne abbiamo
interiormente. L’essenza del tempo ci
sfugge, quindi, ma non le tracce che
questo lascia dentro e fuori di noi. Su
queste premesse si basa la mostra I
segni del tempo inaugurata lo scorso
17 ottobre e protrattasi fino alla fine
dello stesso mese alla galleria Artistikamente
di Pistoia. I quattro artisti
coinvolti − Mila Troni, Annalisa Volpini,
Roberto e Marco Spinicci
− affrontano con tre
diversi linguaggi − pittura,
fotografia e poesia
− un tema tanto affascinante
quanto complesso,
offrendone interpretazioni
che indagano la natura del
tempo sia come fenomeno
misurabile che come
dimensione della coscienza.
Nell’opera di Mila Troni
− in particolare nei dipinti
ottenuti mescolando materia
e colore sulla tela − il
tempo è una forza che divora
le superfici, lasciando
dietro di sé i segni di questo
passaggio inesorabile:
corrosioni, crepe, grumi,
evocazioni di un paesaggio
interiore modellato dal
lento scorrere dei giorni.
È la testimonianza di
ciò che resta al fondo della
memoria, di un’archeologia
dell’anima che lotta per
sopravvivere all’oblio. In altre
opere lo spazio dipinto
accoglie una rappresentazione
febbrilmente dinamica del
tempo: una vera e propria lotta
tra linee e forme che occupano
la superficie senza un
ordine apparente. Un modo
per suggerire la frammentazione
che il tempo porta con
sé, nel sovrapporsi, dividersi
e spesso anche confliggere
di sensazioni e immagini impresse
nella coscienza. Quando
si radica nella memoria, il
tempo non è più acqua che
scorre, ma diventa un cristallo
dalle forme ben definite: è
quello che accade nella serie
intitolata Entropia, opere
Mila Troni, Magnetismo (2020), olio, vernici, ferro, cm 120x80
Mila Troni, Pozzanghera d’olio (2020), olio, ossidi, polveri, ferro, cm 100x80
34
I SEGNI DEL TEMPO
Alessandra Volpini, In fuga per la libertà (2019), acrilico, china e carta, cm 80x80
Alessandra Volpini, Clessidre inverse (2019),
acrilico e carta, cm 90x70
L’unico eterno possibile
di Marco Spinicci
Il pieno viene perso piano piano
e lascia sempre dietro di sé il vuoto,
tutto ricomincia come una clessidra
che si gira e si svuota,
tornando poi a riempirsi.
La sabbia inesorabilmente cade.
Qualsiasi gesto non la può fermare
ma si può farla ripartire
per una sua nuova discesa.
L’erba che cresce sui muretti a secco
conquista silenziosa la fenditura:
è il tempo perenne che si fa strada
nell’immobilità della pietra,
il vento stagionale gira la clessidra
e cambia la forza dei piccoli arbusti
che coprono alfine
ciò che non vorrebbe mai cambiare.
C’è nel correr via
il trasformarsi delle essenze,
unico eterno possibile
al nostro desiderio di pietra.
tra loro complementari che ben
raccontano il divenire interiore
degli eventi. Con Annalisa Volpini
muta del tutto lo scenario:
si avverte il senso di un tempo
modellato proprio come si modella
una forma, un tempo costruito
segno dopo segno, fino
a colmare la tela bianca. L’intento
non è controllare il tempo,
tentare di dominarlo, ma
assaporarlo istante dopo istante,
rendendolo complice dell’atto
creativo. Osservando questi
lavori è facile immaginare la
mano dell’artista che procede
tracciando sulla tela un disegno
minuto, capillare, labirintico,
in un fluire di suggestioni
che affiorano dall’interno e che
il tempo misurano attimo dopo
attimo. Le opere materiche
fanno pensare invece alle azioni
necessarie per realizzarle, dalla
scelta alla colorazione e modellazione
della carta: un susseguirsi
di passaggi che testimoniano la capacità
tecnica maturata dall’artista negli
anni. In altri casi, il colore stratificato
sulla tela corrisponde al progressivo
dipanarsi di significati che dall’interiorità
confluiscono e si condensano
nell’opera, a conferma della continuità
che lega l’arte alla vita. Con Roberto
Spinicci la riflessione sul tempo
avviene per mezzo dello scatto fotografico,
la cui prerogativa, rispetto
alla pittura, è l’essere in gara con
una realtà in perenne movimento. In
quanto specchio rovesciato del tempo,
di qualcosa che è già accaduto,
la fotografia conferma l’impossibilità
di tornare indietro, l’irreversibilità di
ogni attimo che scandisce l’esistenza.
Partendo da questo presupposto,
e cercando in un certo senso di superarlo,
Spinicci si spinge al di là del
contingente concentrando nell’immagine
contenuti universali. Nei suoi
scatti si parla di sentimenti, abban-
I SEGNI DEL TEMPO
35
doni, partenze, relazioni tra uomo e
natura, meraviglie nascoste nei piccoli
dettagli: un percorso dentro ed
oltre il tempo, alla ricerca di significati
validi sempre, ieri come oggi. E
quando l’immagine da sola non basta
a guidare l’ispirazione, interviene
la parola a supportarla con pensieri
Foto di Roberto Spinicci
scritti dallo stesso Spinicci o da suo
fratello Marco e integrati nel percorso
espositivo. In particolare, i versi di
Marco Spinicci introducono un’ulteriore
declinazione del tempo, questa
volta tutta giocata sul filo dell’emozione.
Volti amati, luoghi, paesaggi:
ogni esperienza vissuta lascia dentro
un’impronta. Da queste presenze
custodite nell’intimo Spinicci trae
lo spunto per lanciarsi in un viaggio
appassionante tra visibile e invisibile,
realtà e immaginazione. Su tutto prevale
l’invito ad ascoltare il tempo, a
ritrovare nel suo “segreto corso” voci
e silenzi, la nostalgia delle cose perdute
e l’attesa di ciò che verrà.
Mila Troni
milatroni@gmail.com
+ 39 340 9069337
Annalisa Volpini
annalisavolpini@gmail.com
+ 39 339 6174813
Roberto Spinicci
robspini@tiscali.it
+ 39 338 5870808
Il tempo si è posato
di Marco Spinicci
La barca lascia dietro di sé un tempo
che non esiste più.
Quello che vedi davanti è il mattino
che poi lascia dietro di sé la sera…
Viviamo le emozioni,
cogliamole per non dissiparle.
Un giorno ci parleranno di noi.
Il tempo si è posato
sui tuoi fianchi di montagna
lasciandovi di un sorriso il velo,
l’unico passo di cui riconoscer l’orma
che è insieme nuvola
e scosceso ardire di sentieri.
Lì, nell’incontro ancora lontano,
ma con l’illusione di accorciare le distanze,
cammino faticando
fino a sentire quel tuo sorriso invisibile
circondato dal silenzio
che è voce lontanissima:
scopro così che il tuo silenzio
non è assenza di voce
ma di rumore estraneo.
La voce è troppo distante
per arrivare a noi
e perde la sua forza di nascita
fino a farsi silenzio
che poi la contiene.
E non sia mai che un giorno
io possa riconoscere te
come il mare fermo
lasciato in pace dai venti,
e pacificare la mia sete di tutto
che dal tutto è combinata.
Marco Spinicci
marco-spinicci@libero.it
+ 39 348 3486717
36
I SEGNI DEL TEMPO
A cura di
Laura Belli
Speciale
Pistoia
Pistoia Novecento
L’arte del secondo dopoguerra va in scena a Palazzo de’ Rossi
di Laura Belli / foto courtesy Fondazione Pistoia Musei
Lo scorso 19 settembre la Fondazione
Pistoia Musei ha inaugurato,
nella sua sede di
Palazzo de’ Rossi, la seconda parte della
mostra Pistoia Novecento, progetto
dedicato alla collezione permanente
di Fondazione Pistoia Musei con opere
delle collezioni di Fondazione Caript e
Intesa Sanpaolo. Questo progetto, pensato
per consentire una lettura il più
possibile completa del panorama artistico
pistoiese nel suo articolarsi attraverso
il secolo scorso, si è rivelato
non solo un’importante occasione di riscoperta
di personalità e stagioni artistiche
che parevano dimenticate ma ha
dato anche un forte stimolo alla ricerca.
La prima parte del progetto − Dal
primo Novecento alla seconda guerra
mondiale − si è conclusa a fine agosto
ed ha raccontato la prima metà del secolo
scorso; la seconda parte − Sguardi
sull’arte dal secondo dopoguerra − è
l’ultima inaugurata e propone un’attenta
indagine sulle vicende artistiche dagli
anni Cinquanta in poi, con un allestimento
che tale rimarrà fino al prossimo
agosto. Le oltre settanta opere esposte
offrono, con il supporto anche di
un importante catalogo, un’immagine
d’insieme dell’arte della seconda metà
del secolo a Pistoia. Nel secondo dopoguerra
la città poté infatti vantare un
folto numero di artisti che, raggruppatisi
nel cosiddetto Cenacolo di Pistoia
e ispirati dalle avanguardie storiche
In questa e nelle altre foto alcune panoramiche della mostra
scoperte alla Biennale
del 1948, si dedicavano
con entusiasmo ad
un aggiornamento della
loro formazione artistica.
Rivendicavano il
ruolo autonomo della
cultura rispetto agli indirizzi
programmatici di
partito, ma anche l’indipendenza
della loro
vocazione artistica, dedicandosi
a un’intensa
ricerca astrattista e spaziando
in nuovi ambiti, come le teorie
matematiche binarie alla base dell’elaboratore
elettronico che iniziava allora a
diffondersi. Visitando la mostra è possibile
conoscere il design radicale degli
Archizoom, la logica binaria delle opere
di Gianfranco Chiavacci, i collage di
Remo Gordigiani, le ricerche astrattiste
di Gualtiero Nativi, Mario Nigro e Fernando
Melani e l’ironia pop di Gianni
Ruffi. Oltre alle opere di artisti pistoiesi,
la mostra raccoglie, grazie ai prestiti
di collezioni pubbliche e private, alcuni
lavori di artisti non locali che hanno
intrattenuto rapporti di scambio con la
città. Tra i nomi celebri in mostra: Roberto
Barni, Sigfrido Bartolini, Vinicio
Berti, Massimo Biagi, Franco Bovani,
Umberto Buscioni, Sergio Cammilli, Alfiero
Cappellini, Andrea Dami, Agenore
Fabbri, Alfredo Fabbri, Aldo Frosini,
Valerio Gelli, Donatella Giuntoli, Renato
Guttuso, Mirando Iacomelli, Lando
Landini, Marcello Lucarelli, Eugenio
Miccini, Adolfo Natalini, Renato Ranaldi,
Giorgio Ulivi, Jorio Vivarelli, Corrado
Zanzotto. La selezione delle opere segue
un andamento cronologico che si
snoda fra le seguenti tematiche: realismo
e figurazione; astratto, materico,
programmato; oggetto e immagine; natura
e artificio; segno, gesto, ambiente.
È ricca, inoltre, di materiali documentari
volti a narrare la vivacità del clima
artistico pistoiese in rapporto al contesto
toscano, nazionale e internazionale
del tempo.
Pistoia Novecento / Sguardi sull’arte
del secondo dopoguerra
Palazzo de’ Rossi
via de’ Rossi 26, Pistoia
www.fondazionepistoiamusei.it
Orari: tutti i giorni dalle 10 alle 18;
chiuso il mercoledì
Prenotazione obbligatoria:
+ 39 0573 974267
derossi@fondazionepistoiamusei.it
ARTE PISTOIESE
37
Premio Internazionale
“Michelangelo Buonarroti”
6ª Edizione
.
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POESIA SINGOLA Sezione POESIA SINGOLA - Sezione A
POESIA EDITA Sezione POESIA EDITA - Sezione B
RACCONTO Sezione RACCONTO - Sezione C
NARRATIVA Sezione NARRATIVA - Sezione D
PITTURA Sezione PITTURA - Sezione E
SCULTURA Sezione SCULTURA - Sezione F
FOTOGRAFIA FOTOGRAFIA e
DIGITAL ART Sezione DIGITAL ART - Sezione G
SCADENZA
SCADENZA
ISCRIZIONI
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31
31
DICEMBRE
DICEMBRE
2020
2020
Per Info Regolamento visita il sito
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Con il patrocinio di
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I libri del
Mese
Navicello Etrusco
Il poeta Roberto Mosi sulle tracce di una civiltà dal
fascino senza tempo
di Erika Bresci
Un tratto di mare, quello tra Populonia
e Follonica, apparentemente
breve, che vediamo solcato
nella suggestiva raccolta poetica di Mosi
da un navicello etrusco, simbolo di una
civiltà per molti versi misteriosa e modernissima,
di cui alcuni di noi portano ancora
tracce importanti nel proprio DNA. Un
viaggio a tappe che ha il sapore di un intimo
nostos memoriale, capace di mettere
in comunicazione passato e presente,
facendoli camminare ora parallelamente,
ora confondendoli in un abbraccio di
a-temporalità, espressione di quella domanda
aperta che attanagliava già gli
antichi sacerdoti etruschi – alla prossima
tempesta / comprenderemo, forse, /
la volontà degli dei – e laicamente interroga
oggi le generazioni che calpestano
quella stessa terra e navigano le medesime
onde: quale futuro – esiste un futuro
– per l’uomo? Lo specchio di Turan e
L’Ombra della sera, che alludono rispettivamente
alla stagione di luminosa rinascita
personificata dalla dea etrusca della
fertilità e alla filiforme statuetta così denominata
da D’Annunzio che ne colse l’evidente
similarità con le forme disegnate
dal crepuscolo, titolano le due sezioni in
cui si divide la raccolta. In realtà, anche
le sezioni comunicano tra loro, non si risolvono
in un gioco oppositivo di luce e
ombra, ma convivono riportando a galla
singoli particolari di una sostanza unica
anche quando essa ha il sapore dell’ossimoro
(La spiaggia si è riempita / di squillanti
ombrelloni / … Il silenzio e il rumore
del mare / padroni del mondo). Paesaggi,
storia e mito decantano nell’anima e nel
pensiero del poeta aprendosi a un epos
moderno, che attraversa «glorie del passato»
e «mari tempestosi della storia»,
dove «il rischio del naufragio è sempre
possibile», che «indaga con delicatezza
vette di gioia o abissi d’angoscia dell’essere
umano affinché la luce del rinnovamento
alimenti la speranza di un futuro
migliore», come ben definito nel video di
presentazione della raccolta. Un viaggio
che racconta i fasti e la fine della ricca Populonia,
il fascino misterioso delle fonti e
della Buca delle Fate, episodi truci di storia
medievale e la desolata descrizione di
quel “terzo paesaggio” – spenti gli altiforni
di Piombino –, di quell’insieme dei luoghi
abbandonati dall’uomo, residui dove
nascono cose nuove, / idee nuove, forze
nuove. No. / Potrebbero nascere / ma non
è detto che nascano. Fino ad approdare
alla denuncia sociale del dramma che riguarda
i fenomeni migratori e la responsabilità
di continuare l’opera di Dardano
che piantò germogli di vita / fra popoli diversi
in quel mare che dovremmo considerare
oggi più che mai porto accogliente
di tutta l’umanità. Una riflessione affidata
a una sintesi di linguaggio di grande
potenza espressiva, in cui versi brevi e
frequenti enjambement, metafore e sinestesie
pesate rendono precisi fotogrammi
di una storia complessa e partecipata, orchestrata
in una coloritura di immagini e
suoni di pregiata suggestione evocativa,
che riecheggiano a lungo in chi è disposto
ad ascoltare e accogliere il canto del poeta.
Una ricerca di identità che dopo Navicello
Etrusco ha impegnato Mosi in un
percorso in fieri il cui frutto maggiore è
l’e-book Il Golfo di Baratti. Poesia e Misteri
(ed. Il Foglio, accessibile su www.issuu.
com - Golfo di Baratti) e che vedrà come
prossimo appuntamento la presentazione
del libro a Firenze, presso il teatro L’Affratellamento
(via G. Orsini 73), nell’ambito
del ciclo Come non essere Poesia, all'inizio
del prossimo anno.
Video di presentazione della raccolta:
Navicello Etrusco
Per il mare di Piombino
NAVICELLO ETRUSCO
39
Artigianato artistico
in Toscana
Picchiani e Barlacchi
Un’eccellenza fiorentina lunga oltre un secolo
di Doretta Boretti / foto courtesy Picchiani e Barlacchi
Dal 1902 la Picchiani e Barlacchi
prosegue il suo percorso
di eccellenza nella coniazione
e nello stampaggio di metalli selezionati
con cura e nella creazione di medaglie,
trofei, distintivi, targhe e altri
oggetti artistici di una qualità e bellezza
tali da essere continuatori di storia
e arte nella Firenze culla di capolavori.
Ne parliamo con Chiara Montauti, erede
di questa straordinaria tradizione.
Qual è il suo ruolo nel tenere alto il nome
di questa eccellenza fiorentina?
Sono diversi anni che lavoro in azienda.
La nostra storia parte da molto
lontano, dai primi anni del Novecento,
prima con mio zio, poi mio nonno
e successivamente i miei genitori.
Oggi siamo arrivati alla quarta generazione
perché mio figlio Matteo sta
per prendere il mio posto alla direzione
dell’azienda.
Avete molto personale? Di cosa si
occupa?
Il personale, rispetto ad alcuni anni
or sono, è molto diverso in quanto
alcuni macchinari hanno sostituito il
lavoro che una volta non poteva essere
fatto se non dalle persone. Però
le mansioni principali, mi riferisco
La targa Florio
alla progettazione delle opere, al disegno,
alla creazione del modello in
gesso, alla fusione e alla rifinitura del
modello d’arte, come pure la riduzione
a pantografo, la produzione del
punzone e del conio o lo stampaggio,
la rifinitura galvanica e il controllo
qualitativo, sono cose che potrebbero,
alcune, essere eseguite dalle
macchine ma, nel nostro caso, c’è bisogno
anche della mano dell’esperto
che raffreschi il lavoro e lo renda perfetto,
cose che da sola una macchina
non potrebbe fare. La nostra prerogativa
è proprio quella di avere un
personale qualificato e, come un’antica
bottega artigiana, dove si apprendeva
il mestiere da un maestro,
i nostri giovani hanno avuto e hanno
ancora la fortuna di avere come maestro
incisore Mario Rinaldi. Con lui si
sono formati molti giovani, alcuni dei
quali lo hanno quasi eguagliato nella
tecnica incisoria. Nonostante sia
in pensione, è presente quasi tutte
le mattine in azienda per continuare
Il maestro incisore Mario Rinaldi al lavoro
Chiara Montauti, alla scrivania, con la sorella Giovanna e i figli Matteo e Luca
40
PICCHIANI E BARLACCHI
di continuare a produrlo.
La Picchiani e Barlacchi, che
può vantare tra l’altro un archivio
con oltre 300.000 coni, compirà
nel 2022 centoventi anni.
Un orgoglio tutto fiorentino…
I conii
a trasmettere ancora la sua arte, alla
quale ha dedicato tutta la vita. Per la
Picchiani e Barlacchi Mario Rinaldi è
veramente una grande risorsa.
I vostri lavori sono sempre stati presenti
in molti avvenimenti nazionali.
A questo proposito voglio ricordare
la Targa Florio (dal 1905) e tutti i
distintivi per la squadra italiana delle
Olimpiadi del 1936. Inoltre voglio
ricordare il Giubileo del 1950, quello
del 2000, il Palio di Siena e tanti altri.
Siete presenti in molti paesi europei
e anche oltre.
Sì, siamo presenti in numerosi
paesi anche extra comunitari
da molti anni. Abbiamo realizzato
tante cose per l’allora scià di
Persia (adesso Iran) Mohammad
Reza Pahlavi, per le sue nozze
abbiamo creato medaglie e tanti
altri oggetti per lo staff. Poi abbiamo
prodotto delle bellissime
medaglie per Stati Uniti, Panama,
Venezuela, Arabia Saudita, Giordania,
Libano, Etiopia, Kenia e
Turchia. E in Europa: Austria, Belgio,
Francia, Grecia, Lussemburgo,
Olanda, Polonia, Svezia ed ex
Jugoslavia. Dal 1972 la Picchiani
e Barlacchi realizza medaglie
per la FAO e per il settore moda,
a proposito del quale ricordo le
placche raffiguranti l’aquila del brand
Stefano Ricci, celebre casa di moda
fiorentina, e i gemelli per la casa di
moda australiana Rodd & Gunn. Altre
medaglie sono state destinate alle cariche
ufficiali dello Stato.
E il Fiorino d’oro?
Il Fiorino d’oro è la più alta onorificenza
assegnata dal Comune di Firenze
a personalità o organizzazioni
significative che si sono distinte per
il lustro che hanno dato alla città del
giglio. Noi abbiamo una delle copie
più antiche e fedeli dell’originario
Fiorino e quindi siamo molto onorati
Per noi che lavoriamo con tanta
passione è sicuramente un grande
traguardo. Nel 2002 sembrava
già un enorme traguardo
essere arrivati a cento anni e
adesso questi ultimi quasi venti
anni sono volati. Direi che le
cose sono andate benino, nonostante
i tanti momenti difficili per
situazioni che si sono presentate
anche a livello nazionale e internazionale.
Quindi ci siamo preoccupati
di dare occupazione a
molte famiglie e questo è un vero
motivo di orgoglio per l’azienda, non
solo fare cose belle, ma anche riuscire
ad aiutare gli altri. In questi ultimi
tempi abbiamo anche aumentato i
macchinari, per cui è stato doveroso
pensare a spostarci dalla sede storica
di viale Petrarca. Abbiamo preso
un nuovo capannone nella zona industriale
della Sambuca, per avere un
ambiente più consono a questa attività
che adesso richiede grandi spazi
in sicurezza. Questa è ormai una zona
prettamente residenziale e quindi
ci dobbiamo adeguare ai tempi attuali
che sono molto cambiati rispetto
al passato.
PICCHIANI E BARLACCHI
41
Sylvia
Loew
www.sylvialoew.com
Angels (2015), marmo di Carrara, cm 27x47x22
In queste due foto: Donna rannicchiata (2019), marmo bianco statuario, cm 30x30x30
L’ombra (2017), marmo bianco
statuario di Carrara e marmo nero del
Belgio, cm 17x13x35
Profilo di donna (2016), marmo
bianco statuario di Carrara,
cm 43x14x47
Uccello in posa (2016),
marmo bianco statuario di
Carrara, cm 55x50x32
Percorso di vita (2015), marmo
bianco statuario di Carrara, cm
18x58x15 e cm 27x45x15
A cura di
Rosanna Bari
Artigianato artistico
in Toscana
Barbara Dall’Acqua
I valori dell’artigianato artistico secondo la designer
ideatrice del brand Manufatto Fiorentino
di Rosanna Bari / foto courtesy Barbara Dall’Acqua
Barbara Dall’Acqua inizia i suoi
studi nel campo della moda frequentando
a Firenze un corso
di stilista e modellista. Il suo primo
lavoro come junior designer si svolge
presso uno studio stilistico della città
specializzato nella progettazione di
borse e accessori, dove ha modo di
perfezionare le sue conoscenze e abilità.
Dal 2005, collabora come freelance
con aziende e brand italiani e internazionali,
creando collezioni di borse per
importanti marchi tra cui Braccialini,
The Bridge, Levi’s Europa e Asia, Caractére,
Killah, Pal Zileri e Borsalino, di
cui interpreta richieste e indirizzo stilistico.
Dopo questa importante esperienza,
ha il coraggio di mettersi in
proprio. Trova lo spazio per il suo laboratorio
in Oltrarno, all’interno del restaurato
Conventino, nel quartiere di
San Frediano, storico cuore pulsante
dell’artigianato artistico fiorentino. Ha
così finalmente la possibilità di progettare
e realizzare le proprie
borse sfruttando la tranquillità
e la magia di un luogo
ricco di storia. Manufatto Fiorentino
è il brand con il quale,
dal 2016, sono conosciuti
i suoi prodotti. Alla domanda
su come sia nato il desiderio
di dedicarsi alla produzione
artigianale risponde: «Sono
da sempre amante dell’unicità;
mi affascina l’idea di
poter creare una borsa che
abbia valore anche in quanto unica,
soprattutto quando rispecchia il gusto
e il carattere della persona per la
quale è stata realizzata». La peculiarità
di una borsa artigianale, infatti, è
quella di lasciare all’acquirente la possibilità
di scegliere, secondo il proprio
gusto e le proprie esigenze, sia il materiale
che il colore e la fantasia. Barbara
poi, giocando sui contrasti di colore
e abbinando fantasie azzardate, riesce
La designer Barbara Dall’Acqua nel suo atelier al Conventino
sempre ad ottenere quel risultato armonico
che conquista il consenso della
clientela. Il lavoro artigianale e di
design, frutto di una lunga e accurata
sperimentazione, rappresenta quindi
una sfida costante, portata avanti con
quella cura e quell’amore che solo un
prodotto fatto a mano può trasmettere.
www.manufattofiorentino.com
@manufattofiorentino
Alcune borse del brand Manufatto Fiorentino
BARBARA DALL’ACQUA
43
Mostre in
Italia
Nikla Biagioli
Esponente della Digital Art, è l’unica pittrice toscana invitata
ad una collettiva in Veneto con Vittorio Sgarbi ospite d’onore
di Elisabetta Mereu / foto courtesy galleria Elle
L’arte è ciò che permette ad
ogni essere umano di esprimersi,
consentendogli una «via di fuga da schemi imposti dall’esterno,
seguendo solo il proprio istinto
e la peculiare creatività che si manifesta
fin da bambini». Queste parole
pronunciate da Vittorio Sgarbi all’inaugurazione
della mostra Art3 2020 si attagliano
perfettamente alla personalità
della pittrice Nikla Biagioli, unica toscana
fra gli ottanta artisti provenienti
da tutta Italia che hanno esposto alla
seconda edizione della Fiera del Miniquadro,
svoltasi dal 10 al 23 ottobre,
alla galleria d’arte Elle di Preganziol,
vicino a Treviso. La pittrice fiorentina
ha infatti dipinto il suo primo quadro
a 12 anni mostrando subito un talento
innato che ha poi espresso in varie
forme d’arte, navigando per gli sconfinati
oceani della creatività fra ceramica,
scultura, pittura ad olio, acquerello,
matita, fino ad approdare nel porto sicuro
della Digital Art, in cui il mouse si
sostituisce ai pennelli. Una particolare
e difficile tecnica pittorica con il computer
che pratica da quindici anni e che
le ha dato le maggiori soddisfazioni ed
emozioni, premi e riconoscimenti
in Italia e all’estero.
In Veneto ha presentato
le opere Abbraccio d’amore
e Vizi e virtù, due tele dominate
dal colore rosso, uno
dei suoi preferiti nell’infinita
tavolozza delle prorompenti
e caleidoscopiche
tonalità che rappresentano
la sua cifra stilistica.
«Nikla Biagioli − dichiara
Andrea Lucchetta, fondatore
e titolare della galleria
Elle − è un’artista intimista
che vuole lasciare un messaggio,
un’impronta. Non ha
un soggetto ben definito ma
spazia dal figurativo all’a-
stratto, prediligendo fiori immaginari.
Passa da una tecnica all’altra, da un
soggetto all’altro, con naturalezza, perché
è quello che sente di dare alla sua
ricerca creativa, in continua evoluzione
e movimento, senza cadere nella banalità».
«Non era la prima volta che venivo
invitata da Lucchetta − afferma la pittrice,
entusiasta di questa esperienza
−, avevo già esposto qui nel 2016 ed
ho accettato di nuovo molto volentieri
perché avevo constatato come lavora
questo attivo gallerista e come segue
gli artisti in ogni fase della preparazione
e durante lo svolgimento dei suoi
eventi. Quando poi mi ha detto che l’ospite
d’onore era Vittorio Sgarbi, che
avrebbe espresso il suo autorevole parere
sulle opere presenti, l’emozione
è andata alle stelle. Ho sentito le farfalle
nello stomaco come quando ero
una ragazzina ed ho esposto per la prima
volta. Trovarmi a pochi passi da lui
che parlava dell’importanza del continuo
lavoro di sperimentazione ed innovazione
di noi artisti, mi ha dato un
incentivo ad andare avanti con più entusiasmo,
tanto da invogliarmi a perseguire
il mio sogno di poter realizzare
Vittorio Sgarbi con Andrea Lucchetta, titolare della galleria Elle,
all’inaugurazione della mostra
Nikla Biagioli (ph. Elisabetta Mereu)
a breve un’esposizione personale per
mostrare tutte le opere realizzate in oltre
60 anni di attività. D’altronde lo ha
detto anche Sgarbi: l’obiettivo principale
di ogni artista è mostrare, cioè
comunicare agli altri il proprio operato
fino a raggiungere la fama, affinché il
proprio lavoro artistico diventi universale
e sempre contemporaneo».
Nikla Biagioli
+ 39 348 3403800 / + 39 339 4612974
I quadri della Biagioli alla galleria Elle
44
NIKLA BIAGIOLI
Ritratti
d’artista
Catia Andreini
Un percorso dal disegno all’arte digitale all’insegna della
passione per il colore
di Jacopo Chiostri
Mi piacciono i film italiani
e americani degli anni
’50,’60,’70, il lavoro «dei registi di quell’epoca e degli attori
che hanno recitato sotto la loro direzione».
Iniziamo il nostro incontro con
Catia Andreini − artista pistoiese impegnata
in un’inedita ricerca espressiva −
citando questa sua frase in quanto parte
dei dipinti che realizza e che richiamano
con evidenza l’espressività cinematografica
(assieme moderna e classica), tanto
che potrebbero prestarsi ad un utilizzo di
tipo cartellonistico. Nonostante ci sia una
distanza formale evidente tra questa pittrice
e colui che è stato il “principe” dei
manifesti cinematografici, c’è comunque
un elemento comune ad entrambi. Infatti,
come Nano Campeggi, che nei suoi memorabili
manifesti cinematografici − oltre
a utilizzare colori sgargianti per coprire
le macerie di una guerra devastante appena
conclusa − proponeva l’iconografia
dell’epoca, altrettanto l’Andreini si rivela
un’interprete coerente della contemporaneità.
Sono immagini con un impatto
visivo forte e di immediata lettura, essenziali
nelle linee, sorprendenti nell’utilizzo,
in parte sofisticato, in parte azzardato,
Fuori la città, pennarelli su cartoncino, cm 21x32
sempre singolare e inedito, degli
accostamenti cromatici, con
personaggi e ambientazioni metropolitane
e paesaggistiche dove
sono mixati, col tramite di
una creatività matura, elementi
fumettistici e vignettistici, con
suggestioni, appunto, di tipo cinematografico.
E non per nulla,
un altro riferimento che viene
in mente, quasi inevitabile, retinatura
a parte, è al mai completamente
compreso lavoro di
Roy Lichtenstein. Poi, l’altro elemento
caratterizzante è la forza
evocativa dei soggetti e delle
ambientazioni, come nel curioso
Leonardo da Vinci inserito in un contesto
metropolitano moderno, oppure nell’immagine
di una città dove i personaggi della
picassiana Guernica vivono finalmente
in pace. Nata a Pistoia, dove tuttora risiede,
Catia Andreini si è laureata in Scienze
Biologiche all’Università di Firenze e successivamente
ha ottenuto il diploma di
Tecnico di Laboratorio Biomedico all’Università
di Urbino. Della sua passione
per l’arte racconta di aver sempre disegnato;
ha seguito per alcuni anni il corso
Giulia, tecnica paint e stampa su carta fotografica, cm 21x30
di disegno e uso del colore di Paolo Tesi,
studiando ecoline, acquarello, tempera,
olio e disegno dal vero. Nel frattempo
si è dedicata a visitare musei e a studiare
le opere di grandi artisti: il Rinascimento,
gli Impressionisti, Picasso, Edward Hopper,
i suoi preferiti. Lavora con le matite, i
pennarelli, i pastelli e l’acrilico; per alcune
opere, di recente, ha utilizzato strisce di
giornali che hanno sostituito nella composizione
le linee di qualche grattacielo.
Sempre di recente, pur confessando
di non amare il digitale, si è servita
della tecnica “paint” utilizzando
il computer e disegnando con il
mouse come fosse una matita o un
pennarello; con questa tecnica ha
realizzato i lavori esposti nelle ultime
mostre alle quali ha partecipato.
Del digitale sfrutta a pieno le infinite
possibilità della gamma coloristica
e con questa crea un suo mondo,
dove negli scorci urbani non manca
mai l’elemento naturalistico che
compensa il loro inevitabile essere
asettici. Queste opere si chiamano
“foto-grafia”: foto perché stampate
su carta fotografica e grafia perché
sebbene realizzate al computer sono
disegnate a mano.
CATIA ANDREINI
45
Percorsi trekking
in Toscana
A cura di
Julia Ciardi
Un itinerario in Valdinievole tra
arte, natura e storia
Testo e foto di Julia Ciardi
Viviamo momenti difficili che ci
impongono di evitare assembramenti
e ci impediscono di
frequentare luoghi di ritrovo, cinema e
teatri. Tanti eventi sono stati annullati e
la vita culturale si è spenta. Queste restrizioni
sono particolarmente sofferte
dai giovani per i quali è necessario socializzare
e svagarsi con gli amici per
crescere serenamente insieme e sentirsi
felici. Per questo motivo, attraverso
questa rubrica, ho deciso di condurre
i lettori alla scoperta del nostro incantevole
territorio toscano dove arte e storia
s’intrecciano alla bellezza del paesaggio.
Spesso le colline immerse nel verde
custodiscono antichi borghi dove si
nascondono capolavori ancora poco conosciuti.
Con le passeggiate e i percorsi
trekking andremo quindi alla scoperta
di questi posti dimenticati. Siete pronti a
seguirmi? Allora si parte!
Itinerario
Villa Bellavista – torrente Cessana − Via
degli Antichi Mulini d’Acqua − Buggiano
Castello − giardini d’agrumi e piante
giganti − Borgo a Buggiano, Piazza del
Bestiame
Ci troviamo in Valdinievole, territorio famoso
per le sue località termali costruite
dopo le bonifiche volute dal Granduca
Leopoldo II di Lorena. Iniziamo la nostra
passeggiata attraverso il verde toscano
e le vedute panoramiche. Punto
di partenza e di ritrovo la splendida Villa
Bellavista, uno dei rari monumenti in
stile barocco della Toscana. Se capitate
la prima domenica del mese, potete cogliere
l’occasione per visitarla prima di
proseguire la camminata. A breve la villa
sarà restaurata e diventerà probabilmente
un distaccamento della Galleria
degli Uffizi. Girando attorno al settecentesco
palazzo costruito dal marchese
Ferroni sulla tenuta dei Medici,
possiamo ammirarlo e dirigerci
lungo il torrente Cessana attraverso
un camminamento dove
spesso è possibile incontrare
gli aironi, uccelli protetti simbolo
delle acque termali della vicina
Montecatini. Seguendo il
percorso che si apre alle vicine
colline dominate da borghi medievali,
arriviamo al centro del
paese di Borgo a Buggiano, proprio
accanto alla settecentesca
Chiesa del Santissimo Crocifisso,
dove possiamo entrare per
ammirare Il martirio di Sant’Agata,
capolavoro di Alessandro
Allori detto il Bronzino realizzato
alla fine del Cinquecento. Proseguiamo
avendo il torrente alla
nostra sinistra. Lasciamo il paese
per camminare lungo la Via
degli Antichi Mulini d’Acqua,
dai quali veniva incanalata l’acqua
per rifornire Villa Bellavista.
Una vista panoramica durante il percorso
Julia Ciardi
46
UN PERCORSO IN VALDINIEVOLE
Percorriamo questo sentiero antico incontrando
diversi ponticelli medievali.
All’altezza del Mulino del Giamboni riprendiamo
il tracciato trekking che sulla
destra sale passando in mezzo al bosco.
Questo ripido sentiero immerso nel verde
ha un fascino tutto particolare perché
spesso è scavato nel sottobosco e
solcato in tutta la lunghezza da pietre di
fiume. Vi si respira aria di storia e di antiche
tradizioni: da qui passavano infatti
tutti i rifornimenti alimentari e commerciali
per i borghi. Si sente profumo di
menta, violette ancora fiorite e muschio.
Arriviamo ad una collina piena di oliveti
e, seguendo la salita attraverso i campi,
raggiungiamo la porta di Buggiano Castello.
Osservando il borgo, ci colpisce
il colore dell’intonaco degli edifici, un
rosso pompeiano detto anche “rosso di
Buggiano”. Fu il notaio Sermolli, alla fine
del Seicento, a comprare la maggior
parte delle case in collina, obbligando
i cittadini a mantenere lo stesso colore
per tutti i palazzi della sua proprietà.
Seguiamo la strada che costeggia le antiche
mura del borgo. Alla nostra sinistra
si vedono vallate e colline dominate
dai campanili di Uzzano Castello. Un
paesaggio che sembra uscito dai quadri
dei maestri del Rinascimento, come
se il tempo si fosse fermato. Arriviamo
a Buggiano Castello seguendo l’antico
percorso che attraverso una scalinata
conduce a Piazza Pretorio, il vero centro
di questo pittoresco paesino medievale
che si è conservato integro fino ad
oggi. Sulla facciata di Palazzo Pretorio
sono esposti da secoli gli stemmi delle
famiglie più importanti del territorio; è il
cuore del paese perché vi si svolgevano
tutte le funzioni governative. Oggi all’interno
di questo palazzo del Duecento,
dove si possono ammirare affreschi
quattrocenteschi, si trova l’archivio storico
del Comune. In piazza sorge anche
la maestosa chiesa romanica della Madonna
della Salute che merita una visita
per vedere un fonte battesimale del
Duecento e alcune opere di Andrea del
Castagno e di Brico di Lorenzo. Scendiamo
da Piazza Pretorio passando accanto
al Monastero della Scolastica: lungo
il percorso ammiriamo i tetti delle case
e i rigogliosi giardini da cui spuntano
limoni, arance e pompelmi, spandendo
intorno deliziosi profumi. Buggiano Castello
è famoso per un’originale manifestazione
biennale chiamata Giardini di
agrumi durante la quale vengono aperti
ai visitatori tutti i giardini privati per
poterli visitare. Grazie ad un particolare
microclima, in questo antico borgo
è possibile vedere fiori e farfalle anche
d’inverno. Questa caratteristica climatica
dovuta all’altitudine e all’esposizione
al sole, rende possibile una vegetazione
rigogliosa. Andando a vedere le due
piante giganti del paese, viene in mente
la fiaba del Fagiolo Magico. La prima di
queste piante è un cactus che si arrampica
fino al secondo piano di una palazzina,
la seconda è un glicine che si trova
a Villa Sermolli. Durante un restauro,
il nuovo proprietario della villa voleva
estirpare l’infestante vegetazione, ma è
stato fermato dal consiglio tecnico di un
ingegnere perché il secolare glicine, che
ricopre interamente la facciata dalla parte
del cortile interno formando un naturale
pergolato, si è ormai integrato nella
struttura portante del palazzo dando vita
ad una vera e propria architettura vivente.
La pianta vive in simbiosi con la
storica villa e la villa senza la pianta ormai
crollerebbe. La nostra passeggiata
prosegue lungo la strada costeggiata da
oliveti fino a Borgo a Buggiano. Arriviamo
in Piazza del Bestiame, luogo che fino
agli anni Sessanta era famoso per il
più grande e storico mercato di bovini
d’Italia. Terminiamo qui questa nostra
prima avventura con un gustoso pranzo
alla trattoria Da Vin Vino, un posto caratteristico
ricavato in una vecchia stalla
dove le tipiche pietanze toscane accompagnate
dal buon vino locale vengono
servite al suono del muggito della mucca.
Alla prossima avventura…
Buggiano Castello: agrumi in un giardino e cactus gigante
UN PERCORSO IN VALDINIEVOLE
47
Storia delle
Religioni
A cura di
Stefano Marucci
Francesco e Chiara d’Assisi
Le vite di due santi uniti da un amore spirituale
di Valter Quagliarotti
Èdifficile separare i nomi di
Francesco e Chiara, questi
due fenomeni, queste leg- «gende di santità. Il binomio Francesco e
Chiara è una realtà che si comprende solamente
attraverso le categorie cristiane,
ma è anche una realtà di questa terra, di
questa città, di questa chiesa. Rimane il
modo in cui Francesco vedeva sua sorella:
il modo in cui egli sposò Cristo; vedeva
se stesso a immagine di lei, sposa
di Cristo, sposa mistica con cui formava
la sua santità». Queste parole di Giovanni
Paolo II introducono la riflessione
sul rapporto tra San Francesco e Chiara
d’Assisi, sul valore e sul peso che la fede
in Maria Vergine ha avuto nella spiritualità,
o meglio, nella vita evangelica
di entrambi. La vita di Chiara, scritta in
occasione della sua canonizzazione, viene
presentata come “impronta” di Maria
Vergine, indicandola come guida delle
donne, mentre i frati minori sono detti
“nuovi discepoli del Verbo incarnato”,
alla cui sequela sono chiamati gli uomini.
Tale distinzione rispecchia la men-
talità tipica dell’epoca ed
evidentemente del biografo
che si mostra però rispettoso
delle caratteristiche proprie
di questa donna di Dio.
Passando agli scritti di Francesco,
essi presentano un
lento processo di maturazione
interiore. Il riferimento
mariano è ben presente nelle
due lettere indirizzate da
Francesco a Chiara. La prima
costituisce il cuore della
forma di vita della santa:
«Poiché, per divina ispirazione,
vi siete fatte figlie e
ancelle dell’altissimo sommo
Re, il Padre celeste, e
vi siete sposate allo Spirito
Santo scegliendo di vivere
secondo la perfezione
del santo Vangelo, voglio
e prometto, da parte mia e
dei miei frati, di avere sem-
pre di voi, come di loro, cura diligente e
sollecitudine speciale»; la seconda viene
indicata come ultima volontà di Francesco:
«Io frate Francesco piccolo voglio
seguire la vita e la povertà dell’altissimo
Signore nostro Gesù Cristo e della
sua santissima Madre e perseverare in
essa sino alla fine. E prego voi, mie signore,
e vi consiglio, affinché viviate
sempre in questa santissima vita e povertà».
Queste lodi servono come introduzione
alla preghiera liturgica, poiché
uniscono l’orante con la Chiesa del cielo
che celebra la sua continua liturgia davanti
all’Agnello immolato. Così recita la
rubrica: «Incominciano le lodi che il beatissimo
padre nostro Francesco compilò
ordinatamente e che egli recitava a
tutte le ore [canoniche] del giorno e della
notte e prima dell’Ufficio della Beata
Vergine Maria». Una volta ammessa l’abitudine
di Francesco a recitare, accanto
all’ufficio divino prescritto, anche questo
piccolo ufficio della Madonna, si capisce
meglio perché nel breviario di San Francesco
custodito nel protomonastero di
Santa Chiara ad Assisi si trovi anche un
Officium beatae Mariae Virginis. Francesco
non propone una dottrina sulla Madonna,
non discute con i suoi frati o con
i fedeli questioni mariologiche, ma onora
la Vergine rivolgendo a lei saluti e preghiere.
Nel Saluto alla beata Vergine la
parola caratterizzante è “Ave” che apre il
saluto e si ripete sette volte e che fuori
del Saluto riscontriamo soltanto nell’esortazione
alla lode di Dio − «Ave Maria,
piena di grazia, il Signore è con te» − e
nel Saluto delle Virtù − «Ave, regina sapienza,
il Signore ti salvi con tua sorella,
la santa, pura semplicità» −, oltre a
richiamare la locuzione di Luca, “Ave,
gratia plena”, che successivamente assumerà
forma litanica molto conosciuta
nel Medioevo e il cui contenuto, ampliato
in senso trinitario, sarà accettato dalla
Chiesa. Anche Chiara d’Assisi si sente
profondamente nata per e nella Chiesa,
inviata dal Signore a glorificare in tutto
il mondo la Chiesa del Padre, diventando
per tutti esempio e specchio di Cristo
e di sua Madre.
48
FRANCESCO E CHIARA D’ASSISI
Aiuta la Badia di Passignano è una
campagna di crowdfunding promossa
dall’omonimo comitato
e dalla Comunità Vallombrosana con
il sostegno di NiviGroup e Chianti Banca
e il patrocinio dei comuni dell’Unione
del Chianti Fiorentino. I fondi raccolti attraverso
la piattaforma www.badiapassignano.com
sono finalizzati al recupero e
alla valorizzazione dell’antico complesso
vallombrosano a partire dal restauro dei
paramenti di facciata maggiormente interessati
da fenomeni di degrado. Un primo
passo di un progetto ambizioso che mira
a restituire alla Badia di Passignano il ruolo
di centro della vita sociale e culturale di
tutto il territorio. I valori ed i caratteri identitari
del patrimonio ambientale e di quello
artistico e spirituale hanno sempre trovato
nella badia vallombrosana la più alta e
significativa rappresentazione. Le testimonianze
materiali di carattere storico-artistico
conservate all’interno della badia
(affreschi di Ghirlandaio, Rosselli, Filip-
pelli, Passignano, Allori, Veli,
etc.) e le tante altre disseminate
nel territorio circostante
sono tutte riconducibili all’azione
culturale condotta dal
monastero. Non fu da meno
l’azione di rinnovamento
e propagazione della cultura
scientifica e matematica
condotta a partire dalla fine
del Cinquecento con l’introduzione
di uno studentato e l’insegnamento
di Galilei. Purtroppo questa intima
relazione è andata progressivamente ad
allentarsi per le crescenti difficoltà incontrate
dai monaci nel preservare con opportuni
interventi di restauro i documenti
materiali della propria storia. È facile comprendere
come tale situazione sia stata
aggravata dal grande disorientamento
economico e sociale provocato dall’emergenza
sanitaria. C’era dunque bisogno di
dare un segnale di riscatto e di fiducia con
la nascita di un comitato − spontaneo e
Veduta d’insieme della Badia a Passignano
Cultura e
solidarietà
Un comitato per Badia a Passignano
Fino al prossimo 25 maggio è possibile contribuire alla raccolta
fondi per il recupero dello storico complesso vallombrosano
di Aldo Fittante
Il filo sottile del coraggio
Un libro per dare speranza a chi vive nel dolore
di Aldo Fittante
senza scopo di lucro − che, superando la
logica della sola tutela e conservazione,
incentivasse, ai fini di uno sviluppo locale,
strategie di partecipazione e di coinvolgimento
dei più diversi interessi, pubblici
e privati. Da qui le numerose iniziative già
messe in atto ed in corso di programmazione
per sensibilizzare le forze produttive
locali e renderle partecipi in qualità di partner
dell’iniziativa.
Per donare un contributo:
www.badiapassignano.com
«
Cara Camilla, cara Giovanna.
Oggi ti racconto di me e del
mio coraggio». Due mamme,
Camilla Tommasi e Giovanna Carboni,
scrivono un diario. È il dialogo al
tempo della quarantena, tra le mura di
casa, di due madri che non si conoscevano,
ma le lettere che si scrivono hanno
il potere di unirle. Arrivano a chiamarsi
“amiche del cuore”. Nasce così il libro Il
filo sottile del coraggio, curato dalla giornalista
fiorentina Gaia Simonetti, con un
presente nella comunicazione legata al
calcio e al sociale con la Lega Pro, edito
da Maria Pacini Fazzi Editore. Da Cerreto
Guidi, in provincia di Firenze dove abita
Giovanna, a Montemerlo, in provincia
di Padova, paese di Camilla, poco distante
da Vo’, i chilometri e le distanze si annullano
con la scrittura. Il loro scambio
epistolare, che cresce con il supporto di
mail e messaggi WhatsApp, prende vita
in una domenica speciale, il 10 maggio
2020, nel giorno della Festa della mamma.
È inaspettato e inatteso. Hanno ancora
occhi capaci di accarezzare il futuro,
nonostante il passato continui a trascinare
il bagaglio pesante di dolore che,
senza remore e senza preavviso, apre la
porta per riaffacciarsi nella loro esistenza.
Il libro è dedicato “a tutti coloro che
non ce l’hanno fatta e a coloro che sono
impegnati tutti i giorni a salvare vite
umane” e si lega ad un progetto sociale.
CULTURA E SOLIDARIETÀ
49
Dal teatro al
sipario
A cura di
Doretta Boretti
I professionisti del teatro
Intervista al tecnico del suono Orso Casprini
di Doretta Boretti / foto courtesy Orso Casprini
In uno spettacolo teatrale il ruolo
del tecnico del suono è garantire
l’onda sonora prodotta in fase
di esecuzione da un artista e amplificarla
in modo che le persone possano
ascoltare al meglio lo spettacolo.
Ma non solo questo; il fonico, infatti,
ha anche altri compiti da eseguire.
Ce ne parla il tecnico del suono Orso
Casprini.
Come si è svolta la sua carriera
professionale per arrivare a diventare
tecnico del suono?
Ho iniziato ad avvicinarmi al mondo
della musica come dj e ancora oggi
continuo a farlo con grande passione.
Tutto è iniziato quando, organizzando
le feste dove suonavo, mi dilettavo
a montare impianti audio che noleggiavo
da un piccolo service a Firenze.
Mi sono reso da subito conto che
mi affascinava tantissimo il mondo
dell’audio e visto che ero in cerca di
lavoro e che l’università non faceva al
caso mio, chiesi al service se avevano
bisogno di un aiuto. Fu così che
intorno al 2003 iniziò la mia carriera
professionale. Inizialmente, da vero
e proprio ragazzo di bottega, stavo
in magazzino, riordinavo e controllavo
gli impianti audio che tornavano
dai noleggi, riparavo le casse, puli-
vo mixer e amplificatori, saldavo cavi
segnale e facevo prolunghe di corrente.
Per perfezionare la mia esperienza
decisi di frequentare un corso all’Accademia
cinematografica di Bologna
grazie al quale, dopo due anni, ho ottenuto
la qualifica di tecnico del suono.
Dopo questa esperienza, sicuro
della mia preparazione, ho iniziato a
lavorare come vero e proprio professionista
nell’ambito di concerti, eventi
e spettacoli teatrali, inizialmente a
Firenze e in seguito in tutta Italia. Fino
ad oggi, ho collaborato e collaboro
con molti teatri e compagnie
teatrali, ma anche con alcuni service
fiorentini.
Orso Casprini
50
ORSO CASPRINI
In cosa consiste il suo lavoro e
quanto è importante avere una solida
preparazione?
Questo lavoro consiste nel saper
gestire e quindi amplificare il suono
a seconda delle necessità del singolo
evento, sia che si tratti di un
concerto live che di uno spettacolo
teatrale o di un evento fieristico/
congressuale. Come per tutti i lavori,
la preparazione è sicuramente
molto importante, ma in questo
ambito, secondo la mia esperienza
personale, risulta fondamentale formarsi
sul campo, “sporcarsi le mani”
e fare tanta gavetta.
Una curiosità: cos’è il mixer e quanto
è difficile manovrarlo?
Il mixer è quello strumento che ti
permette di equalizzare il suono, ovvero
modularne le varie frequenze e
gli effetti affinché il pubblico possa
ascoltare al meglio ciò che esce dalle
casse di amplificazione. Di primo
acchito trovarsi davanti ad un mixer
può spaventare, sono talmente tanti
i “faders” ed i potenziometri che
si può rimanere disorientati, ma con
un po’ di pratica e soprattutto conoscenza
si impara ben presto a controllare
questo mezzo.
Ci sono stati momenti nei quali avrebbe
preferito fare un altro lavoro?
In realtà sono molto felice di farlo e
credo che svolgere un lavoro che si
ama sia una grande fortuna. Quello
che maggiormente mi entusiasma è
la possibilità di crescere ogni giorno e
imparare cose nuove con tanta umiltà
e pazienza, ma soprattutto passione.
ORSO CASPRINI
51
Concerto in
salotto
A cura di
Giuseppe Fricelli
Arthur Rubinstein
Ricordo di un mitico pianista
di Giuseppe Fricelli
Nel 1966 venne una terribile alluvione
a Firenze che distrusse
buona parte della nostra meravigliosa
città. La mia famiglia fu alluvionata,
perdemmo tutto. E dicendo tutto
voglio dire proprio tutto: i ricordi più
cari, i mobili, i libri, i dischi, lo studio
medico di mio padre con tutta l’attrezzatura
scientifica ed anche il mio pianoforte
a coda. Andammo ad abitare nel
convento delle suore di San Giuseppe,
in via del Guarlone. Fummo ospitati per
quasi un anno (eravamo in sei) finché
la casa non fu restaurata. L’acqua era
rimasta vari giorni nel nostro appartamento
e quando defluì, restò sul pavimento
mezzo metro di fango e nafta.
Tutto distrutto. Non avendo più il pianoforte,
non potevo studiare le mie otto
ore giornaliere. Il mio grande maestro
Rio Nardi mi invitò a casa sua a studiare.
Lo stesso fece la contessa Marcella
Pontello, grande mecenate ed amica
di noi musicisti. Care persone insostituibili
ed indimenticabili. Il mitico pianista
Arthur Rubinstein venne a Firenze
e tenne un concerto: il ricavato fu devoluto
per gli alluvionati. Il grande in-
terprete volle conoscermi essendo uno
dei pochi allievi del conservatorio colpito
dall’alluvione. Conoscere Rubinstein
fu per me molto emozionante. Era
il mio idolo. Mi batteva forte il cuore.
L’incontro fu in teatro. Il maestro mi
strinse le mani fra le sue per darmi coraggio
e mi abbracciò con un’intensità
di affetto, fratellanza e amicizia che
solo i grandi uomini possono donare.
Non mi lavai le mani per una settimana,
sperando che un poco di fluido tecnico
strumentale passasse dalle magiche
mani di Rubinstein alle mie.
Il pianista Arthur Rubinstein
52
ARTHUR RUBINSTEIN
A cura di
Lorenzo Borghini
Il cinema
a casa
Vizio di forma
Il vortice magmatico di Paul Thomas Anderson e Thomas Pynchon
di Lorenzo Borghini
California. Gordita Beach. Inizio
anni Settanta. Doc Sportello, un
investigatore privato a tempo
perso con un debole per le droghe, viene
contattato dalla sua ex fiamma Shasta.
Gli chiede di proteggere Mickey Wolfmann,
il suo nuovo amante, un importante
costruttore miliardario in pericolo
poiché la moglie vuole liberarsi di lui. Doc
accetta. Come dire di no al suo (vecchio)
amore? Sashta gli appare in casa come
un sogno ad occhi aperti e dopo avergli
rifilato l’incarico si dissolve come un sogno
al mattino, scomparendo con i colori
pastosi di fine tramonto quando la notte
è ormai vicina. «Puoi rimanere da me» le
dice Doc. «Non posso, devo andare» risponde
lei sgommando via in macchina
verso chissà dove. Partenze senza arrivi e
arrivi senza partenze, tipica tematica pynchoniana
per definire l’indefinitezza della
vita. Doc si butta a capofitto nelle indagini,
ma si ritrova arrestato per l’omicidio
di una delle guardie del corpo di Mickey
Wolfmann. Ma Wolfmann è sparito come
pure Shasta. Da qui in poi Doc sarà una
vittima degli eventi, un agnello sacrificale
che si oppone fortemente al passaggio
traumatico tra un’epoca e un’altra,
sempre racchiuso in quell’inquadratura
che non lo lascia mai. Doc non accetta
che il suo sogno, e quello di altri, sia
stato trasformato in un incubo dai soldi
e dalle alte sfere. Per questo lotta come
un naufrago in una tempesta, cercando
di rimanere fedele ai suo dettami, al suo
anticonformismo che è la faccia di una
medaglia contrapposta a quella conformista
di Bigfoot, ispettore della Omicidi
che lo perseguita. Doc cerca per tutto
il film di far luce sugli strani intrighi che
si vanno intessendo, un guazzabuglio di
situazioni sconclusionate e personaggi
a ripetizione che lo aggrovigliano in un
vortice magmatico. Magmatico come il
romanzo di Pynchon, un vulcano di adrenalina
e leggerezza, una dolente dichiarazione
d’amore per gli anni Sessanta e
la loro inevitabile fine. Paul Thomas Anderson
riesce a interpretare magistralmente
la materia oscura pynchoniana
trasponendola quasi letteralmente, trasformando
le immagini mentali di ogni
lettore in pura realtà, facendoci toccare
con mano il sogno e i colori ormai sbiaditi
di un’epoca durata troppo poco, ma
anche immergendoci nell’altro sogno di
Doc, quell’amore fugace fatto di partenze
senza arrivi e arrivi senza partenze. Doc
insegue l’amore, o quel barlume di felicità
passata che non gli appartiene più.
Quindi insegue Shasta per tutto il film, insegue
i loro ricordi, insegue quel giorno
di pioggia in cui tutto sembrava andare
bene. Ma Shasta dov’è? Durante la storia
appare tre volte agli occhi di Doc. Occhi
sognanti che la accettano a braccia aperte.
È un’allucinazione, oppure la incontra
davvero? La incontra solo all’inizio, sempre,
o mai? Queste domande non avranno
mai risposta, come non ne hanno i
grandi quesiti della vita. I due s’incontrano
sempre da soli, in casa o in macchina,
per questo tutto assume i toni del sogno,
perché lì ci sono solo loro, due anime figlie
del proprio tempo, che si isolano dal
resto del mondo, perché tutto sta cambiando
e il valzer degli addii è cominciato.
Doc è un uomo libero, un uomo libero
di sognare il proprio sogno.
VIZIO DI FORMA
53
Ritratti
d’artista
Antonio Cariola
Viaggio intorno al tempo attraverso la pittura
di Daniela Pronestì
Quello di Antonio Cariola è un
viaggio intorno al tempo. “Intorno”
perché la dimensione
cui fanno pensare molti suoi
lavori è appunto quella di un tempo
circolare nel quale ruotano, spesso invertendo
l’ordine tra passato e presente,
visioni provenienti tanto dal mondo
interiore dell’artista quanto dalla profondità
simbolica del supporto. Quest’ultimo
pare essere tutt’altro che un piano
destinato soltanto ad accogliere l’intervento
creativo dell’artista: è come una
finestra attraverso la quale si vedono
scorrere volti, forme ed oggetti talvolta
difficilmente identificabili perché in parte
nascosti dalle pennellate di colore in
superficie. Un effetto ottenuto lavorando
prima per strati − dall’immagine di
fondo a successive applicazioni di gesso
e colla − e poi agendo su questi con incisioni
e graffi in modo da sottrarre materia
e colore. Si ha l’impressione che sia
stato il tempo e non l’artista a consumare
la pelle del dipinto per rivelare ciò che
sta sotto. È l’epifania di un contenuto
nascosto nel nucleo dell’opera, la mani-
Natura rossa (2020), tecnica mista su compensato, cm 55x55
Iride (2019), tecnica mista su compensato, cm 60x60
Manifesto (2020), tecnica mista su compensato, cm 50x60
54
ANTONIO CARIOLA
Icone pop (2020), tecnica
mista su cartone, cm 70x100
Equilibrio stabile (2020), tecnica mista e foglia oro su
compensato, cm 35x50
Senza titolo (2020), tecnica mista su
compensato, cm 55x55x5
festazione di un passato che affiora non
soltanto dalla storia personale dell’artista
− in particolare dall’esperienza da
lui maturata agli esordi nell’ambito della
figurazione −, ma che sembra provenire
da più lontano, da un’epoca remota
e sconosciuta, come accadrebbe ad
un archeologo che scavando si trovasse
all’improvviso davanti i resti di una
civiltà perduta. Cariola ci ricorda che il
pittore è il nocchiero di questo viaggio
nel tempo e il supporto − cartone o tavola
nel suo caso − il mare da navigare
per raggiungere terre ancora inesplorate.
Quanto basta per aprire ad una riflessione
sul senso del dipingere come
esperienza che conduce l’artista ben oltre
se stesso, oltre i confini delle certezze
ormai appurate. Quelli che emergono
dal fondo del dipinto, infatti, non sono
soltanto scampoli di vita vissuta, di verità
personali, ma anche immagini che
parlano di una vicenda antica quanto la
pittura, raccontando della gioia e della
fatica del dipingere, della competizione
tra forma e colore, del difficile equilibrio
tra rilievo materico e profondità luminosa.
Dipingere equivale a compiere una
continua scoperta, a misurare se stessi
con sfide che altri hanno già affrontato,
riuscendo talvolta anche a vincerle.
Per questo motivo il tempo evocato dalle
opere di Cariola è quello illimitato e
non misurabile che ogni artista sperimenta
quando accetta di confrontarsi
con il grande mistero della pittura. Ed è
per tentare di sciogliere questo mistero,
di venirne a capo, che egli interviene sul
dipinto cancellando, scavando, togliendo
ciò che prima aveva aggiunto. Non è
un tornare indietro sui propri passi, ma
è un andare oltre le insidie della pittura,
oltre i margini stessi del tempo, alla ricerca
di ciò che resta al fondo di un pensiero
o nella profondità di un’emozione.
Antonio Cariola nasce a Piedimonte
etneo (CT) nel 1971.
Nel 1988 si diploma come
maestro d’arte nella sezione Metalli e
Oreficeria. La sua passione è la pittura
ad olio e nel 1991 decide di frequentare
la scuola privata del maestro Carnabuci
a Taormina (ME). Nel 1998 si
diploma in Scenografia presso all’Accademia
di Belle Arti di Catania. Inizialmente
nasce e si forma come un
artista “da cavalletto” facendo mostre
nell’hinterland catanese. I suoi artisti di
riferimento sono Van Gogh, Cèzanne e
Matisse. Dal 2010 abbandona la pittura
tradizionale per sperimentare nuovi
linguaggi. Le superfici pittoriche vengono
smembrate, snaturate, le
forme non più riconoscibili. Le
sue opere diventano informali,
materiche, gestuali. Gli artisti
di riferimento sono Rothko, Pollock,
Vedova e Kline.
a.cariola@tiscali.it
Le opere di Antonio Cariola
sono visibili sulla piattaforma
www.mecenate.online
Antonio Cariola
ANTONIO CARIOLA
55
I libri del
Mese
A spasso per gli anni ’50
L’armarcord tra cronaca e ironia di Paola Pisani Paganelli
di Erika Bresci
Il morso che Pisani Paganelli dà alla
sua piccola madeleine ha il profumo
di storia nostrana, e il recupero
memoriale prodotto dalle personali incursioni
negli anni che la videro protagonista
in crescita si fa in tutto il libro
ricordo corale di un decennio italiano assai
particolare. Un decennio di transizione,
ancora ben saldo sulle radici della
triplice D di “Dio – Disciplina – Dovere”,
ma che vede all’orizzonte il riverbero di
un’inquietudine pronta a esplodere alla
fine del successivo, presagita dai palpiti
della “rivoluzione” canora di Modugno e
accelerata dal soffio di novità portate dal
“ciclone USA”. Così, a una società che riconosce
ancora nella famiglia quel nocciolo
etico dello stato hegeliano (e che
ha nella civiltà contadina la sua concreta
rappresentazione, «un sistema autarchico,
primitivo, blindato in ritualità arcaiche»),
si affianca il progredire dei tempi,
individuato negli oggetti, soprattutto,
che lo hanno caratterizzato: dalla bicicletta
ai primi scooter e alle automobili
dai nomi evocativi – Mosquito, Vespa,
Lambretta, Topolino –, dalle prime trasmissioni
TV – Lascia o raddoppia, Carosello,
il Musichiere, fino poi alla stagione
del varietà e al Festival di Sanremo – alla
corsa settimanale alle edicole, dai fatti
locali di cronaca nera agli eventi capaci
di scuotere la nazione – come l’alluvione
del Polesine e l’Anno Santo del 1950.
Oggetti che, grazie a un gioco lessicale
pregevolissimo e serio presente in tutto
il racconto, diventano personificazione
dell’epoca, agiscono insieme ai protagonisti
e ci conversano. Tra «cibi rampanti
che spandevano profumi assassini» e
«discorsi pettoruti» si è accompagnati
per mano in questa passeggiata senza
una meta precisa – a spasso, infatti
–, che procede per dissolvenze e primi
piani, capace di rendere un affresco vivo
e partecipato di quegli anni, di quella
«generazione depositata dalla seconda
guerra mondiale» che ha lavorato bene –
secondo l’autrice – perché ha saputo, tra
luci e ombre, traghettare le nuove generazioni
verso la maturazione e l’affrancamento
dal passato buio appena lasciato
alle spalle. Le parole e le immagini, lavorate
di bulino, hanno la forza di sassi
lanciati nello stagno e si allargano a significati
e suggestioni sensoriali inaspettate,
capaci di toccare le corde più intime
di tre diverse generazioni: quella che ha
vissuto direttamente gli anni ’50, quella
che sulle ginocchia dei nonni ha potuto
ascoltare dal vivo le loro “storie minime”,
quella dei giovani di oggi, “ipercinetici,
atemporali, bulimici di tecnologia
estrema”, ai quali manca quell’oralità
concreta e immaginifica e cui soprattutto
sembra rivolto il libro. Scrivere per fissare
la memoria, quindi, perché i protagonisti
non scivolino via ingoiati nelle fauci
di un progresso ingordo e cieco, perché
valori essenziali come il sentirsi partecipi
della comunità, lavorare per essa e in essa
riconoscersi possano rappresentare
le linee guida sulle quali incardinare il futuro.
Questo, a mio avviso, il senso proprio
del camminare attento tra amarcord
nostalgico e cronaca puntuale, a tratti
ironica e pungente, che Pisani Paganelli
intende condividere con i suoi lettori.
56
PAOLA PISANI PAGANELLI
I libri del
Mese
Lettere da Aosta
Il vivace affresco di un tempo andato nella raccolta epistolare di
Anchise Tempestini
di Erika Bresci
Le lettere spedite da Tempestini
durante i quindici mesi di servizio
militare – tra il luglio del
1967 e l’ottobre 1968 –, prima presso la
Scuola Militare Alpina e successivamente
presso il Battaglione Aosta, offrono un
affresco vivace e sincero di «un mondo
che dopo l’abolizione della leva obbligatoria
non esiste più». Un mondo fatto di
disciplina, di regole e servizi talvolta assurdi
da rispettare, ma anche di incontri
e relazioni interpersonali capaci di mettere
insieme, sia pure per un tempo limitato,
realtà di vita profondamente diverse,
provenienti da regioni lontane – molti
ragazzi uscivano per la prima volta dai
confini della propria terra per consumare
quell’esperienza socializzante di fatica
e comunità –, e che mescolava in un unicum
irripetibile cultura, tradizioni, modi
di fare e di essere. Tanto che se ne usciva
fuori cambiati, cresciuti, maturati («qualcosa
si è aggiunto a me»). La corrispondenza
fittissima con le donne di famiglia
assomiglia a un ordito di comune consapevolezza
teso a mantenere il capo del
filo che lega il giovane arruolato alla vita
civile, quasi una tela di Penelope double
face, e certo da non disfare la notte,
nella quale compaiono – in una ricca trama
di domande e risposte immaginate
dalle lettere che seguono – i volti degli
amici solo momentaneamente abbandonati,
insieme alla vita, anche accademica,
che per loro prosegue, per lui resta
in stand by (sebbene non rinunci a ripas-
sare nei momenti di riposo secoli di pittura
per essere pronto, prontissimo, una
volta congedato, a riprendere di slancio
la propria avventura professionale). O le
notizie dei fatti nazionali e internazionali
che connotano il periodo, sicuramente
“caldo”, della naja: come l’attentato a
Bob Kennedy, i rumours di sollevazioni
giovanili oltre confine, le fasi della rivoluzione
in Cecoslovacchia, gli scioperi in
Alto Adige del personale Enel. O le irrinunciabili
letture (Montale, Apollinaire,
Gogol, e tanti altri), partecipate alla madre
lontana, complice di questo amore
per le lettere, un modo come un altro per
sentirsi a casa, ricostruendo una piccola
biblioteca che lo tenga al riparo da giorni
sempre uguali spesso somiglianti a
una pania che si appiccica addosso. Poi i
luoghi. Da una parte Firenze e Viareggio,
dall’altra i paesaggi ancora incontaminati
della Valle d’Aosta, fotografata negli
scorci di rocce e vette innevate, nei «boschi
di larici rossi», nei tanti castelli, ora
maestosi e massicci, ora richiamanti atmosfere
da fiaba – come il castello di Fenis
«illuminato e immerso in una nebbia
leggerissima» –, nelle valli da cartolina
– la valle di Cogne «veramente bellissima,
selvaggia, riposante» –, e in quei
luoghi su cui l’antropizzazione barbara e
la spinta accelerata al turismo di massa
non avevano ancora allungato la mano
(su tutti l’esempio di La Thuile, diventata
la stazione sciistica che oggi tutti conosciamo,
abbandonato lo sfruttamento
delle miniere di carbone). Lettere nelle
quali la cronaca dei giorni si sposa con
gli umori, le speranze, le perplessità, le
scoperte di un giovane uomo che si affaccia
alla vita, dalle quali traspare bene
il carattere e le passioni personali. Il resoconto
di un’esperienza da “tesaurizzare”,
come sostiene Tempestini. Una
interessante testimonianza da passare
in eredità a quelle nuove generazioni che
non conosceranno mai di persona marce,
servizi, furerie, notti all’agghiaccio e
prove di ardimento.
ANCHISE TEMPESTINI
57
FRANCO GIOMINI
Foto di Franco Giomini
vincitrice del Primo premio - sezione Fauna
nell’ambito del concorso fotografico nazionale
“Scatta la Natura III”
IL GIOMO
ilgiomo@gmail.com
Ritratti
d’artista
Rita Brucalassi
Natura e fantasia in una pittura densa di emozioni
di Lucia Raveggi
Nata a Castelnuovo di Val
di Cecina nel 1955, Rita
Brucalassi vive e lavora
da molti anni a Follonica. Dopo
il conseguimento del diploma, inizia
a dipingere con costanza nel 1974,
dedicandosi allo studio delle arti figurative
con particolare attenzione
alla figura femminile e al paesaggio
toscano. Di lei scrive lo storico
dell’arte Maurizio Vanni: «Il fascino
magnetico che la sua pittura esercita
sulla nostra sensibilità è dovuto,
quasi interamente, alla trasposizione
dei sentimenti nei dipinti e all’amore
di Rita per la vita e per le cose. Gli
alberi, i cespugli e le case diventano
arte proprio grazie all’amore che li
unisce e li solleva a un piano più alto
della realtà in una grande luce. L’intera
scena può raggiungere lo splendore
concentrato di un oggetto riflesso in un
cristallo». Il critico Mauro Barbieri mette
in luce, invece, il carattere immaginifico
della sua pittura: «Paesaggi surreali
che narrano suggestioni fantastiche racchiuse
in concetti inamovibili; figure, siano
esse donne e bambini, fissate nella
loro staticità, così come le ore del giorno
che sembrano non trascorrere mai
mentre lo sguardo si perde in orizzonti
senza fine. I dipinti di Rita Brucalassi so-
Il mare, pastello secco su cartone velour, cm 50x40
Verso il mare, olio su tela, cm 50x70
migliano a racconti fiabeschi dove tutto
è irreale benché perfetto ed equilibrato».
Quanto agli aspetti “meditativi” sottesi
al suo modo di rappresentare la natura,
si segnalano le parole di Daniele Radini
Tedeschi: «Realizzazione bucoliche e
agresti descritte da una luce piena che
accresce il senso di pace e quiete della
raffigurazione. I colori puri e il dettaglio
tecnico dell’apertura delle quinte suscitano
nel riguardante uno stato d’animo
di totale serenità». Del medesimo avviso
Giuseppe Giannantonio:
«L’opera
dell’artista è un’esplosione
di vita,
nei suoi paesaggi
eseguiti con valente
maestria pittorica,
ci fa pensare ai
paesaggisti classici
dell’Ottocento,
lineari, reali e
fiorenti. La composizione
scaturisce
da una ricerca
cromatica intensa
e dalle pennellate
rapide e decise,
L’attesa e la paura: Covid, olio su tela, cm 50x40
dando vita ad un’espressività lirica ed
emozionante». Così anche Sandro Serradifalco:
«Una pittura amabilmente studiata,
piacevole e profonda allo stesso
tempo, cromaticamente equilibrata e
matematicamente pulsante. Elementi
estrapolati dalla quotidianità divengono
simboli di lirica proposizione meditativa».
Degno di nota anche il pensiero di
Dino Marasà: «L’animo umano è percorso
da una corrente di energia mentre
fruisce di un’opera d’arte. Questo accade
anche con i quadri dell'artista Rita
Brucalassi, che riesce a trasferire sulla
tela l’unicità dei fenomeni naturali in
un unicum armonico di squisita fattura».
Nel corso della sua carriera, la pittrice
ha ottenuto numerosi riconoscimenti
e premi e ha partecipato a rassegne collettive
e tenuto personali in Italia e all’estero.
Molte sue opere sono presenti in
collezioni private e pubbliche. Nel 1997,
con altri pittori della sua città, ha costituito
l’associazione artistica Golfo del Sole.
Rita Brucalassi
via Bicocchi 1, Follonica (GR)
rita.brucalassi@libero.it
+ 39 3331612980
RITA BRUCALASSI
59
Associazioni in
Toscana
Auser Toscana
Una grande “famiglia” al servizio della comunità
di Gaia Simonetti / foto courtesy Auser Toscana
Èun cuore grande quello dei
volontari che offrono anche
un sorriso, che oltrepassa
la mascherina, a chi ha necessità.
È una grande “famiglia”, quella
di Auser Toscana, associazione di
volontariato e di promozione sociale,
impegnata nel favorire l’invecchiamento
attivo degli anziani
e nel valorizzare il loro ruolo nella
società. Sono operativi 5.500 volontari,
uomini e donne in tutta la
regione. Alla guida dell’associazione,
da marzo 2017, una donna piena
di energie, Simonetta Bessi, che
riveste il ruolo di presidente. «La
nostra proposta − spiega − è rivolta
in maniera prioritaria agli anziani,
ma è aperta anche al dialogo tra
generazioni, nazionalità e culture
diverse. Il nostro obiettivo è porre
al centro la persona come risorsa
per sé e per gli altri a tutte le età». Il
Covid-19 ha cambiato la vita di tutti,
ma non ha fermato l’attività dell’Auser
Toscana. «Siamo riusciti a garantire
interventi a domicilio rispettando le
La sede dell’associazione
La presidente di Auser Toscana Simonetta Bessi
regole della sicurezza − continua Simonetta
Bessi − e abbiamo potuto assistere
le persone per telefono. Il nostro
principio base è dare un supporto per
migliorare la qualità della vita e sostenere
le fragilità. Un impegno che si sviluppa
in più servizi, dalle visite agli
anziani alle passeggiate, alle letture
di libri, all’accompagnamento, alle
visite mediche o alla spesa portata
a domicilio. Organizziamo anche incontri
su alimentazione e stili di vita.
Mi piace ricordare anche le sartorie
dell’associazione: dalle mani sapienti
delle nostre sarte nascono le bambole
di pezza, le pigotte, e i vestiti
tradizionali per eventi e mercatini.
Con l’arrivo dell’inverno continueremo
e potenzieremo i nostri servizi
− conclude Bessi − per dare una
mano a chi ha bisogno». Simonetta
Bessi ci saluta. L’intervista è terminata.
Il telefono squilla. È un anziano
che ha ricevuto un aiuto da Auser
e ringrazia. Gli occhi della presidente
si illuminano.
www.auser.toscana.it
60
AUSER TOSCANA
La voce
dei poeti
Giancarlo Bianchi
Le ragioni della poesia
di Giancarlo Bianchi / foto courtesy Carmelina Rotundo
Tutto il cosmo non è che un pensiero
proiettato del creatore.
Questa greve zolla di terra che
fluttua nello spazio è soltanto un sogno
di Dio, che ha fatto tutte le cose creandole
dalla sua mente. Negli atti del nono
congresso mondiale dei poeti, in occasione
di Firenze Capitale europea della
Cultura nel 1986, si afferma: «Dio prima
dell’uomo ha pensato il mondo come
poeta? La sua parola è creazione. L’universo
in questo caso non sarebbe che il
suo poema. Leggibile eternità/perennità
del leggibile/eternità del libro». Così come
l’uomo nella sua coscienza dà vita
ad un’opera d’arte spesso imitando Dio,
non vi è poesia se l’uomo non ha prima
immaginato in se stesso una forma
ed una bellezza. Nella poesia e nell’arte
in genere la cosa che più importa è una
sorta di energia, una forza che somiglia
piuttosto all’acqua che sgorga da una
sorgente sotterranea, una corrente che
solo lo spirito può dare. Senza Dio non
c’è arte. Il poeta conosce intimamente
la verità: il fremito di vita che pervade
tutta la creazione. Il primo artista e il più
grande è solo Dio. L’uomo tenta invano
attraverso il mito, la poesia e la favola
di spiegare quello che l’infinito crea.
Così scrive, nel volume Ad occhi aperti,
Marguerite Yourcenar: «Per me poeta
è qualcuno che è in contatto. Qualcuno
attraverso cui passa una corrente». Simile
ad un canto, riflesso di una melodia
infinita, vibra l’anima; viene in mente,
a questo proposito, che lo strumento
principe del poeta è la lira. Nell’introduzione
dell’allora sindaco di Firenze
Massimo Bogianckino al suddetto congresso
si legge: «Io ritengo giusta l’intuizione
di Gian Battista Vico. La parola
al suo nascere era l’espressione lirica
dell’animo commosso, d’avvenimenti
o di sentimenti. Quindi la sua natura,
la natura della parola, era schiettamente
musicale, lirico difatti è quel che è legato
alla lira, strumento musicale». Questa
segreta armonia delle sfere rimane il
vero mistero, i versi che ne scaturiscono
sono sorretti da questo “contatto”
e dunque da una “energia ritmico immaginativa”,
come ebbe a dire Vittorio
Vettori nella prefazione ad una mia raccolta
poetica dal titolo Bandiere pulite.
La teologa Anita Norcini Tosi chiama la
stessa energia “alchimia pericoretica”.
Nessuna migliore conclusione di quella
affidata ad alcuni versi di Eugenio
Montale: Il frullo che tu senti non è volo,
ma il commuoversi dell’eterno grembo:
vedi che si trasforma questo lembo
di terra solitario in un crogiuolo. A questi
versi fanno eco le parole di una mia
poesia tratta dal volume Come una monodia
(2006): Le radici della tua creazione,
simulacri di un trono d’oro, semi
e simboli, scrigni preziosi trasformano
il tempo in cose certe…la vita freme
senza tregua…e supera le parole, umane
come la vera poesia, come araba fenice
risorgendo dalla cenere.
Incontro di poesia alla Santissima Annunziata (2005): il quinto da sinistra è Giancarlo Bianchi, alla sua destra la teologa Anita Norcini Tosi
GIANCARLO BIANCHI
61
Stephanie Holznecht, Rolando Rovati,
Karin Monschauer, Cesare Triaca
e Michael Henry Ferrell
nelle prossime aste di
COLASANTI
CASA D'ASTE
ROMA
www.colasantiaste.com
Firenze
Mostre
La collettiva al Centro Espositivo Culturale
San Sebastiano di Sesto Fiorentino
di Fabrizio Borghini
Sempre più intensa e qualificata
l’attività artistica e culturale del
Centro Espositivo Culturale San
Sebastiano che ha sede presso la Pieve
di San Martino in piazza della Chiesa a
Sesto Fiorentino. Il 17 ottobre scorso si
è conclusa l’ennesima bella mostra collettiva
dei soci artisti promossa dal presidente
Fabrizio Finetti, con il responsabile
della sezione arte Felice Giannelli ed ospitata
nella sala di San Sebastiano risalente
al 1200. Fin dal 3 ottobre, giorno dell’inaugurazione,
moltissimi sono stati i visitatori
della rassegna di arti visive che ha
proposto opere di pittura, scultura e fotografia
di oltre trenta artisti fra i quali è
d’obbligo ricordare la presenza, grazie al
prestito di un espositore, di due importanti
artisti fiorentini recentemente scomparsi,
Giuliano Pini e
Silvano Campeggi, da
sempre vicini all’attività
del sodalizio culturale
sestese. A fianco dell’attività
espositiva, prosegue
quella riservata ai
soci della sezione letteratura
che prevede, soprattutto in
occasione delle esposizioni,
pomeriggi e serate all’insegna
della poesia, con la
presenza della poetessa e
giornalista Alessandra Bruscagli
e con presentazione
di libri soprattutto di narrativa
con letture dell’attore
Alessandro Calonaci, direttore
artistico dell’attiguo Teatro
di San Martino.
Fabrizio Finetti
+ 39 3385252537
fab.finetti@hotmail.com
Sala San Sebastiano
Centro Espositivo Culturale
Aldo
Fittante
Alcuni scorci della mostra
CENTRO ESPOSITIVO CULTURALE
63
Ritratti
d’artista
Io e il Covid-19
L’arte compagna di Mauro Boninsegni nella triste
esperienza della malattia
di Mauro Boninsegni
Vi racconto la mia esperienza diretta
con il Covid-19 e i pensieri
che mi ha suscitato. Tutto ha
avuto inizio l’8 marzo con la febbre oltre
38°. Telefonata al medico di famiglia
che mi dice: «Prendi la tachipirina, poi
ti prescrivo antibiotico in pasticche, vedrai
che passa tutto tra qualche giorno, è
solo un po’ di influenza». Dopo una settimana
la febbre aumenta con affanno e
forti dolori agli occhi: chiamiamo il 118.
A casa l’infermiere della Misericordia,
dopo aver effettuato il controllo dell’ossigenazione
(bassissima), mi chiede:
«Da quanti giorni hai questa febbre così
alta?». Gli rispondo: «Da una settimana».
Mi guarda ed esclama: «Per me
sei più che positivo, lo vedo dalla faccia,
ho esperienza, se non hai niente in
contrario, ti portiamo all’ospedale». Ovviamente
sono d’accordo. È il 16 marzo.
Mi portano all’Ospedale di Santa Maria
Nuova, dove il tampone per il Covid-19
risulta positivo. Dopo le prime cure, mi
trasferiscono all’Ospedale San Giovanni
di Dio presso Torregalli. Dopo avermi
vampirizzano con varie analisi e terapie,
mi diagnosticano la polmonite tipica del
Covid-19. Comincio a fare fatica a respirare,
mi trasferiscono in terapia intensiva.
È il 23 marzo. Sto rischiando
la vita. A quel punto perdo conoscenza,
sono in coma farmacologico e vengo
intubato. I medici mi curano con un
potente farmaco anti artritico; avvertono
i miei familiari che mi restano 24/48
ore di vita al massimo se il mio corpo
non reagisce. L’organismo risponde alle
cure, mi svegliano e man mano che
torno cosciente, mi vedo pieno di tubi,
tubicini, fili, insieme a tanti macchinari.
È il 31marzo. Mi sembra d’essere una
macchina idraulica, intubato e mascherato
per l’ossigenazione ed altre terapie,
domando a cenni che mi succede.
Sento esclamare un infermiere che mi
accudisce: «Puoi accendere un cero alla
Madonna, ti è andata veramente bene».
Finalmente mi tolgono i tubi. È il
5 aprile. Dopo una convalescenza a Villa
Torrigiani, nei pressi di San Domenico,
e un nuovo ricovero all’Ospedale di
Santa Maria Nuova, torno a casa. È il
28 maggio. Comincio a ricordare i sogni
che ho fatto o se vogliamo le “allucinazioni”
che ho avuto quando ero in
terapia intensiva. Ricordo una mano gi-
Conversazione
Giochi con l’acqua
64
MAURO BONINSEGNI
Estate al giardino
gante strizzarmi il torace per spremere
l’aria dai polmoni ed un grande disco
dorato molto luminoso simile ad un’astronave
avvicinarsi; mentre questo disco
mi sfiora, vedo la figura angosciata
del quadro L’urlo di Munch trasformarsi
in una farfalla trasparente e delicata simile
ad un organo femminile che mi dice
con fermezza: «Non credere di stare
meglio di là, si sta assai peggio che qui
sulla terra, che invece è un posto meraviglioso».
Pochi istanti dopo, la stretta
finisce e il disco dorato si allontana
a gran velocità scomparendo nel nulla;
la voce di prima mi sussurra: «A posto,
vai, ce l’hai fatta». La vita e l’arte mi
avevano ridonato l’esistenza. Nei giorni
successivi molteplici allucinazioni mi
hanno perseguitato; tra quelle che meglio
ricordo, la ditta di un paese sottosviluppato
dove la manodopera ha costi
esigui. Una trentina di operai tutti allineati
confeziona buste di tè da distribuire
negli ospedali; il processo è controllato
da alcuni manager cinesi possessori di
grandi piantagioni di tè i quali per vincere
la concorrenza del mercato stanno
sperimentando l’uomo-macchina. È
così che alcuni medici consenzienti alle
richieste di questi manager, mi mettono
in una camera ben isolata, dove due
tipi attaccati ad uno stantuffo meccanico
effettuano 24 ore su 24 lo stesso
movimento. Movimento che
permette zero costi al confezionamento
del tè in bustine.
Ci sono anche degli psicologi
che rassicurano i manager,
sostenendo la teoria per
la quale dopo un po’ di tempo
sarei stato condizionato
ad accettare tale trattamento.
Mi arrovello per uscire
da questa disavventura, cerco
disperatamente nomi e
numeri di telefono, purtroppo
irraggiungibili, di giornalisti
che avrebbero potuto
velocemente denunciare tale
scempio. Poi tutto sparisce
nel nulla, solo vuoto
infinito, e nell’angoscia cerco
un colore per definire
questo stato d’animo. Sempre
nel corso delle allucinazioni,
mi domandavo spesso
come rappresentare i riflessi
dell’acqua, soprattutto gli scintillii dei
fiumi, dei ruscelli e dei mari quando il
sole ci si rispecchia, non usando colori:
la soluzione era di prendere degli
specchi, frantumarli in cristalli di varie
misure e poi incollarli su tela, intitolando
l’opera Riflessi. Subito dopo un’altra
idea: prendere dei frammenti di specchi,
attaccarli su tela distanziati tra loro,
in modo che coloro che guarderanno il
quadro vedranno riflessi i loro
movimenti, le loro smorfie:
titolo dell’opera I fotografi.
I pensieri sull’arte si susseguono.
Avvolto nella solitudine
e nell’angoscia, penso di
continuo al disegno, ai colori,
come se l’arte mi permettesse
di filtrare e controllare,
anche attraverso inaspettati
abbinamenti, quanto fuoriesce
dalla mia mente. Ricordo
di avere pensato come friggere
i colori, poi i colori alla
sedia elettrica e avere ipotizzato
delle ricette. Per il “colore
fritto”, impastare colori
prescelti con vinavil, tuorlo
d’uovo e farina e, dopo avere
ottenuto una crema densa,
metterla in un cucchiaio da
minestra e immergerla in olio
bollente fino a farla solidificare;
ripetere l’operazione quante volte si
vuole e depositare le frittelle (migliacciole)
su tela incollandocele. I risultati
ottenuti saranno molteplici in base al
disegno che la composizione di frittelle
seguirà. Per la variante “colore alla
sedia elettrica”, spalmare su tela colori
diluiti con liquidi conduttori, applicare
ai lati opposti della tela degli elettrodi e
collegarli alla corrente elettrica sia di linea
che di batteria (secondo la grandezza
della tela). La resistenza che i colori
opporranno al passaggio della corrente
produrrà rigonfiamenti, bolle, bruciacchiature,
fino all’apparire di astrazioni
tutte da interpretare. Infine per dare
un significato alla parola “arte” e definire
soprattutto a cosa serva, l’ho paragonata
alla luce: mentre la luce mette
in moto il ciclo della pioggia tramite il
vapore acqueo, l’arte tramite la mente
mette in moto il pensiero per trovare
nuovi modi di espressione e future strade
da seguire. Quindi, luce e arte fonti di
energia che compiono ininterrottamente
un lavoro. Alla fine di questa storia
un doveroso e sentito ringraziamento
agli angeli degli ospedali San Giovanni
di Dio e Santa Maria Nuova, che con
grande professionalità mi hanno curato
e resuscitato, e all’arte, che con la sua
energia mi ha tenuto sveglio facendo lavorare
il cervello e impedendomi di perdere
la ragione.
Ben arrivata
MAURO BONINSEGNI
65
www.mauromaris.it
mauromaris@yahoo.it
Mauro
Maris
Ritratti
d’artista
Ia Shariashvili
Una pittrice classica e contemporanea
di Jacopo Chiostri
Nella pittura di Ia Shariashvili,
pittrice georgiana da alcuni anni
residente a Siena, si avverte
l’urgenza di comunicare, di condividere
le proprie emozioni. Questa giovane
donna utilizza con scioltezza il linguaggio
universale dell’arte, che in lei è un
insieme di elementi classici, simbolici
e onirici, con rimandi anche alla pittura
paesaggistica toscana del secolo scorso.
Il tutto è proposto con un piacevole
mix di autorevolezza e pudore. Il suo
percorso da autodidatta è ancora da definire,
ma mostra già di avere le carte
in regola per un lavoro impegnativo come
quello di pittrice dove è buona regola
ricordarsi di aggiungere sempre
qualcosa e metterlo a disposizione di
tutti, così da contribuire alla causa comune
della crescita dei saperi. Il segno,
la coloritura, la composizione − che impatta
l’occhio − sono, infatti, ben organizzati,
pesi e contrappesi modulati
sapientemente sulla tela, l’espressività
dei soggetti riesce a farsi interprete
delle emozioni e del sentire dell’artista.
Insomma, le basi sono tutte già
nel bagaglio espressivo di Ia. È,
la sua, pittura tradizionale, soli-
da, frutto sicuramente di analisi e studio
del soggetto; pittura che comunica
un messaggio immediato e complessivo,
per cui occorre una rilettura per cogliere
gli elementi che compongono il
quadro, i suoi dettagli, le pennellate, le
sfumature. Nella sua dialettica espressiva
c’è poi un sorprendente eclettismo.
Così, assieme all’immagine ridente di
un bambino di colore alle prese con una
specie di tamburo, si contrappongono
immagini oniriche, fortemente simboliche
e vagamente inquietanti di donne
magari sull’orlo di un precipizio in una
notte senza luna con un cielo minaccioso
tutto intorno. In ogni caso, lo studio
delle sue opere è un impegno ottico
piacevole che premia l’osservatore con
una continua scoperta di elementi che
ci sono, eccome se ci sono, ma sfuggono
all’iniziale percezione perché questa
è “corrotta” dalla coerenza dell’insieme.
Così, s’individuano le piccole zone luminose
che definiscono i volti e fanno
da contrappeso alla caparbietà del segno
sui consapevoli e algidi volti fem-
minili, la gradazione cromatica − che
dà uniformità e familiarità alle nature
morte e ai dipinti di fiori − e i piani
dei paesaggi, essenziali nelle forme,
perché quello che alla fine conta è dare
vita a un’emozione, a un ricordo, a una
visione che sia pittoricamente spendibile.
Casalinga di professione, Ia Shariashvili
ha come progetto prossimo di
continuare ad esplorare il terreno della
sua passione e verve artistica. Lo
farà, supponiamo, mantenendo questo
suo atteggiamento rigoroso che la porta
a mediare gli insegnamenti dei grandi
maestri − Van Gogh in primis − con
la sua visione, nella quale domina questo
continuum tra classicità di sempre e
classicità contemporanea. Pittura senza
tempo, quindi, pittura che ha bisogno
di interpreti, di artisti capaci di rinnovare
senza abdicare ai solidi principi che
ne fanno, come dicevamo all’inizio, un
linguaggio universale che si può parlare
e comprendere a qualsiasi latitudine.
shariashvili@gmail.com
Ia Shariashvili con un suo ritratto femminile
Natura morta, olio su tela, cm 50x45
IA SHARIASHVILI
67
Stella Cucin’Arte
Quando la cucina dialoga con l’arte
Il catering Stella Cucin’Arte di Selena
Stella e Luca Paolino fonde le meraviglie
artistiche del maestro Andrea Stella, da
cui prende il nome, a creazioni culinarie
assolutamente innovative e al contempo
legate alla tradizione.
Selena e Luca, di origine greca e siciliana,
coltivano la loro grande passione per la
cucina creando dei menù esclusivi e
curati nei minimi dettagli, affinchè una
cena in famiglia o tra amici, un piccolo o
grande evento come un viaggio di nozze
siano il risultato dell’unione tra ricerca,
raffinatezza ed eleganza.
Per preparare i loro piatti si servono
di materie prime provenienti dalle loro
terre a Certaldo dove presto avrà sede
la Corte degli Artisti, una location
esclusiva per eventi, cerimonie, cene e
feste private, con due sale interne, un
giardino con piscina e una splendida
vista sulle colline della Val d’Elsa e sulle
antiche torri di San Gimignano.
Ogni sabato, nell’Atelier Andrea Stella
alle porte di Firenze (Bagno a Ripoli),
si tiene su prenotazione l’iniziativa
A cena con il maestro, una serata
in un ambiente d’eccezione per unire
l’eccellenza dell’arte al gusto dell’alta
cucina.
Servendosi della collaborazione di un
team di professionisti, Selena e Luca
organizzano l’evento ponendo massima
attenzione ad ogni dettaglio: dagli
allestimenti a tema agli addobbi floreali,
dal menù alla scelta del vino, per esaudire
i desideri del cliente e accompagnarlo
nei momenti speciali.
Le location di Stella Cucin’Arte
Atelier Andrea Stella
via Roma 535, Bagno a Ripoli ( FI)
+ 39 3393486520 / + 39 3339570319
atelierandreastella@gmail.com
Corte degli Artisti
via di Mugnano 75, loc. Casale,
Certaldo (FI)
+ 39 3393486520 / + 39 3339570319
stellacucinarte@gmail.com
In collaborazione con
Maurizio Fiori
Addobbi floreali per ogni ricorrenza
Certaldo, via Romana 92
Montaione, via Scipione 26
+ 39 0571 1724783 / + 39 3891261231
Immagini dell’evento di presentazione del catering Stella Cucin’Arte svoltosi lo scorso 3 ottobre presso l’Atelier Andrea Stella a
Bagno a Ripoli (ph. Fabrizio Papi)
Sullo sfondo un’opera del maestro Andrea Stella
Al centro Selena Stella e Luca Paolino con il loro team di professionisti
A cura di
Franco Tozzi
Toscana
a tavola
Il baccalà
Dalla tradizione del Nord Europa alla cucina toscana
di Franco Tozzi
Il merluzzo, uno dei pesci più mangiati
al mondo, è conosciuto anche come
baccalà e stoccafisso. Forse non tutti
sanno che la differenza tra i due è solo
il tipo di conservazione: il baccalà è conservato
sotto sale, mentre lo stoccafisso
è asciugato dai freddi venti del Nord
Europa. Del baccalà (bacalao dallo spagnolo,
a sua volta derivato dal fiammingo
bakeliauw) abbiamo notizia per la prima
volta in un ricettario italiano nel 1650; lo
La fase di essiccazione del merluzzo (ph. courtesy www.scattidigusto.it)
Questo piatto veniva preparato
la prima sera di vendemmia
usando qualche grappolo d’u-
va “trebbiano” che oggi si trova
difficilmente al mercato e quindi si
può sostituire con uva passa messa a
bagno in acqua calda.
stoccafisso (dal fiammingo stokvish cioè
“pesce bastone” o “pesce seccato sui
bastoni”, anche se qualche linguista fa
risalire l’origine al latino baculus cioè “bastone”),
famoso per tradizione nelle Isole
Lofoten in Norvegia, entra a far parte
della cucina italiana nel 1497, dopo essere
stato descritto qualche decennio prima
(1432) nel racconto di un viaggiatore veneziano
naufragato su un’isola nordeuropea.
Gli antichi navigatori, in particolare
i Vichinghi, masticavano
pezzettini di pesce secco,
un po’ come facevano con
la carne di bisonte gli Indiani
d’America. Prima
di essere cucinati, baccalà
e stoccafisso vanno
immersi per due giorni
in acqua preferibilmente
corrente per ammorbidirli
e dissalarli (lo stoccafisso
va anche “bastonato” prima
di immergerlo), anche
se oggi nella maggior
Accademia del Coccio
Lungarno Buozzi, 53
Ponte a Signa
50055 Lastra a Signa (FI)
+ 39 334 380 22 29
www.accademiadelcoccio.it
info@accademiadelcoccio.it
parte dei banchi si trovano già bagnati,
quindi le quantità nei ricettari fanno riferimento
a quelli reperibili in commercio.
Se invece volete provare da soli a fare il
trattamento, considerate che mezzo chilo
di pesce da lavorare corrisponde a 800
grammi bagnato. Questo pesce, che per
noi toscani è il baccalà, è ricco di proteine
e ha pochi grassi, principalmente polinsaturi
(Omega 3). Moltissime sono le ricette
e tutte hanno in comune la semplicità,
perché il baccalà è gustoso anche solamente
lessato e condito con un robusto
filo d’olio. La ricetta che vi propongo era
tipica delle cene di fine vendemmia.
Baccala all’uva
Ingredienti:
• 800g di baccalà bagnato
• 5 spicchi d’aglio (non sbucciati)
• 1 ciuffo di ramerino
• 1 bicchiere d’olio
• farina bianca
• 2 grappoli d’uva, solo i chicchi (oppure
2 etti di uva passa)
• sale (se necessario, aggiungerlo a fine
cottura)
Preparazione:
In una padella mettere olio extravergine di oliva, aglio e rosmarino. Quando l’olio è
ben caldo aggiungere l’uva e farla rosolare senza che diventi croccante; subito dopo
aggiungere il baccalà infarinato. Rosolare bene ogni parte del trancio di pesce,
finché non si sia formata una crosticina. Per un sapore più deciso, sfumare mezzo
bicchiere di vino bianco, meglio se vernaccia. Lasciar cuocere per quindici minuti a
fuoco moderato e servire fumante.
IL BACCALÀ
69
Il super tifoso
Viola
A cura di
Lucia Petraroli
Lorenzo Amoruso
Una vita per il calcio, con la viola tra i ricordi più belli
di Lucia Petraroli
Una carriera nel calcio, prima come
giocatore nel ruolo di difensore
che a Firenze ha lasciato
un grande ricordo soprattutto con la vittoria
della Coppa Italia, e poi come dirigente
sportivo. Oggi quarantanovenne,
Lorenzo Amoruso negli ultimi anni si è
dedicato alla televisione. Opinionista
sportivo per diverse emittenti nazionali
come Sky e Mediaset, ha condotto anche
due stagioni del docu-reality Squadre
da Incubo insieme a Gianluca Vialli
e ha partecipato a Celebrity Masterchef
Italia. Con Manila Nazzaro, sua compagna
ed ex Miss Italia, ha partecipato
all’ultima edizione del programma televisivo
Temptation Island, da dove è arrivata
anche la sua proposta di matrimonio.
Innanzitutto parliamo di te, di un bel
progetto privato all’orizzonte…
Non sono più un ragazzino. Con Manila
penso di aver trovato la persona giusta.
Temptation Island ci ha messo di
fronte davvero. Siamo usciti dal programma
ancora più uniti.
Lorenzo Amoruso con la compagna Manila Nazzaro
Quali sono i tuoi progetti futuri?
A livello calcistico sto collaborando con
RTV38. Ho lavorato con la Fiorentina ma
non è andata avanti nonostante fossero
stati loro a chiamarmi. Mi hanno accostato
a programmi di vario genere in TV,
ma io non sono un amante del gossip,
sono un tipo riservato. Ho già fatto quel
tipo di esperienza con Temptation Island.
Emergenza Covid anche nel calcio:
che momento stiamo vivendo?
Col freddo sapevamo che la situazione sarebbe
peggiorata. Speriamo tutti che non
ci sarà un nuovo lockdown. Confidiamo
in un vaccino al più presto per tutti, anche
per una normale ripresa del campionato.
Come giudichi l’inizio del campionato
della viola?
È un campionato particolare. Non c’è un
obbiettivo per questa stagione, la società
non si è espressa. Vedremo cosa i giocatori
riusciranno a fare. In un’annata così,
col Covid, non sarà facile.
Cosa pensi del lavoro di
Iachini?
Iachini è un ottimo allenatore.
Se però pensavamo di ottenere
da lui il calcio “champagne”
non abbiamo capito che
non è la sua caratteristica. Se
voleva questo, la Fiorentina
ha sbagliato a confermarlo.
Le sue squadre non sono mai
state così.
Dal mercato ti aspettavi di
più o reputi idonei i nuovi
innesti?
Sono stati presi buoni giocatori,
ma manca la punta
centrale che doveva arriva-
re prima di tutto. Capiremo se ciò che
abbiamo in attacco crescerà o meno.
L’anno scorso nel reparto offensivo
non siamo riusciti a fare la differenza.
Poi non mi è piaciuta l’operazione
di Chiesa. Tu hai ceduto il tuo giocatore
migliore che oggi sfrutta la Juventus
e però al momento non ne hai
tratto beneficio, non hai incassato.
Secondo te, Commisso ha fatto bene
in questo suo primo anno alla
viola?
È partito a razzo, poi le cose si sono
rallentate. Da americano è arrivato
con la sua mentalità ma purtroppo
in Italia le questioni burocratiche frenano
tutto. Spero riusciremo davvero
a vedere le qualità di Commisso. Credo
che però dopo un po’, se le cose
continuano così, si stuferà.
Chi potrebbe essere oggi l’erede di
Amoruso?
Non riesco a fare paragoni, il calcio
di oggi è diverso. Una volta c’era
il marcamento a uomo, eravamo
più cattivi, poi ci siamo buttati sulla
zona. Nell’1 contro 1 oggi i giocatori
hanno difficoltà. Qualche giocatore
ha quel tipo di caratteristiche. Vorrei
le insegnassero nelle scuole calcio.
Oggi si chiede il passaggio bello e la
giocata, nient’altro.
I tuoi ricordi più belli con la viola?
Ho passato due anni splendidi. Il ricordo
più bello sono le amicizie rimaste
con Baiano, Batistuta, Mareggini.
Firenze mi ha dato tanto.
70
LORENZO AMORUSO
A cura di
Michele Taccetti
Eccellenze toscane
in Cina
La formazione come strumento
di marketing internazionale
coledì 18 novembre, dalle ore 17.00
alle 18.30, affronta vari aspetti utili
per approcciarsi al mercato cinese, in
particolare:
- conoscere la Cina: breve descrizione
cronologica dell’evoluzione storico-sociale
della Cina, aspetti culturali
e macroeconomici
- descrizione degli intermediari e delle
figure commerciali cinesi
- strumenti di promozione e internazionalizzazione
- trattative e sviluppo commerciale
- focus: moda, arredamento, turismo, cosmesi/persona
(l’approfondimento dei sindi
Michele Taccetti
L’importanza di una formazione
fondata su un approccio commerciale
è alla base degli strumenti
di internazionalizzazione a cui
devono attingere le piccole e medie imprese
per iniziare ad esplorare i mercati
internazionali, soprattutto quelli più
lontani per logistica e per cultura co-
Cna Firenze Internazionalizzazione ti
invita ad una presentazione online
sulle opportunità ad oggi presenti
nel mercato cinese. Obiettivo del
webinair è mostrare come, partendo
dagli strumenti comunemente utilizzati
per l’internazionalizzazione,
sia possibile elaborare un piano appositamente
dedicato alla Cina che,
notoriamente, necessita di una strategia
“personalizzata” rispetto a quella
comunemente seguita per i mercati
esteri tradizionali come Europa e
USA. La presentazione, che si terrà
tramite la piattaforma Zoom merme
la Cina. Il webinar che China 2000
in collaborazione con CNA svolgerà il
prossimo 18 novembre è una testimonianza
vista dagli occhi di chi, in Cina,
vi è stabilmente e quotidianamente
presente da oltre venticinque anni e
rappresenta un’occasione importante
per essere aggiornati su un mercato in
continua evoluzione ed uno dei pochi
al momento aperto. L’internazionalizzazione
necessita di una programmazione
ben accurata con una visione a
medio e lungo termine. Nonostante le
difficoltà attuali, questo è il tempo per
programmare ed essere pronti quando
l’emergenza finirà.
Come approcciarsi al mercato cinese: webinar gratuito il 18 novembre
goli settori sarà legato alla categoria delle
aziende che parteciperanno all’incontro).
I partecipanti potranno porre quesiti e
inviare specifiche domande. La presentazione
è a cura dell’esperto di relazioni
Italia-Cina Michele Taccetti di China
2000.
Per partecipare scrivere a:
formazione@china2000.it
CHINA 2000
71
Movimento
Life Beyond Tourism
Travel To Dialogue
L’arte della fotografia con il Movimento
Life Beyond Tourism Travel to Dialogue
Il programma Art in our Heart WEB dedicato ai fotografi e al
mondo dell’arte italiana ed internazionale
di Stefania Macrì
Continua l’impegno del Movimento
Life Beyond Tourism
Travel to Dialogue a sostegno
dell’arte in tutte le sue forme ed
espressioni grazie all’iniziativa Art
in our Heart WEB. Dal mese di novembre,
infatti, il Movimento sostiene
e contribuisce alla messa in onda
su Toscana TV di una serie di servizi
televisivi che la giornalista Maria
Grazia Dainelli ha realizzato, intervi-
va vuole essere un gesto concreto
rivolto al mondo artistico e ai suoi
tanti protagonisti: pittori, scultori
ma anche fotografi, musicisti, poeti,
scrittori e molti altri.
Per conoscere i dettagli dell’iniziativa
e prendervi parte cliccare al link
seguente:
www.lifebeyondtourism.org/it/art-inour-heart-it/
L’evento di presentazione degli
Atti del Forum 2020 Building
Peace through Heritage - World
Forum to Change through Dialogue, tenutosi
lo scorso 20 ottobre in collegamento
live dall’Auditorium al Duomo di
Firenze, è stato un successo che ha visto
la presenza di oltre 150 specialisti da
stando oltre cento selezionatissimi fotografi
toscani. Art in our Heart WEB
conta ad oggi oltre centocinquanta
artisti da ventisei paesi del mondo:
Azerbaigian, Bahrein, Belgio, Brasile,
Canada, Cipro, Giordania, Francia,
Georgia, Grecia, Italia, Lituania, Norvegia,
Pakistan, Polonia, Regno Unito,
Repubblica Ceca, Romania, Russia,
Serbia, Spagna, Stati Uniti, Tailandia,
Taiwan, Turchia e Ucraina. L’iniziatitutto
il mondo che hanno seguito con
interesse i vari interventi ponendo numerose
domande. L’evento di presentazione
dei tre volumi che raccolgono le
testimonianze ed i contributi sui temi del
viaggio e del patrimonio per il dialogo interculturale
ha segnato la chiusura dei lavori
del XXII FORUM Mondiale Building
Peace through Heritage – World Forum
to Change through Dialogue promosso
dal Movimento Life Beyond Tourism –
Travel to Dialogue che da oltre trent’anni
sostiene e incoraggia un turismo etico
e l’incontro tra i popoli stimolando il dialogo
tra culture diverse e l’attenzione al
patrimonio mondiale.
72
MOVIMENTO LIFE BEYOND TOURISM TRAVEL TO DIALOGUE
È possibile rivedere la diretta di questo
primo evento virtuale cliccando sul seguente
link: www.lifebeyondtourism.
org/it/presentazione-atti-forum/
oppure inquadrando con lo smartphone
il QR code sottostante:
Per completare lo sforzo di diffusione
di questo evento e altresì per riconoscere
l’impegno e la fiducia riposta in
esso da tutti gli autori dei testi degli atti
nonostante il periodo così incerto, il
Movimento Life Beyond Tourism pubblicherà
i video con cui ciascun autore
presenterà sinteticamente le proprie
conclusioni; un contributo al dibattito
scientifico su temi sensibili per la comunità
internazionale.
Questi video saranno disponibili a fine
novembre alla pagina: www.lifebeyondtourism.org/it/world-forum-to-change-through-dialogue-2020-easyrec/
Il secondo appuntamento da segnare
in agenda è con Costume Colloquium
VII. Evento a cadenza biennale che riunisce
professionisti, studiosi, studenti
e appassionati dei diversi temi
affrontati nelle varie edizioni, Costume
Colloquium quest’anno si svolgerà virtualmente
con un format
speciale e unico che prevede
una diretta sempre
dall’Auditorium al Duomo
di Firenze nei giorni 14
e 15 novembre, a parti-
La presentazione degli Atti del Forum 2020 all'Auditorium al Duomo a Firenze
COSTUME COLLOQUIUM VII
F A S H I O N A N D D R E S S
I N S P A C E A N D P L A C E
Il Movimento Life Beyond Tourism Travel to Dialogue
re dalle ore 18.00. La settima edizione
dell’evento è dedicata ai temi di Fashion
and Dress in Space and Place e
vede la presenza di trentadue relazioni
di qualità da parte di altrettanti relatori
provenienti da 15 paesi del mondo,
ovvero Australia, Belgio, Canada, Croazia,
Danimarca, Giappone, Italia, Norvegia,
Paesi Bassi, Perù, Portogallo, Regno
Unito, Spagna, Stati Uniti e Tailandia. I video
delle relazioni sono già disponibili
sul sito del Movimento
LBT-TTD previa
registrazione come
membri Costume Colloquium.
La registrazione
dà la possibilità
di accesso a contenuti
esclusivi riservati ai
membri di Costume
Colloquium: video registrazioni
delle relazioni, registrazione
delle dirette, contenuti da parte dei collaboratori
e molto altro. Le dirette del
14 e 15 novembre prevedono la presenza
di ospiti esclusivi che daranno
il loro benvenuto e faranno vedere le
meraviglie della Toscana: Museo Ferragamo,
Fondazione Zeffirelli, Museo
di Palazzo Mansi, Centro Storico Patrimonio
UNESCO e molto altro.
Per informazioni sul programma delle
relazioni e per registrarsi all’evento basta
inquadrare il QR code sottostante:
Nasce e si sviluppa seguendo i princìpi di Life Beyond Tourism®, ideati dalla
Fondazione Romualdo Del Bianco al fine di promuovere e comunicare il
patrimonio naturale e culturale dei vari territori insieme alle sue espressioni
culturali, il loro saper fare e le conoscenze tradizionali che custodiscono, dando risalto
a residenti, viaggiatori, istituzioni culturali, pubbliche amministrazioni, aziende,
artigiani, artisti e tutti coloro che rappresentano la cultura dei vari territori, a livello
nazionale e internazionale. La società è diventata una società Benefit/B Corp.
Per info:
+ 39 055 284722
info@lifebeyondtourism.org
www.lifebeyondtourism.org
MOVIMENTO LIFE BEYOND TOURISM TRAVEL TO DIALOGUE
73
B&B Hotels
Italia
Comfort e sicurezza nelle strutture
di B&B Hotels Italia
di Francesca Vivaldi
Prenotare le prossime vacanze, i
prossimi weekend fuori porta o i
prossimi viaggi di lavoro è il modo
migliore per vivere l’inverno in arrivo.
E farlo all’interno dei confini nazionali,
alla scoperta di mete vicine che non
si ha mai avuto modo di visitare, rimane
un trend del 2020. Per questo motivo
B&B Hotels, catena internazionale con
più di cinquecentotrenta hotel in Europa
e quarantadue in Italia, pone la sicurezza
degli ospiti e dello staff dell’hotel al
primo posto. In ogni struttura sul territorio
nazionale vengono adottate tutte le
misure straordinarie previste dal protocollo
di sanificazione Safety Label High
Quality Anti Covid-19, messo a punto
grazie alla collaborazione con BCO Consulting
e Rentokil Initial Italia, aziende
leader in materia di sicurezza negli ambienti
di lavoro.
Al fine di mantenere la continuità
del servizio, dei
consueti alti standard qualitativi
ed offrire così il massimo
comfort, sono stati
messi in sicurezza tutti gli
ambienti dotando ogni struttura
di dispositivi di protezione
personali certificati, ma
anche dispenser con soluzioni
disinfettanti, plexiglass
protettivi presso i desk di accoglienza
e linee di distanziamento sul pavimento.
In aggiunta al protocollo Safety Label
High Quality Anti Covid-19, sono
state intensificate ulteriormente le misure
di sicurezza a supporto dell’operatività,
individuando 8 Golden Rules “Help
us Helping You” che il personale in hotel
e gli ospiti sono invitati a seguire per
la tutela di tutti.
Tra le destinazioni da visitare per un city
break invernale B&B Hotels consiglia:
Como, per un soggiorno in totale relax nei
pressi di uno dei laghi più belli al mondo;
Trento, nel cuore delle Alpi, luogo perfetto
che ospita sia tesori culturali che naturalistici.
In tutti i B&B Hotel troverai servizi smart
e all’avanguardia, come il Wi-Fi fino a
74
B&B HOTEL ITALIA
200mb/s superveloce e gratuito in tutti
gli spazi, la Smart Tv con Chromecast
integrata per poter guardare ed ascoltare
in streaming i tuoi contenuti preferiti, ma
anche il B&B Shop, un corner con prodotti
food e per la cura della persona con
tutto ciò che potrebbe servirti durante il
viaggio.
Per tutti i soggiorni, B&B Hotels Italia, in
ottemperanza con il Decreto Rilancio ed
in linea con la propria filosofia Only For
Everyone, va incontro alle esigenze delle
famiglie italiane dando la possibilità di
utilizzare il Bonus Vacanze estate 2020 in
tutte le sue strutture sul territorio nazionale.
Il Bonus Vacanze prevede un contributo
alle famiglie per trascorrere le vacanze
fino al 31 dicembre 2020 con un valore
massimo di 500 euro, esclusivamente
per prenotazioni dirette da parte dei clienti
stessi o tramite agenzie di viaggio.
B&B Hotels desidera permettere a chiunque,
per motivi di lavoro, necessità o di
svago, di continuare a viaggiare nel nostro
splendido paese, con la tranquillità di
poter trascorrere un soggiorno in hotel in
totale sicurezza, al miglior prezzo di sempre
solo su hotelbb.com.
B&B HOTEL ITALIA
75
Arte del
gusto
A cura di
Elena Maria Petrini
Assaggi d’autore con Massimiliano Liuzzi
di Elena Maria Petrini / foto Maurizio Mattei
In un periodo in cui il momento conviviale
è diventato, prevalentemente,
quello all’interno della propria casa,
suggerisco un insolito aperitivo: un
cocktail d’autore abbinato ad un salume.
Massimiliano Liuzzi, barman (ABI Professional)
e sommelier (AIS) di Montespertoli,
ha creato per i nostri lettori un
cocktail studiato ad hoc per essere abbinato
ad un salume unico nel suo genere:
il ciauscolo. Questo cocktail chiamato
Green Spirit ha una base di vodka aromatizzata
alle erbe mediterranee − prima
pestate nel mortaio e poi messe in infusione
idroalcolica nel distillato in modo
da estrarne gli oli essenziali −, oltre a
2cl di ginger beer e a 2 cl di acqua tonica
per contrastare la componente grassa
del ciauscolo ed anche la sua caratteristica
e spiccata aromaticità. Il bicchiere
utilizzato è del tipo old fashioned, guarnito
con un mazzetto di erbe mediterranee.
All’assaggio, risulta secco, aromatico
con una deliziosa nota di freschezza. Per
chi ama i salumi, il ciauscolo è da non
perdere: ma che cos’è? Ce lo racconta
una delle migliori aziende che lo produce:
Re Norcino a San Ginesio, 696 metri
di altitudine, nel territorio maceratese dei
Monti Sibillini. È qui, infatti, che si produce
questo salume marchigiano, utilizzando
tagli di carne suina rigorosamente
italiana: spalla, rifilature di prosciutto e
pancetta grassa. All’impasto viene aggiunto
anche il lardo e il tutto viene poi
tritato finemente fino ad ottenere un impasto
morbido, condito infine con sale,
aglio, vino rosso e spezie. Dopo aver riposato,
l’impasto viene insaccato in un
budello di suino o di bovino e, una volta
legato a mano con spago di canapa, può
passare alla fase di stagionatura per una
durata minima di tre settimane; talvolta è
ammessa anche una leggera affumicatura.
Ciò che contraddistingue il ciauscolo
è la sua consistenza morbida che lo
rende spalmabile sul pane. Al taglio, la
fetta si presenta di un bel colore roseo,
Il cocktail Green Spirit abbinato al ciauscolo
Massimiliano Liuzzi con il cocktail Green Spirit
76
MASSIMILIANO LIUZZI
Il ciauscolo
a grana molto fine ed omogenea; il profumo
è aromatico e caratteristico, deciso
e speziato; al gusto è saporito, anche
se delicato e molto gradevole.
La produzione del ciauscolo
affonda le sue radici nelle sapienti
tradizioni popolari del
mondo rurale; le ormai consolidate
tecniche di lavorazione,
conservazione e stagionatura
gli hanno valso, nell’agosto
del 2009, il riconoscimento di
IGP, con una ben determinata
zona di produzione, collocata
in alcuni comuni delle province
di Ancona, Macerata ed
Ascoli Piceno, ed un preciso
disciplinare che regola tutto
nei minimi dettagli: dalle razze
suine ammesse ai tagli di
carne, dagli additivi consentiti
alle temperature di stagionatura.
Generalmente viene
consumato fresco, dai venti
ai trenta giorni, fino ad un
tempo massimo di due mesi
dalla preparazione. È ottimo
come spuntino sul pane
o sulle bruschette e si abbina
molto bene a vini marchigiani,
come ad esempio la Vernaccia
di Serrapetrona, ma anche
ad altri vini toscani ed italiani.
Secondo una complessa definizione
etimologica, il termine “ciauscolo” deriverebbe
dal latino ciabusculum, ossia
Giuseppe Vitali e Stefano Antognozzi, comproprietari, insieme agli altri componenti della famiglia Vitali, dell’azienda Re
Norcino a San Ginesio (Macerata)
“piccolo cibo” o “piccolo pasto”. E quindi
un piccolo spuntino, sì, ma di grande
gusto e tradizione.
MASSIMILIANO LIUZZI
77
L’avvocato
Risponde
A cura di
Aldo Fittante
Il valore economico del marchio d’impresa
di Aldo Fittante
Nella sua essenza caratteristica
e sostanziale il marchio serve
a contraddistinguere i prodotti
e i servizi che un’impresa produce o
mette in commercio, differenziandoli
da quelli offerti dalle altre imprese concorrenti.
In tal senso il marchio diventa
uno strumento decisivo nella strategia
commerciale dell’azienda, a tal punto da
rappresentare sempre più spesso il principale
asset aziendale. Potrebbe all’apparenza
sorprendere molto che la principale
componente del patrimonio aziendale sia
costituita da un bene immateriale, quale
appunto il brand. In realtà, un recentissimo
studio svolto nel 2020 da Brand Finance
sui cinquecento principali brand al
mondo, dà la cifra del valore molto elevato
di tale componente intangibile del
patrimonio dell’impresa. Sul piano del
valore economico del marchio, l’analisi di
Brand Finance ha rivelato che le società
con il valore di mercato
più grande al mondo
sono le statunitensi
Amazon (220 miliardi di
dollari), Google (160 miliardi)
ed Apple (140 miliardi).
Al quarto posto
troviamo Microsoft con
un valore di 117 miliardi
di dollari e al quinto
Samsung con 94,49 miliardi.
Lo studio di Brand
Finance ha ulteriormente
analizzato il valore dei
primi cinquecento brand
globali per nazione, rivelando
che gli Stati Uniti
sono al primo posto con 3.204 miliardi
di dollari di valore totale delle aziende
americane più importanti, che da sole
rappresentano il 45,4% delle cinquecento
analizzate dal Global Brand Finance
2020. Segue la Cina al secondo posto,
terzo è il Giappone. Al quarto posto la
Germania e più staccata la Francia, quindi
il Regno Unito e la Corea del Sud. È
stato messo inoltre in evidenza un altro
importante dato: la forza dei marchi più
famosi al mondo, misurandola in base
alla loro efficacia rispetto ai competitor.
Tale diversa ma altrettanto interessante
classifica rivela che il marchio italiano
automobilistico Ferrari, con un brand
strenght index pari a novantaquattro su
cento, è al primo posto per efficacia. Al
secondo posto si colloca il marchio Disney
con un indice pari a novantatré su
cento. Citando i marchi più famosi, al sesto
posto figura Coca Cola con novanta,
all’ottavo Rolex con ottantanove e al decimo
Paypal. Interessanti anche i dati sui
marchi italiani. Un’analisi statistica analoga
a quella finora illustrata si è occupata
in particolare dei marchi del nostro
paese e delle loro performance. Il valore
complessivo dei marchi dei cinquanta
principali brand italiani ammonta a 143
miliardi di euro. I marchi italiani di maggior
valore secondo questa classifica sono
Gucci, Enel, Eni, Ferrari e Generali.
A livello globale primeggiano in assoluto
Ferrari per penetrazione del marchio
e Poste Italiane come brand assicurativo
più forte al mondo. Il marchio, quindi,
è il vero e proprio “biglietto da visita”
dell’impresa, un “collettore di clientela”
che giunge ad acquisire una notevole
importanza economica autonoma, tanto
da rappresentare un valore commerciale
sempre più spesso superiore alla somma
dei restanti beni aziendali.
Aldo
Fittante
Avvocato in Firenze e Bruxelles, docente in Diritto della Proprietà Industriale
e ricercatore Università degli Studi di Firenze, già consulente
della “Commissione Parlamentare di Inchiesta sui Fenomeni della Contraffazione
e della Pirateria in Campo Commerciale” della Camera dei Deputati.
www.studiolegalefittante.it
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MARCHIO D’IMPRESA
GRAN CAFFÈ SAN MARCO
Un locale nuovo e poliedrico, con orari che coprono tutto l’arco della giornata.
Perfetto sia per un pranzo di lavoro che per una cena romantica o per qualche
ricorrenza importante
Piazza San Marco 11/R - 50121 Firenze
+ 3 9 0 5 5 2 1 5 8 3 3
www.grancaffesanmarco.it
Una banca coi piedi
per terra, la tua.
www.bancofiorentino.it